giovedì 21 maggio 2015
Tito Boeri: ipotesi pensione anticipata, ma con penalizzazioni
In pensione anticipata anche a 60 o 62 anni rinunciando al 20-30 per cento dell’assegno: alzi la mano chi non ci penserebbe almeno un minuto. Sulla carta è la soluzione che fa tutti felici. Più libertà per il lavoratore, meno complicazioni per chi governa (vedi esodati), un’occasione per le imprese che possono assumere persone giovani e più produttive.
La proposta di riforma del sistema pensionistico e assistenziale che prenderà corpo nei prossimi mesi troverà spazio nella prossima Legge di Stabilità.
Diverse le opzioni allo studio del Governo, tutte comunque improntate ad una maggiore flessibilità nell'uscita a fronte di penalizzazioni nella misura dell'assegno.
Cercando di tracciare un possibile scenario dei vari interventi che potrebbe essere adottati (e che dovrebbero trovare una collocazione nella prossima legge di Stabilità), emerge quanto segue :
- Si conferma l'intenzione di superare le rigidità attuali che oggi -salvo eccezioni specifiche - obbligano un lavoratore che vuole andare in pensione ad avere 66 anni e 3 mesi e almeno 20 anni di contributi; oppure di aver maturato almeno 42 anni e oltre di contributi indipendentemente dall’età anagrafica;
- Prospettata l'ipotesi di poter andare in pensione prima delle soglie attuali di età; con una penalizzazione minima sul trattamento di pensione.
Diversi sono gli scenari che si aprono: accanto alla formula dell’uscita flessibile con penalizzazioni”, imperniata sulla pensione con 62 anni e tre mesi di età in presenza di un’anzianità minima di 35 anni e riduzione della pensione, si colloca l'ipotesi della “quota cento”, dove cento rappresenta la somma di età anagrafica e anzianità contributiva (35 anni di anzianità contributiva e almeno 60 anni e tre mesi di età anagrafica). Terza strada: l'opzione per tutti di aderire al metodo contributivo per la liquidazione della pensione.
Costi della flessibilità in uscita
Il pensiero corre, tuttavia, al nodo delle risorse. La flessibilità, infatti, costa (anche se l'azione di rimborso ai pensionati imposta dalla Corte Costituzionale sulla mancata rivalutazione delle pensioni non fermerà la riforma).
I tagli sulla pensione, in caso di esercizio di una uscita flessibile, sarebbero di pochi euro. Stando alle parole del premier, si tratterebbe di un taglio di 20 -40 euro al mese. Devono tornare i conti sia con la Ragioneria dello Stato che con la contabilità dell'Unione Europea.
Completerebbe il quadro della riforma la soluzione di adottare un intervento di questo tipo: erogare un assegno temporaneo al lavoratore che decida di lasciare il lavoro fino alla maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia; somma che dovrebbe poi essere restituita dal pensionato operando dei piccoli prelievi sulla pensione finale.
Nello schema del governo c’è una ulteriore variabile: far pagare di più a chi è andato in pensione almeno in parte con il vecchio sistema retributivo, più generoso del contributivo perché concede più di quanto effettivamente versato nella vita lavorativa. Il presidente dell’Inps Tito Boeri propone di finanziare così parte della riforma: ai redditi più alti potrebbe essere chiesto una sorta di contributo di solidarietà.
In caso di uscita a 62 anni invece che a 66 - spiegano all’Inps - il signor Rossi G verrebbe ridursi l’assegno di circa il 20-30%. Il numero è frutto di una complessa operazione in cui, alla penalizzazione prevista per la parte di pensione calcolata con il contributivo, se ne somma una parte (per almeno il 12 per cento) sulla quota di assegno retributivo. Non è chiaro se l’ipotesi prevede un minimo di contribuzione per l’uscita, ma le indiscrezioni dicono che potrebbe essere concessa anche a 60 anni. Lo schema prevede una opzione ulteriore: usare il sistema in vigore per la cosiddetta «opzione donna» che oggi permette di uscire con 57 anni di età e 35 di contributi.
