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domenica 8 settembre 2013

L'esodo incentivato sì ai prepensionamenti

Ancora nessuna novità per quanto riguarda i Quota 96 del comparto scuola, mentre arriva il si definitivo per i pensionamenti statali anticipati dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche.

È previsto, secondo quanto contenuto nel decreto legge 101 del 31 agosto 2013 che detta le disposizioni urgenti per il proseguimento degli obiettivi di razionalizzazione nella pubblica amministrazione, l'allungamento per i dipendenti pubblici, dei requisiti in vigore prima dell'approvazione della Riforma Fornero fino al 2015.

Il recente decreto sui precari della pubblica amministrazione ha diramato alcune istruzioni chiave per favorire l’uscita dal lavoro di quei dipendenti prossimi alla pensione e, insieme, raggiungere le quote di esuberi introdotte con le leggi recenti, su tutte la spending review 2012 di montiana memoria.

Ha trovato quindi tutte le regole applicative la procedura di esodo incentivato di lavoratori dipendenti prevista dalla legge 92/2012, che può essere usata da qualsiasi datore di lavoro con più di 15 dipendenti. Il ministero del Lavoro ha diffuso infatti le circolari 24/2013 e 33/2013, alle quali l'Inps ha fatto seguire la circolare 119 del 1° agosto 2013. A questo punto, le imprese hanno la concreta possibilità di valutare se sia conveniente sostenere il costo di un sostanziale pensionamento anticipato dei lavoratori più anziani, dirigenti compresi.

L'esodo incentivato può essere utilizzato nel quadro di una ristrutturazione aziendale coerente con l'obiettivo di concentrare l'attività in particolari settori. O ancora, nel medio termine, può rendere possibile, attraverso un ricambio generazionale, un più efficace utilizzo del personale.

Una serie di accordi collettivi tra le parti produce la cessazione del rapporto per i lavoratori che matureranno i requisiti minimi di pensione entro 48 mesi. Questi lavoratori, a partire dal mese successivo all'ultima retribuzione e fino alla data della pensione, riceveranno dall'Inps, ma con onere a carico del datore di lavoro, una indennità mensile e l'accredito della contribuzione figurativa fino alla data della pensione. Al maturare della pensione, la persona interessata incasserà una rata di pensione che rispetto alla prestazione prima a carico del datore di lavoro, risulterà più alta, per i contributi figurativi accreditati nel frattempo.

Il primo passo da fare, per le aziende, è la stesura degli accordi. Questi possono essere di tre tipi.

Il datore di lavoro può trovare un'intesa preliminare con le maggiori sigle sindacali aziendali per operai, impiegati e quadri, ovvero per il personale dirigente, con uno dei sindacati che hanno firmato il Ccnl. Questi due tipi di accordi sulla riduzione del personale sono la premessa dell'accordo individuale tra datore di lavoro e lavoratore, con cui si ha la risoluzione consensuale del contratto di lavoro e l'esodo volontario del lavoratore dipendente. Se un lavoratore decide di non firmare o non ha i requisiti di pensionabilità, l'accordo collettivo è senza effetto nei suoi confronti, ma resta valido per i lavoratori aderenti.

Il terzo tipo di accordo, che dà luogo a un esodo obbligatorio, è inserito nella procedura di licenziamento collettivo con le regole della mobilità, in base agli articoli 4 e 24 della legge 223/91. Questa procedura seguirà il suo iter naturale, con l'unica differenza che il licenziamento non darà luogo alla mobilità, ma alla corresponsione della prestazione di importo pari al trattamento di pensione maturato fino a quel momento. Va segnalato, tra l'altro, che se il singolo lavoratore non ha i requisiti di pensionabilità, l'accordo ex mobilità, che in teoria dovrebbe decadere, resta in vita per quanti sono in possesso dei requisiti (si esprime in questo senso la circolare del ministero del Lavoro 33/2013). L'incentivo all'esodo risulta alternativo anche all' Aspi e il datore di lavoro, già soggetto all'onere dell'esodo, non deve versare all'Inps il contributo di licenziamento.

