domenica 30 novembre 2014

Licenziamento per mancato superamento del periodo di prova



Il periodo di prova designa la clausola apposta al contratto di lavoro con cui le parti subordinano l’assunzione definitiva all’esito positivo di un periodo di prova.

La tesi predominante che inquadra il periodo di prova come clausola del contratto di lavoro contenente gli elementi caratteristici sia del termine che della condizione: esso determina infatti un rapporto di lavoro provvisorio a termine finale incerto, mentre il rapporto definitivo è subordinato alla condizione sospensiva potestativa del gradimento o del mancato recesso di una delle parti ed è a termine iniziale incerto coincidente con la fine del periodo di prova. In caso di esito positivo della prova, il contratto di lavoro diviene definitivo dalla data di assunzione.

La funzione del periodo di prova è quella di verificare il reciproco interesse alla prosecuzione del rapporto di lavoro (c.d. prova bilaterale): in particolare per il datore di lavoro la verifica riguarderà le capacità professionali del lavoratore, la sua idoneità alle mansioni affidate e al contesto aziendale; il lavoratore da parte sua valuterà la convenienza all’occupazione del posto di lavoro.

Al datore di lavoro è data la facoltà di licenziare il prestatore di lavoro senza comunicare la decisione per iscritto e senza motivarla limitatamente alle seguenti tipologie di contratti di lavoro:

- rapporti di lavoro domestico;

- personale inquadrato con qualifica di dirigente;

-lavoratori assunti in prova;

- apprendisti una volta terminato il periodo di formazione obbligatoria.

Il licenziamento al termine del periodo di prova non ha affatto natura di giustificato motivo oggettivo, essendo legato non già alla crisi dell’impresa o alla necessità di ridurre i costi o di sopprimere un posto, quanto piuttosto a un giudizio negativo circa la personalità del dipendente, il suo impegno e le sue effettive capacità.

Si tratta di una fattispecie particolare, diversa sia dalla giusta causa, che dal giustificato motivo. Pur essendo prevalente l’elemento soggettivo, alcune sentenze segnalano che l’esperimento può riguardare anche l’utilità delle mansioni, alla luce del complessivo contesto aziendale.

Non trattandosi di licenziamento disciplinare, si deve senz’altro escludere l’obbligo della preventiva contestazione. Infatti, la procedura di conciliazione riguarda il licenziamento per giustificato motivo oggettivo e, come si è detto, il mancato superamento della prova si riferisce alle qualità e capacità del dipendente, pur potendo tener conto anche di considerazioni oggettive.

Dipendenti con ridotte capacità lavorative.

Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, il datore di lavoro, al quale sia avviato un invalido per l'assunzione obbligatoria , non è costretto ad adeguare l'assetto produttivo e l'organizzazione aziendale dell'impresa alle particolari esigenze dell'invalido avviato, ma non può neppure opporre una generica incollocabilità dell'invalido medesimo in ragione della sua minorazione, dovendo, nel caso, fornire la prova della assoluta concreta impossibilità di collocamento in relazione a tutta l'area occupazione e di lavoro dell'azienda, senza riferimento a singoli, determinati settori o reparti di essa.

Nel campo delle assunzioni "obbligatorie" però il principio ora enunciato - è temperato dall'obbligo di "motivazione" , facente carico in capo al datore di lavoro che "recede". Ai sensi della legge 482/68, i datori di lavoro privati che abbiano alle loro dipendenze più di 35 tra operai e impiegati, esclusi gli apprendisti, devono obbligatoriamente assumere invalidi nella misura del 15% della forza in servizio. A tale riguardo, è naturale pensare che l'invalido possa essere assunto in prova, purché la stessa sia condotta con riferimento a mansioni compatibili con le ridotte capacità lavorative.

Invece, in ordine alla legittimità del licenziamento dell'invalido assunto obbligatoriamente per mancato superamento della prova, la giurisprudenza ha fornito risposte articolate. E' stato per esempio ritenuto che, in una simile ipotesi, il licenziamento sia legittimo se il datore di lavoro dimostra che in tutta l'azienda non esistono mansioni compatibili con la menomazione del lavoratore avviato obbligatoriamente.

