domenica 23 novembre 2014

Indennità di disoccupazione ASPI per l’anno 2015



Cerchiamo di dare una guida per rispondere alle domande principali sul sussidio di disoccupazione dell'Inps, l'Aspi.

Innanzitutto l’Aspi è una prestazione economica istituita per gli eventi di disoccupazione che si verificano a partire dal 1° gennaio 2013 e che sostituisce l’indennità di disoccupazione ordinaria non agricola requisiti normali. E’ una prestazione a domanda erogata a favore dei lavoratori dipendenti che abbiano perduto involontariamente l’occupazione. Il sussidio di disoccupazione Aspi è una prestazione erogata dall'Inps ai lavoratori dipendenti che hanno perso involontariamente l'occupazione.

Spetta ai lavoratori con rapporto di lavoro subordinato che abbiano perduto involontariamente l’occupazione, compresi:

gli apprendisti;
i soci lavoratori di cooperative con rapporto di lavoro subordinato;
il personale artistico con rapporto di lavoro subordinato;
i dipendenti a tempo determinato delle Pubbliche Amministrazioni;

Sono esclusi dall'Aspi e non possono percepire il sussidio di disoccupazione i dipendenti delle PA con contratto a tempo indeterminato, gli operai agricoli, gli extracomunitari con permesso di soggiorno che hanno fatto un lavoro stagionale.

I requisiti sono i seguenti:
Stato di disoccupazione non volontario (viene escluso chi si è dimesso o ha risolto il contratto in modo consensuale, tranne in casi specifici);

aver comunicato al Centro per l'impiego del proprio territorio la dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro;

devono essere passati almeno 24 mesi dal versamento del primo contributo;

nei due anni precedenti alla domanda, devono essere stati versati almeno 12 mesi di contributi utili.

Spetta in presenza del requisito di stato di disoccupazione involontario, l’interessato deve rendere, presso il Centro per l’impiego nel cui ambito territoriale si trovi il proprio domicilio, una dichiarazione che attesti l’attività lavorativa precedentemente svolta e l’immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa.

L’indennità quindi non spetta nelle ipotesi in cui il rapporto di lavoro sia cessato a seguito di dimissioni o risoluzione consensuale.

Il lavoratore ha diritto all’indennità nelle ipotesi di dimissioni durante il periodo tutelato di maternità ovvero di dimissioni per giusta causa.

Inoltre, la risoluzione consensuale non impedisce il riconoscimento della prestazione se intervenuta:

nell’ambito della procedura conciliativa presso la Direzione Territoriale del Lavoro, secondo le modalità previste all’art. 7 della legge n. 604 del 1966, come sostituito dall’art. 1, comma 40 della legge di riforma del mercato del lavoro (Legge 28 giugno 2012 n.92);

a seguito di trasferimento del dipendente ad altra sede distante più di 50 Km dalla residenza del lavoratore e/o mediamente raggiungibile in 80 minuti o più con i mezzi pubblici.

Devono essere trascorsi almeno due anni dal versamento del primo contributo contro la disoccupazione; il biennio di riferimento si calcola procedendo a ritroso a decorrere dal primo giorno in cui il lavoratore risulta disoccupato.

Almeno uno anno di contribuzione contro la disoccupazione nel biennio precedente l’inizio del periodo di disoccupazione. Per contribuzione utile si intende anche quella dovuta ma non versata. Ai fini del diritto sono valide tutte le settimane retribuite purché risulti erogata o dovuta per ciascuna settimana una retribuzione non inferiore ai minimi settimanali. La disposizione relativa alla retribuzione di riferimento non si applica ai lavoratori addetti ai servizi domestici e familiari, agli operai agricoli e agli apprendisti per i quali continuano a permanere le regole vigenti.

Ai fini del perfezionamento del requisito contributivo, si considerano utili:

i contributi previdenziali comprensivi di quota DS e ASpI versati durante il rapporto di lavoro subordinato;

i contributi figurativi accreditati per maternità obbligatoria se all’inizio dell’astensione risulta già versata contribuzione ed i periodi di congedo parentale purché regolarmente indennizzati e intervenuti in costanza di rapporto di lavoro;

i periodi di lavoro all’estero in paesi comunitari o convenzionati ove sia prevista la possibilità di totalizzazione (non sono utili i periodi di lavoro all’estero in Stati con i quali l’Italia non ha stipulato convenzioni bilaterali in materia di sicurezza sociale);

l’astensione dal lavoro per periodi di malattia dei figli fino agli 8 anni di età nel limite di cinque giorni lavorativi nell’anno solare.