L'incentivo è composto da due parti. La prima è quella che la legge e le circolari chiamano «prestazione»: sul piano fiscale, è una indennità sostitutiva della retribuzione che viene meno per la cessazione del rapporto di lavoro. Come tale, questa prestazione ha natura retributiva ed è soggetta a tassazione ordinaria (in base all'articolo 2, comma 6 del Tuir); non è reversibile, ma genera una pensione indiretta per i superstiti. Di fatto, invece, la «prestazione» è una pensione anticipata, perché il suo ammontare è pari al trattamento di pensione che sarebbe maturato alla data di cessazione del rapporto di lavoro. La seconda componente dell'incentivo all'esodo è la contribuzione figurativa che il datore di lavoro, mese per mese e fino alla data in cui l'esodato consegue i requisiti minimi di pensione, versa all'Inps o al Fondo previdenziale di appartenenza. La base imponibile sulla quale sono calcolati i contributi, in base all'aliquota contributiva prevista (il 33%), è la media delle retribuzioni mensili degli ultimi due anni prima della cessazione del rapporto di lavoro: il calcolo considera gli elementi continuativi e non continuativi e le mensilità aggiuntive.

Le indicazioni della spending review sul personale in sovrannumero negli enti pubblici specificavano che il 20% dei dirigenti e il 10% del personale andasse inserito nelle liste in eccesso, alle quali potevano essere riconosciuti i vecchi requisiti in termini di età pensionabile.
La data limite di questo adempimento, era fissata, per tutti coloro che rientrassero nel computo del personale in oggetto, al 31 dicembre 2014. C’è, però, un aspetto da tenere in considerazione: quello della finestra di 12 mesi, che rende possibile il rinvio alla fine del 2014.
Secondo il decreto precari nella pubblica amministrazione, dunque, l’obbligo per gli enti in grado di dare vita ai piani di allontanamento dei lavoratori più longevi, è quello del licenziamento dei diretti interessati che siano in possesso dei requisiti ante riforma Fornero entro la fine, appunto, del 2014.

Un altro aspetto innovativo del decreto precari, in riferimento ai prepensionamenti, riguarda l’applicazione dei minimi per accedere alla pensione – sempre pre riforma – a coloro che avessero le credenziali in regola al 31 dicembre 2011.

domenica 11 agosto 2013

Decreto lavoro 2013: assunzioni e occupazione giovanile



Il Decreto lavoro introduce una serie di misure a favore dell'occupazione dei giovani. In particolare, viene previsto un incentivo temporaneo fino ad un massimo di 650 euro al mese per l'assunzione di lavoratori tra i 18 e i 29 anni a tempo indeterminato.

Per i giovani ci sono 800 milioni in 4 anni per assunzioni a tempo indeterminato, con quota riservata al Mezzogiorno; gli incentivi fiscali saranno erogati dall’INPS in base all’ordine cronologico di presentazione delle domande, fino a esaurimento delle risorse disponibili. Apprendistato professionalizzante e contratti di mestieri applicabili in maniera strutturale.

Il pacchetto occupazione, che tra l’altro prevede anche il rinvio a ottobre dell’aumento dell’IVA, contiene una serie di importantissimi punti:

per le aziende che assumono a tempo indeterminato lavoratori beneficiari di Aspi scatta un contributo del 50% del sussidio mensile residuo;

le pause per il rinnovo dei tornano a 10 e 20 giorni, dopo che la Fornero le aveva precedentemente allungate a 60 e 90;

entro settembre 2013 la conferenza Stato Regione dovrà adottare nuove linee guida che disciplinino il contratto d’apprendistato. L’obiettivo è a avere una unica disciplina in tutta Italia.

