lunedì 19 settembre 2016

Controllo a distanza dei lavoratori dipendenti: non si possono monitorare email e navigazione web



I datori di lavoro possono trattare i dati personali dei lavoratori dipendenti solo se strettamente indispensabili all'esecuzione del rapporto di lavoro, così come il trattamento degli stessi può avvenire solo a cura del personale incaricato assicurando idonee misure di sicurezza per proteggerli da intrusioni o divulgazioni illecite: queste alcune delle indicazioni fornite dal Garante per la privacy nel vademecum che traccia le linee guida in materia di trattamento dei dati dei lavoratori.

L’utilizzo di software che controllino in modo continuo l’attività online dei dipendenti (tramite posta elettronica, navigazione web etc.) sono una violazione dei diritti dei lavoratori: il Garante Privacy pone precisi limiti alle novità del Jobs Act in base alle quali pc, email e smartphone sono strumenti informatici che l’impresa può utilizzare senza procedure sindacali. Il provvedimento dell’Autorità n.303 del 13 luglio 2016 rappresenta di fatto la prima interpretazione autorevole delle modifiche all’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori previste dall’articolo 23 del dlgs 151/2015, attuativo del Jobs Act.

Il provvedimento del Garante fornisce dettagli sulle tipologie di software che non rientrano tra le misure di controllo lecite. Al bando, dunque, i sistemi che consentono: «operazioni di controllo, filtraggio, monitoraggio e tracciatura delle connessioni e dei collegamenti ai siti Internet esterni, peraltro registrati in modo sistematico e conservati per un ampio arco temporale», perché «idoneo a consentire un controllo dell’attività e dell’utilizzo dei servizi della rete individualmente effettuato da soggetti identificabili». Il Garante ha stabilito che MAC Address e indirizzi IP sono da considerarsi dati personali.

Si tratta infatti di elementi che consentono l’identificazione univoca del pc e delle attività di chi lo usa. L’indirizzo IP consente di identificare una connessione, il MAC Address è costituito da una sequenza numerica (48 cifre binarie) «associata in modo univoco dal produttore a ogni scheda di rete ethernet o wireless prodotta al mondo e rappresenta l’indirizzo fisico identificativo di quel particolare dispositivo di rete da cui è possibile desumere l’identità del produttore, la tipologia di dispositivo e, in taluni casi, anche risalire all’acquirente o utilizzatore dell’apparato: è infatti sostanzialmente immodificabile e, date le caratteristiche (in particolare, la sua univocità su scala globale), consente di risalire, anche indirettamente, alla postazione corrispondente e di conseguenza all’utente che su di essa sta operando».

Possono invece essere considerati strumenti di lavoro (leciti), a titolo esemplificativo:

il servizio di posta elettronica offerto ai dipendenti (mediante attribuzione di un account personale);

altri servizi della rete aziendale, fra cui anche il collegamento a siti internet;

sistemi e misure che consentono il fisiologico e sicuro funzionamento della rete aziendale messa a disposizione del lavoratore (ad esempio: sistemi di logging per il corretto esercizio del servizio di posta elettronica, con conservazione dei soli dati esteriori, contenuti nella cosiddetta “envelope” del messaggio, per una breve durata non superiore comunque ai sette giorni; sistemi di filtraggio anti-virus che rilevano anomalie di sicurezza nelle postazioni di lavoro o sui server per l’erogazione dei servizi di rete; sistemi di inibizione automatica della consultazione di contenuti in rete inconferenti rispetto alle competenze istituzionali, senza registrazione dei tentativi di accesso);

altri strumenti utili al conseguimento di una elevata sicurezza della rete aziendale: sistemi di protezione perimetrale, firewall, in funzione antintrusione e sistemi di prevenzione e rilevamento di intrusioni, IPS/IDS, agenti su base statistica o con il ricorso a sorgenti informative esterne.

In ultima analisi, non possono essere considerati strumenti di lavoro ma di controllo a distanza del dipendente, la registrazione sistematica dei dati relativi al MAC Address e i dati relativi alla connessione ai servizi di rete. Pertanto, è illecito il trattamento dei dati così raccolti.

L’Autorità fa presente che, anche in caso di utilizzi di videosorveglianza ”mobile” da parte di organi di pubblica sicurezza o di altri soggetti pubblici, bisogna rendere una idonea informativa ai dipendenti ma anche alla cittadinanza.

Il Garante ricorda che il datore di lavoro deve sempre e comunque salvaguardare la libertà e la dignità dei lavoratori: oltre a fornire una informativa completa ai dipendenti in ordine alle consentite modalità di utilizzo degli strumenti aziendali e l’indicazione puntuale delle tipologie di eventuali controlli che possono essere effettuati anche su base individuale. Va tenuto presente anche che, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, gli account riconducibili all’ex dipendente devono essere disattivati: non è consentita l’adozione di sistemi informatici di reindirizzamento della posta a terze persone.