Qualora il lavoratore abbia periodi di lavoro nel settore agricolo e periodi di lavoro in settori non agricoli, i periodi sono cumulabili ai fini del conseguimento dell’indennità di disoccupazione agricola o dell’indennità di disoccupazione ASpI, sulla base del criterio della prevalenza. Per verificare l’entità delle diverse contribuzioni restano fermi i parametri di equivalenza che prevedono 6 contributi giornalieri agricoli per il riconoscimento di una settimana contributiva.

Non sono invece considerati utili, pur se coperti da contribuzione figurativa, i periodi di:

malattia e infortunio sul lavoro solo nel caso non vi sia integrazione della retribuzione da parte del datore di lavoro, nel rispetto del minimale retributivo;

cassa integrazione straordinaria e ordinaria con sospensione dell’attività a zero ore;

assenze per permessi e congedi fruiti dal coniuge convivente, dal genitore, dal figlio convivente, dai fratelli o sorelle conviventi di soggetto con handicap in situazione di gravità.

Ai fini della determinazione del biennio per la verifica del requisito contributivo, i suddetti periodi - non considerati utili – devono essere neutralizzati con conseguente ampliamento del biennio di riferimento.

Come fare domanda

La domanda per il sussidio di disoccupazione va presentata all'INPS, esclusivamente per via telematica, utilizzando questi canali:

Sito dell'INPS, attraverso servizi telematici accessibili e codice PIN;

Contact Center multicanale (numero telefonico 803164 da rete fissa o 06164164 da rete mobile);

Patronati, CAF o intermediari.

La domanda va presentata entro 2 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro:
a) ottavo giorno successivo alla data di cessazione dell’ultimo rapporto di lavoro;

b) data di definizione della vertenza sindacale o data di notifica della sentenza giudiziaria;

c) data di riacquisto della capacità lavorativa nel caso di un evento patologico (malattia comune, infortunio) iniziato entro gli otto giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro;

d) ottavo giorno dalla fine del periodo di maternità in corso al momento della cessazione del rapporto di lavoro;

e) ottavo giorno dalla data di fine del periodo corrispondente all’indennità di mancato preavviso ragguagliato a giornate;
f) trentottesimo giorno successivo alla data di cessazione per licenziamento per giusta causa.

Per il 2015 spetta un'indennità mensile della durata di 10 mesi (persone di età inferiore a 50 anni), 12 mesi (persone di età tra 50 e 55 anni), 16 mesi (persone di età superiore a 55 anni).

L'assegno dell'INPS corrisponde al 75% della retribuzione media mensile imponibile degli ultimi 2 anni, e non può eccedere ilo limite massimo stabilito ogni anno. Se la retribuzione media mensile imponibile degli ultimi 2 anni è maggiore di 1.192,98 euro, per la parte eccedente si calcola il 25% (cifre stabilite per l'anno in corso). Dopo 6 mesi viene applicata la prima riduzione del 15%, e dopo 12 mesi la seconda.

La misura della prestazione è pari:

al 75% della retribuzione media mensile imponibile ai fini previdenziali degli ultimi due anni, se questa è pari o inferiore ad un importo stabilito dalla legge e rivalutato annualmente sulla base della variazione dell’indice ISTAT (per l’anno 2014 pari ad € 1.192,98). L’importo della prestazione non può comunque superare un limite massimo individuato annualmente per legge.

al 75% dell’importo stabilito (per l’anno 2014 pari ad € 1.192,98) sommato al 25% della differenza tra la retribuzione media mensile imponibile ed € 1.192,98 (per l’anno 2014), se la retribuzione media mensile imponibile è superiore al suddetto importo stabilito.

L’importo della prestazione non può comunque superare un limite massimo individuato annualmente per legge.

All’indennità mensile si applica una riduzione del 15% dopo i primi sei mesi di fruizione ed un’ulteriore riduzione del 15% dopo il dodicesimo mese di fruizione.

Il pagamento avviene mensilmente ed è comprensivo degli Assegni al Nucleo Famigliare se spettanti.

L’indennità può essere riscossa nelle seguenti modalità:

mediante accredito su conto corrente bancario o postale o su libretto postale;

mediante bonifico domiciliato presso Poste Italiane allo sportello di un ufficio postale rientrante nel CAP di residenza o domicilio del richiedente. Secondo le vigenti disposizioni di legge, le Pubbliche Amministrazioni non possono effettuare pagamenti in contanti  per prestazioni il cui importo netto superi i 1.000 euro.



