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martedì 19 maggio 2015

Datori di lavoro e privacy: nuove linee guida



I datori di lavoro possono trattare i dati personali dei lavoratori dipendenti solo se strettamente indispensabili all'esecuzione del rapporto di lavoro, così come il trattamento degli stessi può avvenire solo a cura del personale incaricato assicurando idonee misure di sicurezza per proteggerli da intrusioni o divulgazioni illecite: queste alcune delle indicazioni fornite dal Garante per la privacy nel vademecum che traccia le linee guida in materia di trattamento dei dati dei lavoratori. Il vademecum riepiloga anche le norme in materia di privacy in ambito lavorativo emanate nel tempo dall'Autorità garante.

l Garante della Privacy pubblica un nuovo vademecum con le linee guida da rispettare da parte del datore di lavoro nei confronti dei dipendenti: regole generali e casi specifici.

Ci sono disposizioni di carattere generale e altre invece relative a strumenti precisi (cartellino presenze, bacheche aziendali e via dicendo) nel Vademecum su Privacy e lavoro messo a punto dal Garante per la protezione dei dati personali. Innanzitutto, è stabilito che il datore di lavoro possa trattare informazioni personali solo se strettamente indispensabili all’esecuzione del rapporto di lavoro.

Non solo: i dati possono essere trattati solo da personale incaricato e devono essere rispettate idonee misure di sicurezza. Sul luogo di lavoro vanno assicurate la tutela di diritti, libertà fondamentali, dignità delle persone, garantendo la sfera della riservatezza nelle relazioni personali e professionali. In generale, il trattamento dei dati personali deve rispettare il principio di necessità, per cui sistemi e programmi devono essere configurati riducendo la minimo le informazioni personali e i dati identificativi. Vanno poi rispettati i principi di correttezza, per cui le caratteristiche generali del trattamento vanno rese note ai collaboratori, di pertinenza e non eccedenza (le finalità devono essere esplicite e legittime).

Da sottolineare che il trattamento dei dati sensibili è lecito se finalizzato a obblighi di legge, o derivanti dal regolamento o dal contratto. Entrando nello specifico delle regole:

cartellino identificativo: è lecito utilizzarlo, senza necessariamente riportare tutti i dati anagrafici e le generalità complete del dipendente. Possono bastare codice identificativo, nome, ruolo professionale;

comunicazioni: nel privato per comunicare informazioni sul lavoratore ad associazioni di datori di lavoro, ex dipendenti o conoscenti è necessario il consenso dell’interessato. Nel pubblico, ci vuole un’apposita norma di legge;

bacheche aziendali: si possono affiggere ordini di servizio e turni, non si possono invece inserire documenti relativi a emolumenti, sanzioni disciplinari, motivazioni assenze, adesione a sindacati;

pubblicazione dati: qualsiasi dato personale del lavoratore (foto, curriculum) non può essere pubblicato su siti o intranet aziendali senza il consenso del lavoratore. E’ sempre vietato pubblicare qualsiasi informazione da cui si possa desumere patologie, o uno stato di malattia, disabilità, invalidità. Nel pubblico, per pubblico dati personali è necessaria apposita normativa di settore;

dati sanitari: vanno sempre conservati in fascicoli separati. In caso di assenza per malattia, il certificato riporta solo la data di inizio e fine, non l’indicazione della patologia. Il datore di lavoro non può mai accedere alle cartelle sanitarie, nemmeno in caso di accertamento del medico del lavoro. In caso di denuncia di malattie professionali, il datore di lavoro deve limitarsi a comunicare all’INAIL le informazioni connesse alla patologia. Anche qui, il vademecum sottolinea l’assoluto divieto di diffondere dati idonei a rivelare lo stato di salute del lavoratore;

dati biometrici: sono previste una serie di limitazioni, su cui il Garante ha pubblicato documenti specifici. Ad esempio, le impronte digitali o altre caratteristiche possono essere utilizzate solo per l’accesso a particolari aree sensibili o a macchinari pericolosi. Non sono ammesse banche dati centralizzate, vanno preferibilmente utilizzati altri strumenti, come le smart card ad esclusivo utilizzo del dipendente;

posta elettronica: il datore di lavoro garantisce sicurezza e integrità dei dati, e informa dettagliatamente il dipendente su modalità di utilizzo degli strumenti, controlli, e via dicendo, ad esempio con un disciplinare interno;

controllo a distanza: è vietato.