Nel corso del 2015 il Garante è stato più volte chiamato a pronunciarsi riguardo alla pubblicazione online, sui siti istituzionali degli enti pubblici, di dati, atti o provvedimenti contenenti dei dati personali riferiti ai lavoratori. Elemento discriminante tra gli interessi opposti delle parti risulta essere, al riguardo, l’osservanza del principio di pertinenza e non eccedenza dei dati pubblicati rispetto al rispetto degli obblighi dettati in materia dal legislatore.

Particolare attenzione va riservata al trattamento dei dati relativi a soggetti disabili e alla pubblicazione dei dati relativi ai compensi percepiti dai soggetti che ricoprono incarichi di consulenza o collaborazione con gli enti pubblici: per questi ultimi è prevista la pubblicazione obbligatoria dei dati riguardanti i compensi ma non quelli relativi ai dati reddituali. Tale ultima ipotesi è ammessa esclusivamente nel caso di soggetti che ricoprono incarichi politici.


Naspi: da gennaio 2017 il sussidio di disoccupazione sostituirà l'indennità di mobilità


Novità per i disoccupati. Sparisce la mobilità a favore della Naspi. Ecco cosa cambia. Dal 2017 uno degli strumenti più utilizzati e maggiormente noti per la gestione delle crisi aziendali andrà scomparirà. Infatti, dei lavoratori che involontariamente perderanno il lavoro a partire dal 31 dicembre 2016 non avranno più diritto all'indennità di mobilità attualmente riconosciuta ai lavoratori di aziende con più di 15 dipendenti, ma potranno solo fare richiesta della Naspi, la Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego, in vigore dal 1° maggio 2015 ed erogata dall'Inps.

Con il decreto sul riordino degli ammortizzatori sociali, inoltre, chi ha diritto alla Naspi, così come gli altri assegni di disoccupazione ,deve rendersi anche disponibile a sottoscrivere un patto di servizio per essere inserito nelle PAL ossia le politiche attive per il lavoro che prevedono ore di orientamento, corsi di formazione e consulenza per riuscire ad inserirsi nuovamente e quanto prima nel mondo del lavoro.

La scomparsa della mobilità, stabilita dalla legge 92/12, segnerà la fine di un’epoca e comporterà effetti sia per una consistente platea di lavoratori, sia per la generalità dei datori di lavoro.

I primi perderanno una forma di sostegno che li ha tutelati per 25 anni; i secondi dovranno fare i conti con due conseguenze: le imprese che gravitano in orbita mobilità non potranno più contare su una leva utile a governare le eccedenze di personale nei momenti di difficoltà; tutti i datori di lavoro - quindi anche coloro cui non si applica la disciplina della legge 223/91 - perderanno, inoltre, misure incentivanti molto diffuse.

Per chi è già in mobilità alla data del 31 dicembre 2016, non ci saranno cambiamenti e continuerà a percepire l’indennità prevista fino alla fine del periodo di assistenza.

Diverso è l’arco temporale di spettanza: 12 mesi per le assunzioni a tempo determinato, a cui si aggiungono altrettanti in caso di trasformazione a tempo indeterminato; 18 mesi nelle ipotesi di assunzione con un contratto a tempo indeterminato. L’agevolazione compete anche per le assunzioni part-time.

Il passaggio da una forma di indennità collettiva come la mobilità ad un trattamento di tipo individuale come la Naspi comporterà in molti casi, una penalizzazione per il disoccupato che, se inizialmente potrebbe ricevere un assegno più alto di quello previsto dal trattamento di mobilità, vedrà lo stesso ridursi col tempo.

Ad esempio, la mobilità prevede il versamento di un’indennità per un periodo che può arrivare fino a 48 mesi (dipende dall’area geografica di residenza e dall’età del beneficiario) e con massimali che sono di 960 euro lordi per gli stipendi fino a 2000 euro e di 1150 euro lordi per le retribuzioni superiori a 2000 euro.

Nel caso della Naspi, invece, il tetto massimo dell’assegno è fissato a 1300 euro, ma la durata del sussidio può essere al massimo pari alla metà delle settimane di contributi versati nei quattro anni precedenti. Questo significa che i disoccupati a partire dal 1° gennaio 2017 riceveranno un sussidio di disoccupazione al massimo per una durata di 24 mesi. L’assegno percepito, inoltre, a partire dal quarto mese, subirà una riduzione del 3 per cento al mese annullando rapidamente il vantaggio dell’assegno di partenza più alto.

