mercoledì 10 dicembre 2014

Aspi e mini ASPI cosa cambia nel 2015



Il Jobs Act riforma l'universo degli ammortizzatori sociali. Aspi e Mini Aspi vengono unificati, la tutela viene estesa, ma la cassa integrazione rimane attiva fino al 2016.

Vediamo le novità che entreranno in vigore nel 2015 per quanto riguarda i sussidi di disoccupazione Aspi e Mini Aspi.

La normativa attualmente in vigore (Legge n. 92 del 2012, cioè la riforma Fornero), prevede che in caso d licenziamento al lavoratore siano garantite due indennità: Aspi e Mini Aspi.

L’Aspi viene garantita ai dipendenti del settore privato, ai lavoratori con contratto di apprendistato e ai lavoratori di cooperativa che hanno perso il lavoro per motivi indipendenti dalla loro volontà. Sono esclusi dal sussidio i dipendenti a tempo indeterminato delle PA, gli operai agricoli e i lavoratori extracomunitari con permesso di soggiorno di lavoro stagionale. Per poter ricevere l’Aspi occorre possedere due requisiti: essere assicurati all’Inps da minimo due anni e aver pagato almeno un anno di contributi nei due che precedono il momento in cui si è perso il lavoro.

Chi non possiede i suddetti requisiti può accedere alla Mini Aspi. In questo caso il lavoratore dovrà aver versato almeno 13 settimane di contributi negli ultimi 12 mesi e riceverà un’indennità per un periodo di tempo corrispondente alla metà delle settimane lavorate nel corso dell’ultimo anno.

L’Aspi dal 2015  verrà estesa e universalizzata anche a coloro che perdono il lavoro, senza possibilità di reintegro e tutela anche i co.co.pro. .Per dirla in altri termini, i due ammortizzatori sociali verranno unificati in un’unica indennità, la cui durata varierà proporzionalmente al periodo contribuito maturato dal lavoratore. Il rapporto con la «pregressa storia contributiva del lavoratore» farà si che chi ha lavorato per molti anni, avrà la possibilità di ricevere per un tempo maggiore il sussidio di disoccupazione.

La Legge Delega prevede criteri di delega per la disoccupazione involontaria; nello specifico riguarda:

la rimodulazione dell’ASpI con omogeneizzazione della disciplina relativa ai trattamenti ordinari e ai trattamenti brevi, rapportando la durata dei trattamenti alla pregressa storia contributiva del lavoratore);

l'incremento della durata massima per i lavoratori con carriere contributive più rilevanti ;

l'estensione dell’ASpI ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa (con l’esclusione, in ogni caso, degli amministratori e dei sindaci) mediante l’abrogazione degli attuali strumenti di sostegno del reddito (relativi a tali soggetti), l’eventuale modifica delle modalità di accreditamento dei contributi ed il principio di automaticità delle prestazioni9 e prevedendo, prima dell’entrata a regime, un periodo almeno biennale di sperimentazione a risorse definite);

l'introduzione di limiti massimi relativi alla contribuzione figurativa ;

l'eventuale introduzione, dopo la fruizione dell’ASpI, di una ulteriore prestazione, eventualmente priva di copertura pensionistica figurativa, limitata ai lavoratori, in disoccupazione involontaria, che presentino valori ridotti dell’Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), con previsione di obblighi di partecipazione alle iniziative di attivazione proposte dai servizi competenti.

Possono accedere all'ASpI tutti i lavoratori dipendenti, compresi gli apprendisti e i soci lavoratori di cooperativa con un rapporto di lavoro in forma subordinata, i dipendenti a tempo determinato delle pubbliche amministrazioni (mentre ne sono esclusi quelli con rapporto a tempo indeterminato), nonché i soci lavoratori delle cooperative, il personale artistico, teatrale e cinematografico con rapporto di lavoro subordinato. Dal campo di applicazione dell’ASpI sono altresì esclusi gli operai agricoli (a tempo indeterminato e determinato), e i lavoratori extracomunitari con permesso di lavoro stagionale.

Per usufruire dell’ASpI è necessario essere assicurati presso l'INPS da almeno 2 anni ed aver versato almeno un anno di contributi nei 2 anni precedenti all'evento che ha determinato la disoccupazione. L'indennità mensile è rapportata alla retribuzione imponibile ai fini previdenziali degli ultimi 2 anni (comprensiva degli elementi continuativi e non nonché delle mensilità aggiuntive, divisa per il numero di settimane di contribuzione e moltiplicata per il numero 4,33), è pari fino ad un limite massimo pari, nel 2014, a euro 1.192,98. In caso di importo superiore, l'indennità è pari al 75% di 1.192.98 euro incrementata di una somma pari al 25% del differenziale tra la retribuzione mensile e il predetto importo.

