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martedì 2 aprile 2013

Scuola, pensionamenti diminuiti addio ai precari

Assunzioni di precari a rischi. La legge di riforma Fornero riduce il turn over dei docenti del 50%
Invecchiano i docenti, ma invecchiano anche i precari in attesa di una occupazione che ritarda sempre di più. La legge Fornero che allunga l’età lavorativa sia per gli uomini che per le donne riduce il turn-over degli insegnanti del cinquanta per cento nelle classi italiane. E secondo i sindacati, a questo punto, sono a rischio anche tutte le 11.542 assunzioni del concorso dei docenti bandito lo scorso autunno.

L’allarme dei sindacati è scattato di fronte ai dati sulle domande di pensionamento del personale della scuola, diffusi dal Ministero dell’Istruzione. Dati provvisori (ciascuna domanda è al vaglio ministeriale) e che potrebbero subire qualche, ma che comunque confermano che il quadro dell’occupazione si è ridotto drasticamente. I docenti che andranno in pensione da settembre sono 10.009, mentre nello scorso anno scolastico sono stati 21.112. Sono di 3.343 unità le uscite del personale Ata, contro i 5.336 dell’anno precedente. Il maggior numero di pensionamenti nelle scuole superiori dove sono state presentate 3.187 domande. Poco meno nella scuola primaria con 3.090 richieste. A seguire le richieste di riposo nella scuola media (2.439) e nella materna (1.293). Tra il personale tecnico ausiliario (gli Ata), a lasciare il posto sono soprattutto i collaboratori scolastici (2.180 domande) e gli assistenti amministrativi (756).

La Flc-Cgil, che accusa il ministero di aver dato i dati sui pensionamenti in ritardo per non aver avuto il coraggio di rivelare «gli effetti disastrosi della riforma Fornero», sostiene che non solo ci saranno meno assunzioni, ma che «perfino l’attuale concorso rischia di non avere posti sufficienti». E riguardo al concorso annunciato nelle scorse settimane dal ministro Francesco Profumo per questa primavera: «Altro che nuovo concorso!». Marcello Pacifico, presidente nazionale dell’Anife: «Sono dati così allarmanti da poter pregiudicare persino le assunzioni del concorso in fase di espletamento. E meglio non parlare del nuovo! Questi dati aumentano il precariato, allontanano le nuove generazioni degli insegnanti e allontanano l’Italia dalla media Ocse».

Tra le conseguenze della riforma Fornero non ci sarebbe solo l’aumento del precariato storico della scuola (160mila stando agli ultimi dati della Funzione Pubblica). Ma anche quella inevitabile di alzare l’età media del personale. Esasperando una caratteristica della scuola italiana che è stata già stigmatizzata dal rapporto Ocse sull’Educazione del 2012. In 19 su 32 dei Paesi dell’Ocse il 60% dei docenti di scuola secondaria ha almeno 40 anni, mentre in Italia sono oltre il 70% (ma anche Germania e Austria superano questa soglia). I giovanissimi, i docenti sotto i 30, in Italia sono solo lo 0,5%, mentre la media Ocse nella primaria arriva al 14%.

domenica 10 febbraio 2013

Il lavoro interinale dopo la riforma Fornero


Ormai il mondo del lavoro richiede il concetto di flessibilità: un concetto che si traduce in un radicale cambiamento del modo di pensare del passato, rivolto al posto fisso, a favore di altre tipologie di contratti di lavoro (atipici). Ed in questo contesto sono nate le agenzie per il lavoro interinale. Che sono agenzie private e, a differenza dei centri per l’impiego, un lavoratore può iscriversi a tutte le agenzie per il lavoro che ritenga opportune

Il contratto di somministrazione di lavoro è disciplinato dagli artt. 20 - 28 del D.Lgs. n. 276 del 2003 ed ha sostituito, senza peraltro alterarne la struttura essenziale, il lavoro interinale.
Ricordiamo che la somministrazione di lavoro si caratterizza per un duplice rapporto contrattuale nell'ambito del quale:

il somministratore, un'Agenzia per il lavoro autorizzata dal Ministero del Lavoro, stipula un contratto di lavoro con un lavoratore, a tempo indeterminato o a tempo determinato, l'utilizzatore, che è un'azienda pubblica o privata, utilizza il lavoratore contrattualizzato dall'Agenzia per esigenze proprie e, a tal fine, stipula un contratto di somministrazione con la medesima agenzia.