Sul luogo di lavoro va assicurata la tutela dei diritti, delle libertà fondamentali e della dignità delle persone garantendo la sfera della riservatezza nelle relazioni personali e professionali. Le informazioni personali trattate possono riguardare, oltre all’attività lavorativa, la sfera personale e la vita privata dei lavoratori (ad esempio i dati sulla residenza e i recapiti telefonici) e dei terzi (ad esempio dati relativi al nucleo familiare per garantire determinate provvidenze).

I trattamenti di dati personali devono rispettare il principio di necessità, secondo cui i sistemi informativi e i programmi informatici devono essere configurati riducendo al minimo l’utilizzo di informazioni personali e identificative.
Si deve inoltre rispettare il principio di correttezza, secondo cui le caratteristiche essenziali dei trattamenti devono essere rese note ai lavoratori. I trattamenti devono essere effettuati per finalità determinate, esplicite e legittime in base ai principi di pertinenza e non eccedenza.

Nella bacheca aziendale possono essere affissi ordini di servizio, turni lavorativi o feriali. Non si possono invece affiggere documenti contenenti gli emolumenti percepiti, le sanzioni disciplinari, le motivazioni delle assenze (malattie, permessi ecc.), l’eventuale adesione a sindacati o altre associazioni.

Uso di internet/intranet e della posta elettronica aziendale. Spetta al datore di lavoro adottare idonee misure di sicurezza per assicurare la disponibilità e l’integrità dei sistemi informativi e dei dati, anche per prevenire utilizzi indebiti. I controlli per motivi organizzativi o di sicurezza sono leciti solo se sono rispettati i principi di pertinenza e non eccedenza.

I sistemi software devono essere programmati e configurati in modo da cancellare periodicamente ed automaticamente i dati personali relativi agli accessi ad internet e al traffico telematico, la cui conservazione non sia necessaria.

Va specificato con chiarezza se la navigazione in Internet o la gestione di file nella rete interna autorizzi o meno specifici comportamenti come il download di software o di file musicali o l’uso dei servizi di rete con finalità ludiche o estranee all’attività lavorativa.



giovedì 22 gennaio 2015

Lavoratori pubblici: come evitare i licenziamenti a pioggia


Innanzitutto bisogna assicurarsi di avere a portata di mano:

certificazione necessaria al fine di impugnare il licenziamento;

consulenza legale (facoltativa);

modulistica per i ricorsi.

Nel caso in cui un lavoratore dipendente ritenga di aver subito un ingiusto licenziamento deve rivolgersi ad un Avvocato del Lavoro per esercitare il diritto al ricorso e veder riconosciute le proprie ragioni.

La prima fase viene svolta davanti ad una commissione di conciliazione presso la direzione provinciale del lavoro a cui il licenziamento deve comunque essere comunicato in breve tempo dal datore di lavoro. In tale fase il lavoratore può farsi assistere da un legale, essa è di preparazione alla seconda fase, eventuale, davanti al giudice del lavoro e tende ad evitare l’ingorgo giudiziale e allo stesso tempo a fornire una tutela adeguata al lavoratore. Solo dopo aver esperito questa fase, se le parti non accettano la proposta del conciliatore, si può passare alla fase giudiziale vera e propria.