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Nuovo contratto di lavoro per gli studi professionali
Ecco le principali novità del CCNL per i dipendenti degli Studi. Il contratto riguarda 1,5 milioni di lavoratori fra titolari, dipendenti e collaboratori, ha effetto dal primo aprile 2015 e dura fino al 31 marzo 2018. L’aumento è di 85 euro per il terzo livello, con conseguente parametrazione per gli altri livelli. Sul fronte del welfare, come detto ne prevede l’estensione ai professionisti e ai collaboratori degli studi, che sino ad ora ne erano esclusi. Novità anche in materia di telelavoro, congedo parentale a ore, possibilità di introdurre ulteriori elementi di flessibilità attraverso la contrattazione di secondo livello.
Riguardo all'apprendistato è stata fissata la percentuale di conferma per gli apprendisti, che dovrà essere pari almeno al 20% per le strutture fino a 50 dipendenti e del 50% per quelle più grandi. Per la prima volta poi viene fissato il rapporto tra numero di lavoratori a tempo indeterminato e determinato. Questi ultimi potranno contare su un diritto di precedenza in caso di assunzioni stabili.
Si definiscono le aree di applicazione del contratto come segue:
1) Area professionale Economico-Amministrativa: Consulenti del Lavoro, Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili, Revisori Contabili, altre professioni di valore equivalente ed omogenee all'area professionale non espressamente comprese;
2) Area Professionale Giuridica: Avvocati, Notai, altre professioni di valore equivalente.
3) Area professionale Tecnica: Ingegneri, Architetti, Geometri, Periti Industriali, Geologi, Agronomi e Forestali, Periti agrari, Agrotecnici, altre professioni di valore equivalente ed omogenee all'area professionale.
4) Area professionale Medico Sanitaria e Odontoiatrica: Medici, Medici Specialisti, Medici Dentisti, Odontoiatri, Medici Veterinari e Psicologici, Operatori Sanitari, abilitati all'esercizio autonomo delta professione di cui alla specifica Decretazione Ministeriale, ad esclusione dei Laboratori Odontotecnici, altre professioni di valore equivalente ed omogenee all'area.
5) Altre attività professionali intellettuali: Si tratta di quelle attività non rientranti nelle prime quattro aree, con o senza Albo professionale.
Le agevolazioni per le assunzioni prevedono un contratto di reimpiego per chi ha oltre 50 anni e per i disoccupati da oltre 12 mesi, con la possibilità di sotto-inquadramento ma un’assunzione a tempo indeterminato. Vengono fissati rapporti da rispettare fra i contratti a tempo indeterminato e determinato, con diritto per precedenza di questi ultimi per assunzioni stabili. Gli apprendisti devono essere almeno il 20% per gli studi fino a 50 dipendenti e il 50% per le strutture più grandi.
Una delle novità più rilevanti introdotte nel nuovo Ccnl riguarda l'estensione delle tutele di welfare ai professionisti-datori di lavoro, che potranno beneficiare di una copertura di assistenza (sanitaria e antinfortunistica) che verrà gestita dalla bilateralità di settore, sotto la direzione e la vigilanza di Confprofessioni. Inoltre, sulla scia delle tendenze del mercato del lavoro e delle diverse forme di collaborazione che si instaurano all'interno di uno studio professionale, le tutele di welfare contrattuale verranno estese anche ai collaboratori e praticanti.
Ecco le novità più rilevanti:
Rappresentanza contrattuale: il nuovo Ccnl degli studi professionali è stipulato da Confprofessioni come unica rappresentanza datoriale.
Decorrenza e durata: il periodo di vigenza contrattuale decorre dal 1° aprile 2015, sino al 31 marzo 2018.
Trattamento economico: aumento retributivo complessivo a regime, 31 marzo 2018, di 85 euro per il III livello diviso in cinque fasi, con l’esclusione di qualsiasi erogazione una tantum.