Quindi si allungano di un anno gli incentivi per le start up. Per quanto riguarda le modifiche introdotte dal decreto alla riforma Fornero, si prevede che la pausa tra un contratto a termine e l'altro torni a dieci giorni per contratti fino a sei mesi e venti giorni per contratti di durata superiore. Sarà inoltre possibile per un contratto a tempo determinato non superiore ai 12 mesi non indicare la 'causale’. Il Senato ha chiarito che i 12 mesi possono essere comprensivi della proroga. Inoltre, con altri emendamenti approvati dall'Aula del Senato è stata cancellata l'esclusione dalla sanzione in caso di inadempimenti per la comunicazione del lavoro intermittente o a chiamata che era prevista dal testo originario del Governo nel caso in cui «dagli adempimenti di carattere contributivo precedentemente assolti, si evidenzi la volontà di non occultare la prestazione di lavoro». Infine è stato approvato un emendamento che chiarisce che il tetto di 400 giorni per singolo lavoratore, sempre per il contratto a chiamata, deve riguardare lo stesso datore di lavoro; infine per i settori di turismo, pubblici esercizi e spettacoli, non si applica questo tetto. Approvato anche un articolo aggiuntivo sulla stabilizzazione di soggetti già parti di contratti di associazione in partecipazione. Resta invece al 50% (non é stato approvato un emendamento che la alzava al 70%) la dote Aspi per le aziende che assumono disoccupati in regime Aspi.

Altro aspetto essenziale del decreto ha a che vedere con l'alternanza studio-lavoro: è previsto infatti un sostegno ai giovani studenti universitari durante i tirocini curriculari. La somma predisposta è di 3 milioni per il 2013  e 7,6 per il 2014.

Si interviene anche al Sud. Sono stati stanziati infatti ben 328 milioni, dal 2013 al 2015 dedicati al Mezzogiorno. Per l’esattezza si interviene nel finanziamento dell’autoimprenditorialià e dell’autoimpiego e per progetti relativi all’infrastruttura sociale e alla valorizzazione dei beni pubblici. Non solo. Parte della cifra succitata è destinata per l’appunto ai giovani , in particolare a quelli che non lavorano e non studiano  e per i quali  verrà attivata una borsa di tirocinio formativo.

Si allenta la stretta sul lavoro a progetto; e sull’associazione in partecipazione si prevede una stabilizzazione degli associati con apporto di lavoro, attraverso una loro assunzione entro tre mesi. Il lavoratore dovrà firmare un atto di conciliazione (che vale come sanatoria di eventuali contenziosi pregressi), mentre il datore dovrà versare (alla gestione separata Inps) un contributo straordinario integrativo pari al 5% della quota di contribuzione a carico degli associati, per un periodo massimo di sei mesi.

Presso il ministero del Lavoro nasce la Struttura di missione con il compito di attuare la Youth Guarantee (la Garanzia giovani) e favorire la ricollocazione dei cassintegrati (in particolare dei beneficiari di sussidi in deroga); ed entro il 30 settembre la conferenza Stato-Regioni dovrà adottare le linee guida per disciplinare il contratto d’apprendistato professionalizzante, con l’obiettivo di avere una disciplina uniforme da Milano a Palermo (con modifiche che avranno carattere permanente e si applicheranno a tutte le aziende; in Senato è saltata la limitazione alle sole piccole e medie imprese).

Decontribuzione totale per le nuove assunzioni. Uno sgravio contributivo fino a 650 euro mensili per i datori di lavoro che entro il 30 giugno 2015 assumeranno con contratto a tempo indeterminato giovani tra i 18 ed i 29 anni. A condizione che non abbiano un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi e siano privi di un diploma di scuola media superiore o professionale. Nell’esame al Senato è stato soppresso il criterio che i giovani vivessero soli con una o più persone a carico. L’incentivo ha una durata di 18 mesi e viene concesso a condizione che le assunzioni comportino un incremento occupazionale netto. Lo sgravio contributivo scatta, ma per un periodo più breve (12 mesi), nel caso di trasformazione con contratto a tempo indeterminato. Alla trasformazione, però, deve corrispondere l’assunzione, entro un mese, di un altro lavoratore. L’incentivo è finanziato per 794 milioni, in particolare 500 milioni sono destinati alle regioni del Mezzogiorno e 294 milioni per le restanti regioni.

lunedì 1 aprile 2013

Amministrazione straordinaria alla luce della riforma del 2013. Quali tutele per i lavoratori?