Con un'altra sentenza, la Cassazione ha ritenuto legittimo il licenziamento di cui si parla a condizione che la prova sia stata effettiva e abbia tenuto conto della ridotta capacità lavorativa dell'invalido, e sempre che non sia stato determinato da ragioni discriminatorie. Con una più recente sentenza, la Cassazione ha ritenuto valido il licenziamento, purché motivato con ragioni serie ed obiettive che non abbiano consentito il superamento della prova e che siano indipendenti da qualsiasi valutazione in ordine alla minorazione dell'invalido.

In buona sostanza, si può affermare che il licenziamento di cui si sta parlando è illegittimo se la prova era relativa ad una mansione incompatibile con la ridotta capacità lavorativa dell'invalido, oppure se il datore di lavoro ha motivato il mancato superamento della prova richiamando le ridotte capacità lavorative dell'invalido, o ancora se il lavoratore riesce a dimostrare che il licenziamento dipende in realtà da motivi discriminatori. In ogni caso, il lavoratore può contestare che, per l'inadeguatezza della durata della prova o per altri motivi, non sono state in concreto verificate le sue capacità professionali. Inoltre, la Corte costituzionale, affermando un principio riguardante ogni ipotesi di licenziamento per mancato superamento della prova, ha riconosciuto la illegittimità del licenziamento se il lavoratore dimostra contemporaneamente di aver positivamente superato la prova e che il licenziamento dipende da un motivo illecito.

Il patto di prova è compatibile con il rapporto di lavoro a part-time (D.Lgs. 25 febbraio 2000, n. 61; ML circ. 26 agosto 1986, n. 102).

Al momento dell'assunzione a part-time, è opportuno specificare la durata del periodo di prova, precisando che per "giorno di lavoro effettivo" si intende la giornata lavorativa ridotta rispetto a quella normale, se la prestazione avviene tutti i giorni, ovvero ogni giornata in cui è prevista la prestazione di lavoro, nel caso di lavoro prestato solo per alcuni giorni alla settimana.

Nell’ambito del rapporto dirigenziale, la cui disciplina è ispirata alla libera recedibilità, in virtù dell’autonomia negoziale riconosciuta dalla legge, le parti sono libere, di costituire un patto di prova per il caso di nuova assunzione. Durante il periodo di prova il datore di lavoro può recedere dal contratto senza obbligo di preavviso o d’indennità. Se però la prova è stabilita per un tempo minimo necessario, la facoltà di recesso non può esercitarsi prima della scadenza del termine. La giurisprudenza ha avuto nel suo insieme una funzione di contenimento del potere di recesso del datore di lavoro durante il periodo di prova.


sabato 29 novembre 2014

Nuovo modello ISEE, al via da gennaio 2015



Firmato il decreto con i modelli DSU Dichiarazione Sostitutiva Unica) in vigore da gennaio 2015 per il calcolo ISEE. L’indicatore della situazione economica equivalente – per accedere alle prestazioni di Welfare (asilo, università, mense scolastiche…) – diventa più preciso (meno autocertificazioni) e più selettivo: la DSU si compone di un Modello Mini oppure di un Modello integrale per particolari prestazioni o composizioni del nucleo familiare.

L’ISEE misura la situazione economica tenendo conto di reddito, patrimonio e composizione del nucleo familiare. La dichiarazione con modello DSU va presentata nel momento in cui si richiede una prestazione sociale agevolata cioè servizi o aiuti economici rivolti a situazioni di bisogno o necessità (solo a titolo di esempio: dalle prestazioni ai non autosufficienti ai servizi per la prima infanzia, dalle agevolazioni economiche sulle tasse universitarie a quelle per le rette di ricovero in strutture assistenziali, alle eventuali agevolazioni su tributi locali).

Nella nuova DSU il contribuente è chiamato a fornire solo informazioni che il Fisco non conosce, mentre quelle note (es.: reddito) vengono comunicate all’INPS dall’Anagrafe Tributaria. Nel Modello DSU Mini si compilano i campi su immobili, beni di lusso, famiglia e investimenti.

La riforma dell'ISEE è stata attuata per migliorare l’equità sociale e rafforzare la lotta contro gli abusi che hanno comportato una indebita fruizione di prestazioni e agevolazioni, ed adotta una più ampia nozione di reddito, includendovi anche somme fiscalmente esenti;

dà una maggiore valorizzazione alla componente patrimoniale;

considera le caratteristiche dei nuclei familiari con carichi particolarmente gravosi, come le famiglie numerose (con tre o più figli) e quelle con persone con disabilità;

istituisce il cosiddetto "ISEE corrente", riferito cioè ad un periodo di tempo più ravvicinato, in caso di variazioni (in negativo) superiori al 25% dell’indicatore della situazione reddituale dovute a variazioni della situazione lavorativa.