Se il licenziamento resta il grande svantaggio per i neoassunti del settore privato con il contratto a tutele crescenti previsto dal Jobs Act, poiché sarà più facile rispetto al vecchio contratto a tempo indeterminato, nel settore pubblico gli statali attendono per capire quali saranno le loro regole a riguardo.

Il Ministro Madia ha già rassicurato gli animi di molti: gli statali godranno sempre e comunque del reintegro nei casi di licenziamento illegittimo, perché "si licenzia con i soldi di tutti".

La Madia ha dichiarato che tra il settore pubblico e privato esistono delle differenze oggettive, ma è giusto scavare un solco così profondo tra le due categorie di dipendenti?

Un altro esempio: per il dipendente pubblico, a differenza del privato, non può essere previsto il licenziamento individuale per motivi economici, al massimo possono configurarsi modalità di esubero collettive, come il caso delle Province.

La spina nel fianco dei dipendenti pubblici sarà invece il licenziamento per scarso rendimento.

Il licenziamento per i cosiddetti «fannulloni» esiste già dal 2009, in base a quanto disposto dalla Riforma Brunetta, per cui un dipendente pubblico può essere licenziato, tra le altre cose, per:

assenza ingiustificata per oltre 3 giorni nell'arco di 2 anni o per una settimana negli ultimi 10 anni;

presentazione di un certificato medico falso;

scarso rendimento, secondo i criteri stabiliti dalla legge;

falsa attestazione della presenza in servizio.

Quanto vengono applicate queste regole? Quasi per niente, poiché nel caso di un licenziamento illegittimo di un dipendente pubblico, sarebbe il dirigente il responsabile del danno erariale, dunque la persona su cui graverebbe l’onere del risarcimento.

E’ difficile che un dirigente sia disposto a rischiare i risparmi di famiglia per licenziare un dipendente: meglio il consueto patto di reciproco riconoscimento del diritto all’inefficienza, per cui il dirigente non mette sotto stress i dipendenti e questi non mettono sotto stress lui.

La prassi è dimostrata dai numeri riportati: ogni anno vengono licenziati poco più di 100 dipendenti pubblici l’anno, su 3,5 milioni, contro i 40.000 dipendenti privati, su 11.000, sulla questione tecnica è intervenuto Ichino, da giuslavorista d’esperienza, è entrato nei dettagli:

«Il testo unico dell’impiego pubblico stabilisce che, salve le materie delle assunzioni e delle promozioni, che sono soggette al principio costituzionale del concorso, per ogni altro aspetto il rapporto di impiego pubblico è soggetto alle stesse regole che si applicano nel settore privato».

Ma c’è chi, come il ministro per la Pubblica amministrazione Marianna Madia sostiene che gli statali sono esclusi, perché entrano per concorso e quindi seguono regole diverse: «Qualche volta anche i ministri sbagliano, concorso non significa inamovibilità. E sbaglia chi voleva l’espressa esclusione dei dipendenti pubblici. Non si rendono conto che il contratto a tutele crescenti costituisce l’unica soluzione possibile per il problema del precariato, anche nel settore pubblico.

Il dipendente statale è uguale al dipendente privato. In realtà in Italia non è così,dipendente privato e dipendente pubblico non hanno le stesse difese, quest’ultimo può essere licenziato solo in casi eccezionali, estremi direi: omicidio del capoufficio e successivo stupro della di lui moglie così, per ulteriore sfregio.

Nel pubblico c’è una clamorosa zona grigia che nessun governo negli anni è riuscito a rischiarare (solo la Fornero all’epoca disse qualcosa di impegnativo sull’argomento). Il punto è questo: una delle ragioni più diffuse per cui l’imprenditore privato lascia a casa un dipendente, sono i conti dell’azienda che non vanno bene. Qui s’impone una prima riflessione, che riguarda le responsabilità dello stato (inteso come struttura sociale che comprende politica e magistratura).