I due rapporti contrattuali coinvolgono tre soggetti distinti ed è l'Agenzia per il lavoro che rappresenta il datore di lavoro onerato degli obblighi retributivi e contributivi in favore del lavoratore. Questi, poi, saranno misurati alle mansioni effettivamente svolte dal lavoratore nell'azienda cui il lavoratore viene somministrato.

La riforma Fornero ha parzialmente inciso sul regime della somministrazione di lavoro. In particolare, le innovazioni concernenti la causalità del contratto a tempo determinato hanno riguardato anche il lavoro interinale. Viene così previsto che, per quel che concerne la prima assunzione, il rapporto di lavoro conseguente ad un contratto di somministrazione a tempo determinato possa essere slegato dall'obbligo di indicazione della causale.

Infatti il nuovo comma 1 bis dell’art. 1 del D.Lgs. n 368 del 2001, introdotto dalla Legge n 92 del 2012, ha infatti stabilito la possibilità di assumere a tempo determinato o a mezzo di contratto di somministrazione di lavoro, senza causa, nell’ipotesi in cui la durata del rapporto non sia superiore ai 12 mesi.

Ulteriore previsione normativa dedicata alla disciplina giuridica del contratto di somministrazione del lavoro è quella ricavabile dal neo introdotto art. 5, comma 4 bis del d.lgs. n. 368/2001 (cfr. art. 1, comma 9, lett. j) della legge n 92 del 2006. Nella previgente disciplina del contratto a tempo determinato già si prevedeva che il termine complessivo massimo dei contratti a tempo determinato stipulabili con riferimento ad analoghe mansioni da parte di un unico datore di lavoro fosse quello di 36 mesi.

In forza dell'indicata novità normativa, ai fini del computo del suddetto termine massimo, debbono essere presi in considerazione anche i periodi di lavoro svolti in forza di contratti di somministrazione. La norma prevede infatti che: "ai fini del computo del periodo massimo di trentasei mesi di durata del contratto a tempo determinato si tiene altresì conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni equivalenti, svolti dai medesimi soggetti".

Le agenzie interinali si propongono di offrire alle aziende un insieme di strumenti innovativi per trovare le proprie risorse che garantiscano la trasparenza del mercato del lavoro, in modo da offrire nuovi canali di inserimento soprattutto ai disoccupati, a chi è in cerca della prima occupazione, a chi è in cerca di uno sviluppo di carriera.

L’azienda stipula con l’agenzia interinale un contratto di lavoro ad interim (prestazioni professionali), per un periodo di tempo determinato. Con questo contratto, il lavoratore non dipende dall’impresa ma dall’agenzia e sarà quest’ultima a corrispondergli la retribuzione che dovrà in ogni caso corrispondere a quella degli impiegati presenti all’interno dell’impresa, poiché il legislatore allo scopo di evitare norme discriminatorie ha equiparato il livello retributivo del lavoratore temporaneo a quello dei lavoratori dipendenti.
 

domenica 21 ottobre 2012

Pensioni 2012 -2013 conti in sicurezza

Crollo delle nuove pensioni nei primi nove mesi del 2012: gli assegni liquidati dall'Inps, compresi quelli dell'ex Inpdap, sono stati 199.555 con un calo del 35,5% rispetto ai 309.468 dello stesso periodo del 2011. Il dato è l'effetto della finestra mobile e dello scalino scattati nel 2011 mentre la riforma Fornero ha effetti dal 2013 quando si esauriranno la gran parte delle uscite con le vecchie regole (chi ha raggiunto i requisiti entro il 2011 e poi ha atteso le finestre)..

I dati sull'andamento delle pensioni nei primi nove mesi del 2012 (-35,5% sullo stesso periodo del 2011) confermano che ''le riforme funzionano'' e che i conti ''sono stati messi in sicurezza''. Lo ha detto il presidente dell'Inps, Antonio Mastrapasqua.

