giovedì 1 novembre 2012

Legge di stabilità 2013 per i lavoratori dipendenti


Niente più taglio delle aliquote Irpef, e destinazione dei risparmi alla sterilizzazione della aliquota intermedia dell'Iva, quella del 10%, e a detrazioni a favore del lavoro. Con la legge di Stabilità 2013: saltano il taglio delle aliquote IRPEF per i primi scaglioni di reddito e la retroattività al 2012 per detrazioni e deduzioni fiscali, a beneficio di una riduzione del cuneo fiscale e della abolizione dell’aumento IVA per la sola aliquota del 10% che non salirà all’11%.

Quindi non è una sorpresa neppure l’abolizione del taglio alle aliquote IRPEF per i redditi fino a 28mila euro. Le imprese avevano espressamente chiesto al Governo di abolire gli sconti per i contribuenti con redditi inferiori preferendovi un taglio del cuneo fiscale.

In sintesi, si dirottano le risorse per ridurre le tasse ai meno abbienti per finanziarie interventi che possano ridurre il costo del lavoro per le imprese (obiettivo: favorire produzione e investimenti) e compensare il mancato aumento dell’aliquota IVA all’11% (obiettivo: non massacrare i consumi).

Le misure che il Governo adotterà per ridurre il cuneo fiscale andranno in primis a vantaggio dei dipendenti e solo in un secondo momento a beneficio anche delle imprese: «prima si redistribuiranno le risorse residue dal mancato taglio delle aliquote al costo del lavoro, privilegiando per il 2013 i lavoratori dipendenti, e dal 2014, una volta valutate le risorse disponibili, anche le imprese», ha dichiarato il relatore Pier Paolo Baretta.

«Nell'ordine - ha precisato Baretta - prima si provvederà a evitare l'aumento dell'Iva e quindi si redistribuiranno le risorse residue dal mancato taglio delle aliquote al costo del lavoro, privilegiando per il 2013 i lavoratori dipendenti, e dal 2014, una volta valutate le risorse disponibili, anche le imprese». Renato Brunetta ha invece «dato atto al Governo che ci sarà una buona riscrittura del testo» e «sarà riscritta interamente e sarà più intelligente».

Dunque salta la riduzione di un punto dei primi due scaglioni delle aliquote Irpef che restano al 23 e al 27%. Con quelle risorse, hanno spiegato i relatori del ddl Stabilità, l'aliquota al 10% dell'Iva non aumenterà, viene «sterilizzata», e ci sarà un taglio del cuneo fiscale a favore del lavoratore per il 2013.

Ci sarà una identificazione del Fondo sociale da 900 milioni di Palazzo Chigi e l'istituzione di un nuovo fondo nel quale potrebbero essere riversate le risorse del cosiddetto piano Giavazzi. Sarà identificato nella parte strettamente sociale, il secondo dovrà invece servire alla riduzione del carico fiscale per famiglie e imprese.

Per cuneo fiscale si deve intendere il 68,3% dei profitti delle imprese, che  è oggi rappresentato da oneri fiscali e contributivi, come ha sottolineato il direttore generale di Confindustria, Marcella Panucci, in audizione al Parlamento sulla manovra finanziaria 2013, mettendo a più riprese l’accento sull’elevato «livello del cuneo fiscale e contributivo sul lavoro e del carico fiscale sulle imprese».
Due sono le possibili alternative, la seconda delle quali è la più accreditata:
1.destinare le risorse che il rigore nella gestione dei conti pubblici (spending review) e l’azione di contrasto all’evasione fiscale libereranno alla riduzione del cuneo fiscale.

2.rinunciare al taglio IRPEF in favore delle detrazioni su lavoro dipendente e riduzione IRAP.

Tema canto caro per i lavoratori dipendenti, ossia l’intervento su detrazioni e deduzioni resta in sospeso: però è data per scontata la cancellazione dell’effetto retroattivo, ma potrebbe entrare successivamente in vigore eventualmente in forma un po’ più raffinata.

Confidustria: la crisi del lavoro


Secondo Confindustria "la principale fonte di instabilità rimane l'Eurozona, dove gli indicatori qualitativi mostrano un peggioramento della recessione nel trimestre in corso; i passi avanti istituzionali compiuti hanno nettamente ridotto il rischio di dissolvimento della moneta unica, ma non bastano a rompere il circolo vizioso “recessione-restrizione di bilancio-banche selettive"

"Le turbolenze non sono finite" e "il quadro resta, da tempo ormai, condizionato dalle incognite sulla composizione del Parlamento che uscirà tra pochi mesi dalle elezioni". E' quanto ha  affermato il Centro studi di Confindustria nell'analisi mensile.

"Le statistiche in agosto hanno sorpreso all'insù, ma il clima di fiducia rimane ai minimi e il 'meno peggio' estivo – ha spiegato il Centro studi nella congiuntura flash - può tradursi in una flessione più' marcata in autunno, complice il deterioramento nel resto della Ue. Tuttavia, la caduta della domanda interna è stata così violenta da creare spazi per un rimbalzo e l'indice anticipatore Ocse predice la graduale attenuazione della riduzione del Pil nei prossimi trimestri".

Secondo i dati prodotti dalla Cgia Mestre: nel 2012 chiudono 1000 imprese al giorno. Anche se quelle nate sono più numerose di quelle cessate, nei primi 9 mesi di quest'anno sono poco più di 279.000 le imprese che hanno chiuso i battenti: praticamente 1.033 al giorno. E' quanto segnala l'Ufficio studi della Cgia di Mestre secondo il quale "a impensierire" è il fatto che, nonostante il saldo sia positivo e pari a quasi a 20.000 imprese, "ad aprire siano aziende con dimensioni occupazionali molto contenute, mentre quelle che chiudono sono quasi sempre delle attività strutturate con diversi lavoratori alle loro dipendenze. Prova ne sia che il tasso di disoccupazione sta crescendo in maniera preoccupante".