Compito dello stato è vigilare perché gli imprenditori non licenzino ingiustificato, con la scusa di conti in disordine che in realtà nascondono ben altro. E questo compito non è affatto semplice, non è facile trovare un punto di sintesi virtuosa tra esigenze così diverse, se non opposte. (È del tutto inutile sottolineare che gli imprenditori seri non si privano dei dipendenti che lavorano seriamente).

Adesso ribaltiamo la prospettiva e trasferiamo la ragione principale di licenziamento nel campo privato all'interno del campo statale. La domanda che ne sorge è una sola: come si fa stabilire che “i conti sono in disordine” se un ministero, un ente parco, insomma queste robe mesozoiche qui, non producono una mazza, non vendono nulla, non esportano alcunché?

Come si fa a stabilire che un ministero dovrebbe dimagrire in termini di personale? È necessario trovare una chiave diversa, quindi, che non sia la produttività privata, decisamente più facile da riconoscere. E la chiave è compresa nella storia italiana, in quella storia che ci racconta come il mezzo secolo democristiano abbia gonfiato a dismisura quella burocrazia, ingozzandone furiosamente le fila di amici degli amici, di parenti, di cugini, di raccomandati dal prete del paese e chi più ne ha più ne metta. Un’eterna implosione.

In caso di licenziamento ingiusto dobbiamo ora distinguere diverse ipotesi e le stesse hanno una diversa conseguenza. Se si stratta di licenziamento discriminatorio ovvero basato su opinioni politiche, religiose, razza o sesso, il giudice dichiarerà nullo il licenziamento e disporrà il reintegro del lavoratore nel posto di lavoro e potrà essere riconosciuto il diritto al risarcimento e ciò a prescindere dal numero di lavoratori dipendenti.

Nel caso invece di licenziamento per giusta causa rivelatosi però illegittimo perché il fatto contestato non sussiste o non poteva essere punito con il licenziamento, il giudice può reintegrare il lavoratore nel suo posto se si tratta di un’azienda con più di 15 lavoratori o 5 lavoratori nel caso di azienda di tipo agricolo. Può inoltre disporre la condanna al risarcimento danni il cui ammontare può arrivare alla cifra corrispondente a 12 mensilità.

Nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ovvero nel caso in cui il datore di lavoro motivi il licenziamento con problemi economici dell’azienda, se il giudice ritiene che il licenziamento è illegittimo, non potrà condannare il datore a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro, ma dovrà pronunciare l’illegittimità dello stesso e condannare il datore di lavoro al risarcimento in forma pecuniaria per un ammontare massimo corrispondente a 24 mensilità. Il datore di lavoro può comunque procedere al reintegro.

Poniamo una domanda se le norme del Jobs Act si applicano ai dipendenti pubblici?. Come ricorda un recente studio Adapt sui decreti attuativi del Jobs Act , le fattispecie di licenziamento per giustificato motivo soggettivo e oggettivo per il dipendente pubblico – ovvero per scarso rendimento e situazione finanziaria dell’ente – sono già presenti nella normativa (decreti legislativi 165 del 2001 e 150 del 2009).

Il problema, a parte il licenziamento discriminatorio, sarebbe il licenziamento illegittimo, sulle cui conseguenze è intervenuto il Jobs Act e che, per il pubblico, sostiene il Ministro Madia, richiederebbe il reintegro in luogo della semplice indennità. Il punto, quindi, non è la maggiore o minore facilità nel licenziare, ma della tipologia di rimedi successivi al licenziamento.



domenica 4 gennaio 2015

Lavoratori pubblici e privati: orari visite fiscali malattia



Novità per i lavoratori per quanto riguarda le visite fiscali INPS dal 2015 Cambiano dunque gli orari per le visite fiscali per l’anno 2015 e le fasce di reperibilità dei dipendenti. Le regole sono diverse in ragione della categoria di dipendenti: pubblici o privati.