Il dato che tiene conto delle pensioni Inpdap, dal 2012 incorporato nell'Inps, è il risultato soprattutto dell'introduzione nel 2011 della finestra mobile (12 mesi di attesa per i dipendenti, 18 per gli autonomi una volta raggiunti i requisiti) e dello ''scalino'' previsto dalla riforma Damiano sempre per il 2011 per la pensione di anzianità con le quote (da 59 a 60 anni l'età minima a fronte di almeno 36 anni di contributi).

Nei primi nove mesi dell'anno l'Inps ha liquidato 140.616 pensioni nel settore privato (-37,4% rispetto alle 224.869 erogate nello stesso periodo del 2011) e 58.939 nel settore pubblico, quello finora gestito dall'Inpdap, ora incorporato nell'Inps (-22,2% rispetto alle 84.599 erogate nello stesso periodo del 2011).
Nel complesso i nuovi assegni liquidati sono stati 110.000 in meno rispetto a quelli liquidati nei primi nove mesi dell'anno scorso dai due enti L'età' media di uscita dal lavoro nel settore privato e' cresciuta di un anno (da 60,3 anni a 61,3 anni) mentre nel settore pubblico si e' passati da 60,8 anni a 61,2 anni. Il calo più consistente e' stato registrato per le pensioni di anzianità nel privato (-44,1%) passate da 127.855 dei primi 9 mesi del 2011 a 71.491 dei primi nove mesi del 2012. Le pensioni di vecchiaia, sempre nel privato, sono diminuite del 28,7% passando da 97.014 a 69.125. Sono diminuiti soprattutto i nuovi assegni per i lavoratori autonomi mentre per i dipendenti (sempre del privato) il calo e' stato del 21,69% (da 132.801 nuove pensioni liquidate tra vecchiaia e anzianità nei primi nove mesi del 2011 a 103.996).

L'Inps non è in grado di garantire tutti i servizi e di tenere aperte le sedi sul territorio con un taglio degli organici di 4.000 persone così come previsto dalla spending review (su 33.000 lavoratori complessivi nel SuperInps). A dirlo è stato il presidente Mastrapasqua spiegando di aver chiesto al Governo un confronto perché l'Inps sia escluso dal taglio degli organici nella PA. "In assenza di un tavolo,ha detto,non mando la delibera sul taglio organici. Penso che i nostri interlocutori ci ascolteranno".

Nei primi 9 mesi del 2012 l'età media di uscita dal lavoro è stata di 61,3 anni, un anno in più rispetto allo stesso periodo del 2011 (60,3 anni). Lo ha sottolineato il presidente dell'Inps. "Penso che l'anno prossimo raggiungeremo e supereremo la Germania". I tedeschi in media vanno in pensione a 61,7 anni ma il loro tasso di sostituzione é del 58,4% dell'ultima retribuzione mentre per i lavoratori italiani, grazie all'uso del metodo retributivo, si aggira ancora sull'80%. In Francia l'età media di uscita dal lavoro è 59,3 anni ma il tasso di sostituzione è del 60,8% rispetto all'ultima retribuzione.

Le pensioni di vecchiaia, sempre nel privato, sono diminuite del 28,7% passando da 97.014 a 69.125. Sono diminuiti soprattutto i nuovi assegni per i lavoratori autonomi mentre per i dipendenti (sempre del privato) il calo è stato del 21,69% (da 132.801 nuove pensioni liquidate tra vecchiaia e anzianità nei primi nove mesi del 2011 a 103.996). Per i coltivatori diretti il calo nel periodo è stato del 67,6% da 20.526 a 6.637 mentre per gli artigiani si è avuto un crollo del 59,6% (da 38.567 assegni a 15.580). Per i commercianti si è passati da 32.975 assegni liquidati a 14.403 (-56,3%). Nel complesso del settore privato (140.616 nuovi assegni) il risultato delle nuove pensioni è stato migliore anche rispetto al previsto (148.948 assegni per i primi 9 mesi).

domenica 30 settembre 2012

Riforma del lavoro 2012: le prestazioni accessorie e i buoni lavoro


Il lavoro occasionale di carattere accessorio è stato concepito dal legislatore con la finalità di favorire l'inserimento nel mondo del lavoro di fasce deboli del mercato aumentando le opportunità presso le famiglie o enti senza scopo di lucro.