L'indennità mensile non può in ogni caso superare l'importo mensile massimo di CIGS.

La durata massima del trattamento, a decorrere dal 1° gennaio 2016 per gli eventi che si verifichino da tale data è di 12 mesi, per i lavoratori di età inferiore a 55 anni (detratti i periodi di indennità eventualmente fruiti negli ultimi 12 mesi, anche in relazione ai trattamenti brevi); 18 mesi, per i lavoratori di età pari o superiore ai 55 anni (nei limiti delle settimane di contribuzione negli ultimi 2 anni, detratti i periodi di indennità eventualmente fruiti negli ultimi 18 mesi).

L’Inps a Circolare numero 101/2014 ha precisato che rientrano nell’ambito di applicazione del decreto interministeriale che determina l’allineamento di Aspi e Mini-Aspi:

i soci lavoratori delle cooperative di cui al D.P.R. n. 602 del 1970, con rapporto di lavoro subordinato;

il personale artistico, teatrale e cinematografico, con rapporto di lavoro subordinato.
Ammontare di Aspi e Mini-Aspi

Le indennità Aspi e Mini-Aspi per i soggetti appena indicati sono quindi liquidate:
con riferimento all’anno 2014, in misura proporzionale all’aliquota effettiva di contribuzione e cioè per un importo pari al 40 per cento della misura delle indennità;
con riferimento all’anno 2015 in misura proporzionale all’aliquota effettiva di contribuzione e cioè per un importo pari al 60 per cento della misura delle indennità come calcolate;
con riferimento all’anno 2016 in misura proporzionale all’aliquota effettiva di contribuzione e cioè per un importo pari all’80 per cento della misura delle indennità;
con riferimento all’anno 2017 in misura proporzionale all’aliquota effettiva di contribuzione e cioè per un importo pari al 100 per cento della misura delle indennità.



lunedì 8 dicembre 2014

Violazione della procedura di sospensione propri dipendenti in CIG



La cassa integrazione guadagni è una prestazione economica erogata dall'INPS con la funzione di sostituire o integrare la retribuzione dei lavoratori sospesi dal lavoro o che lavorano a orario ridotto, in situazioni espressamente previste dalla legge. Viene concessa, in caso di sospensione o contrazione dell'attività produttiva per situazioni aziendali dovute a: eventi temporanei e non imputabili all'imprenditore o ai lavoratori o situazioni temporanee di mercato.

Obiettivo della CIG è quello di sollevare le aziende, in momentanea difficoltà produttiva, dai costi del lavoro della manodopera temporaneamente non utilizzata, consentendo ai lavoratori di riprendere la loro collaborazione una volta superata tale difficoltà.

Una sentenza della Corte di Cassazione (n. 2882 del 18/3/98) ha fornito al riguardo importanti chiarimenti.

Il datore di lavoro, quando intende sospendere propri dipendenti in CIG, deve preventivamente comunicare alle RSA, nonché alle organizzazioni sindacali di categoria più rappresentative operanti nella provincia, le cause di sospensione, l’entità e la durata prevedibile della stessa, nonché il numero dei lavoratori interessati. Ricevuta la comunicazione, le organizzazioni sindacali possono eventualmente chiedere un esame congiunto. Il contenuto dell’informazione è stato ampliato dalla Legge. n. 223 del 1991: il datore di lavoro deve infatti comunicare anche i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere, nonché le modalità della rotazione. E’ anche previsto che il datore di lavoro, se ritiene per ragioni tecnico – organizzative di non adottare meccanismi di rotazione, debba indicarne le ragioni nel programma da predisporre all’atto della presentazione della domanda di CIG.

E’ pacifico che la violazione delle informazioni introdotte dalla L. 223 costituisca condotta antisindacale. Tuttavia, questo rimedio non sempre è sufficiente, dal momento che molto spesso il sindacato dà atto, contro al vero, che la procedura prevista dalla legge è stata esercitata o, comunque, non reagisce alle violazioni procedurali del datore di lavoro. Pertanto, mancando il sindacato che agisca in giudizio per comportamento antisindacale, il singolo lavoratore sospeso in CIG rimane senza tutela. Peraltro, non tutti i giudici ritenevano che la violazione di quegli obblighi di informazione costituisse anche un motivo di illegittimità delle singole sospensioni in CIG: infatti, la legge non prevede esplicitamente la sanzione della illegittimità della sospensione in CIG per il caso in esame, e ciò a differenza di quanto accade per la messa in mobilità, che è illegittima, per espressa previsione di legge, nel caso di violazioni procedurali. A fronte di questo orientamento giurisprudenziale, dunque, la tutela del singolo lavoratore presupponeva una causa promossa dal sindacato che, come si è detto, non sempre reagiva contro le violazioni procedurali.

