Dal mese di gennaio 2013 debutta l'Aspi, la nuova Assicurazione Sociale per l'Impiego (Aspi), che sostituirà l'indennità contro la disoccupazione involontaria e a regime dal 2017 anche l'indennità di mobilità.
Quindi ogni tipo di tutela della disoccupazione confluirà nell'Assicurazione Sociale per l'Impiego (Aspi), con il graduale superamento dell'indennizzato di mobilità. La nuova assicurazione sociale per l'impiego sostituirà l'indennità di mobilità e le varie indennità di disoccupazione. Questa Assicurazione prevede l'ampliamento della platea dei soggetti tutelati (tutti i dipendenti del settore privato, compresi gli apprendisti), l'aumento della misura e della durata delle indennità erogabili e un sistema di finanziamento alimentato da un contributo ordinario nonché da maggiorazioni contributive.
L’Inps, con il messaggio n. 20830 del 18 dicembre 2012, ha chiarito che i lavoratori che firmano una risoluzione consensuale durante un tentativo obbligatorio di conciliazione, a causa di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, hanno diritto all’Aspi o alla Mini-Aspi, ovvero all’ex indennità di disoccupazione con requisiti ordinari e ridotti.
Quindi dal 1° gennaio 2013, entreranno in vigore due nuove indennità mensili per il sostegno al reddito dei lavoratori subordinati che abbiano perduto involontariamente il lavoro. È su questo punto che è intervenuto il messaggio dell’INPS, a chiarire quando la risoluzione consensuale dà diritto al lavoratore di richiedere l’Aspi o la Mini-Aspi. La Riforma del Lavoro, riscrivendo l’art. 7 della legge n. 604 del 1966, prevede il tentativo obbligatorio di conciliazione nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo e per le “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al suo regolare funzionamento”. Ma si precisa che questa procedura deve essere seguita solo dai datori di lavoro con più di 15 dipendenti, che hanno il requisito dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori.
Vediamo come si sviluppa l’ASPI. Il datore di lavoro e il lavoratore, in caso di licenziamento comunicato dal datore di lavoro, avviano il tentativo obbligatorio di conciliazione, cercando di raggiungere un accordo per risolvere il rapporto consensualmente. In questo caso, per legge il lavoratore acquisisce il diritto di accedere all’Assicurazione sociale per l’impiego (Aspi), a certe condizioni.
Se in possesso dei requisiti previsti dalla normativa dell’Aspi, ovvero 52 settimane di contributi versati negli ultimi due anni e 2 anni di contributi assicurativi presso l’Inps, il lavoratore ha un incentivo in più per aderire alla risoluzione consensuale, perché percepisce dagli 8 ai 12 mesi di indennità mensile pari al 75% della retribuzione mensile per i primi 6 mesi.
Se, invece, il lavoratore non è in possesso di 52 settimane di contributi ma è in possesso delle 78 giornate lavorate nel 2012, ha diritto alla Mini-Aspi 2012, che viene erogata nella stessa percentuale e per la metà delle settimane lavorate nell’ultimo anno.
Se si raggiunge un accordo, si arriva alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, in base alla quale per il lavoratore scatta l’applicazione delle normative dell’Assicurazione sociale per l’impiego (Aspi) e il lavoratore, di conseguenza, percepisce la nuova indennità di disoccupazione prevista a partire dal 2013.
L'Aspi spetta dall'ottavo giorno successivo alla data di cessazione dell'ultimo rapporto di lavoro, o dal giorno successivo a quello in cui sia stata presentata la relativa domanda, a condizione che permanga la condizione di disoccupazione. La liquidazione dell'indennità avviene, a pena di decadenza, dietro presentazione, da parte dei lavoratori aventi diritto di un'apposita domanda, da inviare all'Inps esclusivamente in via telematica, entro due mesi dalla data di spettanza del trattamento. La fruizione dell'indennità è comunque condizionata alla permanenza dello stato di disoccupazione.
Vediamo in sintesi cosa cambia con l'arrivo della nuova Assicurazione Sociale per l'Impiego.
Aspetto retributivo: per le retribuzioni mensili fino a 1.180 euro mensili (valore 2013) l'Aspi sarà pari al 75% (dal 60% attuale per l'indennità di disoccupazione). Per le retribuzioni superiori a questa soglia si avrà diritto al 25% della parte eccedente con un tetto massimo per l'Aspi pari per il 2013 a 1.119,32 euro.
