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lunedì 1 dicembre 2014

Pensioni INPS per le donne nel 2015 bastano 57 anni



La pensione anticipata è una strumento previdenziale che sostituisce la pensione di anzianità. Si consente sostanzialmente al lavoratore che non ha raggiunto l'età per ottenere la pensione di vecchiaia, ma che ha versato un elevato numero di contributi di ottenere una pensione. Si tratta di uno strumento introdotto con la riforma delle pensioni Monti-Fornero nel 2011.

Le donne lavoratrici che hanno almeno 35 anni di contributi e 57 anni di età e che volessero andare in pensione, ma con l’assegno calcolato interamente con il metodo contributivo, potranno continuare a presentare la domanda all’Inps. In questo senso dovrebbe esprimersi una circolare dell’Istituto di previdenza che potrebbe essere firmata, riaprendo in sostanza i termini che altrimenti sarebbero scaduti.

La possibilità in esame è stata introdotta nel 2004 e prevede, in via sperimentale fino al 31 dicembre 2015, la possibilità per le lavoratrici dipendenti con 35 anni di versamenti di ritirarsi a 57 anni (58 per le lavoratrici autonome) ma con l'importo della pensione calcolato interamente col sistema contributivo (prendi quanto hai versato in tutta la vita lavorativa) anziché col retributivo (pensione pari al 70% dello stipendio con 35 anni di contributi). Normalmente la donna che sceglie di sfruttare questa possibilità prende dunque almeno il 15-20% in meno.

Come quello che dovrebbe essere comunicato  dall’Inps riaprendo i termini per la cosiddetta «opzione donna».

Di regola la donna che sceglie questa possibilità prende almeno il 15-20% in meno. Nei primi anni sono state poche centinaia le lavoratrici che hanno scelto l’opzione donna. Ma dopo la riforma Fornero, che ha cancellato le pensioni di anzianità e aumentato bruscamente l’età per la pensione di vecchiaia, il numero di domande all’Inps si è impennato, anche perché questa possibilità è spesso rimasta l’unica per non finire esodati (senza lavoro e senza pensione). Così nel 2013 sono state 8.846 le richieste e quest’anno, fino a settembre, ne sono già arrivate altre8.652.

Ricordiamo che la riforma delle pensioni del 2004 prevedeva che le lavoratrici potessero andare in pensione a 57 anni se dipendenti e a 58 anni se autonome, in entrambi i casi con almeno 35 anni di contributi, e applicando l’adeguamento alle speranze di vita (tre mesi in più dal primo gennaio 2013). In cambio del ritiro anticipato, la lavoratrice accetta una decurtazione della pensione, che viene calcolata interamente con il metodo contributivo.

Secondo una precedente circolare dell’Inps, che aveva tenuto conto del fatto che sulla vecchia pensione di anzianità si applicava la cosiddetta finestra mobile, passava cioè un anno dalla maturazione dei requisiti alla decorrenza della pensione, il termine per le domande scadeva a fine 2014 (novembre, tenendo conto che bisogna presentarla un mese prima) anziché il 31 dicembre 2015.

Donne in pensione: si torna indietro, ma a condizione di una diminuzione di bonus. E’ noto come la legge Fornero abbia alzato le pensioni per uomini e donne. Drasticamente. Dall’Inps, tuttavia, arriva una vera e propria svolta per il ‘gentil sesso’: potranno andare in pensione a 57 anni con 35 anni di contributi. A patto, tuttavia, di una minorazione dell’assegno pensionistico: – 20%, addirittura.

Chi, infatti, fra le lavoratrici, decide di andare in pensione prima, a 57 anni per le dipendenti e a 58 per le autonome, con 35 anni di contributi, sceglie di calcolare la sua pensione finale esclusivamente con sistema contributivo, sulla base dunque dei contributi versati durante la propria vita lavorativa, invece che con il più remunerativo sistema retributivo.
In questo modo di riceve una pensione pari al 70% dello stipendio, per cui si ha una riduzione dell’assegno pensionistico finale e questi tagli alla pensione rappresentano i risparmi per lo Stato. Dovrebbero essere 6mila le lavoratrici donne che il prossimo anno matureranno i requisiti di accesso alla pensione anticipata secondo tale regola. Al momento, nonostante si attendano ancora regole ufficiali dall'Inps, non è prevista l'estensione di questa possibilità di uscita anticipata anche agli uomini, come si era auspicato.



martedì 4 novembre 2014

Pensione anticipata: Opzione Donna contro INPS su contributivo donne



Con l’avvicinarsi della scadenza, molte lavoratrici riunitesi nel Comitato Opzione Donne hanno annunciato battaglia al’INPS tramite una serie di ricorsi. Intanto, in Parlamento sono approdate diverse proposte per ammorbidire l’interpretazione INPS o prorogare la misura di qualche anno.