Quando si parla di crisi economica di un’impresa si è di fronte ad una situazione molto complessa, ed inerenti alla situazione di crisi i mezzi di tutela individuali dei creditori sul debitore, si rivelano spesso insufficienti. Lo svolgimento di un’attività imprenditoriale determina effetti e conseguenze economiche più o meno significative nei confronti di alcuni soggetti quali fornitori, banche, clienti e i dipendenti stessi che hanno instaurato rapporti di affari con l’impresa e crediti, i quali possono essere di natura debitori sia dovuti a impegni già pagati o retribuzioni non liquidate.

La crisi economica dell’impresa ed il dissesto patrimoniale del debitore possono riflettersi e coinvolgere anche i terzi creditori, che possono ritrovarsi nell’impossibilità di realizzare, in tutto o in parte, i crediti vantati nei confronti dell’imprenditore, minacciando così i molteplici interessi collettivi coinvolti.

Un altro problema, è quello relativo all'occupazione creato dalla crisi, soprattutto se di grandi dimensioni. In ogni caso le esigenze sentite come imprescindibili dalla collettività sono necessariamente  quelle della salvaguardia dei livelli occupazionali e della tutela dei diritti dei creditori.

Amministrazione straordinaria. Con questo termine si intende la procedura di amministrazione straordinaria delle grandissime imprese insolventi, introdotta nel nostro ordinamento a seguito del flop della Parmalat, e allo scopo di disciplinarne il dissesto, così come altri dissesti di rilevantissime dimensioni. L'idea che sta alla base della procedura è che – qualora l'impresa sia grandissima, per tale intendendosi attualmente un'impresa dotata di almeno 500 dipendenti e gravata da almeno 300 milioni di euro di debiti – se ne debba tentare la ristrutturazione economico-finanziaria in ogni caso (e quindi senza verificare l'esistenza di concrete prospettive di recupero, come accade per le imprese semplicemente grandi).

Ricordiamo che la procedura ha natura amministrativa. Essa viene infatti aperta da un provvedimento governativo ed è affidata a un commissario straordinario di nomina ministeriale, che è dotato di amplissimi poteri di gestione. Tra questi poteri figura quello di predisporre un programma di ristrutturazione, di esercitare le azioni revocatorie contro gli atti dannosi per i creditori compiuti dall'imprenditore prima di essere ammesso alla procedura, e quello di proporre ai creditori un concordato come strumento per la chiusura della procedura.

Questa forma di concordato, ha un contenuto estremamente flessibile, poiché può prevedere la soddisfazione dei creditori attraverso qualsiasi forma tecnica o giuridica e anche attraverso l'attribuzione ai creditori stessi di azioni o quote della società (o di società di nuova costituzione): con ciò trasformando il debito in capitale di rischio.

Il programma di ristrutturazione deve indicare il piano industriale, descrivere le modalità di prosecuzione dell'attività, la eventuale cessione di beni e attività non strategiche, le fonti e l’ammontare dei finanziamenti o delle altre agevolazioni pubbliche  e i mutamenti degli assetti imprenditoriali, nonché modalità e tempi di soddisfacimento dei creditori, anche se con un piano di risanamento si tende al ripristino della solvibilità. In particolare il commissario deve indicare «i modi della copertura del fabbisogno finanziario con specificazione dei finanziamenti o delle altre agevolazioni pubbliche di cui è prevista l’utilizzazione».

Il commissario straordinario deve provvedere all’amministrazione dell’impresa e al compimento di ogni atto utile all’accertamento dello stato di insolvenza, sino alla sua dichiarazione con sentenza. Le procedure di amministrazione straordinaria possono attuarsi o unitamente alla procedura straordinaria relativa all'impresa capogruppo, oppure in via autonoma, secondo un programma di ristrutturazione o di cessione.