Per calcolare l'ISEE, oltre al reddito complessivo ai fini IRPEF, sono ora rilevanti anche:

tutti i redditi tassati con regimi sostitutivi o a titolo di imposta (ad esempio, contribuenti minimi, cedolare secca sugli affitti, premi di produttività, Tfr, ecc.);

tutti i redditi esenti, nonché i redditi da lavoro dipendente prestato all'estero tassati esclusivamente nello stato estero in base alle vigenti convenzioni contro le doppie imposizioni;

i proventi derivanti da attività agricole, svolte anche in forma associata, per le quali sussiste l'obbligo alla presentazione della dichiarazione IVA (a tal fine, si assume la base imponibile determinata ai fini dell'IRAP, al netto dei costi del personale a qualunque titolo utilizzato);

gli assegni per il mantenimento di figli effettivamente percepiti;

i trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche, laddove non siano già inclusi nel reddito complessivo ai fini Irpef;

i redditi fondiari relativi ai beni non locati soggetti alla disciplina dell'IMU, non indicati nel reddito complessivo Irpef. Nell'importo devono essere considerati i redditi relativi agli immobili all'estero non locati soggetti alla disciplina dell'IVIE (imposta sul valore degli immobili situati all'estero) non indicati nel reddito complessivo Irpef;

il reddito figurativo delle attività finanziarie;

il reddito lordo dichiarato ai fini fiscali nel Paese di residenza da parte degli appartenenti al nucleo, iscritti nelle anagrafi dei cittadini italiani residenti all'estero (AIRE).

Dal risultato che si ottiene sommando tutti i sopraelencati redditi, si devono sottrarre, fino a concorrenza:

l'importo degli assegni periodici effettivamente corrisposti al coniuge, anche se residente all'estero, in seguito alla separazione legale ed effettiva o allo scioglimento, annullamento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio come indicato nel provvedimento dell'autorità giudiziaria. Nell'importo devono essere considerati gli assegni destinati al mantenimento dei figli;

l'importo degli assegni periodici effettivamente corrisposti per il mantenimento dei figli conviventi con l'altro genitore, nel caso in cui i genitori non siano coniugati, ne' legalmente ed effettivamente separati e non vi sia provvedimento dell'autorità giudiziaria che ne stabilisce l'importo;

l'importo dei redditi agrari relativi alle attività indicate dall'articolo 2135 del codice civile svolte, anche in forma associata, dai soggetti produttori agricoli titolari di partita IVA, obbligati alla presentazione della dichiarazione ai fini dell'IVA.

Inoltre, per garantire una migliore equità e favorire le persone con redditi più bassi e le persone con disabilità più gravi:

per i redditi da lavoro dipendente, è prevista la sottrazione di una quota pari al 20%, fino ad un massimo di 3.000 euro, per tenere conto dei costi di produzione del reddito, ma anche per evitare il fenomeno noto col nome di “trappola della povertà”, per cui la piena considerazione del reddito nella prova dei mezzi disincentiva l’offerta di lavoro dei soggetti più deboli;

per le pensioni e trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari si sottrae una quota pari al 20%, fino ad un massimo di 1.000 euro, per tenere conto in modo forfettario delle maggiori spese connesse alla vecchiaia e ad altre condizioni di fragilità dei beneficiari di trattamenti fiscalmente esenti;

per tenere conto dei costi dell’abitare viene aumentato (da 5.165 a 7.000 euro all’anno) l’importo massimo della spesa effettivamente sostenuta per l’affitto registrato che può essere portato in deduzione. Tale importo è incrementato di 500 euro per ogni figlio convivente dal terzo in poi. Con riferimento ai proprietari, si tiene conto dei costi dell’abitare in modo comparabile nella componente patrimoniale;

per tenere conto dei costi sostenuti per persone con disabilità o non autosufficienti, il nuovo indicatore riclassifica le diverse definizioni di disabilità, invalidità e non autosufficienza accorpandole in tre distinte classi (disabilità media, disabilità grave e non autosufficienza) e riconosce un abbattimento diretto del reddito della famiglia in cui è presente una persona con disabilità, articolato in funzione del grado di disabilità (mentre oggi l'abbattimento dell'ISEE avviene indipendentemente dalla gravità del bisogno).

