martedì 9 agosto 2016
Anticipo della pensione, sette mesi in più
La possibilità di andare in pensione fino a 3 anni prima grazie ad un prestito previdenziale da restituire in 20 anni, il cosiddetto Ape – Anticipo pensionistico, è stata estesa a tutti i lavoratori, anche statali ed autonomi. Quindi non solo dipendenti del settore privato: l’anticipo pensione APE sarà utilizzabile anche da quelli pubblici e dai lavoratori autonomi.
Pensione anticipata è una prestazione economica a domanda, erogata ai lavoratori dipendenti e autonomi iscritti all’assicurazione generale obbligatoria (ago) ed alle forme esclusive, sostitutive, esonerative ed integrative della medesima, nonché alla gestione separata.
Anticipo della pensione a cui sta lavorando il governo, e che dovrebbe diventare lo strumento di riferimento per garantire più flessibilità al sistema previdenziale diventa più ampio. Lo sconto massimo sull’età, infatti, potrebbe arrivare a 3 anni e 7 mesi, secondo quanto dichiarato dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Tommaso Nannicini, mentre finora si era ipotizzato un tetto a tre anni. Se questa sarà la soluzione finale, ciò significa che verrà abbuonato l’adeguamento alla speranza di vita che, dal 2012 a oggi, ha fatto lievitare di sette mesi il minimo anagrafico per la pensione di vecchiaia. L’Ape, inoltre, partirà prima della legge di Stabilità, con un provvedimento ad hoc.
Dal punto di vista tecnico, l’Ape, acronimo di anticipo pensionistico, che dovrebbe debuttare nel 2017, ruota intorno a un finanziamento che sarà erogato dalle banche a vantaggio del neo-pensionato e che servirà a pagare gli assegni nel periodo che precede il raggiungimento del requisito anagrafico standard per la pensione di vecchiaia. Successivamente tale somma verrà rimborsata dal pensionato in un arco temporale di vent’anni.
Il finanziamento sarà erogato dalle banche, ma per semplificare le procedure, è previsto un intervento dell’Inps che dovrebbe fare da “interlocutore” tra lavoratore e istituto di credito. L’intervento, e i costi, a carico dello Stato, saranno determinati dagli aiuti sotto forma di detrazioni, riconosciuti alle persone più in difficoltà, quali i disoccupati di lungo corso. Chi vorrà anticipare la pensione e avrà redditi medio-alti, invece, dovrebbe vedere l’operazione interamente a suo carico. Alcuni dettagli dell’operazione, però, non sono ancora stati definiti in attesa degli ulteriori incontri con i sindacati che si svolgeranno in settembre.
L’Ape costituisce l’intervento più consistente e anche più complesso del pacchetto previdenza a cui sta lavorando il governo: sul fronte della flessibilità sono ipotizzati interventi a favore dei lavoratori impegnati in attività particolarmente faticose e per chi ha iniziato a lavorare da minorenne, nonché nuove regole per consentire di “sommare” più facilmente i contributi versati in gestioni differenti e raggiungere così i requisiti minimi per andare in pensione senza oneri; sul fronte dell’adeguatezza degli assegni, invece, si dovrebbe intervenire sugli importi pensionistici più bassi, aumentando la platea di chi ricade nella “no tax area” e di chi beneficia della quattordicesima, o incrementando il valore di quest’ultima attualmente riconosciuto ai pensionati con oltre 64 anni di età.
L’Anticipo Pensionistico di cui si sta discutendo, e che dovrebbe partire nel 2017, fa leva su un finanziamento erogato da istituti di credito al pensionato mediante l’erogazione del trattamento pensionistico mensile nel periodo antecedente al raggiungimento dei requisiti anagrafici necessari per la pensione di vecchiaia. Sebbene il ‘prestito pensionistico’ sia erogato dalle banche, è l’INPS a fare da ‘anello di congiunzione’ tra lavoratori/pensionati e banche.
La decurtazione sulla pensione dipende dagli anni di anticipo con cui ci si ritira e dall'entità dell’assegno: secondo i primi calcoli, il taglio può andare da un 5 a un 15-20% per chi sceglie i tre anni di anticipo.
Vediamo un esempio: un lavoratore che si ritira con l’anticipo pensionistico APE un anno prima e ha una pensione di 800 euro netti al mese, paga per 20 anni una rata di circa 53 euro, che sale a quasi 160 euro nel caso di pensione anticipata di tre anni: i calcoli sono della UIL e forniscono una serie di esempi di applicazione dell’opzione nel più vasto quadro di Riforma Pensioni da inserire nella Legge di Stabilità 2017. Una nuova possibilità di pensione anticipata fino a tre anni, con un trattamento (l’anticipo pensionistico APE) che poi si restituisce quando si percepisce l’assegno previdenziale vero e proprio, attraverso un piano di ammortamento spalmato su 20 anni.
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lunedì 8 agosto 2016
Lavoro autonomo e smart working: i diritti dei dipendenti
Il Disegno di legge è volto a garantire misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato.
Lo smart working (lavoro agile) è una prestazione di lavoro subordinato prestata, parzialmente, all'interno dei locali aziendali e dietro i soli vincoli di orario massimo desunti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.