Al commissario straordinario è riconosciuta la facoltà di proporre le azioni revocatorie degli atti pregiudizievoli ai creditori anche dopo l’autorizzazione alla esecuzione del programma di ristrutturazione, purché si traducano in un vantaggio per i creditori.

Disposizioni particolari sono inoltre previste per la soddisfazione dei creditori attraverso un concordato.  Nell’ambito della proposta di concordato è infatti possibile:

suddividere in classi i creditori, secondo posizione giuridica ed interessi economici omogenei;
contemplare un trattamento diverso a seconda della classe di creditori;

ristrutturare il debito e soddisfare i creditori attraverso una varietà di strumenti; in particolare, la proposta di concordato può prevedere l’attribuzione ai creditori, o ad alcune categorie di essi o a società da questi partecipate, di azioni o quote, ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni o altri strumenti finanziari e titoli di debito;

attribuire ad un assuntore le attività delle imprese interessate dalla proposta di concordato.

Il Commissario straordinario individua l'acquirente mediante trattativa privata tra i soggetti che garantiscono la continuità del servizio nel medio periodo e la rapidità dell'intervento, e fissa il prezzo di cessione ad un valore non inferiore a quello di mercato.

Per quanto riguarda la tutela dei lavoratori di solito si estende la durata massima dei trattamenti di integrazione salariale straordinaria e di mobilità per il personale con lo scopo di tutelare il reddito dei lavoratori e delle loro famiglie con la continuità degli ammortizzatori sociali, salvaguardando la coesione sociale. Cassa integrazione straordinaria è una prestazione economica erogata dall’Inps per integrare o sostituire la retribuzione dei lavoratori al fine di fronteggiare gravi situazioni di eccedenza occupazionale

Bisogna ricordare che con la riforma del lavoro che è entrata in vigore il 1 gennaio 2013 tra le novità che interessa la cassa integrazione straordinaria è la sua soppressione, dal 1 gennaio 2016, in caso di fallimento dell’impresa, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria, omologazione del concordato preventivo con cessione dei beni e nelle ipotesi di aziende sottoposte a sequestro o confisca.

Ma la novità senza dubbio più rilevante introdotta dalla riforma del lavoro 2012 riguarda la soppressione della stessa cassa integrazione straordinaria a precise condizioni. Al posto della cassa integrazione straordinaria, e solo per quelle aziende con più di 15 dipendenti, verrà istituito infatti presso l’Inps, un Fondo di solidarietà. Il Fondo ha la finalità di assicurare ai lavoratori una tutela in costanza di rapporto di lavoro, nei casi di riduzione o sospensione dell’attività lavorativa per cause previste dalla normativa in materia di integrazione salariale straordinaria o ordinaria.

Il Fondo di solidarietà è obbligatorio per tutti quei settori non coperti dalla cassa integrazione guadagni. La percentuale di contribuzione destinata al finanziamento del Fondo di solidarietà sarà ripartita come segue:
- 2/3 a carico del datore di lavoro,
-1/3 a carico del lavoratore.

La prestazione minima a carico del Fondo di solidarietà è pari alla cassa integrazione guadagno e il trattamento potrà essere erogato per un periodo non superiore ad un ottavo delle ore complessivamente lavorabili.

L'ASPI, in vigore gennaio 2013,  prevede l’erogazione di una indennità mensile ai lavoratori dipendenti del  ,settore privato, compresi gli apprendisti e i soci di cooperativa di lavoro, che si trovano in stato di disoccupazione.