Tratteremo in modo dettagliato quali sono i nuovi orari ASL che i dipendenti pubblici, compresi insegnati, militari, polizia, scuola, sanità pubblica ecc, devono rispettare e quali sono, invece, le fasce orarie obbligatorie che i dipendenti privati, metalmeccanici, personale di poste banche, o il settore del commercio devono garantire, al fine di consentire la visita fiscale da parte dell'INPS o del datore i lavoro.

I lavoratori statali (categoria in cui rientrano anche gli insegnanti, i dipendenti della P.A. e degli enti locali, i militari e il personale ASL) hanno l’obbligo di reperibilità 7 giorni su 7, compresi giorni festivi, prefestivi, non lavorativi e weekend, nelle seguenti fasce orarie:
dalle 9 alle ore 13;
dalle 15 alle 18.

Sono esenti da questo vincolo di reperibilità i dipendenti assenti per una delle seguenti ragioni:
malattie di una certa entità che richiedono cure salvavita;
infortuni sul lavoro;
malattie per cui è stata riconosciuta la causa di servizio o stati patologici inerenti alla situazione di invalidità riconosciuta;
gravidanze a rischio;
dipendenti per cui è già stata effettuata la visita fiscale per il periodo di prognosi indicato nel certificato.

 Per i lavoratori privati l’obbligo di reperibilità resta quello di 7 giorni su 7, ma le fasce orarie sono diverse:
dalle 10 alle 12;
dalle 17 alle ore 19.

Se il dipendente non viene trovato in casa in occasione del controllo fiscale:
perderà il diritto al 100% della retribuzione per i primi 10 giorni di malattia;
lo stipendio sarà ridotto al 50% per i giorni seguenti.

Egli avrà 15 giorni di tempo per motivare la propria assenza ed evitare di incorrere nella decurtazione dello stipendio.

Quanto viene pagata la malattia?
Durante il periodo di assenza per malattia, il dipendente riceverà uno stipendio che, progressivamente, subirà una decurtazione:
dall’inizio della malattia sino al nono mese incluso lo stipendio sarà pari al 100%;
dal decimo mese e fino ad un anno di assenza per malattia sarà pari al 90%;
dal tredicesimo mese e fino ad un anno e mezzo (diciotto mesi) sarà pari al 50%.

La visita fiscale sui dipendenti del settore del Pubblico Impiego da parte dell'ASL ha lo  scopo di verificare e accertare l’incapacità temporanea dei lavoratori a svolgere l’attività lavorativa tale da giustificare l’assenza dal posto di lavoro. Tali visite, vengono quindi effettuate dal personale ASL su richiesta dell’Amministrazione, secondo le modalità stabilite dalle disposizioni vigenti.

Nello specifico, le nuove fasce orarie 2015 sono dalle ore 09.00 alle ore 13.00 e dalle ore 15.00 alle ore 18.00 per tutti i dipendenti PA compresi:
Enti locali, Statali e Comuni.
Agenzie fiscali e Ministeri, INAIL, INPS.

Insegnanti e docenti Scuola, personale ATA Pubblica Istruzione Miur.
Medici, dottori e infermieri appartenenti alla Sanità Pubblica DL 78 del 1 luglio 2009 e dal Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri 18/12/ 2009 n. 206
Militari, Polizia di Stato, Carabinieri, Vigili del fuoco e Polizia Penitenziaria.

In tali orari, il dipendente pubblico che si dichiara malato ha l'obbligo di avvisare l'Amministrazione circa la sua assenza, di certificare la malattia con specifica attestazione medica e rimanere a casa durante le fasce orarie delle visite fiscali a partire dal primo giorno e per tutta la durata del periodo indicato sul certificato medico.

Oltre all'obbligo di comunicare all’Amministrazione, qualsiasi assenza dal domicilio, qualora avvenga negli orari di reperibilità malattia.