Per poter beneficiare dell'Aspi è necessaria un'anzianità assicurativa pari a due anni, e almeno un anno di contribuzione nel biennio precedente il licenziamento. Possono chiederla i lavoratori dipendenti del settore privato compresi gli apprendisti ad esclusione del clero e dei giornalisti.
La durata della prestazione a regime potrà essere per 12 mesi se si hanno meno di 55 anni e per 18 mesi per gli over 55. Dopo i primi sei mesi nè prevista una riduzione del 15% dell'importo e di un altro 15%, qualora ancora dovuto, dopo il primo anno. Per il 2013 la transizione prevede ancora 8 mesi di assegno per gli under 50 e 12 mesi per gli over 50.
L’Aspi sarà finanziata da una contribuzione fissa, a carico del datore di lavoro, pari al 1,31% (lo stesso versato oggi per la disoccupazione nei rapporti di lavoro dipendente) ma è prevista una contribuzione aggiuntiva dei datori di lavoro per i contratti a termine dell'1,4%. Per il datore di lavoro che trasformasse il contratto a termine in uno a tempo indeterminato è possibile il recupero del contributo aggiuntivo per un massimo di sei mensilità.
Sarà possibile trasformare l'indennità Aspi in liquidazione per poter così avere un capitale e avviare un'impresa. Il lavoratore che però rifiuta un impiego con una retribuzione superiore almeno del 20% rispetto all'indennità che percepisce perde il sussidio.
Fino al 2014 la mobilità resisterà ancora: fino alla fine del 2014 la transizione verso l'Aspi prevede ancora che il sussidio duri 12 mesi per gli under 40 anni (24 al Sud), 24 mesi per chi ha tra 40 e 49 anni (36 al Sud), 36 mesi per gli over 50 (48 al Sud) per poi diminuire gradualmente negli anni successivi fino ad arrivare nel 2017 a 12 mesi per gli under 55 e 18 mesi per i più anziani.
martedì 1 gennaio 2013
Lavoro: dal 2013 arriva il nuovo sussidio di disoccupazione l’Aspi
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lunedì 31 dicembre 2012
Ministero del Lavoro e falsa partita Iva
Il ministero del Lavoro ha scelto una partenza morbida per l'azione di contrasto alle false partite Iva, cioè per quei lavoratori che vengono di fatto costretti ad aprire una posizione Iva per mascherare da lavoro autonomo posizioni di lavoro che sono in realtà di collaborazione coordinata e continuativa o anche di lavoro subordinato.
Con un decreto ministeriale e una circolare diramata dall'Ufficio ispettivo dello stesso ministero del Lavoro - si è precisato infatti che la presunzione di "falsa partita Iva" non si applica:
se la prestazione è svolta da un iscritto a un Ordine professionale
se il lavoratore è in possesso di una specifica "competenza", che (secondo la circolare) può derivare anche dal possesso di una laurea o di un diploma di scuola superiore (liceo o istituto professionale).
Infatti, il professionista iscritto a un Albo non deve provare l’attività autonoma ai fini dell’esclusione dalla presunzione di “falsa” partita IVA.
Comunque restano esclusi dalla presunzione di “falsa” partita IVA prevista dalla Riforma del Lavoro (L. n. 92/2012) i professionisti iscritti a un ordine, albo o elenco purché sia tenuto o controllato da una amministrazione pubblica e per la relativa iscrizione sia necessario un esame di Stato, oppure una valutazione di titoli. Simile discorso per le imprese artigiane e commerciali iscritte alla Camera di commercio e le federazioni sportive a condizione che per l'iscrizione non sia necessaria una semplice domanda, ma si assume come obbligo la valutazione di titoli e/o altre condizioni previste dai propri ordinamenti. E’ quanto ha chiarito il Ministero del Lavoro con la circolare n. 32/2012 definendo l'ambito di operatività del meccanismo presuntivo delle “false” partite IVA.
La Riforma del Lavoro all’art. 1, c. 26 ha inserito una norma volta a contrastare un utilizzo distorto delle prestazioni lavorative rese in regime di lavoro autonomo. In particolare, l’intenzione è stata quella di regolarizzare tutti quei lavoratori che si sono visti attirare dai propri datori di lavoro ad aprire una partita IVA, appunto “falsa”, al sol fine di evitare d’ingabbiarsi in contratti di lavoro che risultano più onerosi e costosi per chi offre lavoro.