Il Comitato Opzione donna ha promosso una Class action contro l'Inps per due sue circolari del 2012, che hanno modificato l'applicazione della legge Maroni del 2004, la quale permetteva in via sperimentale alle donne con 57 anni e 35 di contributi, di andare in pensione con il sistema retributivo fino al 2015. L'iniziativa è stata presentata a Montecitorio dalla presidente del Comitato, Dianella Maroni. Le circolari dell'Inps contestate dal Comitato, sono state emanate dall'istituto nel marzo del 2012, introducendo dei requisiti diversi da quelli dalla legge del 2004, che taglia fuori tutte le donne che maturano i requisiti nel 2015.

Il Comitato protesta contro questa interpretazione, che di fatto pone dei paletti a una legge dello Stato, utilizzando lo strumento della class action, chiedendo all’INPS di ritirare le due circolari del 2012 che inseriscono i limiti sopra descritti, che diffida l'Inps a riformare le due circolare entro 90 giorni.

Innanzitutto che cosa è la class action, possiamo definirla come è il procedimento disciplinato dall’art. 140-bis del Codice del consumo (d.lgs. 206 del 2005) sotto la rubrica “azione di classe” o azione giudiziaria collettiva. Il processo può essere attivato da ciascun soggetto danneggiato, anche mediante associazioni cui dà mandato o comitati cui partecipa.

Si tratta di uno strumento di tutela collettiva risarcitoria idoneo ad ottenere il risarcimento del danno subito da un gruppo di cittadini a causa dell’illecito seriale prodotto da un soggetto professionale. Tale azione si rivela particolarmente utile in tutte quelle situazioni nelle quali si controverte per importi di valore contenuto e dunque il consumatore tende generalmente a rinunciare alla difesa dei propri diritti.

Il fine e chiedere di togliere i paletti posti alla cosiddetta Opzione Donna: l’istituto di previdenza ha di fatto limitato la possibilità per le lavoratrici di ritirarsi in anticipo accettando in cambio di calcolare l’assegno previdenziale interamente con il metodo contributivo. La legge (Riforma Maroni sulle Pensioni: legge 243/2004, articolo 1, comma 9) concede questa possibilità di pensione anticipata fino a fine 2015, mentre le regole INPS la limitano al novembre per le dipendenti e a maggio per le autonome. La class action mira a risolvere la questione, aperta con le circolari INPS n.35 e n.37 del 2012.

Ricordiamo che la Riforma delle Pensioni Maroni prevedeva che le lavoratrici potessero andare in pensione a 57 anni se dipendenti e a 58 anni se autonome, in entrambi i casi con almeno 35 anni di contributi, e applicando l’adeguamento alle speranze di vita (tre mesi in più dal primo gennaio 2013). In cambio del ritiro anticipato, la lavoratrice accetta una decurtazione della pensione, che viene calcolata interamente con il metodo contributivo.

La legge prevede che quest’opzione sia esercitabile fino alla fine del 2015, ma l’INPS con le due circolari sopra citate ha inserito dei paletti, prevedendo anche che entro la fine del 2015 la lavoratrice dovesse aver maturato i requisiti per la decorrenza del trattamento pensionistico. In pratica, in questo modo ha anticipato la scadenza alla fine di maggio 2014 per le autonome e a fine novembre 2014 per le dipendenti. Questo, perché le finestre mobili prevedono appunto rispettivamente 18 e 12 mesi per ottenere l’assegno previdenziale dopo aver maturato i contributi per la pensione.

Dianella Maroni ha spiegato, in base a una tabella dell'Inps, che l'applicazione della cosiddetta Opzione Donna costa 554 milioni fino al 2019, ma che ne fa poi risparmiare 1.729 fino al 2041 (l'anno fino al quale, in base alle aspettative di vita, le beneficiarie percepirebbero l'assegno), perché le pensioni sono più basse essendo calcolate con metodo contributivo puro.

"Oltre a questo risparmio - ha osservato - c'e' anche un vantaggio sociale ed uno economico: noi donne portiamo nelle nostre famiglie un welfare naturale, e inoltre, andando in pensione, liberiamo dei posti di lavoro". Sono circa 6.000 le donne che potenziali beneficiarie di questa Opzione, molte delle quali per di più hanno ora perso il lavoro, e sono così prive di reddito.