Welfare per i professionisti datori di lavoro: introdotta la copertura di assistenza (sanitaria/antinfortunistica) del datore di lavoro. La gestione di tali prestazioni, sotto la direzione di Confprofessioni, è affidata alla bilateralità.
Potenziamento e valorizzazione della bilateralità: Attivazione di un fondo per il sostegno al reddito dei lavoratori di studi professionali che attraversano un periodo di crisi. Rimborso al datore di lavoro del 50% della retribuzione derivante dalla concessione del permesso studio ai lavoratori. Incentivata la costituzione di articolazioni territoriali dell’ente bilaterale nazionale, denominati sportelli, per la gestione del mercato del lavoro.
Rilancio del II livello di contrattazione: possibilità di realizzare a livello territoriale intese per una regolazione dell’attività lavorativa più rispondente alle esigenze dei datori di lavoro; maggiore coinvolgimento delle delegazioni territoriali nella disciplina del rapporto di lavoro.
Contratti e modalità di lavoro: lavoro a tempo determinato: elevato il numero di contratti a termine che potranno essere attivati da ciascun datore di lavoro ed è stato abolito l’obbligo di rispettare gli intervalli di tempo tra differenti contratti a termine.
Apprendistato: semplificazione degli obblighi formativi, riducendo complessivamente le ore di formazione. Possibilità di effettuare la formazione in tutte le modalità possibili. - Lavoro intermittente: regolamentazione del lavoro a chiamata. Il Ccnl degli studi professionali è tra i pochi a disciplinare tale tipologia contrattuale, di fondamentale importanza per garantire flessibilità.
Contratto di reimpiego: Per un periodo di 30 mesi sarà possibile retribuire soggetti over 50 e disoccupati di lunga durata con un salario di ingresso più basso rispetto a quello di base previsto dal Ccnl.
Rilancio del telelavoro per garantire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
Rivisto il regime dei permessi per lo studio e per le nuove assunzioni, con un intervento dell’ente bilaterale a coprire parte dei costi retributivi.
Profili professionali: sono state concordate con le aree di Confprofessioni le modifiche relative alla classificazione del personale ed ai relativi profili.
martedì 19 maggio 2015
Lavoro intermittente e accessorio le novità 2015
Con il contratto di lavoro intermittente il lavoratore si mette a disposizione del datore di lavoro per l'esecuzione di attività che hanno la caratteristica di non essere continuative. L'imprenditore si rivolge infatti al lavoratore soltanto nel momento in cui ha bisogno che quella data attività venga svolta. Per questo motivo il lavoro intermittente viene anche definito lavoro a chiamata o job on call.
Sale a 7mila euro il tetto per il lavoro accessorio, poche modifiche al lavoro intermittente: guida alle novità della Riforma dei Contratti del Jobs Act.
Lavoro intermittente
Il lavoro intermittente prevede un contratto (che può essere anche a tempo determinato), attraverso il quale il lavoratore si mette a disposizione dell’azienda per determinate esigenze, che devono essere precisamente normate dai contratti collettivi di lavoro. Le prestazioni sono di carattere discontinuo o intermittente. Il contratto è sempre applicabile a persone con più di 55 anni o fino a 24 anni (per la precisione, entro il compimento del 25esimo anno di età). Il lavoro intermittente ha un limite massimo di 400 giornate nell’arco di tre anni, se questo limite viene superato scatta la trasformazione a tempo indeterminato. Non si può ricorrere al lavoro intermittente per sostituire lavoratori in sciopero o presso unità produttive in cui nei sei mesi precedenti siano stati applicati ammortizzatori o riduzioni di orario, o effettuati licenziamenti, relativi a personale con le stesse mansioni.