In riferimento all’attività di verifica, il Ministero fa presente che il momento a partire dal quale si potrà esercitare una presunzione da parte degli organi ispettivi o dai lavoratori interessati, dipenderà dalla combinazione dei tre indici presuntivi:
se si farà valere la postazione fissa e il fatturato di oltre l'80%, la prima verifica potrà essere fatta non prima del 18 luglio 2014 (data di scadenza dei due anni solari previsti dalla legge);
qualora i parametri di controllo siano la durata della collaborazione e la postazione fissa;
la durata della collaborazione e il fatturato, la prima verifica non potrà essere effettuata prima del 2015 atteso che il biennio interessato sarà il 2013/2014.
Dalla circolare viene chiarito che per i primi due parametri la verifica potrà essere fatta solo a posteriori una volta che siano trascorsi i due anni stabiliti dalla legge anche se assumono un diverso criterio di calcolo. Il parametro degli 8 mesi va valutato rispetto all'anno civile (1 gennaio-31 dicembre); mentre per il parametro del fatturato occorre fare riferimento al biennio solare, vale a dire a un doppio periodo di 365 giorni decorrenti dal 18 luglio 2012 (data di entrata in vigore della Legge Fornero).
In ogni caso, precisa ancora la circolare, i controlli potranno avviarsi dal 18 luglio 2014, trascorsi cioè due anni dall'entrata in vigore della riforma del lavoro (la legge 92/2012). Questo perché la stessa riforma - nel modificare l'articolo 69 bis del decreto legislativo 276/2003 - prevede un tempo di due anni per verificare l'eventuale presenza di una prestazione di eccessiva prevalenza, resa cioè a un solo committente in esclusiva o in larghissima parte.
La presunzione dei collaboratori a progetto non opera: qualora siano riconosciute capacità teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi (diploma, laurea o qualifica professionale), oppure da capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell’esercizio concreto di attività; quando il titolare della partita IVA possa dimostrare un fatturato annuo non inferiore a 1,25 volte il minimo imponibile previsto per i contributi dovuti dagli artigiani ed esercenti attività commerciali (che, per l’anno 2012, è pari a € 18.662,50). Affinché operi la suddetta esclusione è necessario che la sussistenza di entrambi i requisiti.
Con un decreto ministeriale e una circolare diramata dall'Ufficio ispettivo dello stesso ministero del Lavoro - si è precisato infatti che la presunzione di "falsa partita Iva" non si applica:
se la prestazione è svolta da un iscritto a un Ordine professionale
se il lavoratore è in possesso di una specifica "competenza", che (secondo la circolare) può derivare anche dal possesso di una laurea o di un diploma di scuola superiore (liceo o istituto professionale).
Infatti, il professionista iscritto a un Albo non deve provare l’attività autonoma ai fini dell’esclusione dalla presunzione di “falsa” partita IVA.
Comunque restano esclusi dalla presunzione di “falsa” partita IVA prevista dalla Riforma del Lavoro (L. n. 92/2012) i professionisti iscritti a un ordine, albo o elenco purché sia tenuto o controllato da una amministrazione pubblica e per la relativa iscrizione sia necessario un esame di Stato, oppure una valutazione di titoli. Simile discorso per le imprese artigiane e commerciali iscritte alla Camera di commercio e le federazioni sportive a condizione che per l'iscrizione non sia necessaria una semplice domanda, ma si assume come obbligo la valutazione di titoli e/o altre condizioni previste dai propri ordinamenti. E’ quanto ha chiarito il Ministero del Lavoro con la circolare n. 32/2012 definendo l'ambito di operatività del meccanismo presuntivo delle “false” partite IVA.
La Riforma del Lavoro all’art. 1, c. 26 ha inserito una norma volta a contrastare un utilizzo distorto delle prestazioni lavorative rese in regime di lavoro autonomo. In particolare, l’intenzione è stata quella di regolarizzare tutti quei lavoratori che si sono visti attirare dai propri datori di lavoro ad aprire una partita IVA, appunto “falsa”, al sol fine di evitare d’ingabbiarsi in contratti di lavoro che risultano più onerosi e costosi per chi offre lavoro.
