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domenica 20 gennaio 2013

Cessione ramo d'azienda a garanzia del lavoratore per l'anno 2013


Si ha il la cessione ramo d'azienda o trasferimento d'azienda quando, in seguito a operazioni quali cessione contrattuale, fusione, affitto, usufrutto, cambia il titolare della azienda stessa.

L'art. 2112 del Codice Civile 'Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d'azienda', e i suoi successivi Decreti Legislativi, intendono per trasferimento d'azienda qualsiasi operazione che comporti un mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata. Il trasferimento di un ramo di azienda è uno strumento molto importante per le aziende che intendono attuare processi di ristrutturazione e esternalizzazione, nonché espellere il personale aziendale in esubero invece di avviare drastiche procedure di licenziamento.

La cessione può riguardare l'intera azienda o parte di essa e in questo caso si parla di trasferimento di ramo d'azienda.

Questo ultimo tipo di cessione è ammissibile solo se la parte di azienda che si intende trasferire è funzionalmente autonoma al momento della cessione o trasferimento identificata come tale o dal cedente o dal cessionario al momento del trasferimento (detta entità deve presentare una organizzazione di mezzi idonea allo svolgimento dell’attività di impresa, con la possibilità di eventuali e successive integrazioni da parte del cessionario).

Quando vi è la cessione dell'azienda (o di un ramo di essa) cambia il titolare dell'attività e quindi cambia il datore di lavoro. La legge tutela il lavoratore con alcune disposizioni specifiche e prevede che:

il rapporto di lavoro non si estingue, ma continua con il nuovo titolare dell'azienda; il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano; il lavoratore può chiedere al nuovo datore di lavoro il pagamento dei crediti da lavoro che aveva maturato al momento del trasferimento; il nuovo datore di lavoro è pertanto obbligato in solido con il vecchio titolare per la soddisfazione di tali crediti; nel caso di stipulazione di un contratto d'appalto tra azienda d'origine e ramo trasferito, il lavoratore dipendente di questo ultimo può agire in giudizio direttamente nei confronti dell'azienda di origine per obbligarla al pagamento dei debiti che questa ha contratto con il ramo trasferito;

il nuovo titolare deve continuare ad applicare il contratto collettivo nazionale, in vigore al momento del trasferimento, fino alla sua scadenza;

la cessione o trasferimento d'azienda non costituisce motivo di licenziamento;

se la cessione si verifica in imprese che occupano più di 15 dipendenti, è obbligatorio per il datore di lavoro avvertire con comunicazione scritta, almeno 25 giorni prima dell'atto di cessione, le rappresentanze sindacali che avviano procedure di analisi e verifica necessarie alla tutela dei lavoratori , per evitare che il mancato rispetto della normativa potrebbe eludere altri istituti contrattuali e di legge, come le norme sullo Statuto del lavoratori, il collocamento dei disabili.

La cessione di rami societari può risultare per alcune aziende una ricetta necessaria per far fronte alle difficoltà della crisi economica. Il tema sta diventando sempre più di attualità in questo momento, a cavallo tra la fine del 2012 e il 2013.
Dal punto di vista dei giudici – chiamati a esprimersi su queste operazioni in caso di contenzioso – l'esigenza di razionalizzare le strutture aziendali deve bilanciare la libertà di iniziativa economica e salvaguardare l'occupazione e soprattutto i diritti dei lavoratori. In questa direzione, la giurisprudenza è sempre più impegnata nella ricerca degli elementi di legittimità per determinare una genuina ed effettiva operazione di cessione imprenditoriale. In particolare, il filo che lega le pronunce è certamente la presenza di una struttura aziendale con autonomia funzionale e produttiva.

Ricordiamo che con sentenza n. 21711, la Cassazione ha precisato che il trasferimento a un altro datore di lavoro di una serie di contratti di lavoro eterogenei, rappresenta cessione di ramo d'azienda solo se prima del negozio tra cedente e cessionario questi contratti configuravano una vera e propria struttura aziendale con autonomia funzionale e produttiva: in mancanza di questi elementi, il trasferimento è una mera esternalizzazione.

