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venerdì 28 luglio 2017

APE Sociale: decadenza, compatibilità e incompatibilità



L'Ape Sociale è un’indennità garantita dallo Stato ed erogata dall’INPS a lavoratori in stato di bisogno che chiedano di andare in pensione in anticipata, ovvero è un anticipo pensionistico, cioè una prestazione che conduce l’interessato dalla data di uscita dal lavoro (o, comunque, dalla data in cui si presenta la domanda per ottenere il trattamento), sino alla data di maturazione dei requisiti per la pensione. Questo anticipo pensionistico lo possono utilizzare dipendenti pubblici e privati e lavoratori autonomi con 63 anni di età a cui mancano tre anni e sette mesi per il raggiungimento della pensione di vecchiaia, con almeno 20 anni di contributi.

L'indennità non spetta ai titolari di un trattamento pensionistico diretto in Italia o all'estero, ed è subordinata alla residenza in Italia e alla condizione che il soggetto abbia cessato l'attività di lavoro dipendente, autonomo e parasubordinato svolta in Italia o all'estero.

L'indennità è inoltre incompatibile con i trattamenti a sostegno del reddito connessi allo stato di disoccupazione involontaria, con il trattamento Asdi e con l'indennizzo per cessazione attività commerciale.

Il beneficiario dell'Ape sociale può svolgere un'attività lavorativa, in Italia o all'estero, durante il godimento dell'indennità purché i redditi da lavoro dipendente o da collaborazione coordinata e continuativa percepiti non superino gli 8.000 euro lordi annui, e quelli derivanti da lavoro autonomo non superino i 4.800 euro lordi annui. In caso di superamento dei limiti annui, il soggetto decade dall'Ape sociale, l'indennità percepita nel corso dell'anno diviene indebita e la Sede Inps procede al relativo recupero.

L’APe Sociale prosegue fino al raggiungimento della pensione di vecchiaia e a quel punto si interrompe automaticamente, senza presentare nuove istanze, mentre per la pensione anticipata rileva il momento in cui decorre il trattamento e non quello di maturazione del requisito: l’indennità è incompatibile con qualsiasi altra forma di trattamento previdenziale, mentre si può sommare ad altre tipologie di trattamento assistenziale, come ad esempio l’assegno sociale.

Decadenza
 La legge prevede che l’APe sociale prosegua “fino al conseguimento dell’età anagrafica prevista per l’accesso al trattamento pensionistico di vecchiaia”. Nel momento in cui viene liquidata l’indennità, spiega l’INPS, l’operatore inserisce anche la data di raggiungimento del requisito anagrafico previsto dall’articolo 24 della legge 214/2011 per l’accesso alla pensione di vecchiaia.

Quindi, il pagamento dell’APE Sociale (salvo che non intervengano ipotesi di decadenza dal beneficio) cesserà automaticamente dal mese successivo alla predetta scadenza “naturale”. Significa che il pensionato non deve fare ulteriori pratiche e nemmeno l’INPS deve procedere alla revoca del trattamento, che appunto cessa automaticamente.

La Legge di Bilancio 2017 prevede però che, se prima del raggiungimento dell’età per la pensione di vecchiaia il lavoratore matura il requisito per la pensione anticipata, decade dal diritto all’APE Sociale. In questo caso c’è un problema interpretativo, perché la legge si riferisce, testualmente, al “raggiungimento dei requisiti per il pensionamento anticipato”, mentre il decreto ministeriale attuativo, all’articolo 8 comma 2, parla di decorrenza della pensione anticipata.

L’INPS con la circolare 100/2017 ha chiarito che rileva la decorrenza e non la maturazione del diritto, in modo che l’assicurato possa percepire la pensione subito dopo la fine dell’APe, non restando mai senza un assegno.

Incompatibilità
Come detto, l’APe non può essere sommato con nessun’altra prestazione previdenziale o con ammortizzatori sociali. Quindi, è incompatibile con assegno ordinario di invalidità, indennizzo cessazione attività commerciale, trattamenti di disoccupazione (ASDI, NASPI, e via dicendo).

E’ invece compatibile con l’assegno sociale, che non è una prestazione previdenziale. Significa che il titolare dell’assegno sociale può chiedere l’accesso all’APE e il titolare dell’APE Sociale può chiedere l’assegno sociale. In entrambi i casi, ai fini del calcolo del tetto di reddito di 1500 euro, si calcolano entrambi i trattamenti: quindi l’assegno sociale viene ridotto, oppure revocato nel caso in cui l’APe comporti il superamento del limite reddituale consentito.