Si ricorda a tal proposito che secondo le ultime novità e regole, la visita specialistica esami terapie per dipendenti pubblici non è più consentito prendere un giorno di malattia bensì va richiesto uno specifico permesso per motivi personali che deve essere avallato dalla consegna all'Amministrazione di una attestazione di presenza dipendenti pubblici.

Per quanto riguarda le cause esclusione obbligo di reperibilità malattia, queste sono state individuate e regolamentate dal DM 18 dicembre 2009, n. 206 che ha riconosciuto ai soli dipendenti della Pubblica Amministrazione l'esclusione dall’obbligo di rispettare gli orari qualora l’assenza, sia riconducibile a determinate cause riconosciute per legge, ossia:
Patologie gravi con terapie salvavita.

Quali sono gli orari visite fiscali per i privati?

In generale, per tutti i lavoratori del settore privato:
dipendenti poste, bancari, telecomunicazioni, metalmeccanici, settore commercio
gli orari delle visite fiscali INPS sono: dalle 10:00 alle 12:00 e dalle 17:00 alle 19:00.

Tali fasce orarie, devono essere rispettate sin dal primo giorno di malattia e sopratutto anche il sabato e domenica, festivi, Natale e Capodanno, Pasqua e feste patronali. Ricordiamo che la disciplina che regola la visita fiscale e l'obbligo di reperibilità malattia, sono sanciti dall'articolo 5 dello Statuto dei Lavoratori, che prevede la facoltà del datore di lavoro o dell'INPS di richiedere il controllo fiscale sul dipendente che si assenta dal lavoro per una patologia, visita o esami, il quale deve garantire la sua presenza in casa, nello specifico presso il domicilio comunicato attraverso il certificato medico di malattia, e rimanere a disposizione durante questi orari mentre può uscire di casa al di fuori di tali fasce.

Per esempio, se ci si ammala e si è soli in casa, per andare in farmacia bisogna andare prima delle 10 o dopo le 12 stessa cosa per il pomeriggio, mentre se ci deve recare dal medico urgentemente, si può uscire ma occorre farsi fare un certificato medico dal dottore che attesti che in quel giorno e in quell'orario, si era a visita. Fare ciò è molto importante, dal momento che la mancata reperibilità ingiustificata è sanzionabile con sanzioni disciplinari, economiche e con il licenziamento.

Cosa succede se il dipendente in malattia esce di casa? Se il medico ASL o INPS si reca al domicilio del dipendente per accertare lo stato di malattia del lavoratore e citofona durante gli orari delle visite fiscali ma nessuno risponde, perché il citofono o il campanello è rotto, la mancata risposta viene considerata come assenza ingiustificata dal domicilio da parte del dipendente ammalato.

La Corte di Cassazione con sentenza del 23.7.1998, ha legittimato e ritenuta giustificata l’assenza del dipendente dal proprio domicilio per sottoporsi a trattamenti fisioterapici, cure e visita medica specialistica, analisi ma con l’accezione che l’assenza è da ritenersi giustificata solo laddove il dipendente fornisca la prova dell’impossibilità, se non a prezzo di gravi sacrifici, di effettuare le cure al fuori delle suddette fasce.

Si può uscire di sabato e domenica? No, se la malattia cade nel fine settimana, weekend, ponte o giorno di riposo, il lavoratore deve rimanere a casa durante gli orari di reperibilità perché potrebbe ricevere il controllo medico della mutua o INPS, anche durante questi giorni. Tale controllo fiscale, infatti, per il datore di Lavoro o l'Amministrazione è un diritto richiederlo anche di sabato o domenica.

E se il citofono è guasto? Se il medico preposto alla visita fiscale si reca al domicilio del dipendente per accertare lo stato di malattia del lavoratore e citofona durante gli orari visite fiscali ma nessuno risponde, perché il citofono o il campanello è rotto, la mancata risposta viene considerata come assenza ingiustificata dal domicilio da parte del dipendente ammalato.



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