Sono prestazioni lavorative di natura autonoma, realizzate a favore di un soggetto senza il vincolo della subordinazione e con il carattere dell’occasionalità. Non è richiesta l’iscrizione in un Albo professionale né l’apertura di una partita Iva, in quanto il corrispettivo versato dal datore di lavoro è soggetto ad una ritenuta d’acconto pari al 20% dell’importo.

Vediamo le novità portate dalla riforma Fornero, ha innovato l'articolo 70 del Dlgs 276 del 2003, dispone che il ricorso ai buoni da parte di un committente pubblico possa avvenire solo nel rispetto dei vincoli previsti dalla vigente disciplina in materia di contenimento delle spese del personale e, ove previsto, dal patto di stabilità interno.

Altra novità, a favore dei prestatori, è la disposizione che considera i compensi percepiti attraverso i voucher utili alla determinazione del reddito necessario per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno.

Per il capitolo oner i, indipendentemente dalla modalità con la quale i voucher sono acquistati (telematica, presso le sedi Inps, presso gli uffici postali, presso i tabaccai, e così via) è sempre necessario effettuare la comunicazione preventiva di inizio della prestazione. Infatti, nell'ipotesi in cui questo obbligo sia violato, scatta la maxi-sanzione prevista per il lavoro nero, nella misura da 1.500 euro a 12mila euro, maggiorata di 150 euro per ciascuna giornata di lavoro effettivo (così come indicato nella circolare del ministero del Lavoro 38/2010).

Ciò significa che bisogna  adempiere nella comunicazione al l'Inps o all'Inail di attivazione delle prestazioni accessorie. Sono diversi i canali attraverso cui questa comunicazione può essere inoltrata: telefonando al contact center Inps-Inail (al numero 803164), collegandosi al sito www.inps.it, alla pagina «Lavoro occasionale» (questa è l'unica modalità nel caso dei voucher acquistati presso i tabaccai), oppure recandosi presso una sede Inps. Se si opta invece per la richiesta dei voucher attraverso la procedura telematica presso il sito Inps (previo acquisto tramite modello F24) sarà necessaria anche la registrazione da parte del prestatore, così da consentire al committente di "inserire" la prestazione.

Ricordiamo inoltre che la legge 92 del 2012 (articolo 1, commi 32 e seguenti) ha rivisitato in primo luogo il ricorso al lavoro accessorio – retribuito tramite i voucher o buoni lavoro – previsto dal Dlgs 276 del 2003.

Il lavoro accessorio è rapporto flessibile, destinato ad «attività lavorative di natura meramente occasionale»: qualunque committente privato o pubblico può oggi rivolgersi a qualunque prestatore di lavoro, anche minore (nel rispetto delle norme in materia di salute sui luoghi di lavoro) – per ottenere una collaborazione e per compensi limitati: il tetto è fissato a 5mila euro per anno solare, con riferimento alla totalità dei committenti, che diventano 2mila euro se il committente è un imprenditore commerciale o professionista. Escluso il settore agricolo, in cui il lavoro accessorio è destinato a pensionati e studenti sotto i 25 anni, per attività stagionali, non ci sono limiti soggettivi alle attività "accessorie".

Anche per il 2013, le prestazioni retribuite attraverso i buoni lavoro sono aperte, in tutti i settori produttivi, compresi gli enti locali, nel limite massimo di 3mila euro di corrispettivo per anno solare, anche per i titolari di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito.

Il pagamento delle prestazioni di lavoro occasionale accessorio avviene attraverso il meccanismo dei buoni.

La riforma del Fornero  ha chiarito il valore "orario" del voucher (articolo 72, comma 1, Dlgs 276 del 2003): salvo migliori intese tra le parti, a ogni ora di lavoro deve corrispondere un buono. Precisata la corrispondenza voucher-ora, si può determinare in modo preciso il tempo che ogni lavoratore può dedicare ogni anno al lavoro accessorio: di norma, non oltre 500 ore. Imprenditori e professionisti, però, non possono dare incarico ai collaboratori per più di 200 ore all'anno.

Occupazione 2012 indagine sul mercato del lavoro per i giovani


In Italia  il capitale umano non è né elevato né ben impiegato. Oggi siamo in una situazione dove la perdita di competitività del 20% negli ultimi dieci anni rispetto alle altre economie dell'area euro. E' quanto ha sottolineato il Rapporto sul mercato del lavoro che ha presentato il Cnel, Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, presieduto da Antonio Marzano. Nel testo, messo a punto dal centro studi Ref diretto da Carlo Dell'Aringa, una lunga parte è dedicata a spiegare il problema, con particolare riferimento ai giovani. Il rapporto offre una fotografia della situazione occupazionale dell'Italia.