Vediamo gli importi che sono previsti. L’ammontare consiste nel 75% di euro 1.180,00 (euro 885,00) aumentati di una quota del 25% della differenza tra retribuzione percepita ed il limite di euro 1.180,00 nel caso in cui la retribuzione del lavoratore superi quest’ultimo limite.
Per maggiori chiarimenti si consiglia di leggere l'articolo pubblicato a Aspi 2013 la durata e i requisiti.


sabato 16 febbraio 2013

Ministero del Lavoro la circolare n. 3 del 2013 sul Tfr e retribuzione


Il tentativo obbligatorio di conciliazione può allargare la propria efficacia fino a diventare una sorta di accordo "omnibus": trattandosi infatti di una procedura a carattere conciliativo, il ministero del Lavoro ha precisato nella circolare 3/2013 che in questa intesa è possibile comprendere altre questioni di natura economica inerenti al rapporto di lavoro come, ad esempio, le differenze retributive, le ore di lavoro straordinario o il trattamento di fine rapporto.

Quindi sono i tre binari su cui si articola la circolare n. 3/2013 del ministero del Lavoro sulla conciliazione obbligatoria preventiva (articolo 7 della legge 604/1966, modificato dalla legge Fornero 92/2012, articolo 1, comma 40). Senza dimenticare l'obbligo di pagamento del ticket sui licenziamenti scattato il 1° gennaio scorso, che va versato a prescindere dall'esito della conciliazione, salvo le ipotesi – in via transitoria fino al 2015 – di licenziamento per cambio appalto e chiusura cantiere in edilizia. Le imprese e la casistica. La conciliazione preventiva è un vero e proprio percorso a tappe.

Obbligatorio per i datori di lavoro che occupano più di 15 lavoratori (in base alla legge 300/1970) e che effettuano licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo, vale a dire per motivi inerenti all'attività produttiva e all'organizzazione del lavoro. Il Ministero del Lavoro ha precisato che il calcolo della base numerica – per il rispetto della disposizione – deve essere effettuato tenendo conto della media dei lavoratori occupati negli ultimi sei mesi, secondo i consolidati indirizzi della giurisprudenza in materia. Il computo dell'organico deve essere depurato dalle tipologie contrattuali escluse per effetto di disposizioni legislative ad hoc, come i rapporti di apprendistato, i lavoratori somministrati, e così via.

Rientrano invece nel conteggio i lavoratori a tempo parziale, "pro-quota" rispetto all'orario normale contrattuale, così come i lavoratori intermittenti.

Con riferimento alle ipotesi di recesso, la circolare ha precisato che, oltre alle ipotesi per legge  di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, rientrano nell'obbligo di conciliazione anche i licenziamenti intimati per inidoneità fisica, per impossibilità di ripristino (destinazione del lavoratore ad altre mansioni), per chiusura di cantiere in edilizia e quelli conseguenti a provvedimenti di natura amministrativa (si pensi al ritiro del porto d'armi per una guardia giurata).

La procedura si sviluppa in tre fasi  per intraprendere la conciliazione:

il datore di lavoro deve trasmettere alla Direzione Territoriale del Lavoro DTL competente per territorio (in base al luogo di attività del dipendente), e per conoscenza al lavoratore, una comunicazione in cui manifesta la volontà di intimare il licenziamento e indica i motivi alla base di questa scelta;

quando la Dtl riceve la comunicazione, la procedura si intende avviata, e la convocazione delle parti avviene entro il termine perentorio di sette giorni;

entro 20 giorni da questa convocazione, la conciliazione deve concludersi (salvo il caso di sospensione o richiesta delle parti).

Fatte salve le eccezioni per l'edilizia indicate in precedenza, qualunque sia l'esito della procedura – recesso o risoluzione consensuale del rapporto – il datore di lavoro è tenuto a versare all'Inps il ticket sui licenziamenti introdotto dalla riforma per finanziare l'Aspi (articolo 2, comma 31 della legge 92/2012): ora il ticket può arrivare fino a 1.376 euro, ma si attende ancora la rivalutazione per il 2013.

Se la conciliazione sfocia in un accordo di risoluzione consensuale, il lavoratore potrà fruire dell'Aspi solo se ha i requisiti previsti: in questa ipotesi, il sussidio va corrisposto anche per le risoluzioni avvenute dal 18 luglio 2012 (messaggio Inps n. 20830/2012).