L’opzione contributiva (legge 243/2004, articolo 1, comma 9) consente alle donne con 35 anni di contributi versati di andare in pensione anticipata a 57 anni e tre mesi di età se dipendenti e a 58 anni se autonome, rinunciando alla parte retributiva dell’assegno previdenziale (decurtazione media del 25-30%). Dopo i drammatici effetti della Riforma Fornero, le lavoratrici hanno scelto in massa questa possibilità pur di salvare il salvabile: aspettare la pensione di vecchiaia significa infatti lavorare anni in più e magari vedersi cambiare per l’ennesima volta le regole retroattivamente, con tanto di crisi alimenta che l’incertezza economica e lavorativa.

In teoria questo diritto è previsto fino al 31 dicembre 2015 ma nella pratica la situazione è più complessa. Perché? Il motivo è contenuto nella Circolare 35/2012dell’INPS, secondo la cui interpretazione della norma la data va intesa come scadenza per l’accesso alla pensione tenendo conto della finestra mobile. Quindi, contando 18 mesi + 1, per le autonome il termine è comunque scaduto ma per le dipendenti private (12 mesi + 1) si arriva a novembre e per quelle pubbliche a fine dicembre.
I requisiti per la pensione anticipata E indicizzazioni Almeno un anno di lavoro in più per le donne che inseguono la pensione di vecchiaia, mentre solo un mese in più per chi aspira alla pensione anticipata: sono i primi cambiamenti sulle pensioni dal 2014, in base ai vari scatti previsti da precedenti normative alla Legge di Stabilità, che ha introdotto anche un ritorno all’indicizzazione (parziale) per assegni tre volte sopra il minimo ed un nuovo contributo di solidarietà sulle pensioni d’oro.
Innalzamento dei requisiti pensionistici delle donne (dipendenti private e lavoratrici autonome), in base alla Riforma Fornero (Legge 214/2011, il Salva Italia), con incremento a scaglioni dei requisiti per andare in pensione di vecchiaia ed equiparazione uomo-donna dal 2018. Il calendario:

2014: 63 anni e nove mesi (nel 2013 bastavano 62 anni e tre mesi) per le dipendenti private; 64 anni e nove mesi per le autonome (12 mesi in più rispetto allo scorso anno).

2016: 65 anni più l’adeguamento alle aspettative di vita per le lavoratrici del privato, 65,6 più l’adeguamento alle aspettative di vita per le autonome;

2018: 66 anni per tutti, più l’adeguamento alle aspettative di vita.


sabato 26 luglio 2014

In pensione si va non prima dei 62 anni



L

Le pubbliche amministrazioni possono procedere a pensionamenti d'ufficio del personale, motivando la scelta con esigenze organizzative e senza recare pregiudizio ai servizi. Affinché non ci siano penalizzazioni l'uscita non può avvenire al di sotto dei 62 anni e dei 65 per medici e professori universitari. Così un emendamento al decreto legge sulla Pubblica amministrazione.

È passato l'emendamento al dl Pa che consente di sbloccare 4 mila pensionamenti nella scuola, già da settembre, aprendo così anche alla possibilità di nuove assunzioni. Si tratta degli insegnanti ribattezzati 'quota 96' (61 anni di età e 35 di contributi oppure 60 anni di età e 36 di contributi). Tutti rimasti bloccati in servizio dalla riforma Fornero. Mentre per medici e docenti il limite è di 65 anni.

I cambiamenti più pesanti toccano i magistrati, quanti ricoprono incarichi in uffici di diretta collaborazione con la Pa, pure se solo di consulenza giuridica, non possono più godere dell'aspettativa, devono quindi per forza andare fuori ruolo, posizione per cui gli spazi non sono infiniti (la durata massima è di dieci anni). E la norma ha, per così dire, valore retroattivo: da settembre, quando entrerà in vigore il decreto, il beneficio dell'aspettativa cessa per tutti. Nel provvedimento di riforma della Pa c'è anche un capitolo Anticorruzione, che è stato rivisto, su proposta del Governo. Un emendamento dà ora al presidente dell'Anac il potere di proporre al prefetto una gestione straordinaria del contratto d'appalto o, viene aggiunto, della concessione, a rischio, anche nei casi in cui il procedimento penale non sia già oggetto di procedimento penale.

Resta ancora aperta la questione 'quota 96', affrontata da un emendamento, che consentirebbe di sbloccare 4 mila pensionamenti nella scuola. Si tratta degli insegnanti rimasti intrappolati a lavoro dopo la riforma Fornero, che non ha tenuto conto della data di pensionamento nel settore, legata all'anno scolastico e non a quello solare. C'è una proposta, sottoscritta da molti parlamentari, che stabilisce l'uscita già da settembre dei prof pensionabili, aprendo così anche alla possibilità di nuove assunzioni. Intanto il passaggio parlamentare ha già previsto mille nuovi vigili del fuoco e uno scorrimento più veloce delle graduatorie per le Forze di Polizia, in vista di Expo 2015.