Per presentare la domanda Naspi i lavoratori devono:

compilare e inviare il modulo domanda direttamente online, se dispongono del PIN dispositivo INPS, al seguente percorso: Home > Servizi Online > Elenco di tutti i Servizi  > Servizi per il cittadino> Invio domande prestazioni a sostegno del reddito (Sportello virtuale per i servizi di informazione e richiesta di prestazione) > NASpI;

far compilare e inviare il modello di domanda a Patronati o Intermediari autorizzati ad inviare le richieste INPS per via telematica.

L’assegno di disoccupazione: Naspi, verrà gestito dalla nuova agenzia unica per il lavoro, in stretta collaborazioni con i Centri per l’Impiego e dell’Inps sul territorio.






domenica 18 settembre 2016

Brexit e lavoro: effetti su mobilità e tutele dei lavoratori



Con il termine Brexit si indica l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea, così come sancito dal referendum che si è svolto lo scorso 23 Giugno 2016.

Non solo la riduzione della mobilità dei lavoratori. Ma anche effetti sugli obblighi di mantenimento dei livelli minimi di tutela ormai diffusi nel mercato europeo e a cui si devono uniformare anche stati non europei. E ancora possibili ripercussioni sulla parità di trattamento retributivo e sociale, sul sistema di protezione sociale del lavoro somministrato e più in generale su tutti i livelli di tutela che di regola tendono ad evitare al dumping sociale.

Secondo la Fondazione Studi dei consulenti del lavoro dopo l'uscita della 'Ue effetti a cascata ci saranno anche su materie di assoluta importanza quali la sicurezza sul lavoro e la protezione della privacy.

Come spiega l'analisi dei consulenti del lavoro, nel 2013 il flusso di cittadini italiani che è andato a lavorare nel Regno Unito è cresciuto del 66% passando da 26 mila a 44 mila unità. Il flusso di emigranti italiano è continuato a crescere nel 2014 (+16) e nel 2015 (+15%) raggiungendo il livello di 58.653 nel 2015.

L’analisi per classi di età al momento della registrazione di ingresso, ci permette di capire meglio, sottolineano i professionisti, la natura dell’incremento dell’emigrazione italiana nel Regno Unito. Se nel primo decennio del secolo emigravano italiani adulti con un’età compresa fra i 25 e i 34 anni, dal 2012 si registra il sorpasso della classe di età più giovane, fino a 24 anni, che anticipa i tempi di migrazioni rispetto alla generazione precedente. Molto significativo anche l’incremento nell'ultimo periodo degli over 35 che migrano per ricostruirsi un futuro dopo avere tentato nel paese di origine.

E i consulenti del lavoro sottolineano come "la decisione referendaria inglese di uscire dal sistema Europa si manifesta in una epoca storico-­ economica di particolare delicatezza. Essa si innesta nel precario intreccio di riflessioni separatiste e di coesione economico-sociale cui corrisponde l’inevitabile e dissolvente risposta agli interrogativi circa l’utilità di un sistema ormai basato sul rapporto tra debito e prodotto interno lordo piuttosto che sul benessere e prosperità economica. In tale quadro, come nelle varie cornici delle carte costituzionali dei Paesi membri, assume la consueta rilevanza il dato relativo al lavoro e all'occupazione".

E, secondo l'analisi dei professionisti, "appare utile delineare il quadro della rappresentanza inglese presso le istituzioni comunitarie, il suo peso politico ed economico e le procedure legali di 'divorzio consensuale'. Il Regno Unito vanta 70 eurodeputati e circa 50 consiglieri presso il Comitato Economico Sociale Europeo senza contare il sottobosco di dirigenti, funzionari e impiegati. In ordine a queste posizioni è legittimo chiedersi quale sarà il destino di tale rappresentanza, che non dimentichiamoci ha pesato e tuttora pesa nelle decisioni comunitarie".

E l'analisi dei consulenti del lavoro ricorda che "il sistema di uscita dalla Comunità Europea è delineato dall’art 50 dei trattati. Dalla semplice lettura delle disposizioni appare evidente che la Gran Bretagna, una volta presentato atto di notifica formale per l’uscita dalla Ue, dovrà avviare un negoziato per la stipula di un accordo volto a definire le modalità del recesso".

"Pur tuttavia, ai sensi del comma 4, lo dovrà fare in posizione di estrema debolezza -ricordano i consulenti del lavoro- in quanto impossibilitata a partecipare alle decisioni e deliberazioni che la riguardano. Si spiega pertanto la reticente volontà del governo inglese a voler dilatare tale periodo transitorio, ben consapevole che ai sensi del comma 5 non sarà sufficiente un nuovo referendum o petizione per rientrare nel sistema europeo ma occorrerà una nuova procedura formale alla stregua di qualsiasi altro Paese 'extracomunitario'".