In riferimento all’attività di verifica, il Ministero fa presente che il momento a partire dal quale si potrà esercitare una presunzione da parte degli organi ispettivi o dai lavoratori interessati, dipenderà dalla combinazione dei tre indici presuntivi:
se si farà valere la postazione fissa e il fatturato di oltre l'80%, la prima verifica potrà essere fatta non prima del 18 luglio 2014 (data di scadenza dei due anni solari previsti dalla legge);
qualora i parametri di controllo siano la durata della collaborazione e la postazione fissa;
la durata della collaborazione e il fatturato, la prima verifica non potrà essere effettuata prima del 2015 atteso che il biennio interessato sarà il 2013/2014.
Dalla circolare viene chiarito che per i primi due parametri la verifica potrà essere fatta solo a posteriori una volta che siano trascorsi i due anni stabiliti dalla legge anche se assumono un diverso criterio di calcolo. Il parametro degli 8 mesi va valutato rispetto all'anno civile (1 gennaio-31 dicembre); mentre per il parametro del fatturato occorre fare riferimento al biennio solare, vale a dire a un doppio periodo di 365 giorni decorrenti dal 18 luglio 2012 (data di entrata in vigore della Legge Fornero).
In ogni caso, precisa ancora la circolare, i controlli potranno avviarsi dal 18 luglio 2014, trascorsi cioè due anni dall'entrata in vigore della riforma del lavoro (la legge 92/2012). Questo perché la stessa riforma - nel modificare l'articolo 69 bis del decreto legislativo 276/2003 - prevede un tempo di due anni per verificare l'eventuale presenza di una prestazione di eccessiva prevalenza, resa cioè a un solo committente in esclusiva o in larghissima parte.
La presunzione dei collaboratori a progetto non opera: qualora siano riconosciute capacità teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi (diploma, laurea o qualifica professionale), oppure da capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell’esercizio concreto di attività; quando il titolare della partita IVA possa dimostrare un fatturato annuo non inferiore a 1,25 volte il minimo imponibile previsto per i contributi dovuti dagli artigiani ed esercenti attività commerciali (che, per l’anno 2012, è pari a € 18.662,50). Affinché operi la suddetta esclusione è necessario che la sussistenza di entrambi i requisiti.
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venerdì 28 dicembre 2012
Pensioni 2013 più leggere: i nuovi coefficienti
I nuovi coefficienti saranno validi per i prossimi tre anni: cifre alla mano, considerando come esempio un montante contributivo complessivo medio di 400 mila euro (lordi), chi andrà in pensione appunto prima di 65 anni - secondo elaborazioni dell'Agi sui nuovi coefficienti fissati dal Ministero del Lavoro - avrà un assegno decurtato di circa 50 euro al mese.
Per la prima volta i coefficienti terranno conto di un'età di pensionamento successiva appunto ai 65 anni, quindi un confronto non è possibile ma le nuove percentuali dai 66 anni in poi sono più alte di quelle precedenti (che erano relative a 65 anni), il che significa che ad esempio chi andrà in pensione a 70 anni, considerando sempre lo stesso montante contributivo complessivo pari a 400 mila euro, percepirà un assegno di 2.012 euro.
Anche prendendo in considerazione un montante contributivo inferiore e cioè pari a 300 mila euro, il taglio sarà mediamente di 50 euro: chi andrà in pensione a 65 anni percepirà 1.254 euro mentre coi coefficienti ancora in vigore oggi, avrebbe 1.297 euro al mese.
Sempre considerando i nuovi coefficienti, e fermo restando come esempio un montante contributivo complessivo pari a 400 mila euro, chi andrà in pensione a 57 anni percepirà un assegno di 1.324 euro (prima gli sarebbero spettati 1.360 euro); andando a riposo a 58 anni si avranno 1.358 euro (contro i precedenti 1.397 euro); chi si fermerà a 59 anni avrà 1.395 (prima erano 1.433 euro), a 60 anni 1.434 euro (prima erano 1.477 euro); a 61 anni 1.475 euro (prima erano 1.520 euro) e a 62 anni percepirà un assegno mensile di 1.509 euro, mentre prima gli sarebbero spettati 1.566 euro.
Comunque con i nuovi coefficienti di calcolo della pensione al via dal 2013: per ottenere lo stesso importo di pensione di chi è uscito dal lavoro fino al 2012 bisognerà lavorare un anno in più.