Vediamo il problema Tfr cessione ramo d'azienda. La Cassazione, ribadendo la natura di retribuzione differita del Tfr, sostiene che in caso di cessione di ramo di azienda assoggettata al regime previsto dall'articolo 2112 del Codice civile, il datore di lavoro cedente rimane obbligato nei confronti del lavoratore suo dipendente, il cui rapporto prosegua con il datore di lavoro cessionario, per la quota di trattamento di fine rapporto maturata durante il periodo di rapporto con lui svolto e calcolato fino alla data del trasferimento d'azienda. Viceversa, il datore di lavoro cessionario è obbligato per questa stessa quota soltanto in ragione e nei limiti del vincolo di solidarietà previsto dall'articolo 2112, comma 2. Infine, conclude l'estensore, quest'ultimo, come datore di lavoro cessionario, è l'unico obbligato al trattamento di fine rapporto quanto alla quota maturata nel periodo del rapporto intercorso dopo il trasferimento di azienda.

Comunque per quanto riguarda la tutela dei lavoratori nell'ipotesi di cessione del ramo d'azienda, la legge provvede a disciplinare i criteri e le modalità di attuazione delle rispettive parti in causa, sia per il cedente che il cessionario. Di norma il rapporto di lavoro del lavoratore  dipendente prosegue con il cessionario e quindi il nuovo datore di lavoro. Si tratta di una disposizione di estrema tutela per il dipendente, il quale oltre a mantenere la garanzia del proprio lavoro, conserva anche lo stesso trattamento economico e normativo di cui disponeva presso l'azienda cedente.

domenica 13 gennaio 2013

Detrazioni fiscali 2013 figli a carico in busta paga

Per i lavoratori dipendenti e pensionati con figli a carico, i benefici si vedranno a partire dal 1° gennaio 2013 in sede di retribuzione o pensione mensile, mentre imprenditori e professionisti potranno fruire dei nuovi sconti in sede di dichiarazione dei redditi per l'anno 2013 utilizzando il modello Unico 2014.

L'aumento delle detrazioni per i figli è disposto dalla legge di stabilità gia riportato su queste pagine.  

Quindi dal primo gennaio 2013 aumentano le detrazioni per i figli a carico. Gli effetti si faranno sentire già nella prima busta paga dell’anno. Nelle regioni con debito sanitario i benefici saranno annullati dall’aumento di altre imposte.

Dal 2013, per i figli a carico, si ha perciò diritto a una detrazione dall'imposta lorda di 950 euro per ogni figlio, che salgono a 1.220 euro per i figli con meno di 3 anni. Per i portatori di handicap, questi importi vanno aumentati di 400 euro ciascuno. È bene ricordare, però, che queste cifre sono solo puramente indicative. Le detrazioni, infatti, variano a seconda del reddito del dichiarante: più è alto, più le detrazioni diminuiscono. È inoltre stabilito che per i contribuenti con più di tre figli a carico la detrazione è aumentata di 200 euro per ciascun figlio a partire dal primo.

La detrazione deve essere rapportata al numero di mesi a carico ed alla percentuale di spettanza che può essere esclusivamente pari a 100, 50 o zero.

Si ricorda che la detrazione deve essere ripartita nella misura del 50% tra i coniugi. Tuttavia, i coniugi possono decidere di comune accordo di attribuire l'intera detrazione al genitore con il reddito complessivo più elevato.

La differenza maggiore tra la vecchia e la nuova normativa la sentiranno le famiglie con un figlio disabile. Per i redditi più bassi, quelli sotto i 20.000 euro, e un figlio sotto i tre anni lo sconto arriva a 1.397 euro, 513 in più dell'attuale. Si passa a 1.304 euro se gli introiti annuali sono di 25.000 euro e a 1.211 se il reddito sale a 30.000. Lo sconto minimo per chi guadagna più di 60.000 euro è di 652 euro (239 in più di oggi). Se il bambino ha più di tre anni, si va invece da una detrazione massima di 1.239 euro per i redditi bassi (434 in più dell'attuale normativa) a 578 euro per i redditi più alti (203 in più rispetto al 2012).

In caso di coniuge fiscalmente a carico dell'altro, la detrazione compete a quest'ultimo per l'intero importo. Se l'altro genitore manca o non ha riconosciuto i figli naturali e il contribuente non è coniugato o, se coniugato, si è successivamente legalmente ed effettivamente separato, o se vi sono figli adottivi, affidati o affiliati del solo contribuente e questi non è coniugato o, se coniugato, si è successivamente legalmente ed effettivamente separato, per il primo figlio si applicano, se più convenienti, le detrazioni previste per il coniuge a carico.

