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domenica 20 gennaio 2019

Riscatto della pensione e scivolo quota 100





Si possono riscattare cinque anni non coperti da contribuzione, detrazione fiscale al 50% dell'onere, può pagare il datore di lavoro usando i premi di produzione: decreto riforma pensioni.

Dopo quella fiscale arriva anche la pace contributiva: consente di riscattare periodi contributivi non coperti da versamenti agli istituti previdenziali, fino a un massimo di cinque anni: si tratta di un nuovo strumento, che dovrà dare attuazione alla riforma pensioni e in particolare alla quota 100.

Ecco come funziona: è una possibilità prevista nel triennio 2019-2021 destinata ai dipendenti pubblici e privati, agli iscritti alle gestioni speciali dei lavoratori autonomi e alla gestione separata. Devono essere privi di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995, quindi lo strumento è attivabile solo dai cosiddetti contributivi puri (versamenti a partire dal primo gennaio 1996).

Non possono utilizzarlo coloro che calcolano la pensione con il sistema retributivo o misto. Facendo i calcoli, risulta quindi non praticabile per raggiungere il requisito per la quota 100, destinata a lavoratori con maggiore anzianità (ci vogliono 62 anni di età e 38 di contributi). La pace contributiva non è altresì prevista per coloro che percepiscono già una pensione.

Il riscatto contributi può riguardare i periodi per i quali non sussiste l’obbligo contributivo, e che non siano già coperti da contribuzione, compresi fra la data di prima iscrizione all’istituto previdenziale e quella dell’ultimo contributo accreditato. Ad esempio, periodi di disoccupazione. C’è un limite di cinque anni riscattabili, anche non consecutivi. La domanda può essere fatta anche dai superstiti, parenti e affini entro il secondo grado.

Il riscatto è oneroso ma c’è un’agevolazione fiscale. In pratica, l’onere si calcola applicando l’aliquota contributiva prevista dal regime presso il quale si esercita il riscatto agli ultimi 12 mesi di retribuzione. L’incentivo fiscale consiste in una detrazione al 50%, ripartita in cinque quote annuali di pari importo.

Come si paga l’onere di riscatto: con un unico versamento, oppure in un massimo di 60 rate mensili. Attenzione: se il riscatto viene effettuato per l’immediata liquidazione di una pensione, o per l’accoglimento di una domanda di versamento contributi volontari, allora non è possibile la rateizzazione.

L’onere di riscatto può essere pagato anche dal datore di lavoro utilizzando i premi di produzione. Le relative somme sono deducibili dal reddito d’impresa.

In arrivo la possibilità di un accordo aziendale per anticipare la pensione a tre anni dalla quota 100: funzionamento e vantaggi della misura attesa nel decreto di riforma pensioni. E’ una delle novità più rilevanti sulla quota 100, in pratica è uno scivolo che consente alle aziende, in cambio dell’assunzione di giovani, l’esodo dei lavoratori a cui mancano al massimo tre anni per raggiungere i requisiti della quota 100, purché (nell’ottica del ricambio occupazionale). Si tratta di una misura importante, perché introduce una nuova forma di pensione anticipata nell’ambito di piani d’impresa per il ricambio generazionale.

E’ inserita nella bozza di decreto che istituirà le diverse novità in materia di riforma pensioni.

Lo scivolo per la quota 100 prevede che i fondi bilaterali di settore possano versare delle prestazioni di sostegno al reddito a coloro a cui mancano al massimo tre anni per raggiungere il requisiti della quota 100 (62 anni di età e 38 di contributi). Questa prestazione è prevista solo a fronte di accordi collettivi di livello aziendale o territoriale, sottoscritti con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, che devono stabilire a garanzia del mantenimento dei livelli occupazionali il numero di lavoratori da assumere in sostituzione dei lavoratori che accedono a tale strumento.

La prestazione viene erogata dai fondi di solidarietà ma è finanziata dai datori di lavoro. Prevede un assegno di sostegno al reddito e il pagamento dei contributi utili per il conseguimento di qualunque diritto alla pensione anticipata o di vecchiaia, riscattabili o ricongiungibili, precedenti all’accesso ai Fondi di solidarietà. Quindi, i lavoratori possono raggiungere il requisito per accedere alla prestazione anche attraverso il riscatto o la ricongiunzione di contributi.

La misura è rilevante perché consente di risolvere rapporti di lavoro. Spieghiamo bene: la quota 100, in generale, è una scelta del lavoratore, che non sostituisce le altre forme previdenziali. Il lavoratore può invece decidere di aspettare l’età pensionabile o la pensione anticipata ordinaria. Il meccanismo della quota 100, inoltre, non prevede penalizzazioni sul fronte del calcolo pensione, ma l’assegno sarà comunque più basso perché ci si ritira prima (e quindi si versano meno contributi).