Tredicesima 2014 più ricca secondo la Cgia ma non grazie al bonus




I lavoratori dipendenti percepiranno quest'anno una tredicesima più consistente rispetto al 2013. Lo ha comunicato la Cgia, precisando che l'aumento non deriva dal bonus degli 80 euro introdotti dall'esecutivo la scorsa primavera. La Cgia stima che oltre 33 milioni di pensionati e dipendenti pubblici e privati percepiranno quest'anno quasi 38 miliardi di euro di tredicesima. L'importo delle 13esime porterà all'erario un gettito di oltre 9,7 miliardi. "Nello specifico, si tratta di 12 euro in più per un operaio specializzato, di 13 euro per un impiegato, e di 20 euro in più per un capo ufficio",ha detto il segretario Cgia, Giuseppe Bortolussi.

Sarà una mensilità tredicesima ‘più pesante’ per i poco meno di 16.600.000 pensionati e quasi 16.800.000 lavoratori dipendenti che la riceveranno il prossimo mese: È è il risultato che emerge dalla stima realizzata dalla Cgia di Mestre. L’ufficio studi Cgia che ha fatto i conti in tasca a tre importanti categorie di lavoratori dipendenti presenti nel nostro Paese: quella degli operai, quella degli impiegati e quella dei quadri/capo ufficio, tutti occupati nel settore privato. Ritocchi – sottolinea Giuseppe Bortolussi, segretario Cgia – riconducibili al fatto che gli aumenti contrattuali sono stati superiori alla crescita dell’inflazione registrata quest’anno”.

Secondo i calcoli della Cgia, un operaio specializzato, con una retribuzione lorda annua di poco superiore ai 21.500 euro, quest’anno porterà a casa una tredicesima pari a 1.283 euro netti: 15 euro nominali in più rispetto alla tredicesima percepita nel 2013. Se, però, teniamo conto dell’andamento dell’ inflazione e degli aumenti contrattuali registrati quest’anno, l’aumento reale, rispetto al 2013, si attesterà sui 12 euro. Per un impiegato con una retribuzione lorda annua che sfiora i 26.200 euro, la tredicesima sarà di 1.445 euro netti: 16 euro nominali in più rispetto al 2013. Tenendo conto dell’andamento dell’inflazione e degli aumenti contrattuali avvenuti nel 2014, l’aumento reale, rispetto l’anno scorso, sarà di 13 euro. Per un capo ufficio con una retribuzione lorda annua di quasi 50mila euro, la mensilità aggiuntiva che percepirà a dicembre sarà di 2.544 euro netti: 26 euro nominali in più del 2013. Depurando tale importo dagli effetti dell’inflazione e dagli incrementi contrattuali, l’aumento reale, rispetto al 2013, si ridurrà a 20 euro. Niente 80 euro, però: il bonus degli 80 euro introdotti dal Governo nella primavera scorsa per i redditi medio-bassi non è applicato alla tredicesima mensilità.




mercoledì 19 novembre 2014

Licenziamento la regola dell’indennizzo




Licenziamento la regola dell’indennizzo

Il diritto al reintegro nel posto di lavoro sarà limitato ai licenziamenti nulli e discriminatori e «a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato». Lo prevede l'emendamento che il Governo presenta oggi in commissione Lavoro alla Camera.

L’attuale emendamento esclude in modo esplicito per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio e limitando il diritto alla reintegrazione ai licenzi lenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinari ingiustificato, nonché prevedendo termini certi per l’impugnazione del licenziamento.

Reintegro per licenziamenti discriminatori e per precisi casi di licenziamento disciplinare ingiustificato. Ci sarà, quindi, soltanto un indennizzo economico per i lavoratori licenziati ingiustamente per motivi economici. Viene cioè esclusa "per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l'anzianità di servizio". L'emendamento al comma 7 del ddl delega sul lavoro, quello che modifica appunto il 'famigerato' articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, prevede infatti il reintegro solo "per specifici casi di licenziamento disciplinare ingiustificato". L'emendamento inoltre limita il diritto alla reintegrazione "ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato".

I licenziamenti economici, per quanto concerne il reintegro, restano quindi fuori: in quei casi si prevede esclusivamente un indennizzo crescente con l'anzianità di servizio. Il reintegro invece è previsto per i licenziamenti discriminatori e per i casi di licenziamenti disciplinari ingiustificati e assimilabili a quelli discriminatori. "Il governo - ha detto Maurizio Sacconi di Ncd - ha indicato correttamente la formulazione concordata che esplicitamente individua nell'indennizzo economico certo e crescente con l'anzianità di servizio la sanzione ordinaria del licenziamento illegittimo tanto economico quanto disciplinare, con la sola eccezione per quest'ultimo di specifiche fattispecie.

