lunedì 23 luglio 2012

Lavoro: il trasferimento in azienda deve essere motivato

Il trasferimento che comporta dequalificazione professionale. Non è sanzionabile con il licenziamento per giusta causa il rifiuto del lavoratore di eseguire la prestazione lavorativa dovuta a causa della ritenuta dequalificazione. A precisarlo è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 4709 del 23 marzo del 2012.

E’ bene ricordare che  l’art. 2103 c.c. dispone che il trasferimento possa essere attuato solo in presenza di "comprovate ragioni tecniche organizzative o produttive".
Quindi lavoratore dipendente può essere trasferito solo a condizione che il datore di lavoro possa dimostrare:

l'inutilità di tale dipendente nella sede di provenienza;

la necessità della presenza di quel dipendente, con la sua particolare professionalità, nella sede di
destinazione;

la serietà delle ragioni che hanno fatto cadere la scelta proprio su quel dipendente e non su altri colleghi che svolgano analoghe mansioni.

Queste ragioni debbono essere portate a conoscenza del dipendente per iscritto, prima del trasferimento. Se la lettera non contiene l'indicazione delle ragioni è però necessario che il dipendente le richieda espressamente.

In mancanza delle condizioni sopra esposte, il trasferimento è illegittimo e può essere annullato dal pretore del lavoro, a cui l’interessato deve rivolgersi se ritiene che il provvedimento sia illegittimo.
Il trasferimento presuppone che, nonostante la modifica del luogo di esecuzione della prestazione lavorativa, resti invariato il datore di lavoro.

Resta chiaro dopo la sentenza n. 4709 che, il lavoratore può rifiutare di prestare la propria prestazione di lavoro se il provvedimento di trasferimento non è adeguatamente motivato.

La vicenda vede coinvolto un impiegato addetto all'ufficio commerciale che era stato trasferito ad altro stabilimento con la nuova qualifica di responsabile del magazzino materie prime. Il dipendente aveva aderito al trasferimento ma dopo un breve periodo di lavoro presso la nuova sede, si era messo a disposizione dell'azienda presso la propria abitazione.

L’azienda aveva contestato l’assenza ingiustificata e gli aveva quindi comunicato il licenziamento per giusta causa. Ad avviso del ricorrente il trasferimento ed il conseguente licenziamento erano da ritenersi illegittimi, considerato che il rifiuto di svolgere mansioni dequalificanti era del tutto giustificato, anche in considerazione della palese inconsistenza delle dedotte esigenze di riorganizzazione della gestione del magazzino.

Nei fatti, tuttavia, il dipendente aveva aderito al trasferimento ma dopo un breve periodo di lavoro presso la nuova sede, si era messo a disposizione dell'azienda presso la propria abitazione.

Ad avviso del ricorrente il trasferimento ed il conseguente licenziamento erano da ritenersi illegittimi, considerato che il rifiuto di svolgere mansioni dequalificanti era del tutto giustificato, anche in considerazione della palese inconsistenza delle dedotte esigenze di riorganizzazione della gestione del magazzino.

La sentenza ha ricordato la pronuncia n. 43 del 2007 sul trasferimento di dipendente divenuto invalido che non poteva più essere adibito alla sede originaria. La Cassazione aveva precisato che nella valutazione comparativa dei presunti inadempimenti reciproci, non si può prescindere dalla doverosa considerazione per cui il lavoratore non può rendersi totalmente inadempiente sospendendo ogni attività lavorativa, se il datore di lavoro assolve a tutti gli altri propri obblighi (pagamento della retribuzione, copertura previdenziale e assicurativa, assicurazione del posto di lavoro).