Ed è proprio quest’ultima parola, sottolineano i consulenti del lavoro, "a scuotere gli animi delle aziende, dei lavoratori e degli operatori del diritto obbligati a confrontarsi con una figura 'extracomunitaria' mai ritagliata su di un Paese come la Gran Bretagna. I segnali invero erano già stati lanciati tempo addietro -spiegano ancora i professionisti- e non solo in riferimento al rifiuto di adottare la moneta europea ma soprattutto agli ultimi trattati economici perseguiti dal governo inglese con le modalità preponderanti del 'prendere o lasciare'".

Secondo i professionisti "tale insolenza aveva già solleticato inimicizie tra stati membri, già intenti a dissimulare sobbalzi interni in materia di immigrazione. Il ragionevole dubbio della cattiva informazione popolare circa gli effetti nefasti in caso di uscita si palesa in maniera evidente passando in rassegna le conseguenze giuridiche in materia di protezione del mercato del lavoro".

"In altre parole, gran parte della normativa in tema di lavoro degli Stati Membri, deriva direttamente e indirettamente da normative comunitarie e pertanto -rimarcano i consulenti del lavoro- sarà inevitabile un abbassamento delle tutele ad esempio in materia di flessibilità, part-­‐time, contratti a termine, 8 trasferimenti di azienda e orario di lavoro laddove il governo inglese non saprà preservare i sistemi giuridici ormai promulgati".

La questione, ricorda ancora l'analisi dei professionisti, "non si risolve in una lettura riduttiva circa la scarsa mobilità dei lavoratori. Anche i lavoratori autonomi subiranno effetti tragici circa l’inapplicabilità di tutti i sistemi di scambio e reciproco riconoscimento quali il passaporto delle qualifiche, la direttiva servizi, le regolamentazioni comuni per le libere professioni improntate al principio della proporzionalità delle normative professionali in relazione agli obiettivi di interesse generale".

E ancora "in tema di aggregazioni di imprese e di liberi professionisti, sarà interessante analizzare la sorte e la tenuta giuridica dei Gruppi europei di interesse economico, in acronimo GEIE, figura giuridica di matrice prettamente europea con lo scopo di unire le conoscenze e le risorse di attori economici di almeno due paesi appartenenti all'Unione".

"La sfida ora -aggiungono i consulenti- è evitare l’effetto domino, ricostruire una comunità europea che non sia impegnata esclusivamente a pigiare il tasto dell’austerità ma rinnovi l’impegno a creare un vero mercato interno dove magari la potenza tedesca dovrà rinunciare a qualche privilegio ormai acquisito dalla lista degli optionals".

Sia d’esempio la vicenda 'Brexit': "mai sottovalutare effetti a strascico in nome della cattiva informazione o di uno spirito antieuropeista che guarda alla libertà come baluardo per l’isolamento economico sociale. L’impegno riguarda tutti affinché la stessa vicenda 'brexit' non si trasformi in un rifiuto verso il sistema europeo che corrisponda ad un sentimento diffuso di 'bruxit', ovvero l’avversione incondizionata verso il sistema che da Bruxelles fonda l’Unione Europea".

Passando in rassegna le conseguenze giuridiche in materia di protezione del mercato del lavoro, evidenziano che «la gran parte della normativa in tema di lavoro degli Stati Membri, deriva direttamente e indirettamente da normative comunitarie e pertanto sarà inevitabile un abbassamento delle tutele ad esempio in materia di flessibilità, part-time, contratti a termine, trasferimenti di azienda e orario di lavoro laddove il governo inglese non saprà preservare i sistemi giuridici ormai promulgati».

Le conseguenze giuridiche in materia di protezione del mercato del lavoro. Non solo, quindi, riduzione della mobilità dei lavoratori ed inapplicabilità delle disposizioni UE su distacco e protezione sociale, ma, più in generale, la questione tocca anche gli effetti sugli obblighi di mantenimento dei livelli minimi di tutela ormai diffusi nel mercato europeo e a cui si devono uniformare anche stati non europei.

Inoltre, ripercussioni potranno verificarsi sulla parità di trattamento retributivo e sociale, sul sistema di protezione sociale del lavoro somministrato e su tutti i livelli di tutela che di regola tendono ad evitare il dumping sociale, come anche sulla sicurezza sul lavoro e sulla protezione della privacy.

Ingresso e accesso al lavoro dei cittadini extracomunitari e comunitari. Concludono l’analisi due tabelle recanti la disciplina dell’ingresso e dell’accesso al lavoro dei cittadini extracomunitari e comunitari.

Sono questi i possibili effetti della Brexit secondo un'analisi realizzata da Fondazione Studi e diffusa da Labitalia.



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