Dove solo il 10% dei giovani tra i 20 e 24 anni associa allo studio una qualche esperienza lavorativa, contro livelli superiori al 60% in Danimarca e vicini al 50% in Germania e Regno Unito e al 25% in Francia. Perfino in Spagna sono oltre il 20%. Secondo: a segnalare il drammatico scollamento tra mercato del lavoro e sistema scolastico ci sono 5,2 milioni di lavoratori nella fascia tra 15 e 64 anni, cioè uno su quattro, «che risultano sottoinquadrati» nel lavoro rispetto al loro livello d'istruzione. Tra i giovani, sono uno su tre. Insomma: il capitale umano è sia sottoutilizzato, basti pensare alla disoccupazione giovanile (il 20,2% nella fascia 18-29 anni nel 2011), sia male utilizzato, tanto che da un lato molti posti di lavoro vengono coperti dagli stranieri e dall'altro «centinaia di nostri giovani affollano le università del mondo anglosassone».

«La questione giovani è un tema estremamente delicato», ha messo in evidenza il rapporto del Cnel, perché qui la crisi economica ha colpito duramente, causando un forte aumento del tasso di disoccupazione in tutti i Paesi europei. In Italia però, «persiste una cultura - unica in Europa - che ancora separa nettamente il momento formativo da quello lavorativo. Solamente il 10% dei ragazzi coniuga il percorso di studi ad una qualche esperienza lavorativa» e ciò, ovviamente, «contribuisce a rendere la transizione scuola lavoro più lunga e difficile».

Nei Paesi che invece hanno «da sempre sostenuto un mix di istruzione e lavoro si sono registrati livelli di disoccupazione giovanile più bassi e la transizione scuola-lavoro tende ad avere tempi più brevi». Mediamente in Italia per trovare il primo impiego ci si mette più di due anni, 25,5 mesi per la precisione. In Germania ne bastano 18. In Danimarca 14,6, nel Regno Unito 19,4. Solo in Spagna stanno peggio di noi, con un'attesa media di quasi tre anni (34,6 mesi). Stesso trend anche se si calcola il tempo medio prima di trovare un lavoro a tempo indeterminato. In Italia ci vogliono quasi quattro anni (44,8 mesi). In Danimarca solo 21,3 mesi, ma lì non c'è l'articolo 18 (ora attenuato dopo la riforma Fornero) e le aziende possono licenziare facilmente. In Germania per un lavoro stabile si attendono in media 33,8 mesi, nel Regno Unito tre anni.«I giovani che  hanno appena completato gli studi - osservano i ricercatori - se restano per un periodo lungo in condizione di inattività, tendono a registrare un deterioramento del loro capitale umano». Inoltre, «la ricerca di un posto può portare alcuni ad accettare lavori per i quali sono richiesti requisiti inferiori rispetto al percorso scolastico seguito: è il fenomeno dell'over education ».

Il Presidente della Commissione speciale per l'informazione (III) del Cnel che ha curato il Rapporto, Edoardo Patriarca, ha evidenziato alcuni aspetti nodali della situazione del mercato del lavoro in Italia:

La perdita di posizioni rispetto alle altre economie europee, soprattutto quelle dell'area tedesca, apre seri quesiti sulla capacità del nostro sistema produttivo di superare l'urto della recessione e di riprendere, in tempi brevi, un periodo di crescita.

Un serio e forte rilancio del manifatturiero nel nostro Paese passa necessariamente attraverso una serie di snodi strutturali.

Le difficoltà dell'economia italiana non potranno che ripercuotersi sull'andamento della domanda di lavoro.

Il graduale processo di femminilizzazione del mercato del lavoro necessita di un rafforzamento delle politiche a sostegno delle famiglie e del lavoro delle donne.

Va segnalata la crescita della quota di lavoratori stranieri nonostante la crisi, specie in quei settori nei quali la domanda di lavoro non viene soddisfatta completamente dai lavoratori italiani.