E’ vero che ci sono casi in cui non scattano le penalizzazioni per chi va in pensione anticipata sotto i 62 anni?  Sì, è vero.

Il taglio dell’importo della pensione anticipata dell’uno o del due per cento, a seconda degli anni mancanti rispetto alla soglia dei 62 anni di età, non scatta per coloro che maturano i requisiti per questo tipo di prestazione entro i prossimi cinque anni, fino al 31 dicembre 2017, a condizione che i contributi siano effettivi e, dunque, derivanti da lavoro, includendo tra questi in ogni caso anche quelli che coprono i periodi di astensione obbligatoria per maternità, per servizio militare, per infortunio, per malattia o per cassa integrazione guadagni ordinaria.

La pensione anticipata (ex pensione di anzianità) è regolamentata in modo diverso a seconda che il contribuente abbia iniziato a lavorare prima o dopo il 31 dicembre 1995 (da quando la Riforma Dini ha introdotto il metodo contributivo) in quanto cambia il sistema di calcolo dell’importo della pensione:  contributivo: per chi ha iniziato a lavorare dopo il 31 dicembre ’95.


retributivo: per chi aveva già 18 anni di contributi il 31 dicembre ’95.


misto: per chi non aveva 18 anni di contributi a fine ’95, si applica il retributivo per la quota maturata fino a fine ’95 e il contributivo per le anzianità maturate successivamente.

Se chi ha iniziato a lavorare prima della fine del ’95 e – pur avendo raggiunto i requisiti contributivi richiesti – va in pensione prima dei 62 anni, perde l’1% per ogni anno di anticipo (rispetto ai 62 anni) per i primi due anni, e il 2% per ogni anno successivo:
taglio dell’1% per chi si ritira a 61 anni,
del 2% per chi va in pensione a 60 anni,
del 4% per chi va in pensione a 59 anni,
del 6% per chi si ritira a 58 anni.

Questo taglio si applica solo alla quota retributiva della pensione. Quindi:
per chi aveva 18 anni di contributi nel ’95, la riduzione vale per tutte le anzianità contributive maturate al 31 dicembre 2011;

per chi non aveva 18 anni di contributi nel dicembre ’95, la riduzione si applica sulla quota maturata al 31 dicembre ’95.

domenica 12 gennaio 2014

Pensione anticipata con il prestito Inps



L’ipotesi che si aggira avrebbe uno scopo ben preciso, ovvero garantire la flessibilità su un duplice livello (oltre che arrestare il numero degli esodati):

per i lavoratori che vogliono andare in pensione in anticipo;

per le aziende che vorrebbero ringiovanire il proprio personale (togliendo dal limbo moltissimi giovani che faticano ad entrare nel mercato del lavoro).

Come funziona la pensione anticipata con prestito INPS? Il lavoratore che vuole andare in pensione, ma non ha ancora maturato i requisiti, che scatteranno comunque nel giro di 2-3 anni, potrebbe ricevere un assegno pensionistico, pari ad una determinata percentuale della propria retribuzione (pare si tratti di circa il 75%-80%), versato dall’INPS con un eventuale contributo dell’azienda. Sul tema vige ancora un certo dubbio. Se da una parte si parla dei soli lavoratori del settore privato, dall’altro si aggiungono i lavoratori con almeno 62 anni di età e 35 anni di contributi, che risultano inoccupati o rischiano di rimanere senza occupazione alla fine del periodo di mobilità.

Una volta raggiunti i requisiti, l’assegno verrebbe decurtato di una certa percentuale (che secondo le ipotesi al vaglio potrebbe oscillare tra il 10% ed il 15%) per poter restituire quanto incassato con il prestito pensionistico.

La pensione anticipata con prestito INPS non sarebbe altro che un’alternativa alla staffetta generazionale ma quali sono i costi? Secondo il ministro l’onere da sostenere potrebbe essere molto elevato, ma non trapelano ancora cifre attendibili.

Ovviamente tutto dipende dai numeri: quanti sarebbero i lavoratori e le aziende interessati? Giovannini spiega:

"Già oggi c’è un meccanismo che attraverso accordi sindacali permette il pensionamento anticipato con pagamento da parte dell’azienda di una quota consistente del gap pensionistico, è stato utilizzato dalle grandi imprese, mentre non è utilizzabile dalle piccole. Anche queste ultime potrebbero avere l’interesse a dare uno scivolo ai lavoratori, soprattutto in quei comparti dove l’età avanzata può addirittura comportare rischi per il tipo di attività svolta".

