mercoledì 11 dicembre 2013

Lavoratore dipendente in ferie: nessun obbligo di reperibilità




Il lavoratore dipendente è libero di scegliere le modalità e le località per usufruire di un periodo di ferie che ritenga più utili”. E la sua reperibilità “può essere oggetto di specifico obbligo disciplinato dal contratto individuale o collettivo del lavoratore in servizio, ma non già del lavoratore in ferie.

La Corte di Cassazione ha stabilito che il datore di lavoro può sospendere le ferie solo prima della partenza per le vacanze. In sostanza la Suprema Corte protegge il posto di lavoro per i dipendenti che sono in ferie e per le neo spose durante il primo anno di nozze.

Con due sentenze depositatela numero 27057 e 27055, i giudici, annullano similmente licenziamenti bollandoli come illegittimi. Nel primo caso la massima sanzione era stata disposta nei confronti di un tecnico del Comune colpevole di essersi reso introvabile durante le ferie, ignorando l'ordine di rientrare in servizio. Secondo il datore l'obbligo di rispondere derivava da una precisa norma del contratto collettivo che imponeva la reperibilità e poco importava che le comunicazioni non fossero mai state ritirate.

Dal canto suo l'ente locale rivendicava il diritto di revocare le ferie già concesse e affermava il dovere del dipendente di interrompere gli "ozi" e presentarsi in ufficio.

La Cassazione invita a leggere correttamente le norme ossia CCNL. Non c'è dubbio che il datore debba essere informato del luogo in cui inviare le comunicazioni al suo dipendente, ma il diritto non si estende ai periodi di ferie, che sono un bene costituzionalmente tutelato. Esiste poi anche un'esigenza di privacy, coniugata con l'assoluta libertà per il lavoratore di andare dove vuole a recuperare le sue energie psicofisiche. Impresa difficile se si è obbligati a sopportare lo stress di dare le coordinate dei propri spostamenti.

Il datore, per esigenze organizzative, può modificare i periodi di ferie ma deve farlo, con un congruo preavviso, prima che queste abbiano inizio. La norma invocata specifica il diritto al rimborso delle spese documentate del viaggio interrotto per motivi di servizio, ma non fa alcun riferimento alle modalità con cui l'interruzione può essere adottata. Al contrario la giurisprudenza ha affermato il dovere di una comunicazione tempestiva ed efficace prima che il lavoratore abbia fatto le valige, momento dal quale cessa ogni obbligo di reperibilità.

Un'altra lancia contro i licenziamenti, in questo caso discriminatori, la Cassazione la spezza in favore delle neo spose (sentenza 27055). Il divieto di licenziare la lavoratrice che ha detto sì vale per l'intero anno delle nozze. Né il licenziamento può essere giustificato da ragioni di ristrutturazione e di ridimensionamento dell'organico, essendo la deroga al divieto ammessa solo in caso di cessazione dell'attività dell'azienda. La garanzia, assicurata dalla legge 7 del 1973 ha la stessa finalità della legge 1204/1971 che impedisce il licenziamento della lavoratrice madre. «Si tratta di provvedimenti legislativi che nel loro insieme - si legge nella sentenza - tendono a rafforzare la tutela della lavoratrice in momenti di passaggio "esistenziale" particolarmente importanti».

Per questo alla lavoratrice è risparmiato anche l'onere di provare il carattere discriminatorio del licenziamento, mentre spetta al datore dimostrare il contrario.

In base queste delucidazioni Un’eventuale opposta interpretazione delle norme sarebbe, infatti, “una compressione del diritto alla ferie - conclude la Suprema Corte - costringendo il lavoratore in viaggio non solo a far conoscere al datore di lavoro i luoghi e i tempi dei suoi spostamenti, ma anche ad un’inammissibile e gravosa attività di comunicazione formale, magari giornaliera, dei suoi spostamenti”.


Tasse un vero incubo, addizionali per 503 euro



Conto salato per gli italiani sul fronte delle addizionali comunali e regionali Irpef. In cinque anni, dal 2009 al 2013, il gettito è aumentato del 36%, passando in media da 391 a 503 euro a testa.

In cinque anni, dal 2009 al 2013, il gettito delle addizionali comunali e regionali è aumentato del 36%, passando in media da 391 a 503 euro, appunto. Nello stesso quinquennio i prezzi sono aumentati di circa l’11%. Una bella stangata, dunque. Che l’anno prossimo potrebbe ripetersi. Nello stesso quinquennio i prezzi sono aumentati di circa l’11%. Una bella stangata, dunque. Che l’anno prossimo potrebbe ripetersi.