Ovvero, il telelavoro, il padre dello smart working, è andato in soffitta, e si apre una nuova era. Almeno dal punto di vista delle tutele, perché - come riportano i dati dell'Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano - quasi il 50% delle grandi aziende sta già sperimentando questo tipo di prestazione.
Lo Smart Working intende cambiare il vecchio modello del lavoro, spostando il lavoratore da una postazione fissa raggiunta dopo aver timbrato il cartellino ad una tipologia di lavoro più flessibile, più adatta al nuovo modo di intendere il lavoro. E non si tratta soltanto di voler conciliare i tempi di vita e lavoro, e aiutare mamma e papà nella gestione della casa e dei figli, lo Smart Working è qualcosa di più. Lo Smart Working gira intorno al concetto di produttività: lasciando il dipendente libero di organizzarsi spazi, tempi e luoghi di lavoro si rende più responsabile del proprio operato e si possono fissare degli obiettivi di produttività da raggiungere in totale autonomia.
Multinazionali e imprese stanno già sperimentando o discutendo da tempo di Smart Working, o per dirla all’italiana di “lavoro agile”, ma a breve questa nuova modalità di lavoro troverà anche uno spazio tra le leggi dello Stato. Il 27 luglio scorso, infatti, la commissione Lavoro del Senato ha dato il via libera al disegno di legge sul lavoro autonomo che dovrà ora passare all’esame dell’aula, quasi sicuramente dopo la pausa estiva.
I principi cardine del lavoro agile sono semplici: vengono meno i vincoli legati a luogo e orario lavorativo; il dipendente organizza il lavoro in piena autonomia e flessibilità; acquista maggior importanza la responsabilità personale dei risultati ottenuti.
L'obiettivo, quindi, è quello di costruire anche per i lavoratori autonomi un sistema di diritti e di welfare moderno capace di sostenere il loro presente e di tutelare il loro futuro.
Il provvedimento si compone di 22 articoli suddivisi in tre capi:
il capo I concerne il lavoro autonomo e si compone degli articoli da 1 a 12,
il capo II reca disposizioni in materia di lavoro agile e si compone degli articoli da 13 a 20,
il capo III reca le disposizioni finali.
Per quanto riguarda le misure previste per favorire l’articolazione flessibile della prestazione di lavoro subordinato in relazione al tempo e al luogo di svolgimento (cosiddetto «lavoro agile»), il presente disegno di legge risponde alla necessità di dar vita a una modalità flessibile di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, allo scopo di incrementarne la produttività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e di accompagnare il profondo cambiamento culturale nella concezione del lavoro. Il disegno di legge configura il lavoro agile come strumento e non come tipologia contrattuale, con lo scopo di renderlo utilizzabile da tutti i lavoratori che svolgano mansioni compatibili con questa possibilità, anche in maniera «orizzontale»: alcuni pomeriggi a settimana, tre ore al giorno, tutte le mattine, a seconda dell’accordo raggiunto tra datore di lavoro e lavoratore.
La legge sullo Smart Working prevede che datore di lavoro e dipendente sottoscrivano un accordo individuale, sia a tempo determinato che indeterminato, per disciplinare la nuova tipologia di lavoro.Questo accordo deve definire:
le forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro;
gli strumenti tecnologici utilizzati dal lavoratore;
i tempi di riposo;
l’esercizio del potere di controllo del datore, nei limiti della disciplina dei controlli a distanza;
le condotte legate al lavoro esterno all’ufficio che danno luogo a sanzioni disciplinari.
Il pilastro portante dello Smart Working deve essere un rapporto di fiducia tra il datore di lavoro e il dipendente che, sentendosi più libero di organizzare luoghi e tempi di lavoro, può garantire maggior produttività all’azienda. In questo modo a guadagnarci sono tutti: i dipendenti guadagnano tempo, flessibilità ed energie per esempio sprecate per andare e tornare dal luogo di lavoro; il datore di lavoro ci guadagna in termini di spese per la gestione dell’ufficio che perde di centralità, e in produttività dei dipendenti.
Per quanto riguarda i diritti del dipendente, restano validi tutti i diritti “tradizionali” come la tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Il testo italiano, nel recente passaggio in commissione Lavoro, ha accolto il “diritto alla disconnessione” introdotto nella disciplina francese: si prevede che con un accordo aziendale tra dipendente e datore si stabiliscano le regole per lasciare tempi liberi dalla connessione con l'ufficio.
La legge sullo Smart Working, inoltre, prevede che lo stipendio del dipendente che lavora all’esterno dell’ufficio non possa essere inferiore a quello dei dipendenti che svolgono la stessa mansione all’interno dell’azienda.
Il provvedimento da un lato prevede misure di sostegno a favore del lavoro autonomo, dall’altro introduce delle regole per lo smart working, o lavoro agile, cioè le prestazioni lavorative di tipo subordinato che, anche grazie alle nuove tecnologie, possono essere svolte senza la necessità di una sede predefinita e stabile.