Il ministro del lavoro, Enrico Giovannini, sta lavorando ad una «manutenzione» della riforma delle pensioni per introdurre degli elementi di flessibilità sia per i lavoratori che vogliono lasciare in anticipo il lavoro rispetto ai requisiti attuali, ma anche per le imprese che potrebbero avere la necessità di ringiovanire il proprio personale. Lo schema è quello del cosiddetto «prestito pensionistico», un’ipotesi che già era circolata e di cui si era parlato nei mesi scorsi. Funzionerebbe più o meno così: supponiamo che ad un lavoratore manchino due anni alla pensione. Con le regole attuali non potrebbe fare altro che attendere.

Con il meccanismo al quale sta lavorando il ministro del lavoro potrebbe lasciare anticipatamente il lavoro. Non andrebbe in pensione, ma incasserebbe un assegno pari ad una certa percentuale del suo stipendio (per esempio l’80%) pagato dall’Inps eventualmente con il contributo della stessa azienda. Dal momento in cui, maturati i requisiti per la pensione, si incomincia ad incassare l’assegno previdenziale, quest’ultimo verrebbe decurtato di una cifra (che secondo le ipotesi circolate potrebbe oscillare tra il 10 e il 15%) per poter restituire i soldi ottenuti in prestito nei due anni precedenti. «Il meccanismo al quale stiamo lavorando», spiega a Il Messaggero il ministro Giovannini, «prevede anche il coinvolgimento da parte delle imprese oltre che del lavoratore e dello Stato. È un’operazione anche finanziariamente difficile da disegnare». . Il prestito pensionistico dovrebbe valere soltanto per i lavoratori del settore privato e sarebbe, comunque, un meccanismo volontario.

Il principale ostacolo, come sempre accade quando si parla di pensioni, sono i costi per le casse pubbliche di un sistema del genere. Costi che, spiega Giovannini, «possono essere molto alti». Dipenderà dal numero di lavoratori e dal numero di imprese eventualmente interessate ad attivare il il prestito. Se, per esempio, il mondo imprenditoriale non fosse propenso ad utilizzare il sistema, tutti i costi si scaricherebbero sui lavoratori e sull’Inps e dunque il meccanismo potrebbe diventare difficilmente sostenibile. Anche per questo, non appena il lavoro tecnico di Giovannini sarà concluso, il risultato sarà illustrato alle parti sociali, a cominciare dalla Confindustria, per sondare l’interesse delle imprese.

«Già oggi», spiega Giovannini, «c’è un meccanismo che attraverso accordi sindacali permette il pensionamento anticipato con pagamento da parte dell’azienda di una quota consistente del gap pensionistico, è stato utilizzato dalle grandi imprese, mentre non è utilizzabile dalle piccole. Anche queste ultime», aggiunge il ministro, «potrebbero avere l’interesse a dare uno scivolo ai lavoratori, soprattutto in quei comparti dove l’età avanzata può addirittura comportare rischi per il tipo di attività svolta».

Il prestito pensionistico, inoltre, sarebbe alternativo all’altra ipotesi di cui pure si era parlato, ossia la cosiddetta staffetta generazionale. In questo caso i lavoratori più anziani vedrebbero trasformati i loro contratti in part time con una contribuzione figurativa a carico dello Stato in modo da non incidere sulla futura pensione, dando così la possibilità alle imprese comunque di far entrare giovani nel mercato del lavoro. Rispetto alla staffetta, il prestito pensionistico avrebbe anche un altro vantaggio, non secondario, quello di essere una misura in grado di dare una risposta più strutturale anche al problema degli esodati, fino ad oggi affrontato con interventi spot, l’ultimo in finanziaria con la salvaguardia di altri 33 mila lavoratori.

domenica 29 dicembre 2013

Pensioni 2014: anticipata e in uscita dal lavoro




Con il nuovo anno scattano i nuovi requisiti per andare in pensione. A pagare il prezzo più consistente saranno le donne dipendenti del settore privato  che per andare in pensione di vecchiaia dovranno aver compiuto i 63 anni e 9 mesi, 18 mesi in più rispetto ai requisiti previsti per il 2013 (62 anni e tre mesi).

La pensioneanticipata è una prestazione economica a domanda, erogata ai lavoratori dipendenti e autonomi iscritti all’assicurazione generale obbligatoria ed alle forme sostitutive, esonerative ed integrative, la cui pensione è liquidata con il sistema di calcolo retributivo, misto o contributivo.

Ai fini del raggiungimento del requisito contributivo è valutabile la contribuzione versata o accreditata a qualsiasi titolo, fermo restando il contestuale perfezionamento del requisito di 35 anni di contribuzione utile per il diritto alla pensione di anzianità disciplinata dalla previgente normativa.