Lo scollamento tra i risultati del sistema formativo e la domanda di lavoro va ad incrementare il fenomeno noto come over-education, evidente per le classi di età giovanile, e assume una maggiore intensità tra le giovani laureate, le quali, nel 50% dei casi, risultano sotto-inquadrate.

Chi trova lavoro, qualunque titolo di studio abbia in tasca, lo trova di norma a tempo determinato. È normale all'inizio. Quello che non è normale è non riuscire a passare a un lavoro stabile. L'analisi, dice il rapporto, «evidenzia come l'occupazione a termine abbia ridimensionato il suo ruolo di trampolino o comunque passaggio per entrare nell'occupazione permanente e abbia invece creato un segmento a sé stante di occupati». Se prima della crisi quasi il 29% degli occupati a termine diventava permanente l'anno successivo, «ora questo vale per il 23% dei temporanei» mentre coloro che finiscono disoccupati sono saliti dal 16 al 19%.

I Neet ( Not in employment, education or training ), «i ragazzi che non hanno un'occupazione e al tempo stesso non sono a scuola o in formazione». Nella fascia di età fra 15 e 29 anni in Italia sono il 24% rispetto a una media europea del 15,6%. In Germania l'11%, in Francia e Regno Unito il 14,6%. Nel nostro Paese parliamo di oltre 2 milioni di giovani. Di questi il 36,4% hanno perso un lavoro o non lo trovano, ma il resto sono «inattivi» o «scoraggiati». Il fenomeno dei Neet è particolarmente preoccupante, conclude il Cnel, nella fascia tra i 25 e i 30 anni, cioè tra i «giovani-adulti». Qui quelli che non studiano e non lavorano sono in Italia il 28,8%. Giovannini ha quindi evidenziato "anche un'ulteriore crescita dei giovani Neet (Not in education, employment or training) 18-29enni, la cui incidenza passa dal 25,3% del 2011 al 26,9% del 2012. I giovani che non lavorano e non frequentano alcun corso di istruzione o formazione sono 2.071.000 unità, 103.000 in più rispetto al primo semestre del 2011. Va tuttavia precisato - ha concluso Giovannini - che mentre un quarto (24,5%) dei Neet si colloca completamente al di fuori del mercato del lavoro, più di un terzo (880.000 unità, pari al 42,5% del totale) è alla ricerca attiva di un lavoro e il restante 33% rientra nella 'zona grigia' dell'inattività, composta da individui che mostrano un qualche livello di attaccamento e interesse nei confronti del lavoro".

Su 7,7 milioni di giovani tra i 18 e i 29 anni, "solamente il 40,3% è occupato, il 13% è alla ricerca di un'occupazione mentre il 46,7% è inattivo", cioè non lavora ma studia in 6 casi su 10. Lo ha detto il presidente dell'Istat Enrico Giovannini in un'audizione sulla nota di variazione al Def alle commissioni Bilancio di Camera e Senato.

"Nella prima parte del 2012 - ha detto Giovannini - la dinamica del mercato del lavoro ha continuato a presentare elementi di criticità per i soggetti tradizionalmente più deboli quali i giovani e le donne. La caduta dell'occupazione dei 18-29enni non mostra battute d'arresto (-2,8%, pari a 91.000 unità in meno, a fronte di un calo demografico di 58.000 unità), coinvolgendo entrambi i sessi sull'intero territorio nazionale. Per questa fascia di età, a fronte di una riduzione del 7,3% dei dipendenti permanenti (-129.000 unità), quelli a termine sono cresciuti del 4,6% (+42.000 unità) e i collaboratori del 4,7% (+4.000 unità). Ne consegue che circa un giovane su tre svolge un lavoro atipico (dipendente a termine o collaboratore): il 34,8% contro il 12,2% del totale occupati". "Per i 18-29enni - ha poi sottolineato il presidente dell'Istat - il tasso di disoccupazione ha raggiunto, nel primo semestre di quest'anno, il 24,4%, con una punta del 39,7% per le giovani donne residenti nel Mezzogiorno. Su un totale di 7,7 milioni di persone di questa fascia di età, solamente il 40,3% é occupato, il 13% è alla ricerca di un'occupazione, mentre il 46,7% è inattivo; in sei casi su dieci questo ultimo gruppo è composto da studenti, e circa un quinto appartiene all'area dell'inattività più contigua alla disoccupazione".