"Nonostante il saldo della nati-mortalità delle aziende sia positivo – ha commentato Giuseppe Bortolussi segretario della Cgia di Mestre - dobbiamo ricordare che molte persone hanno aperto un'attività in questi ultimi anni di crisi, non perché' in possesso di una spiccata vocazione imprenditoriale, bensì dalla necessità di costruirsi un futuro occupazionale dopo esser stati allontanati dalle aziende in cui prestavano servizio come lavoratori dipendenti. Questa dinamicità del sistema è un segnale positivo, ma non sufficiente a tranquillizzarci. Se entro i primi 5 anni di vita il 50% delle aziende muore per mancanza di credito, per un fisco troppo esoso e per una burocrazia che spesso non lascia respiro, c'è il pericolo che la tenuta di buona parte di questi nuovi imprenditori, figli della difficoltà economica che stiamo vivendo, sia inferiore a quella di coloro che hanno avviato un'attività prima dell'avvento della crisi".

"In passato – ha proseguito Bortolussi  - la decisione di aprire la partita iva maturava dopo molti anni di esperienza lavorativa come dipendente: non a caso oltre il 50% dei piccoli imprenditori proviene da una esperienza come lavoratore subordinato e spesso gli investimenti realizzati per aprire una impresa erano il frutto dei risparmi. Ora, difficilmente ciò avviene: si apre per necessità, perché magari il posto di lavoro non c'è più e quindi bisogna inventarsi una nuova opportunità lavorativa a scapito delle motivazioni, della preparazione professionale e della capacita' organizzativa".

E poi i dati riferiti all'artigianato sono ancor più preoccupanti: negli ultimi tre anni il saldo nazionale della mortalità delle aziende di questo settore ha sempre segno negativo: -15.914 nel 2009, -5.064 nel 2010 e -6.317 nel 2011. Nei primi tre mesi del 2012 (ultimo dato disponibile) il saldo ha toccato la punta massima di -15.226: i settori più in difficoltà sono quelli delle costruzioni, le attività manifatturiere e i servizi alla persona.

mercoledì 31 ottobre 2012

Tribunale di Bologna: reintegro del posto di lavoro, no licenziamento

Prima battuta d’arresto per la riforma dei licenziamenti appartenente alla Fornero. Bastano le scuse del lavoratore a rendere «insussistente il fatto contestato» alla base del licenziamento disciplinare, insussistenza che consente al giudice di applicare la sanzione della reintegrazione nel posto di lavoro, in luogo di un indennizzo economico. Bastano le scuse del lavoratore a rendere «insussistente il fatto contestato» alla base del licenziamento disciplinare, insussistenza che consente al giudice di applicare la sanzione della reintegrazione nel posto di lavoro, in luogo di un indennizzo economico. Lo ha stabilito il Tribunale di Bologna nella sentenza del 15 ottobre 2012.

Il fatto in breve è questo: l’impiegato si era permesso di criticare via email l’organizzazione del lavoro. L’episodio che probabilmente farà storia è questo: un impiegato della Alta srl si lamenta, riferendosi ai tempi di consegna di un lavoro: «Parlare di pianificazione nel gruppo Atti è come parlare di psicologia con un maiale». L’email viene intercettata dai dirigenti e il 30 luglio scorso, appena entrata in vigore la riforma del lavoro del ministro Elsa Fornero, l’azienda parte lancia in resta e licenza per giusta causa. Il lavoratore, assunto nel 2007, fa ricorso d’urgenza ex articolo 700.

Quindi per la riforma dell’articolo 18, molto rumore per che cosa? Gli effetti della prima causa intentata a Bologna, in esecuzione delle nuove norme in materia di licenziamenti, così come previste dalla nuova, contestatissima stesura dell’articolo più discusso nello Statuto dei lavoratori. A tenere banco, per alcuni, mesi era infatti stata la questione dei licenziamenti con o senza “giusta causa”: in base alle interpretazioni più critiche, infatti, la nuova disposizione avrebbe generato una miriade di interruzioni di lavoro a discrezione delle imprese, che, non a caso, avevano spinto con forza la riforma. Ora nasce il dubbio che tanto le valutazioni più catastrofiste, sul nuovo articolo 18 fossero non rispondenti alla realtà dei fatti. A dimostrazione di ciò è la sentenza Tribunale di Bologna che ha prodotto il reintegro per un lavoratore licenziato pochi giorni dopo l’entrata in vigore della legge.

Ma come? La riforma del lavoro Monti-Fornero non doveva servire a risolvere l’eventuale contenzioso con un pagamento economico? In teoria sì, in pratica è rimasto tutto come prima. Vale a dire lascia ampia discrezionalità al magistrato di decidere se e quali comportamenti del lavoratore (o dell’azienda) sono sanzionabili e in che modo. Il legislatore, dimenticandosi di inserire nella norma i casi specifici in cui scatta il licenziamento e quindi l’eventuale pagamento di un’indennità, lascia alle toghe a decidere liberamente.
L’impiegato avrà sicuramente festeggiato, l’azienda masticato amaro per l’obbligo al reintegro (stanno valutando se e come fare ricorso). Resta il piccolo particolare di un precedente che dimostra che poco o nulla è cambiato.

La riforma avrebbe dovuto falciare i casi di reintegro, sterzando, una volta dimostrata l’assenza della giusta causa, per l’indennizzo economico. Ma la sentenza del giudice Maurizio Marchesini ora potrebbe fare giurisprudenza (sicuramente nelle tribune mediatiche), e colpisce alle basi uno dei paletti fondamentali della riforma voluta dal governo Monti.

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