Si ricorda che, in caso di variazione, è il dipendente che ha l’obbligo di comunicare ogni modifica per evitare di percepire somme indebite e di essere così perseguito: in assenza della dichiarazione rettificatrice, il comportamento del dipendente è punito con una sanzione amministrativa da un minimo di 258 a un massimo di 2.065 euro.

Tutte le aziende, oltre ai diversi istituti pubblico, si sono adoperate per rispettare queste ultime disposizioni. A questo proposito, l’Inpdap ha recentemente informato, ad esempio, i propri dipendenti che per correggere la loro precedente dichiarazione devono utilizzare il sistema telematico e utilizzare la procedura on-line “autocertificazione carico familiare” sul sistema Intranet, sezione “Inpdap per noi”.

sabato 24 novembre 2012

Lavorare durante le festività 2012 la retribuzione

Come tutti gli anni in questo periodo dove si avvicinano le festività per i lavoratori d'altro canto arrivano dalle agenzie per il lavoro le offerte della grande distribuzione per gli impieghi legati al momento caldo che parte con il Natale e finisce con l'anno nuovo e la Befana. Si cercano in questo periodo di feste soprattutto commessi, magazzinieri, responsabili di negozio, addetti ai banchi di gastronomia in genere. I contratti generalmente sono a tempo determinato o con prestazione occasionale, ma a volte, e soprattutto se ha “retto” il mercato e le sue richieste sono state soddisfacenti, si possono poi trasformare a contratto a tempo indeterminato.

Vediamo l’aspetto retributivo durante il periodo delle festività. Il lavoratore dipendente, esso ha diritto alla retribuzione per i giorni di festività goduti come riposo. Nel caso in cui presta invece il lavoro festivo ha diritto alla retribuzione con una percentuale di maggiorazione. Il lavoratore subordinato ha diritto a giorni di riposo dalla propria attività lavorativa, dallo svolgimento del proprio orario di lavoro contrattuale. Sono riposi previsti dalla legge. Oltre alle ferie, ai permessi e agli altri casi di riposo, il lavoratore ha diritto anche a fruire della sospensione dal lavoro durante le festività. Il lavoratore durante queste ricorrenze festive, ha diritto ad astenersi dal lavoro ed a ricevere la retribuzione per tali giornate. Il diritto al riposo nei giorni festivi non è considerato dall’ordinamento assoluto, poiché non è espressamente sancito dalla Costituzione accanto al diritto al riposo settimanale e alle ferie che sono  previsti dall’art. 36 Costituzione.

Analizziamo i casi più rilevanti di lavoro durante il periodo delle festività. Nel caso in cui una festività cade in un giorno della settimana previsto come lavorativo, il lavoratore ha diritto ad esimersi dal lavoro percependo la relativa retribuzione, salvo diverso accordo con il datore di lavoro o diversa previsione del contratto collettivo nazionale di riferimento. In relazione alla retribuzione occorre distinguere se la paga prevista è fissa oppure varia in base al numero di ore effettivamente lavorate nell’arco del mese di riferimento. Nel primo caso il lavoratore riceverà lo stesso stipendio e quindi la giornata festiva non lavorata non dovrà essere decurtata. Nel secondo caso, invece, il giorno festivo dovrà essere retribuito, per cui il lavoratore avrà diritto a percepire la retribuzione oltre che per le ore di lavoro effettivamente prestate anche per le ore che avrebbe lavorato durante la giornata festiva. Occorre distinguere tra lavoratori pagati a stipendio fisso e lavoratori pagati a ore anche nel caso in cui la festività cade nel giorno di riposo infrasettimanale. Nel primo caso, infatti, non si percepisce alcuna retribuzione aggiuntiva, nel secondo caso invece la festività deve essere pagata in aggiunta alla retribuzione relativa alle ore effettivamente lavorate.

La retribuzione durante le festività è differente a seconda che il lavoratore non presti la propria attività godendo quindi del riposo o che invece lavori. Qualora il lavoratore goda della festività, è necessario distinguere ulteriormente:
i lavoratori retribuiti in misura fissa hanno diritto alla normale retribuzione globale di fatto giornaliera: quindi il compenso dovuto mensilmente rimane inalterato a prescindere dai giorni festivi che ricorrono nello stesso mese;

i lavoratori pagati a ore con busta paga hanno diritto alla normale retribuzione globale di fatto giornaliera compreso ogni accessorio e riproporzionata ad 1/6 dell’orario settimanale di lavoro (o 1/5 nel caso di adozione della settimana corta)
I lavoratori che prestano la propria attività durante una giornata festiva hanno diritto ad una maggiorazione del compenso. Tale maggiorazione è di regola stabilita dai CCNL.