venerdì 28 settembre 2012

Lavoro a chiamata si ferma il 18 luglio 2013


Il lavoro a chiamata che starà in vita per altri 10 mesi è il contratto con il quale il lavoratore si mette a disposizione del datore di lavoro che ricorre alla sua prestazione soltanto quando ne abbia effettivamente bisogno. Ed è entrato nel mondo del lavoro in quella fattispecie di nuovi contratti di lavoro che sono stati introdotti dalla riforma Biagi con il preciso obiettivo di regolarizzare la prassi diffusa del cosiddetto lavoro a fattura, utilizzato per lo svolgimento di lavori autonomi non occasionali ma caratterizzati da una certa continuità e al tempo stesso a cadenza intermittente.

Con la riforma del lavoro voluta dal ministro Fornero ai contratti flessibili toccano anche il lavoro a chiamata. Le novità apportate si muovono lungo due linee guida: in primo luogo sono state riscritte le regole che consentono il ricorso a questa fattispecie contrattuale, poi sono state disciplinate - con carattere innovativo - particolari modalità sull'uso di questa prestazione lavorativa, con l'intento di arginare i possibili abusi.

Le ipotesi soggettive secondo cui è possibile instaurare contratti di lavoro a chiamata o job-on-call, senza limitazioni sulle attività di impiego, sono state individuate in capo a due tipologie di soggetti.

La prima riguarda i giovani di età inferiore a 24 anni: in questa ipotesi, dall'entrata in vigore della riforma (18 luglio 2012) è - di fatto - possibile dar corso solo a rapporti di lavoro a termine, poiché la prestazione si deve esaurire entro il venticinquesimo anno di età.

Il contratto di lavoro a chiamata si può stipulare poi con soggetti di età superiore a cinquantacinque anni, anche pensionati. Rimangono in vita le ipotesi oggettive: per le prestazioni di carattere discontinuo o intermittente, secondo le esigenze determinate dai contratti collettivi nazionali di lavoro.

La riforma del lavoro ha abrogato la possibilità di utilizzo del lavoro a chiamata per periodi predeterminati nell'arco della settimana, del mese o dell'anno: nella precedente disciplina era infatti possibile il ricorso nei periodi del fine settimana, delle ferie estive o delle vacanze natalizie e pasquali indipendentemente dal tipo di attività, da lavoratori con meno di 25 anni di età o di più di 45.

Con le norme attuali, l'uso di questo istituto nei periodi "predeterminati" è possibile solo laddove questi siano stati individuati dai Ccnl (e pertanto dal 18 luglio questa declinazione non è più stipulabile se non espressamente prevista nei contratti collettivi).
I contratti di lavoro a chiamata in corso all'entrata in vigore della legge 92/2012 che non siano conformi alle nuove disposizioni (si pensi a un contratto stipulato con un soggetto quarantacinquenne, prima ammesso), sia a tempo determinato che indeterminato, si dovranno concludere il 18 luglio 2013, altrimenti cesseranno per forza maggiore.
Secondo le indicazioni del Ministero del Lavoro (circolare n. 18 del 2012), l'eventuale prosecuzione della prestazione sarà considerata "in nero", poiché vietata: le conseguenze possono essere pesanti perché farebbero scattare le sanzioni previste per questa condotta. I contratti attivati in assenza delle condizioni legittimanti la stipulazione saranno considerati a tempo pieno e tempo indeterminato: in questa ipotesi, in sede di accertamento da parte dell'Inps, si potrebbe profilare la pretesa contributiva con riferimento al minimale giornaliero, anche per i periodi non lavorati.

La riforma Fornero si occupa delle modalità di svolgimento della prestazione: dal 18 luglio scorso, i datori di lavoro sono obbligati a comunicare preventivamente l'inizio della prestazione o di un ciclo integrato di prestazioni non superiore a trenta giorni.