E così, chi andrà a riposo a 63 anni percepirà 1.567 euro (prima 1.618 euro); a 64 anni 1.618 (contro i precedenti 1.670 euro). A 65 anni, la pensione ammonterà a 1.672 euro (contro i 'precedenti' 1.729 euro). Il trattamento lievita con l'aumentare dell'età: sarà pari a 1.792 euro per chi avrà 67 anni, a 1.860 anni per chi avrà 68 anni e a 1.933 per chi avrà 69 anni.
Questo perché con il nuovo sistema di calcolo, viene considerata l'età del lavoratore nel momento in cui va in pensione ma anche l'evoluzione della vita media: dal 1 gennaio appunto scatterà un aumento di tre mesi dell'aspettativa di vita. Per i prossimi tre anni e cioè dal 2013 al 2015 saranno validi questi che quelli attualmente in vigore erano stati introdotti nel 2010, i prossimi riguarderanno il 2016-2019 mentre successivamente, quando l'età pensionabile sarà per tutti a 67 anni, la cadenza del ricalcolo sarà biennale.
I coefficienti terranno conto di un'età di pensionamento successiva ai 65 anni, arrivando fino a 70 anni. Questi coefficienti determinano la percentuale del montante da corrispondere come pensione annua in tutti i casi di calcolo contributivo: i contributi versati vengono accumulati anno per anno e rivalutati ad un tasso dato dalla variazione media quinquennale del Pil nominale (che comprende quindi sia la crescita sia l'andamento dei prezzi). Questo capitale viene poi trasformato in una rendita pensionistica attraverso i coefficienti, rivisti ogni tre anni (e in seguito ogni due) in base agli andamenti demografici.
Per chi esce dal lavoro a 57 anni (in pratica solo le donne che scelgono di uscire prima accettando di avere tutta la pensione calcolata con il metodo contributivo dato che gli uomini che riescono ancora a uscire a questa età grazie alla pensione anticipata possono godere ancora del metodo retributivo perché hanno più di 18 anni di contributi al 1995) avrà un coefficiente di calcolo che scende dal 4,419% a 4,304%. Chi uscirà a 62 anni avrà un coefficiente del 4,940%, lo stesso di chi è uscito a 61 anni fino al 2012. Probabilmente l'importo sarà solo lievemente più alto grazie all'aumento del montante contributivo dovuto a un anno in più di lavoro.
Per avere un coefficiente del 5,620 (il più alto fino al 2012, applicato a chi usciva a 65 anni) ci vorranno 66 anni di età (5,624 il nuovo coefficiente). Ma dai 67 anni in poi il coefficiente di calcolo sale rapidamente fino ad arrivare a 70 anni al 6,541%. Si tiene conto infatti del fatto che uscendo dal lavoro a questa età la pensione si percepirà per meno tempo (si tiene conto dell'attesa di vita a 65 anni).
Ecco i nuovi coefficienti a seconda delle età di pensionamento:
- 57 anni: 4,304% (4,42% fino al 2012)
- 58 anni: 4,416% (4,54% fino al 2012)
- 59 anni: 4,535% (4,66% il precedente)
- 60 anni: 4,661% (4,80% il precedente)
- 61 anni: 4,796% (4,94% il precedente)
- 62 anni: 4,940% (5,09% il precedente)
- 63 anni: 5,094% (5,26% il precedente)
- 64 anni: 5,259% (5,43% il precedente)
- 65 anni: 5,435% (5,62% il precedente)
- 66 anni: 5,624%
- 67 anni: 5,826%
- 68 anni: 6,046%
- 69 anni: 6,283%
- 70 anni: 6,541%.
Per la prima volta i coefficienti terranno conto di un'età di pensionamento successiva appunto ai 65 anni, quindi un confronto non è possibile ma le nuove percentuali dai 66 anni in poi sono più alte di quelle precedenti (che erano relative a 65 anni), il che significa che ad esempio chi andrà in pensione a 70 anni, considerando sempre lo stesso montante contributivo complessivo pari a 400 mila euro, percepirà un assegno di 2.012 euro.
Anche prendendo in considerazione un montante contributivo inferiore e cioè pari a 300 mila euro, il taglio sarà mediamente di 50 euro: chi andrà in pensione a 65 anni percepirà 1.254 euro mentre coi coefficienti ancora in vigore oggi, avrebbe 1.297 euro al mese.