La retribuzione per il giorno di festività non lavorato, e quindi goduto come riposo, è calcolata in maniera differente tra i lavoratori retribuiti in maniera stabile e quelli retribuiti invece ad ore in busta paga. Ai primi spetta la normale retribuzione. Di fatto la retribuzione mensile rimane inalterata, in quanto calcolata su tutte le giornate lavorative del mese, e la festività retribuita come un giorno lavorato, quindi non riduce il numero di giorni retribuiti. La retribuzione è quella globale di fatto, vale a dire tutti gli elementi retributivi percepiti con continuità nel tempo.
Ai lavoratori che sono retribuiti ad ore spetta per la giornata di festività la retribuzione normale giornaliera compreso ogni elemento accessorio, ragguagliata ad un sesto dell’orario settimanale di lavoro.

venerdì 24 agosto 2012

Busta paga 2012 meno tasse, è una nuova promessa?


Che il carico fiscale in Italia è insostenibile e la sua riduzione è uno dei nodi che bloccano le possibilità di rilancio economico è un fatto a cui tutti è chiaro.
Il ministro del Lavoro Elsa Fornero ha sottolineato l'anomalia e il record negativo del cuneo fiscale italiano: vale a dire la differenza fra il costo del lavoro (alto) pagato dalle imprese e la retribuzione netta (bassa) ricevuta dai lavoratori. Una differenza, in quest'ultimo caso, che è conseguenza delle troppe tasse presenti sul cedolino, sulla busta paga del lavoratore dipendente.
Promettere la riduzione delle tasse in busta paga è quanto di più facile. Ma i vincoli di gettito sono tali da far suonare ipotesi e proposte quasi una beffa, una presa in giro per chi è in regola mensilmente con il Fisco. Tanto che il governo ha dovuto con decisione togliere dal tavolo dei piani estivi possibili interventi sull'Irpef: insostenibili se non addirittura controproducenti. Annunciare e promettere tagli in una situazione nella quale tutti finirebbero per aspettarsi nuovi aumenti da subito, spingerebbe a risparmiare e non ad agevolare i consumi.

Il peso del cuneo fiscale è in buon parte dovuto ai contributi sociali che servono per finanziare, ad esempio, le pensioni. E se fosse realmente impensabile una riduzione generalizzata di quelle tasse sul lavoro che gravano sui dipendenti per il 47,6% (la media Ue è del 41,7%). Si dovrebbe agevolare le imprese che assumono, chi fa vera ricerca, si dovrebbe incentivare l'occupazione giovanile e la nascita di nuove imprese. Le promesse e gli annunci trovano un tempo effimero e di pseudo speranza se non sono unite ad una vera politica del lavoro e di azione.

La proposta del ministro del Lavoro è una sperimentazione che serva a ridurre il costo del lavoro. «Non possiamo semplicemente abbattere il cuneo fiscale per tutti i lavoratori - ha affermato Elsa Fornero nel suo intervento al Meeting di Rimini -. Si può pensare a una sperimentazione: le imprese che valorizzano il capitale umano potrebbero avere una sorta di riconoscimento». Il riconoscimento di cui parla il ministro potrebbe avere la forma di uno sconto sui contributi. Fornero ha anticipato che la norma su una possibile sperimentazione della decontribuzione.

Ricordiamo che gli effetti delle manovre del governo Monti, hanno portato fino ad ora ad un aumento delle tasse in busta paga, infatti, si è verificato un sostanziale aumento dell’addizionale regionale Irpef del 0,33 per cento dell’aliquota base (che non è nella discrezionalità delle Regioni); poi c’è già stato un altro prelievo aggiuntivo: il previsto acconto del 30 per cento dell’addizionale del 2012.

lunedì 23 luglio 2012

Lavoro: il trasferimento in azienda deve essere motivato

Il trasferimento che comporta dequalificazione professionale. Non è sanzionabile con il licenziamento per giusta causa il rifiuto del lavoratore di eseguire la prestazione lavorativa dovuta a causa della ritenuta dequalificazione. A precisarlo è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 4709 del 23 marzo del 2012.