La sentenza della Cassazione sopra citata riapre la questione: è stato infatti ritenuto che la mancata comunicazione dei motivi di scelta leda anche il diritto dei singoli lavoratori che, dunque, potranno agire in giudizio per ottenere il riconoscimento della illegittimità della sospensione in CIG e la reintegrazione in servizio. A questa conclusione non osta il fatto che la legge non preveda esplicitamente la sanzione della illegittimità. Infatti il datore di lavoro, se ha il potere di licenziare, non ha il potere di rifiutare la prestazione lavorativa. Ciò è possibile, mediante la sospensione in CIG, solo perché la legge consente, in alcuni casi e a determinate condizioni, di derogare al principio generale; pertanto, tale deroga è ammessa solo nei limiti indicati dalla legge; al di fuori di questi limiti, torna a valere il principio generale e la sospensione in CIG diventa illegittima. Pertanto, non è necessario prevedere specificamente la sanzione della illegittimità, che discende invece dai principi generali.

La Cig del settore industria (gestione ordinaria) può intervenire attraverso due modalità, quella ordinaria e quella straordinaria:

l'intervento ordinario è riconosciuto ai dipendenti di imprese industriali (le aziende edili o produttrici dei materiali lapidei sono ricondotte alla gestione speciale), che siano sospesi dal lavoro (zero ore lavorate) o effettuino un orario ridotto (rispetto all'orario settimanale contrattualmente previsto), a causa di una contrazione o sospensione dell'attività produttiva, dovute a:
eventi transitori non imputabili a imprenditore o ai dipendenti;

oppure a situazioni temporanee di mercato.

l'intervento straordinario è riconosciuto ai dipendenti (assunti da almeno 90 giorni) delle seguenti imprese:
- industriali (comprese le aziende edili o produttrici dei materiali lapidei) con più di 15 addetti;

- esercenti in modo prevalente e continuativo la commercializzazione del prodotto delle imprese industriali con più di 15 addetti;

- appaltatrici di servizi di mensa e ristorazione o di pulizia, con più di 15 addetti, presso aziende industriali (che anch'esse stiano ricorrendo a trattamenti di Cig);

- artigiane, con più di 15 addetti, che procedono alla sospensione dei lavori in conseguenza della contrazione dell'attività dell'impresa committente in Cig, a condizione che questa eserciti l'influsso gestionale prevalente (cioè che abbia fornito il 50% del fatturato nel biennio precedente);

- nei casi di sospensione o riduzione di orario dovute a:
- ristrutturazione, riorganizzazione o riconversione aziendale;
- crisi aziendale;
- ammissione alle procedure concorsuali (fallimento, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria, ammissione al concordato preventivo con cessione dei beni) qualora non sia disposta o sia cessata l'attività;
- accordi di riduzione di orario che salvaguardino i livelli occupazionali (contratti di solidarietà).

Chi può andare in CIG ?

Possono essere posti in Cig/O i lavoratori operai ed impiegati e sono esclusi i dirigenti e gli apprendisti

Per quali cause ?
- mancanza momentanea di lavoro;
- mancanza provvisoria di materiali per l'attività lavorativa;
- guasti agli impianti;
- ridotta o sospesa disponibilità di energia elettrica;
- casi particolari come alluvioni e incendi.


Certificazione nei contratti di lavoro



La certificazione è una speciale procedura finalizzata ad attestare che il contratto che si vuole sottoscrivere abbia i requisiti di forma e contenuto richiesti dalla legge. È una procedura a carattere volontario, può essere eseguita solo su richiesta di entrambe le parti (futuro lavoratore e datore di lavoro) e ha lo scopo di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione di alcuni contratti di lavoro.

Possono essere oggetto di certificazione solo i contratti di:
lavoro intermittente
lavoro ripartito
lavoro a tempo parziale
lavoro a progetto
associazione in partecipazione
appalto

La procedura di certificazione è attivata a seguito di una richiesta scritta e congiunta del datore di lavoro e del lavoratore. L'inizio del procedimento deve essere comunicato alla DTL competente per territorio e deve concludersi entro 30 giorni dalla ricezione dell'istanza. Nella valutazione la commissione deve tener presente i codici di buone pratiche.

La procedura si conclude con un atto di certificazione motivato che indica l'autorità presso cui è possibile presentare ricorso, il termine per presentarlo e gli effetti della certificazione. L'atto di certificazione può essere impugnato dal datore di lavoro e dal lavoratore, oltre che dai terzi interessati, davanti al giudice del lavoro e in alcuni casi al TAR (Tribunale amministrativo regionale). La pratica di certificazione e i contratti certificati devono essere conservati presso le sedi di certificazione per almeno 5 anni dal momento della loro scadenza.

Le sedi di certificazione svolgono attività di consulenza e assistenza al datore e al lavoratore sia in relazione alla stipulazione, sia in relazione alle modifiche del programma negoziale.