Quindi concludendo l’Ape sociale è incompatibile con le prestazioni a sostegno del reddito conseguenti allo stato di disoccupazione.

In particolare è incompatibile:

con la Naspi (l’indennità di disoccupazione che spetta ai dipendenti);

con l’Asdi (l’assegno di disoccupazione, erogato ad alcuni soggetti, una volta terminata la Naspi);

con l’indennizzo per i commercianti (corrisposto, in determinati casi, per accompagnare alla pensione il commerciante che cede l’attività).

È invece compatibile:

con attività lavorativa dipendente o parasubordinata, se il reddito che ne deriva non supera 8.000 euro all’anno;

con attività di lavoro autonomo, se il reddito che ne deriva non supera 4.800 euro annui.

Inoltre, si decade dal diritto all’indennità se si raggiungono i requisiti della pensione anticipata.




mercoledì 26 luglio 2017

DIS COLL 2017 le istruzioni INPS



Nella circolare 115 del 2017 l'INPS fornisce le istruzioni sulla stabilizzazione ed estensione dell’indennità di disoccupazione DIS COLL per i collaboratori coordinati e per eventi dal 1 luglio del 2017.

Il documento si occupa in particolare : dei destinatari e soggetti esclusi , dei requisiti e dei periodi di contribuzione figurativa per la tutela della maternità - Base di calcolo e misura - Durata della prestazione - Presentazione della domanda e decorrenza della prestazione   Condizionalità in caso di nuova attività lavorativa - Decadenza . Inoltre chiarisce le risorse finanziare e il monitoraggio della funzionalità dell'istituto. Infine si sofferma sul Regime fiscale sulle modalità di ricorso e sulle istruzioni procedurali.

Queste istruzioni riguardano in particolare i lavoratori che perdono la collaborazione a partire dal 1 luglio 2017.

Si ricorda che, in generale, hanno diritto alla Dis Coll i soggetti che soddisfano i 2 requisiti fondamentali:

essere al momento della domanda di prestazione, in stato di disoccupazione ai sensi dell’art. 19, comma 1 del decreto legislativo 14 settembre 2015 n. 150 (stato di disoccupazione);

possano fare valere almeno tre mesi di contribuzione come collaboratori coordinati nel periodo che va dal 1° gennaio dell’anno civile precedente l’evento di cessazione dal lavoro al predetto evento (accredito contributivo di tre mensilità).

Sullo stato di disoccupazione, si considerano disoccupati i soggetti privi di impiego che dichiarano, in forma telematica al sistema informativo unitario delle politiche del lavoro, la propria immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa ed alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro concordate con il centro per l’impiego ed è stato previsto per legge, tra l’altro, che la domanda di indennità DIS-COLL presentata dall’interessato all’INPS equivale a dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro.

La platea dei destinatari viene estesa anche ad assegnisti e dottorandi di ricerca in gestione separata rimasti senza occupazione (oltre a collaboratori coordinati e continuativi, anche a progetto, del pubblico e del privato). Comunque i destinatari non devono avere partita IVA nel momento in cui chiedono il sussidio (se l’hanno aperta ma non produce reddito, devono chiuderla prima di chiedere il sussidio). Il requisito dell’iscrizione in via esclusiva alla gestione separata è soddisfatto se non c’è sovrapposizione tra il rapporto da collaborazione coordinata e continuativa e altra attività lavorativa, come ad esempio un rapporto di lavoro subordinato.

Esempio: dal 1° gennaio 2016 al 30 settembre 2017 l’assicurato ha un contratto di collaborazione /assegno di ricerca / dottorato di ricerca con borsa di studio e per il solo periodo dal 1° gennaio al 30 aprile 2016 ha contemporaneamente in essere un contratto di lavoro subordinato. Il requisito può ritenersi soddisfatto per il solo periodo dal 1° maggio 2016 al 30 settembre 2017, in quanto non sussiste sovrapposizione. Per determinare durata e misura della prestazione sarà utile questo unico periodo.

L’indennità è pari al 75% del reddito medio mensile nel caso in cui tale reddito sia pari o inferiore, per l’anno 2017, all’importo di 1.195 euro. Se il reddito medio mensile è superiore al predetto importo, la misura della Dis-Coll è pari al 75% di 1.195 euro, incrementato di una somma pari al 25% della differenza tra il reddito medio mensile e 1.195 euro. In ogni caso, non può superare i 1.300 euro. L’indennità viene versata per un numero di mesi pari alla metà di quelli lavorati a partire dal primo gennaio dell’anno precedente a quello della disoccupazione, fino a un massimo di sei mesi.