E’ bene ricordare che  l’art. 2103 c.c. dispone che il trasferimento possa essere attuato solo in presenza di "comprovate ragioni tecniche organizzative o produttive".
Quindi lavoratore dipendente può essere trasferito solo a condizione che il datore di lavoro possa dimostrare:

l'inutilità di tale dipendente nella sede di provenienza;

la necessità della presenza di quel dipendente, con la sua particolare professionalità, nella sede di
destinazione;

la serietà delle ragioni che hanno fatto cadere la scelta proprio su quel dipendente e non su altri colleghi che svolgano analoghe mansioni.

Queste ragioni debbono essere portate a conoscenza del dipendente per iscritto, prima del trasferimento. Se la lettera non contiene l'indicazione delle ragioni è però necessario che il dipendente le richieda espressamente.

In mancanza delle condizioni sopra esposte, il trasferimento è illegittimo e può essere annullato dal pretore del lavoro, a cui l’interessato deve rivolgersi se ritiene che il provvedimento sia illegittimo.
Il trasferimento presuppone che, nonostante la modifica del luogo di esecuzione della prestazione lavorativa, resti invariato il datore di lavoro.

Resta chiaro dopo la sentenza n. 4709 che, il lavoratore può rifiutare di prestare la propria prestazione di lavoro se il provvedimento di trasferimento non è adeguatamente motivato.

La vicenda vede coinvolto un impiegato addetto all'ufficio commerciale che era stato trasferito ad altro stabilimento con la nuova qualifica di responsabile del magazzino materie prime. Il dipendente aveva aderito al trasferimento ma dopo un breve periodo di lavoro presso la nuova sede, si era messo a disposizione dell'azienda presso la propria abitazione.

L’azienda aveva contestato l’assenza ingiustificata e gli aveva quindi comunicato il licenziamento per giusta causa. Ad avviso del ricorrente il trasferimento ed il conseguente licenziamento erano da ritenersi illegittimi, considerato che il rifiuto di svolgere mansioni dequalificanti era del tutto giustificato, anche in considerazione della palese inconsistenza delle dedotte esigenze di riorganizzazione della gestione del magazzino.

Nei fatti, tuttavia, il dipendente aveva aderito al trasferimento ma dopo un breve periodo di lavoro presso la nuova sede, si era messo a disposizione dell'azienda presso la propria abitazione.

Ad avviso del ricorrente il trasferimento ed il conseguente licenziamento erano da ritenersi illegittimi, considerato che il rifiuto di svolgere mansioni dequalificanti era del tutto giustificato, anche in considerazione della palese inconsistenza delle dedotte esigenze di riorganizzazione della gestione del magazzino.

La sentenza ha ricordato la pronuncia n. 43 del 2007 sul trasferimento di dipendente divenuto invalido che non poteva più essere adibito alla sede originaria. La Cassazione aveva precisato che nella valutazione comparativa dei presunti inadempimenti reciproci, non si può prescindere dalla doverosa considerazione per cui il lavoratore non può rendersi totalmente inadempiente sospendendo ogni attività lavorativa, se il datore di lavoro assolve a tutti gli altri propri obblighi (pagamento della retribuzione, copertura previdenziale e assicurativa, assicurazione del posto di lavoro).

La Corte, nel fare riferimento all'art. 2103 del codice civile, sottolinea come il datore di lavoro abbia l'onere di provare in giudizio le ragioni fondate che hanno determinato il trasferimento, dimostrando le reali ragioni che giustificano il provvedimento. In assenza di ciò, il licenziamento viene annullato.