Per i licenziamenti economici viene esclusa invece la possibilità del reintegro nel posto di lavoro prevedendo «un indennizzo economico certo e crescente con l'anzianità di servizio». Lo prevede ancora l'emendamento del governo. Per l'impugnazione del licenziamento verranno inoltre previsti «tempi certi».

L'emendamento del governo sul Jobs Act «non cambia la sostanza della legge delega. Renzi non concede nulla», afferma il capogruppo di Sel alla Camera Arturo Scotto, che ribadisce come sul provvedimento per la riforma del lavoro «Renzi ci mette la faccia, ma le politiche sono quelle di Sacconi». L'emendamento dell'esecutivo «non cambia nulla nemmeno sui licenziamenti discriminatori, perché per quelli c'è già la Costituzione», conclude Scotto.

L'emendamento recepisce l'intesa raggiunta sul reintegro dei lavoratori per alcune fattispecie di licenziamenti disciplinari, oltre che per quelli discriminatori. Ieri il sottosegretario al Lavoro Teresa Bellanova, che ha parlato di «riformulazione senza novità» del comma 7 della legge.

Per i licenziamenti economici viene esclusa invece la possibilità del reintegro nel posto di lavoro prevedendo «un indennizzo economico certo e crescente con l'anzianità di servizio».

Sebbene a livello internazionale esista una varietà di modelli di licenziamento, la disciplina del recesso dal rapporto di lavoro da parte datoriale presenta, nei diversi ordinamenti giuridici, una caratteristica comune: la motivazione quale principale elemento discriminante tra un licenziamento legittimo e un licenziamento illegittimo. È così in tutti i Paesi europei, dalla Germania al Regno Unito, ma anche in Giappone e Cina. La sola eccezione è rappresentata dagli Stati Uniti, dove il licenziamento del lavoratore nell’ambito di un contratto a tempo indeterminato, può avvenire “at will”, ovvero a totale discrezione del datore di lavoro e a prescindere da una ragione giustificativa, ad esclusione del licenziamento discriminatorio.

La motivazione ha generalmente una dimensione soggettiva, riferibile al lavoratore e individuabile in comportamenti tali da rendere plausibile la cessazione del rapporto di lavoro, e una dimensione oggettiva, legata a motivi di ordine economico ed organizzativo. Ciononostante, il confine tra queste due categorie in alcuni Paesi, come ad esempio nel Regno Unito, non rileva, o comunque non è sempre netto. In Spagna, ad esempio, assieme ai motivi economici, produttivi e tecnologici, tra le cause oggettive che giustificano il licenziamento, figurano l’incapacità del lavoratore riscontrata al termine del periodo di prova, così come l’eccessivo tasso di assenteismo.

L’oggetto delle motivazioni varia nei diversi ordinamenti, come pure è variabile il grado di dettaglio con cui la legge interviene tipizzando le diverse macro categorie concettuali utili a descrivere il motivo giustificatorio del recesso legittimo. Un ruolo fondamentale nella specificazione delle motivazioni è ricoperto certo dalla contrattazione collettiva e dalla giurisprudenza. Gli Stati Uniti sono un caso emblematico che dimostra come, sebbene sulla carta la disciplina dei licenziamenti sia totalmente liberalizzata, nel tempo la giurisprudenza sul licenziamento ingiusto abbia nei fatti allineato gli indicatori di legittimità del licenziamento, agli standard dei Paesi più garantisti.

Accanto alla motivazione, il rispetto delle procedure previste dalla legge per licenziare un lavoratore determina la legittimità o meno del recesso. La principale regola di carattere procedurale riguarda il preavviso con cui il datore di lavoro comunica al lavoratore l’intenzione di terminare il rapporto di lavoro. In generale, possono essere distinti due gruppi di Paesi sulla base di un macro indicatore che è quello dell’obbligo alla reintegra (la “restituzione” del posto di lavoro), senza opzioni alternative, nella ipotesi di licenziamento discriminatorio, in quanto considerato nullo. Tra i Paesi analizzati, Spagna, Stati Uniti e Regno Unito sono i sistemi che anche in caso di licenziamento discriminatorio, consentono al datore di lavoro di optare per l’indennizzo in luogo della reintegra.

Per quanto riguarda i criteri per la definizione dell’ammontare dell’indennizzo, possono essere distinti due ulteriori gruppi di Paesi: quelli che prevedono un sistema di indicizzazione dell’indennizzo all’anzianità di servizio (scala fissa, che cresce con l’aumentare degli anni che il lavoratore ha prestato servizio), e quelli dove l’ammontare è stabilito dal Giudice.




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