Per quanto riguarda il lavoro autonomo, il Ddl amplia le tutele dei professionisti sul fronte dei pagamenti, del welfare e individua anche nuovi ambiti di azione, quali l’attività sussidiaria rispetto a quanto svolto finora dalla pubblica amministrazione. Altre novità prevedono l’ampliamento del raggio d’azione delle Casse di previdenza dei professionisti, che potranno erogare prestazioni di welfare a fronte di periodi di difficoltà degli iscritti, e la semplificazione della normativa sulla sicurezza degli studi professionali.
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sabato 6 agosto 2016
Come calcolare la cassa integrazione in busta paga
La cassa integrazione può avere varie forme: può essere ordinaria, straordinaria ed in deroga. In ogni caso, in qualità di lavoratori, dovrete anche voi provvedere a fornire tutta la documentazione necessaria per ricevere la cassa integrazione e fare un calcolo di quanto andrete a percepire in ogni busta paga mensile. In questa guida, con pochi e semplici passaggi, vi illustrerò come calcolare la cassa integrazione. Vediamo quindi come procedere.
Modulo SR105
Richiesta del datore di lavoro all'Inps
Per prima cosa, bisogna compilare prima di tutto il modulo SR 105 e provvedere a consegnarlo al datore di lavoro, non appena quest'ultimo avrà inoltrato la richiesta all'Inps. Il datore di lavoro medesimo, è obbligato a custodirlo e comunicare all'Inps l'avvenuta sottoscrizione al più presto.
Tenete comunque presente che la CIG, ossia la Cassa Integrazione Guadagni, viene evidenziata nella busta paga che riceverete mensilmente e quindi potrete visionarla tranquillamente ed effettuare tutti i controlli.
Per calcolare la cassa integrazione, dovete tenere conto di due parametri fondamentali: il primo è quello dato dalle retribuzioni mensili lorde fino a 2075,21 euro, per le quali l'indennità mensile, al netto dei contributi, è pari a 903,20 euro; il secondo invece riguarda le retribuzioni lorde mensili che superano 2075,21 euro ed in tal caso, l'indennità mensile, al netto di contributi, risulterà pari a 1085,57 euro.
La C.I.G Cassa Integrazione guadagni presuppone la permanenza del rapporto del dipendente con
l’azienda in vista della ripresa produttiva. Lo scopo è integrare la retribuzione dei lavoratori in caso di riduzioni o sospensioni dell’attività dell’impresa.
1. Trattamento economico Cassa integrazione: precisazioni
Il lavoratore collocato in C.I.G ha diritto ad un trattamento economico a carico dell’ INPS proporzionato alla retribuzione, il cui ammontare è stabilito con riferimento alle ore integrabili.
L’integrazione salariale può essere disposta per un periodo massimo di 3 mesi continuativi (13 settimane) prorogabile trimestralmente fino al massimo complessivo di 52 settimane; se l'azienda però, ha già usufruito di 52 settimane consecutive di cassa, una nuova domanda può essere proposta per la stessa unità produttiva, solo quando sia trascorso un periodo di almeno 52 settimane di normale attività.
Sempre per la stessa unità produttiva il trattamento non può superare 24 mesi in un quinquennio. Per le imprese industriali e artigiane dell'edilizia e affini, e per le imprese industriali e artigiane che svolgono attività di escavazione e di lavorazione di materiali lapidei, la somma del trattamento non può superare 30 mesi in un quinquennio.
Ore integrabili:
come già specificato, sono integrate dalla cassa le ore di lavoro perse quindi non lavorate,nei limiti dell’orario contrattuale comprese tra le 0 e le 40 settimanali.
Malattia:
In caso di riduzione di orario di lavoro, il trattamento di malattia prevale sull’integrazione salariale.
Pertanto l’evento viene gestito integralmente come malattia.
Nel caso invece di sospensione dell’attività lavorativa (C.I.G a 0 ore) l’INPS ha precisato che se lo stato di malattia insorge:
1. Durante la sospensione da lavoro, il lavoratore continua ad usufruire delle integrazioni salariali ordinarie;
2. Prima dell’inizio della sospensione dell’attività, si avranno 2 casi:
Se la totalità del personale cui il lavoratore appartiene, ha sospeso l’attività, anche il lavoratore in malattia entrerà in C.I.G. dalla data dell’inizio della stessa;
Qualora, invece, non venga sospesa dal lavoro la totalità del personale, il lavoratore in malattia continuerà a beneficiare dell’ indennità di malattia.
Maternità:
I lavoratori che fruiscono dell’ astensione obbligatoria e dei riposi giornalieri per allattamento hanno diritto all'indennità di maternità e non all'integrazione salariale. Per quanto riguarda l’astensione facoltativa le lavoratrici beneficiano della normale integrazione salariale.
Misura della cassa integrazione:
L’integrazione salariale spettante ai lavoratori è pari all’80% della retribuzione che essi avrebbero percepito in caso di normale attività (retribuzione di riferimento), ma in ogni caso non oltre le 40 ore settimanali. La somma così determinata deve essere ridotta in misura pari all’aliquota contributiva a carico degli apprendisti (5,84%), quindi più bassa rispetto all'aliquota standard applicata ai dipendenti.
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