Per i soggetti che accedono alla pensione anticipata ad un’età inferiore a 62 anni si applica, sulla quota di trattamento pensionistico relativa alle anzianità contributive maturate al 31 dicembre 2011, una riduzione pari ad un punto percentuale per ogni anno di anticipo nell’accesso alla pensione rispetto all’età di 62 anni; tale percentuale annua è elevata a due punti percentuali per ogni anno ulteriore di anticipo rispetto a due anni.

Ricordiamo che i soggetti che maturano i requisiti per l'accesso al pensionamento a partire dal 1° gennaio 2012, possono accedere alla pensione anticipata a condizione che risulti maturata un'anzianità contributiva di 42 anni e 1 mese per gli uomini e 41 anni e 1 mese per le donne.  Tali requisiti sono aumentati di un mese per l'anno 2013 e di un ulteriore mese a decorrere dal 2014, fermi restando gli incrementi della speranza di vita a decorrere dal 1° gennaio 2013.

I requisiti prescritti a partire dal 1° gennaio 2012 per il diritto alla pensione anticipata, sia in un sistema di calcolo misto (contributivo pro-rata) sia contributivo, sono riportati nella tabella seguente.

La riforma Fornero, diciamo che ha la “sua forza” dal primo gennaio 2014 che entrano in vigore i nuovi requisiti fissati con la legge medesima. Si tratta di disposizioni più stringenti che rimandano l'età pensionabile: 66 anni e 3 mesi per lavoratori dipendenti e autonomi e per lavoratrici del settore pubblico, 63 anni e 9 mesi per lavoratrici del settore privato; 64 anni e 9 mesi per lavoratrici autonome. In merito alla pensione anticipata, per le persone in possesso di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995, sono richiesti 42 anni e 6 mesi di anzianità contributiva per gli uomini e 41 anni e 6 mesi per le donne.

E allora il nuovo anno porta altri requisiti per andare in pensione: 66 anni e 3 mesi per lavoratori dipendenti e autonomi e per lavoratrici del settore pubblico, 63 anni e 9 mesi per lavoratrici del settore privato; 64 anni e 9 mesi per lavoratrici autonome. In merito alla pensione anticipata, per le persone in possesso di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995, sono richiesti 42 anni e 6 mesi di anzianità contributiva per gli uomini e 41 anni e 6 mesi per le donne. In buona sostanza sono aumentati di un mese i requisiti richiesti rendendo più difficile uscire di scena senza subire penalizzazioni nell'assegno mensile corrisposto.

Nel caso della pensione anticipata, è previsto un disincentivo dell'1% per ogni anno di distanza dal raggiungimento dei 62 anni di età e del 2% per ogni anno prima del compimento dei 60 anni. Le ragioni che hanno portato a questi cambiamenti, contestati sia dai sindacati che da buona parte del governo in carica, sono ben note: equità e convergenza intragenerazionale e intergenerazionale, con abbattimento dei privilegi e clausole derogative soltanto per le categorie più deboli; flessibilità nell'accesso ai trattamenti pensionistici anche attraverso incentivi alla prosecuzione della vita lavorativa.

Sulla quota retributiva del trattamento pensionistico relativa alle anzianità contributive maturate antecedentemente al 1° gennaio 2012 è applicata una riduzione pari a 1 punto percentuale per ogni anno di anticipo nell'accesso al pensionamento rispetto all'età di 62 anni; tale riduzione è elevata a 2 punti percentuali per ogni anno ulteriore di anticipo rispetto a due anni (ovvero rispetto ai 60 anni di età). Nel caso in cui l'età al pensionamento non sia intera la riduzione percentuale è proporzionale al numero dei mesi.

Gli uomini potranno andare in pensione in anticipo rispetto all'età di vecchiaia se hanno almeno 42 anni e 6 mesi di contributi versati, un mese in più di quanto previsto nel 2013. Per le donne saranno necessari almeno 41 anni e 6 mesi di contributi (un mese in più di quanto previsto nel 2013). Anche i requisiti per la pensione anticipata andranno adeguati dal 2016 all'aumento della speranza di vita.




sabato 12 ottobre 2013

Pensioni, un mese in più al lavoro per ottenere quella anticipata



Dal prossimo gennaio 2014 scatterà un ulteriore mese, quindi si passerà a 41 anni e sei mesi per le donne e 42 anni e sei mesi per gli uomini. Nessuna sorpresa nel 2015, mentre nel 2016 ci sarà il nuovo adeguamento alle aspettative di vita: ogni tre anni fino al 2019, poi biennale.

L’Inps ha accorpato diversi istituti previdenziali (Enpals, Inpdap, Ipost) ma rendere uniforme la normativa è cosa assai più ardua. Migrazione gratuita. L’ultimo intervento in ordine di tempo è stato previsto dalla Legge di stabilità 2013 (legge 228/2012) per la quale l’Inps ha emanato la circolare 120/2013.