Le nuova franchigie sono:

4.000 euro (5.500 se < 18 anni) Disabilità media

5.500 euro (7.500 se < 18 anni) Disabilità grave

7.000 euro (9.500 se < 18 anni) Non autosufficienza

per le persone non autosufficienti è ammessa la deduzione di tutti i trasferimenti ottenuti nella misura in cui si traducano in spese certificate per l’acquisizione, diretta o indiretta, dei servizi di collaboratori domestici e addetti all’assistenza personale o per la retta dovuta per il ricovero presso strutture residenziali.

Viene, poi, introdotta la possibilità per tutti di sottrarre (fino ad un massimo di 5.000 euro) le spese relative alla situazione di disabilità, certificate a fini fiscali: spese sanitarie per disabili, spese per l’acquisto di cani guida, spese sostenute per servizi di interpretariato per le persone sorde e spese mediche e di assistenza specifica per i disabili.

La valorizzazione del patrimonio ai fini ISEE

A tal fine, viene considerato anche il patrimonio all’estero (in tal caso, va fatto riferimento alle regole previste per l’IVIE), il valore degli immobili rivalutato ai fini IMU (invece che ICI; il nuovo valore sarà, quindi, più alto di quello presente nei calcoli dell'ISEE attuale) e viene ridotta (da 15.494 euro a 10.000 euro) la franchigia massima sulla componente mobiliare, che però sarà articolata in funzione del numero dei componenti il nucleo familiare, in quanto sale di 1.000 euro per ogni figlio dal terzo in poi.

Con riguardo agli immobili, si considera patrimonio solo il valore della casa che eccede il valore del mutuo ancora in essere.

In più, per tenere conto dei costi dell’abitare, per la prima casa viene previsto un calcolo particolare: il valore IMU è, infatti, calcolato al netto del mutuo e di una franchigia di 52.500 euro, incrementata di 2.500 euro per ogni figlio convivente successivo al secondo. Il valore residuo dell’abitazione, così calcolato, viene abbattuto a due terzi.



venerdì 28 novembre 2014

Le modifiche all'articolo 18 e la nuova riforma del lavoro



L'articolo 18 dell'attuale Statuto dei Lavoratori, va a determinare nel sistema contrattuale italiano la cosiddetta tutela reale, in particolare ne disciplina il caso in cui il licenziamento di un singolo lavoratore è da considerarsi non legittimo, in quanto effettuato senza averne comunicato le motivazioni, oppure perché trattasi di licenziamento ingiustificato o discriminatorio.

E bene ricordare che il parlamento affiderà al governo una delega per intervenire sul mercato del lavoro, riformando gli ammortizzatori sociali, l’attività ispettiva, gli strumenti di tutela della maternità, ma soprattutto per riorganizzare i contratti, introducendo il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, che avrà quindi bisogno di una riscrittura dell’art. 18, e introducendo un salario minimo («anche in via sperimentale»), e aprendo al demansionamento e al controllo a distanza dei lavoratori.

È utile fare un punto sulle differenze introdotte rispetto all’originaria disciplina e alle modifiche già introdotte dalla riforma Fornero. Il nuovo art.18 sarà applicato a chi firmerà un nuovo contratto, con la formula che il governo vorrebbe «prevalente», quello cioè a tempo indeterminato con tutele crescenti. Ci sono però tre tipi di licenziamenti: vediamo come funzionano nelle aziende con più di 15 dipendenti.

L’unico per cui non cambierà nulla è il licenziamento discriminatorio, quello cioè che un giudice stabilirà effettuato per motivi di religione, di orientamento sessuale, politici o sindacali, o ai danni di un lavoratore che si è sposato o che ha goduto di un congedo parentale. In questo caso il giudice dichiara nullo il licenziamento e impone di reintegrare il lavoratore e di corrispondere il pagamento degli stipendi persi dalla data di illegittima estromissione dal posto di lavoro. Era così prima della Fornero, sarà così dopo il Jobs act.