È bene ricordare che il ricorso al contratto intermittente è vietato per sostituire i lavoratori in sciopero, in unità produttive nelle quali si sia proceduto a licenziamenti collettivi o a sospensioni/riduzione dell'attività con ricorso a integrazioni salariali (per lavoratori adibiti alle medesime mansioni), o nel caso di aziende non in regola con la valutazione dei rischi.

lunedì 2 gennaio 2012

Pensioni 2012 cosa cambia dal 1° gennaio

Estensione del contributivo pro rata per tutti, aumento dell’età di pensionamento delle donne, giro di vite sulle pensioni di anzianità e blocco della rivalutazione rispetto all’inflazione per i trattamenti superiori a tre volte il minimo: sono una parte delle novità in materia previdenziale per il 2012 previste dalla manovra di Natale 2011.
Ecco in sintesi che cosa cambierà per chi matura i requisiti per la pensione a partire dal 2012, mentre per chi li matura entro il 2011 si mantengono le regole precedenti.
Dal 1° gennaio entra in vigore la riforma delle pensioni, contenuta nel decreto legge 201 del 2011 ovvero la legge n. 214 il decreto Salva-Italia.
Pensioni di vecchiaia con requisiti più elevati, assegni determinati con il contributivo anche per coloro che avevano conservato il più vantaggioso metodo retributivo, sostanziale cancellazione per le pensioni di anzianità: sono le principali novità volute dalla riforma del ministro del Lavoro, Elsa Fornero. L'effetto delle misure previdenziali contenute nella manovra è quello di unificare l'età di uscita dal lavoro, che a regime (nel 2022) sarà per tutti di 67 anni, con la sola eccezione delle persone che hanno lavorato oltre 41-42 anni (pensione anticipata) .
Mentre dal 2012 i lavoratori con attività usuranti potranno uscire dal lavoro in anticipo rispetto all’età di vecchiaia solo con quota 97 tra età e contributi e almeno 60 anni di età. Fino al 2011 era stato possibile uscire con tre anni in meno rispetto all’età anagrafica minima (60 anni) quindi con 57 anni, ossia che potranno andare in pensione con le "vecchie" quote per le anzianità.
Secondo la disciplina vigente prima della riforma Fornero la legge n. 247del 2007, la pensione di anzianità poteva essere conseguita se − sommando età anagrafica e anzianità contributiva − si raggiungeva un coefficiente minimo detta la quota. Il valore della quota era destinato a crescere progressivamente negli anni, fino a stabilizzarsi nel 2013 a 97 (per i dipendenti) e 98 (per gli autonomi). L'unico caso in cui la pensione di anzianità poteva essere conseguita senza alcun collegamento con l'età anagrafica era quello in cui il lavoratore aveva maturato 40 anni di contribuzione.
La riforma ha modificato questo sistema pensionistico, cancellando la possibilità di andare in pensione col sistema delle quote, e introducendo la pensione anticipata, che consente di andare in pensione prima dell'età di vecchiaia solo se si superano i 41 anni e un mese di contributi (per le donne) e i 42 anni e 1 mese (per gli uomini).Il requisito è destinato a crescere di un mese nel 2013 e nel 2014 ed aumenterà con il miglioramento della speranza di vita. In ogni caso, ci sono penalizzazioni sulla pensione per chi sceglie il pensionamento anticipato prima dei 62 anni. La quota dell'assegno calcolata sui contributi accumulati entro il 2011 viene infatti tagliata dell'1% l'anno. Se si opta per andare in pensione prima dei 60 anni, la forbice sarà del 2% l'anno.
Prima della riforma, l'età per accedere alla pensione di vecchiaia era fissata a 65 anni per gli uomini, quale che fosse il settore di attività, mentre per le donne si applicava un requisito differenziato in funzione del settore lavorativo.
La riforma stabilisce che, dal 1° gennaio 2012, l'età di pensionamento è fissata per tutti i lavoratori dipendenti e autonomi e per le dipendenti del settore pubblico all'età di 66 anni.
Addio alla finestra mobile. Non ci saranno più decorrenze, l’anno di finestra mobile sarà inglobato nell’età prevista per la vecchiaia e la pensione anticipata.
Dal 2012 scatta l’applicazione a tutti del metodo contributivo pro rata (anche a coloro che avendo oltre 18 anni di contributi a fine 1995 avevano mantenuto il più vantaggioso metodo retributivo) che calcola l’assegno previdenziale sulla base dei contributi versati. Questo calcolo sarà applicato solo sull’anzianità maturata a partire dall’anno prossimo.
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