Il recente D. Lgs. 276/03 ha introdotto la certificazione che è finalizzata a ridurre il contenzioso in materia di rapporti di lavoro attraverso un'esatta qualificazione del rapporto stesso. Infatti, chi abbia stipulato un contratto di lavoro atipico, può certificare la genuinità di quel contratto e del proprio rapporto di lavoro, rivolgendosi ad apposite Commissioni, giurando che il proprio rapporto di lavoro si svolge davvero coerentemente con la tipologia contrattuale prescelta e non nasconde, invece, un ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Più precisamente, alla certificazione possono ricorrere i titolari di un contratto di lavoro intermittente, di lavoro ripartito, di lavoro a tempo parziale, di lavoro a progetto e di associazione in partecipazione. Inoltre, è ammessa la procedura di certificazione per i contratti di appalto anche ai fini della concreta distinzione dalla somministrazione di lavoro. L'autorità dotata del potere certificatorio può essere un ente bilaterale, la Direzione provinciale del lavoro, una Provincia e le Università. La procedura deve concludersi entro il termine di trenta giorni dalla presentazione dell'istanza.

L'atto di certificazione deve essere motivato e contenere, tra l'altro, il termine e l'autorità cui è possibile ricorrere nei confronti della certificazione stessa. Infatti, nei confronti della certificazione può essere impugnata avanti il Giudice del Lavoro, ad opera delle stesse parti o di un terzo, nella cui sfera giuridica l'atto impugnato produca effetti. Tuttavia, l'impugnazione giudiziale è ammessa solo per alcuni motivi, indicati dal legislatore delegato: ciò infatti può accadere per il caso in cui il rapporto si svolga, di fatto, in maniera diversa da come è stato certificato, o per erronea qualificazione del contratto, o per un vizio del consenso (quindi quando qualcuno sia stato indotto alla certificazione per violenza, errore, dolo). In questo caso, il preventivo tentativo obbligatorio di conciliazione deve essere effettuato davanti alla commissione di certificazione che ha adottato l'atto di certificazione. L'atto di certificazione può essere impugnato anche davanti al Tribunale Amministrativo Regionale per violazione del procedimento o per eccesso di potere.

Nonostante le finalità dichiarate dal legislatore delegato si deve ritenere che, in realtà, la certificazione avrà la sola conseguenza di aumentare i ricatti ai danni del lavoratore. Infatti, si può scommettere che, d'ora in poi, il datore di lavoro subordinerà l'assunzione di un lavoratore atipico, o la stipulazione di un contratto a progetto, alla contestuale certificazione e, ovviamente, se il lavoratore rifiuterà, non si darà corso al rapporto di lavoro.

La certificazione presenta notevoli vantaggi per i lavoratori e per le aziende in quanto la Commissione, costituita da soggetti altamente qualificati, assiste attivamente le parti nella redazione del contratto e ne verifica e convalida la regolarità formale e sostanziale, qualunque sia il modello contrattuale prescelto dalle parti (lavoro autonomo, subordinato, coordinato, ecc.). Con la certificazione, quindi, le parti sono sicure della “qualità” dei contratti stipulati.

Gli effetti della certificazione sono importanti, oltre che sul piano della certezza del diritto, anche su quello della resistenza del contratto in caso di controversia, in quanto la certificazione dispiega i propri effetti verso i terzi (enti previdenziali compresi) e previene il contenzioso giudiziale in materia di qualificazione del rapporto.

Come tutte le forme di certificazione, anche la certificazione dei contratti di lavoro e di appalto ha un’importante valenza in termini di responsabilità sociale d’impresa e presenta indubbi riflessi positivi nei rapporti dell’azienda sia con i propri lavoratori sia con i propri interlocutori (clienti, fornitori, istituzioni, istituti di credito, ecc.).

Le Commissioni di certificazione hanno il potere di svolgere:
a. attività di consulenza e assistenza alle parti contrattuali sia al momento della stipulazione del contratto di lavoro sia, successivamente, per eventuali modifiche concordate in sede di attuazione del rapporto;
b. attività di certificazione di tutti i contratti in cui sia dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro.
c. attività di conciliazione delle controversie ai sensi dell'articolo 410 c.p.c.

Gli effetti del provvedimento di certificazione permangono, anche nei confronti dei terzi, fino al momento in cui sia stato accolto, con sentenza di merito, un eventuale ricorso giurisdizionale. Nei confronti dell’atto di certificazione, sia le parti che i terzi che ne abbiano interesse possono proporre ricorso giurisdizionale soltanto per vizi del consenso, per erronea qualificazione del rapporto o per difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione. Il ricorso al giudice ordinario deve obbligatoriamente essere preceduto da un tentativo di conciliazione da svolgersi avanti alla commissione che ha certificato l’atto.



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