Un'altra criticità potrebbe derivare dalla gestione della "sospensione" del rapporto durante la procedura, fino alla sua cessazione: se il lavoratore ha continuato a prestare la propria attività, questo periodo deve essere considerato come preavviso lavorato, anche nei casi in cui il relativo periodo disposto dal Ccnl è inferiore alla durata del procedimento di conciliazione. Una stortura a cui il datore di lavoro potrebbe ovviare specificando nella comunicazione di avvio della procedura che la prestazione lavorativa non è richiesta e impegnandosi a corrispondere l'indennità di mancato preavviso.

È giusto sottolineare l'importanza che durante la procedura sia osservato con cura: la motivazione del licenziamento è rimessa alla valutazione del datore di lavoro, ma il recesso intimato in violazione degli obblighi sulla conciliazione è inefficace, con l'applicazione di un'indennità risarcitoria a favore del lavoratore, che il giudice può determinare tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità.

Il difetto di motivazione potrebbe portare a conseguenze sanzionatorie ben più pesanti nel momento in cui, in caso di contenzioso giudiziale, il licenziamento fosse classificato in ipotesi diverse da quella del giustificato motivo oggettivo. La mancata attivazione della conciliazione obbligatoria può comunque essere sanata se le parti intendono attivare una conciliazione in sede sindacale dopo il licenziamento: in questa ipotesi, il recesso dà luogo all'Aspi.
In queste ipotesi, il lavoratore deve essere pienamente consapevole della definitività e inoppugnabilità dell'intesa che andrà a sottoscrivere (in base all'articolo 410 del Codice di procedura civile): la commissione di conciliazione, nel caso vi siano somme corrisposte a vario titolo, dovrà evidenziare separatamente quelle finalizzate all'accettazione del licenziamento.

Per quanto riguarda gli aspetti di natura fiscale e contributiva legati alla transazione, costituiscono redditi da lavoro dipendente quelli che derivano da titoli che hanno a oggetto la prestazione lavorativa.

Nel caso di fallimento della procedura presso la Dtl, le parti possono ancora tentare altre vie per scongiurare il contenzioso giudiziale: ad esempio, attivando la conciliazione facoltativa in sede sindacale o affidando la controversia a un collegio arbitrale irrituale, come previsto dal collegato lavoro (legge 183/2010).

Nella prima ipotesi, l'accordo tra le parti è solitamente già stato raggiunto e la conciliazione serve a definire il verbale conciliativo: questo deve essere sottoscritto dal datore di lavoro, dal lavoratore e dai rappresentanti sindacali che hanno assistito le parti.

L'importanza della sottoscrizione, anche da parte del sindacato, è evidenziata da una sentenza della Cassazione (n. 13910/1999): per la Corte, il regime di inoppugnabilità (secondo gli articoli 410 e 411 del Codice di procedura civile) delle rinunzie e delle transazioni relative a diritti inderogabili dei lavoratori (articolo 2113 del Codice civile) presuppone che la conciliazione sia caratterizzata dall'intervento di un soggetto «terzo», ritenuto idoneo a tutelare il lavoratore nel momento in cui effettua la rinuncia o la transazione.

Una volta sottoscritto, il verbale in sede sindacale è depositato presso la Dtl a cura di una delle parti o per il tramite di un'associazione sindacale e poi nella cancelleria del tribunale per essere dichiarato esecutivo.

Nel secondo caso, la controversia può invece essere risolta attraverso un collegio arbitrale irrituale composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro, in funzione di presidente.

La parte che intenda avvalersi di questa procedura deve notificare un ricorso sottoscritto e diretto alla controparte. Se quest'ultima accetta, nomina a sua volta il proprio arbitro di parte per proseguire nell'iter della conciliazione.

Anche i contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali più rappresentative, possono prevedere commissioni "ad hoc" alle quali i datori di lavoro o i lavoratori possono affidare la risoluzione della vertenza lavorativa.
 
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