Per il 2014, infatti, le Regioni potranno decidere ulteriori incrementi del balzello Irpef di loro competenza fino a 0,6 punti, portando l’aliquota al 2,33%, che significherebbe altri 141 euro in più a testa, che diventerebbero 153 calcolando anche 12 euro aggiuntivi di addizionale comunale se i municipi che ancora non l’hanno fatto decidessero di deliberare l’aliquota massima dello 0,8%.

I calcoli li ha fatti il dipartimento Politiche territoriali della Uil, che ha preso in esame le aliquote deliberate dalle Regioni e dai Comuni e le ha rapportate all’imponibile medio ai fini delle addizionali, che risulta, secondo i dati del ministero dell’Economia, di 23mila euro lordi pro capite. I risultati sono allarmanti, dice il segretario confederale Guglielmo Loy, che osserva: «I comuni si stanno affrettando a disporre aumenti generalizzati delle aliquote. Ciò accade anche per effetto dell’incertezza che domina sulle risorse, sopratutto per quanto riguarda l’Imu». I sindaci, insomma, non sapendo bene come andrà a finire la partita sulla seconda rata dell’Imu, sfruttano i margini di aumento delle addizionali 2013, benché l’anno sia quasi finito. Hanno ancora tre settimane di tempo per farlo e chiudere i bilanci. Ma il sistema è talmente assurdo che quello che i comuni devono approvare entro il 30 novembre è il bilancio preventivo (sic!) 2013. Comunque sia, il gettito delle addizionali vale ormai quasi 15 miliardi e mezzo (11,5 quello delle regionali e 4 quello delle comunali), con un aumento di oltre 4 miliardi sul 2009.

A livello regionale quest’anno l’aliquota Irpef aumenta in Toscana (1,43% fino a 15mila euro, 1,73% oltre) e Abruzzo (1,73%). Ma le aliquote massime restano nelle tre Regioni con i peggiori bilanci sanitari: Campania, Calabria e Molise, dove siamo al 2,03%. Sono invece solo 5 le aree che applicano l’aliquota di base dell’1,23%: Val d’Aosta, Bolzano, Trento, Veneto e Sardegna. Sommando addizionali regionali e comunali, la classifica dei più tartassati vede in testa Campobasso, Napoli e Salerno con 651 euro, seguite da Roma con 605 euro e da Chieti, Genova, Imperia, Messina, Palermo e Teramo con 582.

Le addizionali comunali Irpef furono istituite dal governo Prodi nel 1997 e si pagano dal 1999. L’idea era che a fronte del gettito dovesse esservi un corrispettivo in termini di servizi, secondo un principio di responsabilità e verifica, per evitare quanto aveva denunciato la Corte dei Conti, cioè che dal 1991 al 1996 le imposte comunali fossero aumentate del 124% senza che si capisse il perché. Una corsa che non si è fermata. Nel 2003 il gettito delle addizionali Irpef regionale e comunale fu di 6,8 miliardi. Dieci anni dopo siamo a 15 milardi e mezzo. E non è finita. L’anno prossimo dovrebbe arrivare la Tasi, la nuova tassa sui servizi indivisibili: illuminazione pubblica, polizia locale, strade, ecc. Come se finora i contribuenti non fossero stati spremuti anche per finanziare questi servizi. Della serie «non basta mai».

Per l’addizionale Irpef comunale gli italiani pagheranno quest’anno in media 140 euro a testa contro i 129 del 2012, l’8,5% in più, mentre per l’addizionale Irpef regionale, il conto sale dell’1,1%, e pesa in media per 363 euro. Insomma un bel salasso.

Legge di stabilita 2014: esodati e pensioni



Potrebbe essere vicino a una soluzione il problema dei cosiddetti esodati. "C'è una novità sui lavoratori esodati, ci sarà un intervento importante, stanziando risorse cospicue, sui lavoratori esodati che altrimenti nel 2014 rimarrebbero senza nulla". Lo ha comunicato il viceministro all' Economia, Stefano Fassina, sulle novità del governo sulla Legge di Stabilità.

Così il viceministro all’Economia, Stefano Fassina, risponde a chi gli chiedeva di novità a firma del governo sulla Legge di Stabilità. La Legge è ancora in discussione alla Camera e se per la richiesta degli interventi sulle pensioni tutto ancora tace, ecco invece che si intravede qualche possibilità per gli esodati.