La Corte, nel fare riferimento all'art. 2103 del codice civile, sottolinea come il datore di lavoro abbia l'onere di provare in giudizio le ragioni fondate che hanno determinato il trasferimento, dimostrando le reali ragioni che giustificano il provvedimento. In assenza di ciò, il licenziamento viene annullato.

domenica 22 luglio 2012

Lavoro: il posto fisso resta un miraggio

Meno di due assunzioni su dieci sono a tempo indeterminato. In Italia la crisi si vede anche da questo: i contratti senza la data di scadenza diventano sempre più rari. A dirlo è un'indagine di Unioncamere e ministero del Lavoro sul terzo trimestre di quest'anno. E nel periodo luglio-settembre le assunzioni stabili previste sono appena il 19,8% su un totale di quasi 159 mila. Nello stesso periodo dello scorso anno la percentuale di assunzioni previste era tra il 27 e il 34%.

Nello specifico, si avranno 42 contratti atipici ogni 100 contratti di assunzione diretti (25,8 nel 2° trimestre) e 25 contratti di lavoro «non dipendente» ogni 100 contratti di lavoro dipendente (diretti o interinali), quasi il doppio rispetto ai 13 del trimestre precedente.

Le stime del terzo trimestre confermano in qualche misura il dato dei tre mesi precedenti, mentre nei quattro trimestri precedenti la quota era compresa fra il 27% e il 34%. Il calo dei posti fissi messi a disposizione dalle imprese è stato forte e più brusco. Basti pensare che nello stesso periodo dello scorso anno le assunzioni previste a tempo indeterminato rappresentavano il 28,3%. Il trend in discesa viene confermato anche tenendo conto della stagionalità. Nel bollettino sui programmi occupazionali delle imprese viene evidenziato che, escludendo le assunzioni stagionali, i contratti stabili si attestano al 35,8%, mentre nei precedenti cinque trimestri la loro quota oscillava fra il 41% e il 43% circa. Inoltre, sottolinea l'indagine, se si rapportano "i contratti a tempo indeterminato a tutti i contratti di lavoro o di collaborazione che le imprese prevedono di stipulare nel periodo (inclusi quindi quelli 'atipici'), si scende dal 16 al 14% circa".

Un terzo dei nuovi assunti per il terzo trimestre dell'anno saranno giovani: queste le previsioni di Unioncamere, in particolare contenute nel sistema informativo Excelsior in collaborazione con il Ministero del Lavoro. «Per il terzo trimestre - si legge in uno studio - le imprese assegnano ai giovani fino a 29 anni, tra il personale da assumere, una quota del 32,7% del totale, un punto percentuale in più rispetto al trimestre scorso. Questo incremento, in termini relativi, delle opportunità per i giovani si avrà però solo nel settore dei servizi, dove nel corso del trimestre il ricambio, sia pure parziale, della popolazione lavorativa, si accompagnerà anche a un maggiore 'ringiovanimentò dei lavoratori in ingresso

Secondo l’elaborazione sui dati della relazione annuale di Bankitalia. Dall'inizio del nuovo millennio la busta paga dei dipendenti è praticamente ferma. Dal 2000 al 2010 le retribuzioni medie reali nette sono aumentate solo di 29 euro, passando da 1.410 a 1.439 euro (+2%). Palazzo Koch ha spiegato che, proprio a causa dell'espansione del lavoro a tempo parziale, le retribuzioni nette medie per il totale dei lavoratori dipendenti sono diminuite dello 0,2%, riflettendo esclusivamente il calo del mezzogiorno.

sabato 14 luglio 2012

Lavoro in tempo di crisi economica boom della cassa integrazione


Più di mezzo miliardo di ore di cassa integrazione negli ultimi sei mesi del 2012. La richiesta di cassa integrazione supera il mezzo miliardo di ore, in deciso aumento sullo stesso periodo dello scorso anno, collocando in cassa a zero ore oltre 500 mila lavoratori con un taglio del reddito per oltre 2 miliardi di euro, quasi 4.000 euro per ogni singolo lavoratore. E' quanto emerge dalle elaborazioni delle rilevazioni Inps. Questa la fotografia della crisi di imprese e occupazione in Italia scattata nel rapporto di giugno dell'Osservatorio Cig della Cgil Nazionale, in cui sono stati elaborati i dati rilevati dall'Inps.