Con questa circolare è stata disposta, per i dipendenti iscritti all’ex Inpdap (Cpdel, Cpi, Cpug, Cps) cessati dal servizio entro il 30 luglio 2010 senza diritto a pensione, la possibilità di trasferire gratuitamente i contributi accreditati presso il Fondo pensione lavoratori dipendenti. Questa facoltà era stata preclusa dal Dl 78/2010. I lavoratori che hanno in corso un provvedimento di ricongiunzione (articoli 1 o 2 legge 29/1979) con domanda presentata tra il 1˚luglio 2010 e il 1˚gennaio 2013, che non abbiano avuto la liquidazione della pensione, potranno recedere

La riforma delle pensioni aggiunge un altro tassello con le nuove regole per gli iscritti alle gestioni ex Inpdap ed Enpals che, dal prossimo anno, sono destinatari di requisiti più severi, in linea con le regole-base per i lavoratori del settore privato e di quello statale. Lo schema della legge Fornero, a due anni di distanza dal varo del decreto 201/2011 – per affrontare l'emergenza finanziaria – continua a essere valido. Anche le ipotesi correttive non sembrano mettere in discussione l'impianto fondato su due capisaldi: il metodo di calcolo – contributivo pro rata per tutti (anche per coloro che erano stati esclusi dalla Dini del 1995) – e aumento dell'età per il pensionamento, con un innalzamento anche dell'anzianità contributiva.

Per averne diritto bisogna aver cessato il rapporto di lavoro dipendente, mentre non è richiesta la cessazione dell’attività svolta in qualità di lavoratore autonomo. La pensione anticipata decorre dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda, che si può presentare online (dal portale INPS, con PIN e codice fiscale), per telefono (numero verde 803164) o tramite intermediari (enti di patronato o intermediari riconosciuti dall’INPS).

I requisiti anagrafici, in base al decreto legge 201/2011, sono costantemente aggiornati secondo l'andamento della speranza di vita: gli adeguamenti, in una prima fase, sono triennali, poi diventeranno più frequenti, una volta ogni due. La riforma, peraltro, prevede solo ritocchi sll'insù e non è prevista l'ipotesi di correzioni in diminuzione nel caso le tabelle sulla vita media mostrassero un andamento al ribasso.

In ogni caso, l'aumento dei requisiti per la speranza di vita è già avvenuto nel 2013: il prossimo anno, dunque, ci sarà la cristallizzazione dell'incremento (i tre mesi fissati dalla legge). Invece, le novità sono quelle contenute nelle regole "strutturali". Da gennaio, in particolare, aumentano i requisiti anagrafici per la pensione di vecchiaia per le donne del comparto privato: 63 anni e nove mesi per le dipendenti e 64 anni e 9 mesi per le lavoratrici autonome. Per gli uomini, dipendenti e autonomi, restano confermati i 66 anni e tre mesi, così come per le donne dipendenti del settore pubblico.

Per le donne va ricordato che resta aperta la strada dell'opzione al contributivo: in pratica si scambia un'età della pensione un po' anticipata con un metodo di calcolo rispetto a tutti i contributi accreditati che nella generalità dei casi dovrebbe portare a un assegno meno ricco. In pratica, le donne possono optare per il contributivo avendo raggiunto i 57 anni e tre mesi , se dipendenti, e i 58 anni e tre mesi, se autonome.

Attenzione, però: i calcoli di convenienza devono essere fatti velocemente, perché la scelta deve avvenire nelle prossime settimane. Si deve infatti tenere conto dell'intervallo tra la maturazione dei requisiti – 12 mesi per le dipendenti e 18 per le autonome – e la decorrenza dell'assegno, che deve avvenire entro il 31 dicembre 2015.

L'altra chance è costituita dalla pensione anticipata, ma anche in questi casi occorre mettere in preventivo l'aumento dei requisiti stabilito per legge, oltre all'incremento di tre mesi della speranza di vita già incamerato per legge. In pratica, per la pensione anticipata dipendenti e autonomi, dal prossimo anno, dovranno lavorare un mese in più: 42 anni e sei mesi gli uomini e 41 anni e sei mesi le donne.