domenica 26 febbraio 2012

Via libera al controllo delle e-mail dei lavoratori dipendenti


La Corte di Cassazione ha dato il via al controllo delle mail aziendali da parte del datore di lavoro. Infatti, si può controllare la posta elettronica del dipendente purché i controlli siano finalizzati a trovare riscontri a comportamenti illeciti del lavoratore dipendente.
Il controllo della posta elettronica e degli ingressi ad internet da parte del datore di lavoro per analizzare la corretta esecuzione della prestazione è vietato. Non lo è più, però, quando avviene ex post. In seconda battuta, dunque, l'azienda a seguito dell'emersione di elementi di fatto «tali da raccomandare l'avvio di una indagine retrospettiva» può accedere alla corrispondenza telematica del dipendente. E se sussistono delle violazioni ha la facoltà di licenziare. E’ quanto ha stabilito la Corte di cassazione, sentenza n. 2722/2012, respingendo il ricorso di un alto funzionario di banca e confermando le sentenze di primo e secondo grado.
Secondo la Cassazione questi controlli non ledono la dignità e la riservatezza del lavoratore ma attenzione: non sono ammessi tutti i tipi di controllo. Vanno esclusi, spiega la Corte, i controlli per verificare "l'esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro". Insomma si possono solo eseguire controlli destinati "ad assertare un comportamento che pone in pericolo l'immagine" dell'azienda presso terzi.
Il riscontro non riguardava lo svolgimento della prestazione lavorativa .Contro questa sentenza il bancario è ricorso in Cassazione, sostenendo, tra l'altro, che il datore di lavoro avrebbe violato le tutele dello Statuto dei lavoratori sui limiti nei controlli a distanza dei lavoratori dipendenti. Per la Corte, però, il caso è diverso da quello tutelato dall'articolo 4 dello Statuto.
Infatti, l'attività di controllo sulle strutture informatiche aziendali da parte della banca «prescindeva dalla pura e semplice sorveglianza sull'esecuzione della prestazione», essendo, invece, «diretta ad accertare la perpetrazione di eventuali comportamenti illeciti (poi effettivamente riscontrati)». Un controllo al passato dunque che non verteva sull' «esatto adempimento delle obbligazioni» discendenti dal rapporto di lavoro, bensì «destinato ad accertare un comportamento che poneva in pericolo la stessa immagine dell'istituto presso terzi».

venerdì 14 gennaio 2011

Detrazioni fiscali in busta paga

E' arrivato il momento che il lavoratore dipendente compili il modello delle detrazioni fiscali IRPEF e lo consegni al datore di lavoro.
Vediamo alcuni punti.

Le detrazioni fiscali IRPEF riguardano il reddito e sono delle agevolazioni fiscali per i lavoratori dipendenti, le quali decorrono con l'inizio dell'anno solare fino al mese di dicembre.

Ricordiamo che ogni lavoratore dipendente che abbia dei familiari a proprio carico può godere di un beneficio fiscale al momento della dichiarazione annuale dei redditi, dette detrazioni d’imposta.
Per capire l'aspetto fiscale da parte dei lavoratori dipendenti è utile porre delle domande per finalizzare in modo corretto le detrazioni fiscali IRPEF da lavoro.
Chi sono i familiari a carico?
Il coniuge non legalmente ed effettivamente separato; i figli, compresi quelli naturali riconosciuti, gli adottivi, gli affidati e affiliati; altri familiari (genitori, generi, nuore, suoceri, fratelli e sorelle), con la condizione che siano conviventi.
Per essere a carico questi familiari non devono disporre di un reddito superiore 2.840,51 euro al lordo degli oneri deducibili, qui bisogna porre una grande attenzione in quanto da un punto di vista fiscale con la dichiarazione dei redditi dell'anno successivo, l'”errore” viene facilmente riscontrato. 

Chiaramente per legge è prevista una detrazione di 800 euro (a scalare a partire da un reddito di 95.000 euro). La detrazione è aumentata a 900 euro per ciascun figlio di età inferiore a tre anni. Queste detrazioni sono aumentate di un importo pari a 220 euro per ogni figlio portatore di handicap.

Per il coniuge a carico la detrazione prevista è in 800 euro. L'ammontare effettivamente spettante varia, però, in funzione del reddito e con una specifica formula di calcolo detrazioni fiscali.
Non sono previste maggiorazioni nel caso in cui il coniuge sia una persona con disabilita.
Detrazioni fiscali per altri familiari a carico la detrazione massima è pari a 750 euro che diminuisce con l'aumentare del reddito complessivo de contribuente.
Non sono previste maggiorazioni nel caso in cui il familiare sia una persona con disabilita.
In base alla legge i lavoratori dipendenti e i collaboratori a progetto sono tenuti a dichiarare annualmente al datore di lavoro e/o sostituto d’imposta di avere diritto alle detrazioni fiscali (detrazioni d’imposta) per familiari a carico,  nonché a indicare il codice fiscale dei soggetti per i quali si ha diritto alle detrazioni.
Le detrazioni fiscali per i figli è ripartita nella misura del 50% tra i genitori non legalmente ed effettivamente separati (100% al richiedente se il coniuge è a carico), ovvero previo accordo tra gli stessi, spetta al genitore che possiede un reddito complessivo di ammontare più elevato.

La detrazione fiscale irpef in busta paga spetta, in mancanza di accordo, all’affidatario in caso di separazione legale ed effettiva, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio. Nel caso di affidamento congiunto o condiviso la detrazione è ripartita, in mancanza di accordo, nella misura del 50% tra i genitori.
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