Lo scivolo aziendale nell’ambito di accordi aziendali, di fatto, rende lo strumento utilizzabile anche senza che il lavoratore lo scelga come alternativa alla pensione di vecchiaia o anticipata. La garanzia è certamente rappresentata dalla necessità di accordo sindacale, ma nel testo della norma non è previsto l’esplicito consenso del lavoratore. Che, quindi, in presenza di un accordo aziendale, può essere obbligato (par di capire) a ritirarsi con la quota 100. Il pagamento dei contributi di riscatto i ricongiunzione, però, potrebbe comunque rendere questo strumento appetibile. In questo caso, gli anni contributivi a cui si rinuncia possono essere compensati dai versamenti a carico dei fondi.

Ci sono però specifici paletti che non consentono di applicare questo scivolo a coloro che hanno già fatto accordi di incentivo all’esodo per la pensione (isopensione), o che hanno in essere prestazioni di sostegno al reddito o riqualificazione professionale da parte dei fondi bilaterali.




domenica 17 novembre 2013

Prepensionamento anticipato lo paga l'azienda


Pensione con scivolo fino a quattro anni. E’ quanto ha indicato la legge n. 92 del 2012.

Prepensionamenti: la parola magica per milioni di italiani, via d’uscita per ogni azienda in crisi, torna a splendere nel nostro firmamento, anche se costerà caro.

I requisiti per il pensionamento debbono essere verificati dall’Inps con riferimento alle regole vigenti al momento della cessazione del rapporto di lavoro.

Detti requisiti vengono validati sempre dall’Inps tramite una serie di operazioni quali:

l’emissione di un estratto conto certificato;
la validazione delle singole posizioni individuali;
l’importo iniziale della prestazione “retribuzione-pensione”;
l’onere della contribuzione figurativa da versare a carico del datore di lavoro.

Per dare efficacia all’accordo è previsto che il datore di lavoro presenti una istanza all’Inps comprensiva dei lavoratori coinvolti ed interessati, accompagnata da una fideiussione bancaria finalizzata a garantire la solvibilità nel tempo degli obblighi che assume su se stesso.

Ai lavoratori interessati l’azienda deve infatti garantire di:
pagare un’indennità (retribuzione-pensione) pari alla pensione che hanno maturato in base ai contributi versati fino a quel momento;
versare i contributi all’Inps durante questo arco temporale, massimo di quattro anni, come se gli interessati continuassero a lavorare.

Le aziende possono decidere di mandare in prepensionamento il personale che, a causa della crisi economica o per altri motivi, risulta in eccedenza. Ma devono pagare un prezzo piuttosto alto.

Questo novo tipo di prepensionamento è previsto nella riforma Fornero e ora l’ Inps ha diffuso le regole applicative.

Nel linguaggio dell’Istituto di Previdenza per antonomasia si chiama procedura di esodo volontario.

Oggi, le aziende possono anticipare di quattro anni il pensionamento dei propri dipendenti (se questi sono d’accordo), ma dovranno versare all’Inps ogni mese l’importo dell’assegno che l’Inps girerà all’ex dipendente fino al raggiungimento del diritto ordinario alla pensione, più il 33% dei contributi previdenziali calcolati sul valore precedente.

E’ una tombola per l’azienda. Ma al costo elevato corrisponderà la certezza che il dipendente è uscito, che la riorganizzazione può procedere senza persone che remano contro e che il costo avrà un termine, anche se dopo 4 anni.

Il lavoratore dipendente uscirà dall’azienda, ma potrà cumulare l’assegno Inps con eventuali altre retribuzioni, nel caso riuscisse a trovare un nuovo impiego; o lo potrà cumulare con il reddito di lavoro autonomo, laddove dovesse decidere di fare impresa o consulenza da sé (anche co.co.co.)”.

Per anni i prepensionamenti sono stati una valvola di sfogo importante, in molti casi anzi si traducevano in una specie di bonus, come accade per i lavoratori poligrafici (quelli dei giornali) che alla pensione Inps potevano aggiungere quella di un loro fondo integrativo. Alla fine si ritrovavano in prepensionamento in età giovanile: gente che aveva cominciato al lavorare a 14 anni nelle tipografie, andava in pensione a 50 anni mettendo assieme più del ricco stipendio della categoria  integrato da straordinari.

La nuova strada imboccata dall’Inps ha un fondo di giustizia, perché fa pagare il costo della ristrutturazione aziendale e del prepensionamento a chi ne trarrà il maggior beneficio, l’azienda.

Comunque le aziende continuano a pagare le quote contributive che una volta erano destinate a coprire eventi quali la mobilità o la cassa integrazione o la disoccupazione. Ma ora, dopo tutte le riforme degli ultimi anni, quelle prestazioni sono state ridotte o annullate, mentre l’Inps continua comunque a incassare i contributi, sotto altre voci, senza che ci sia più un controprestazione da erogare.

La domanda che segue è perché l’Inps non abbia ridotto i contributi. La risposta è da cercare nella grande massa dei dipendenti pubblici, per i quali il sistema privato è chiamato a pagare ancora una volta. L’Inps ha un buco di 23 miliardi causato dai debiti dell’Inpdap, la Cassa di previdenza dei dipendenti pubblici, che ha assorbito. Alla fine, “a pagare il conto saranno, naturalmente, i lavoratori e le imprese.




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