Sempre considerando i nuovi coefficienti, e fermo restando come esempio un montante contributivo complessivo pari a 400 mila euro, chi andrà in pensione a 57 anni percepirà un assegno di 1.324 euro (prima gli sarebbero spettati 1.360 euro); andando a riposo a 58 anni si avranno 1.358 euro (contro i precedenti 1.397 euro); chi si fermerà a 59 anni avrà 1.395 (prima erano 1.433 euro), a 60 anni 1.434 euro (prima erano 1.477 euro); a 61 anni 1.475 euro (prima erano 1.520 euro) e a 62 anni percepirà un assegno mensile di 1.509 euro, mentre prima gli sarebbero spettati 1.566 euro.
Comunque con i nuovi coefficienti di calcolo della pensione al via dal 2013: per ottenere lo stesso importo di pensione di chi è uscito dal lavoro fino al 2012 bisognerà lavorare un anno in più.
E così, chi andrà a riposo a 63 anni percepirà 1.567 euro (prima 1.618 euro); a 64 anni 1.618 (contro i precedenti 1.670 euro). A 65 anni, la pensione ammonterà a 1.672 euro (contro i 'precedenti' 1.729 euro). Il trattamento lievita con l'aumentare dell'età: sarà pari a 1.792 euro per chi avrà 67 anni, a 1.860 anni per chi avrà 68 anni e a 1.933 per chi avrà 69 anni.
Questo perché con il nuovo sistema di calcolo, viene considerata l'età del lavoratore nel momento in cui va in pensione ma anche l'evoluzione della vita media: dal 1 gennaio appunto scatterà un aumento di tre mesi dell'aspettativa di vita. Per i prossimi tre anni e cioè dal 2013 al 2015 saranno validi questi che quelli attualmente in vigore erano stati introdotti nel 2010, i prossimi riguarderanno il 2016-2019 mentre successivamente, quando l'età pensionabile sarà per tutti a 67 anni, la cadenza del ricalcolo sarà biennale.
I coefficienti terranno conto di un'età di pensionamento successiva ai 65 anni, arrivando fino a 70 anni. Questi coefficienti determinano la percentuale del montante da corrispondere come pensione annua in tutti i casi di calcolo contributivo: i contributi versati vengono accumulati anno per anno e rivalutati ad un tasso dato dalla variazione media quinquennale del Pil nominale (che comprende quindi sia la crescita sia l'andamento dei prezzi). Questo capitale viene poi trasformato in una rendita pensionistica attraverso i coefficienti, rivisti ogni tre anni (e in seguito ogni due) in base agli andamenti demografici.
Per chi esce dal lavoro a 57 anni (in pratica solo le donne che scelgono di uscire prima accettando di avere tutta la pensione calcolata con il metodo contributivo dato che gli uomini che riescono ancora a uscire a questa età grazie alla pensione anticipata possono godere ancora del metodo retributivo perché hanno più di 18 anni di contributi al 1995) avrà un coefficiente di calcolo che scende dal 4,419% a 4,304%. Chi uscirà a 62 anni avrà un coefficiente del 4,940%, lo stesso di chi è uscito a 61 anni fino al 2012. Probabilmente l'importo sarà solo lievemente più alto grazie all'aumento del montante contributivo dovuto a un anno in più di lavoro.
Per avere un coefficiente del 5,620 (il più alto fino al 2012, applicato a chi usciva a 65 anni) ci vorranno 66 anni di età (5,624 il nuovo coefficiente). Ma dai 67 anni in poi il coefficiente di calcolo sale rapidamente fino ad arrivare a 70 anni al 6,541%. Si tiene conto infatti del fatto che uscendo dal lavoro a questa età la pensione si percepirà per meno tempo (si tiene conto dell'attesa di vita a 65 anni).
Ecco i nuovi coefficienti a seconda delle età di pensionamento:
- 57 anni: 4,304% (4,42% fino al 2012)
- 58 anni: 4,416% (4,54% fino al 2012)
- 59 anni: 4,535% (4,66% il precedente)
- 60 anni: 4,661% (4,80% il precedente)
- 61 anni: 4,796% (4,94% il precedente)
- 62 anni: 4,940% (5,09% il precedente)
- 63 anni: 5,094% (5,26% il precedente)
- 64 anni: 5,259% (5,43% il precedente)
- 65 anni: 5,435% (5,62% il precedente)
- 66 anni: 5,624%
- 67 anni: 5,826%
- 68 anni: 6,046%
- 69 anni: 6,283%
- 70 anni: 6,541%.
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