Il contratto di lavoro intermittente va stipulato in forma scritta, deve contenere una serie precisa di informazioni (durata modalità della disponibilità, trattamento economico, luogo di lavoro). E’ garantita un’indennità mensile di disponibilità, la cui misura è prevista dai contratti collettivi o da apposito decreto ministeriale. Se il lavoratore nel periodo di disponibilità rifiuta di rispondere alla chiamata del datore di lavoro in modo ingiustificato, sussiste motivo di licenziamento, con la restituzione della quota di indennità di disponibilità eventualmente incassata. Il trattamento economico del lavoratore intermittente non può essere inferiore a quello dei colleghi di pari livello, a parità di mansioni svolte.
Il lavoro accessorio è una forma speciale di lavoro occasionale che serve a dare una risposta alle esigenze del datore di lavoro che si trova ad affrontare esigenze professionali e produttive di carattere saltuario. Questo tipo di rapporto viene consentito in presenza di una serie di limiti retributivi. Il pagamento dell'attività lavorativa avviene tramite degli appositi voucher, buoni cartacei di un determinato valore determinato dal Ministero del Lavoro.
Il numero massimo dei dipendenti assoggettabili a contratto a termine in un’azienda è pari al 20% delle risorse aziendali. Se il datore di lavoro supera tale soglia è soggetto a una sanzione amministrativa ma non ha l’obbligo di trasformare i contratti a termine in sovrannumero in contratti a tempo indeterminato.
Lavoro accessorio
Le norme relative al lavoro accessorio sono contenute negli articoli da 51 a 54 del decreto di riordino delle tipologie contrattuali. Innanzitutto, viene alzata a 7mila euro (dagli attuali 5mila) la soglia sopra la quale non è possibile applicare questi contratti. Questo tetto riguarda la totalità dei committenti nel corso dell’anno, mentre per ogni singolo datore di lavoro il limite massimo è pari a 2mila euro. Le prestazioni di lavoro accessorio possono essere di natura autonoma o subordinata. Chi percepisce prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito, come gli ammortizzatori sociali, può avere contratti di lavoro accessorio fino a una soglia massima di 3mila euro annui. Sarà l’INPS a sottrarre dalla contribuzione figurativa relativa alla prestazione erogata gli accrediti relativi alle prestazioni di lavoro accessorio.
Il lavoro accessorio è invece vietato in caso di appalti, le eventuali eccezioni vanno stabilite con apposito decreto ministeriale. Infine, ci sono regole particolari per l’agricoltura: in questo settore, il lavoro accessorio è consentito per le attività di carattere stagionale effettuate da pensionati o giovani sotto i 25 anni iscritti a scuola, oppure in qualsiasi periodo dell’anno per gli iscritti all'università, o ancora per attività rese nei confronti di produttori con volume d’affari sotto i 7mila euro.
Il lavoro accessorio è retribuito attraverso i voucher, che il committente acquista in modalità telematica presso il sito INPS. Se il datore di lavoro non è un imprenditore o un professionista, può acquistare i voucher anche presso le rivenditore autorizzate. Ogni buono ha un valore nominale di 10 euro, riferito alla retribuzione oraria (per eventuali variazioni, è necessario un apposito decreto ministeriale).
Se il committente è un’impresa o un professionista, deve comunicare alla Direzione Territoriale del Lavoro competente dati anagrafici e luogo della prestazione di lavoro nei trenta giorni successivi.
I compensi da lavoro accessorio sono esenti da imposizione fiscale, e non incidono sullo status di disoccupato o inoccupato. Il datore di lavoro versa i contributi INPS alla gestione separata, pari al 13% del valore nominale del buono, e quelli all’INAIl contro gli infortuni sul lavoro, pari al 7%.
Vengono confermati i voucher, o buoni lavoro, come strumenti di pagamento del lavoro accessorio e viene prevista la comunicazione obbligatoria alla Direzione Territoriale del Lavoro entro 30 giorni dall’inizio dell’attività. Il lavoro accessorio viene vietato nell’ambito dell’esecuzione degli appalti.
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