Da inizio anno a giugno il totale di ore di cassa integrazione è stato pari a 523.761.036, con un incremento sui primi sei mesi del 2011 pari a +3,16%, e con un impennata della cassa integrazione ordinaria (+41%) ''segnale inequivocabile di come il sistema produttivo non si attenda a breve una ripresa produttiva'', come osserva il segretario confederale della Cgil, Elena Lattuada. Nel fare un bilancio di questo primo semestre dell'anno, la dirigente sindacale osserva: ''C'è un inquietante assestamento della crisi su livelli estremamente negativi, peggiori di quelli dello scorso anno, con un trend nella richiesta di ore che mira al miliardo anche per il 2012''. Inoltre, ''ciò che desta estrema preoccupazione è l'impennata nella richiesta di ore di cassa integrazione ordinaria: segno evidente di come il sistema produttivo non si attenda nei prossimi mesi una ripresa produttiva''. Per questi motivi ''non è più eludibile l'adozione di una strategia di politica industriale: serve un deciso cambio di rotta, in netto contrasto con le politiche rigoriste e recessive fin qui adottate''.

Quanto alle causali prosegue a giugno la riduzione del numero di aziende che fanno ricorso ai decreti di cigs. Da gennaio sono state 2.886 per un -24,57% sullo stesso periodo del 2011 e riguardano 5.075 unita' aziendali (-11,18%). Diminuisce il ricorso per crisi aziendale (1.595 decreti per un -32,21%) ma rappresenta il 55,27% del totale dei decreti, cosi' come frena il ricorso al fallimento (165 domande per un -31,54%). Aumentano le domande di ristrutturazione aziendale (135 per un +14,53%), pari al 4,64% del totale, mentre le domande di riorganizzazione aziendale sono 146, ovvero il 5,06% del totale. Insomma, sottolinea il rapporto, ''i percorsi di reinvestimento e di rinnovamento strutturale migliorano leggermente ma continuano ad essere una percentuale bassa'', solo il 9,70% del totale dei decreti.

A livello locale è la Lombardia la regione che registra il ricorso più alto alla cassa integrazione. L'analisi della Cgil segnala infatti che sono 120.625.807 le ore registrate da inizio anno, che corrispondono a 115.986 lavoratori (prendendo in considerazione le posizioni di lavoro a zero ore). Segue il Piemonte con 67.100.884 ore di cig autorizzate per 64.520 lavoratori. Terza, e ovviamente prima per le regioni del centro, c'è il Lazio con 45.736.701 ore che coinvolgono 43.978 lavoratori. Infine per il Mezzogiorno è la Campania la regione dove si segna il maggiore ricorso alla cig con 30.203.130 ore per 29.041 lavoratori.

Quanto ai settori la meccanica si conferma il settore in cui si riscontra ancora una volta il ricorso più alto a questo strumento. Secondo il rapporto della Cgil, infatti, sul totale da inizio anno, la meccanica pesa per 165.407.469 ore, coinvolgendo 159.046 lavoratori (prendendo come riferimento le posizioni di lavoro a zero ore). Segue il settore del commercio con 76.471.086 ore per 73.530 lavoratori coinvolti e l'edilizia con 56.914.826 ore e 54.726 persone.

Considerando un ricorso medio alla cig, pari cioè al 50% del tempo lavorabile globale (13 settimane), sono coinvolti da inizio anno 1.007.233 lavoratori in cigo, cigs e in cigd. Se invece si considerano i lavoratori equivalenti a zero ore, pari a 26 settimane lavorative, si determina un'assenza completa dall'attività produttiva per 503.616 lavoratori, di cui 170 mila in cigs e 165 mila in cigd. Continua cosi' a calare il reddito per migliaia di cassintegrati: dai calcoli dell'Osservatorio cig, si rileva come i lavoratori parzialmente tutelati dalla cig abbiano perso nel loro reddito oltre 2 miliardi di euro, pari a 3.988 euro per ogni singolo lavoratore.
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