La pensione anticipata (ex pensione di anzianità) è regolamentata in modo diverso a seconda che il contribuente abbia iniziato a lavorare prima o dopo il 31 dicembre 1995 (da quando la Riforma Dini ha introdotto il metodo contributivo) in quanto cambia il sistema di calcolo dell’importo della pensione:
•    contributivo: per chi ha iniziato a lavorare dopo il 31 dicembre ’95.
•    retributivo: per chi aveva già 18 anni di contributi il 31 dicembre ’95.
•    misto: per chi non aveva 18 anni di contributi a fine ’95, si applica il retributivo per la quota maturata fino a fine ’95 e il contributivo per le anzianità maturate successivamente.


martedì 21 maggio 2013

Governo e la politica del lavoro 2013: esodati, pensione anticipata e staffetta generazionale


Come già scritto su queste pagine con la riforma del lavoro dal 2013 si potrà andare in pensione di vecchiaia con almeno 62 anni e tre mesi se donne (63 anni e 9 mesi se lavoratrici autonome) e con 66 anni e tre mesi se uomini. Si potrà andare in pensione anticipata solo se si sono maturati almeno 42 anni e 5 mesi di contributi se uomini e 41 anni e 5 mesi se donne.

In vista nuove tutele per gli esodati (salvaguardati) e le possibili modificazioni alla riforma delle pensioni che privilegino le staffetta generazionale e sconfortino la pensione anticipata: vediamo i piani del Governo per il 2013.

Per tutelare gli esodati il Governo ragiona su nuove misure per limitare il numero dei salvaguardati si pone come obiettivo di scoraggiare la pensione anticipata, introducendo nella Riforma Fornero elementi di flessibilità sull’età pensionabile e meccanismi del tipo staffetta generazionale.

Queste sono le linee guida illustrate a più riprese dal ministero del Lavoro, Enrico Giovannini.

Il problema riguarda in modo particolare chi è vicino all’età pensionabile (ma che per effetto della Riforma Fornero, non l’ha raggiunta) e chi rischia di trovarsi in analoga situazione nei prossimi anni. Innanzitutto bisogna «migliorare il sistema informativo»: davanti a stime più esatte attese dall’INPS, il governo prenderà le sue disposizioni.

Il punto, ha spiegato Giovannini, non è soltanto «la tutela degli esodati, ma la transizione a un sistema pensionistico che, a causa della riforma, ha subito un brusco cambiamento». Su 130mila lavoratori tutelati, ad oggi sono solo 7mila gli esodati che hanno ottenuto la pensione. Giovannini ha quindi fornito indicazioni sul completamento delle salvaguardie previste.

Per il primo decreto, a fronte dei 65mila soggetti che dovevano essere salvaguardati, ne sono stati salvaguardati 62mila». Ma «non significa che le risorse relative a questi ulteriori 3mila soggetti verranno perdute, perché i decreti successivi indicano chiaramente che le eventuali economie possono essere impiegate in essi».

Per il secondo decreto, «le imprese avrebbero dovuto comunicare entro il 31 marzo le liste dei soggetti che si prevede verranno licenziati (quindi perderanno il posto di lavoro) entro il 31 dicembre, ma in realtà non l’hanno fatto. Perché? Perché non c’è incertezza, anche dal punto di vista delle imprese, se questi soggetti effettivamente verranno espulsi dal sistema produttivo entro quest’anno, o se invece si andrà all’anno prossimo».

Il governo sta considerando di rendere più flessibili le misure che consentono la pensione anticipata, continuando a consentirla ma sempre con decurtazione dell’assegno, e magari incentivare chi invece rimane al lavoro più a lungo.

La legge attualmente prevede per le donne con 35 anni di contributi e 57 anni di età la possibilità di ritirarsi ma calcolando la pensione con metodo contributivo (significa un assegno più basso di almeno il 30% rispetto al retributivo o misto). La riforma Fornero prevede anche un ritiro anticipato per uomini e donne prima dei 62 anni, ma con un prelievo dell’1-2% per ogni anno in meno rispetto all’età pensionabile. Per la pensione anticipata senza decurtazioni bisogna avere 42 anni e 5 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e cinque mesi per le donne).

Infatti, la staffetta generazionale che il ministro del Lavoro sta portando avanti conferma che questo provvedimento sia un punto centrale nel suo progetto. C’è da mettere in evidenza che ci sono diversi modi per realizzare il graduale passaggio di consegne tra i lavoratori anziani e quelli giovani. Un a prima l’idea è quella di un part-time per i lavoratori vicini all’età pensionabile, che manterrebbero la contribuzione piena (a carico dell’ente previdenziale) mantenendo i requisiti pensionistici. Le aziende risparmierebbero ma dovrebbero in cambio assumere un giovane per ogni part-time di un lavoratore anziano, per esempio in apprendistato o a tempo indeterminato.

La seconda idea prevede che il lavoratore anziano non vada in part time ma in pensione prima della scadenza naturale. E in questo caso bisogna intervenire sull'altra riforma Fornero, proprio quella che ha alzato l'età pensionabile.

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