Sulla questione era intervenuto nei giorni scorsi anche il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, che ha detto: «Ci aspettiamo sul tema degli esodati un rapporto trimestrale sul sito dell’Inps per sapere quanti soggetti sono stati trattati, quante persone hanno ricevuto la lettera e quante pensioni sono state liquidate».

Torna l’adeguamento al costo della vita per le pensioni superiori a 1.486 euro lordi al mese (3 volte il minimo), ma in forma limitata e comunque non oltre i 2.972 euro lordi. Ma torna anche il contributo di solidarietà sulle cosiddette pensioni d’oro che solo lo scorso giugno la Corte costituzionale aveva cancellato. Questa volta sarà del 6-12 per cento sugli importi superiori a 6.936 euro lordi al mese (90.168 euro all’anno). Sono le principali novità in materia previdenziale contenute nel disegno di legge di Stabilità, come modificato dal maxi emendamento del governo approvato al Senato. Ora passa tutto all’esame della Camera.

La legge Finanziaria 1995 ha disposto che il primo gennaio di ogni anno le pensioni vengano adeguate in base alla variazione del costo della vita accertata dall’Istat, l’Istituto nazionale di statistica. L’adeguamento è fissato con un decreto del ministero dell’Economia alla fine di ogni anno per l’anno successivo. Per il 2014 l’aumento dovrebbe aggirarsi intorno all’1,5%, stima di aumento dei prezzi nel 2013 fatta dall’Istat e dal governo nella nota di aggiornamento al Def (Documento di economia e finanza). Fin dall’inizio l’adeguamento non è stato riconosciuto al 100% per le pensioni di importo elevato, con soglie che sono cambiate di anno in anno.

La legge di Stabilità 2014 ordina per il triennio 2014-2016 di una perequazione limitata anche sulle pensioni di importo fra 3 e 6 volte il minimo, negandola per quelle superiori a sei volte. L’adeguamento al costo della vita sarà quindi del 100% per i trattamenti fino a tre volte il minimo (1.486,29 euro lordi al mese). Per quelle fra 3 e 4 volte il minimo (1.486,29—1.981,72 euro) la rivalutazione sarà del 90% «con riferimento all’importo complessivo dei trattamenti medesimi». Sempre sull’intero importo, l’aumento sarà del 75% per le pensioni fra 4 e 5 volte il minimo (1.981,72—2.477,15 euro lordi) e del 50% su quelle fra 5 e 6 volte il minimo (2.477,15—2.972,58 euro lordi) mentre sulla parte eccedente 6 volte non ci sarà alcun aumento.

Il decreto Salva Italia del governo Monti rafforzò il contributo di solidarietà già introdotto dall’esecutivo Berlusconi, stabilendo, dal 2012, un prelievo del 5% sugli importi di pensione compresi fra 90mila e 150 mila euro lordi, che saliva al 10% sulla fascia 150-200mila e al 15% sulla parte eccedente i 200 mila euro lordi. Tale contributo è stato dichiarato incostituzionale dalla Consulta lo scorso giugno, perché discriminatorio in quanto applicato a una sola categoria di contribuenti, i pensionati, e non anche ad altri cittadini con lo stesso reddito. È ancora in vigore, invece, il contributo di solidarietà fissato da Monti per i pensionati dei fondi speciali: Trasporti, Elettrici, Telefonici, Volo, ex Inpdai. Il prelievo oscilla tra lo 0,3% e l’1% della pensione in base agli anni di contribuzione versati prima del 1996. Sono escluse dal contributo le pensioni fino a 5 volte il minimo.

Il contributo di solidarietà sulle cosiddette pensioni d’oro viene riproposto nel maxiemendamento del governo per finanziare un sussidio a favore dei più poveri, motivazione che dovrebbe consentire, secondo il governo, di superare eventuali nuovi giudizi di costituzionalità. Il contributo è fissato nel 6% per la parte di pensione compresa fra 14 e 20 volte il minimo (90.168—128.811 euro lordi annui), che sale al 12% sugli importi fra 20 e 30 volte il minimo (128.811—193.217 euro lordi annui) e al 18% sulle quote oltre 30 volte.

In tutto, le pensioni colpite dal nuovo contributo di solidarietà sono, secondo i dati Inps, 29.554. Si tratta di assegni superiori a 6.936 euro lordi al mese. Di questi, 6.805 sono maggiori di 9.908 euro lordi al mese (20 volte il minimo) e appena 1.344 superano i 14.863 euro lordi al mese (30 volte il minimo).



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