Il secondo tipo è il licenziamento disciplinare o per giustificato motivo soggettivo, quando cioè la responsabilità, sia legata a fatto specifico o al generale rendimento, viene imputata al lavoratore. Anche in questo caso il licenziamento può essere impugnato dal dipendente davanti a un giudice che dovrà stabilire se il fatto o la responsabilità imputata sussiste o meno. L’onere della prova è a carico del datore di lavoro. Se il giudice dichiara illegittimo il licenziamento, prima della riforma Fornero, il lavoratore aveva diritto ad essere reintegrato, nelle imprese con un numero di lavoratori superiore a 15 dipendenti mentre per quelle che impiegano un numero inferiori ai 15 dipendenti c'era una sanzione economica da un minimo di 2,5 mensilità ad un massimo di 6 mensilità.

Con la riforma Fornero si era mantenuto la possibilità di reintegro (solo per le imprese con un numero di lavoratori superiore a 15 dipendenti) ma con una formulazione più stringente e, ovviamente, nel caso in cui i contratti collettivi prevedano una diversa sanzione: non il licenziamento ma, ad esempio, la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per alcuni giorni. Negli altri casi un giudice può soltanto condannare il datore di lavoro a pagare al lavoratore una indennità che va da un minimo di 12 mensilità ad un massimo di 24 mensilità. Con il Jobs act, per questi licenziamenti, si vuole ridurre ulteriormente la discrezionalità del giudice.

Quello che cambierà di più è il licenziamento economico, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Prima della Fornero, anche in questo caso, se il datore di lavoro presentava una mutata esigenza produttiva, o una crisi, che il giudice valutava però non tale da giustificare il licenziamento, il lavoratore aveva diritto a ritornare al suo posto. Dopo Elsa Fornero il reintegro può avvenire solo se il motivo si rivela «manifestamente insussistente», con quindi una stretta anche in questo caso, altrimenti il lavoratore avrà diritto a un indennizzo economico compreso tra le 12 e le 24 mensilità.

Il Jobs act non prevede più il reintegro ma, con il contratto a tutele crescenti, vuole proprio evitare che per il licenziamenti economici si ricorra al giudice e quindi stabilirà nei decreti un’indennità prestabilita a cui il lavoratore avrà diritto in caso di licenziamento: crescerà al crescere dell’anzianità di servizio. Quindi con il contratto a tutele crescenti, le nuove regole escludono per i licenziamenti economici la possibilità della reintegra del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l'anzianità di servizio e limitando il diritto alla reintegra ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato (prevedendo termini certi per l'impugnazione del licenziamento). Saranno i decreti delegati a dover recepire questi principi. Con i decreti delegati dovrebbe arrivare, in sostanza, una tipizzazione delle fattispecie per arginare la discrezionalità dei giudici.

Obiettivo della delega è il riordino delle tipologie contrattuali esistenti. Per le nuove assunzioni ci sarà un contratto unico a tempo indeterminato a tutele crescenti in base all'anzianità di servizio. Mentre si punta a una riduzione delle altre forme contrattuali, a partire dai cocopro.

Il ddl delega parla di «universalizzazione» il sussidio di disoccupazione dell'Aspi (Assicurazione sociale per l'impiego), con estensione ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa (fino al superamento di questa forma contrattuale). L'obiettivo è di estendere questa tutela a una platea di almeno 300mila collaboratori, compresi quelli con carriere molto discontinue (3-4 mesi di contratti in due anni). Verranno unificate Aspi e mini-Aspi, rapportando la durata del trattamento «alla pregressa storia contributiva del lavoratore». Ci sarà anche un incremento della durata massima del sussidio per i lavoratori con carriere contributive più rilevanti.

Le nuove regole previste dalla delega per la «disciplina dei controlli a distanza» delle attività produttive sono soft. Il governo potrà aprire all'uso delle telecamere o altre strumentazioni tecnologiche sui luoghi di lavoro che oggi sono espressamente vietate dallo Statuto dei lavoratori. Ma i controlli dovranno essere sui macchinari. Previsto un ruolo speciale delle commissioni parlamentare sulla verifica dei testi dei decreti delegati.

Si punta ad eliminare la cassa integrazione in caso di «cessazione di attività aziendale o di un ramo» della stessa. Ma le cessazioni dovranno essere «definitive». Quindi se sussistono concrete prospettive di proseguimento o di ripresa dell'attività l'erogazione della cassa integrazione potrà proseguire.

L'articolo 13 dello Statuto dei lavoratori prevede oggi che «il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito». La delega prevede, invece, la possibilità di una nuova disciplina delle mansioni, contemperando l'interesse dell'impresa all'utile impiego del personale in caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione con l'interesse del lavoratore alla tutela del posto e della professionalità.


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