Esempio 1: si ipotizzi un rapporto di collaborazione/assegno di ricerca/dottorato di ricerca con borsa di studio della durata di 10 mesi con la corresponsione di un compenso complessivo di 8.000 euro [copertura contributiva di sei mesi (8.000:1.295,66=6,17 mesi)]. In questa ipotesi, la prestazione spettante avrà una durata di 5 mesi. Ai fini della determinazione della misura della prestazione, dividendo il compenso legato al rapporto di collaborazione/assegno di ricerca/dottorato di ricerca con borsa di studio per il numero dei mesi o frazione di essi, di durata del medesimo, si ottiene un compenso mensile pari ad € 800. La prestazione mensile sarà, pertanto, pari ad € 600 (800X75:100) per i primi tre mesi; € 582 ( € 600 meno il 3 %) per il quarto mese ed € 564,54 (€ 582 meno il 3% ) per il quinto mese, per un importo totale pari a € 2.946,54.

Esempio 2: si ipotizzi un rapporto di collaborazione/assegno di ricerca/dottorato di ricerca con borsa di studio della durata di 6 mesi con la corresponsione di un compenso complessivo di 16.000 euro [(copertura contributiva di 12 mesi (16.000:1.295,66=12,35 mesi)]. In questo caso, la prestazione spettante avrà una durata di 3 mesi. Ai fini della determinazione della misura della prestazione, dividendo il compenso legato al rapporto di collaborazione/assegno di ricerca/dottorato di ricerca con borsa di studio per il numero dei mesi o frazione di essi, di durata del medesimo, si ottiene un compenso mensile pari ad € 2.666,66. La prestazione mensile sarà, pertanto, pari a € 1.264,16 (€ 1.195X75:100 + il 25% della differenza tra € 2.666,66 e € 1.195), per un importo totale pari ad € 3.792,50.

Si precisa che in caso di fruizione parziale della prestazione, ipotizzando ad esempio nel primo caso la fruizione di soli 2 dei 5 mesi spettanti, ai fini del non computo – in occasione di una nuova domanda di DIS-COLL - dei periodi di lavoro che hanno già dato luogo ad erogazione di precedente prestazione DIS-COLL, non saranno computati 4 mesi di lavoro. Analogamente ipotizzando nel secondo caso la fruizione di 1 solo dei 3 mesi spettanti, ai fini del non computo – in occasione di una nuova domanda di DIS-COLL - dei periodi di lavoro che hanno già dato luogo ad erogazione di precedente prestazione DIS-COLL, non saranno computati 2 mesi di lavoro. Per i periodi di fruizione della prestazione non sono riconosciuti i contributi figurativi.

La domanda si presenta all’INPS, in via telematica, entro 68 giorni dalla data di cessazione del contratto di collaborazione / assegno di ricerca / dottorato di ricerca con borsa di studio. Esclusivamente per le cessazioni dal lavoro avvenute nel luglio 2017, i 68 giorni si calcolano dalla pubblicazione della circolare INPS, quindi dal 19 luglio (anche se il rapporto di lavoro si è interrotto in data precedente). In caso di nuova occupazione, la Dis-Coll viene sospesa in caso di un contratto di lavoro fino a cinque giorni mentre si decade dal diritto se il nuovo lavoro dura più di cinque giorni.

Il beneficiario decade dall’indennità, con effetto dal verificarsi dell’evento interruttivo, nei casi di seguito elencati:

a) perdita dello stato di disoccupazione ai sensi dell’art. 19, comma 1 del d.lgs. n. 150 del 2015;

b) non regolare partecipazione alle misure di politica attiva proposte dai centri per l’impiego;

c) nuova occupazione con contratto di lavoro subordinato di durata superiore a cinque giorni;

d) inizio di una attività lavorativa autonoma, di impresa individuale o di un’attività parasubordinata senza che il lavoratore comunichi all’INPS entro trenta giorni, dall’inizio dell’attività o, se questa era preesistente, dalla data di presentazione della domanda di DIS COLL, il reddito che presume di trarre dalla predetta attività;

e) titolarità di trattamenti pensionistici diretti;

f) acquisizione del diritto all’assegno ordinario di invalidità, sempre che il lavoratore non opti per l’indennità DIS COLL. A tale proposito si richiama la circolare n. 138 del 2011.

domenica 28 dicembre 2014

Lavoratore illegittimamente sospeso in CIG



L’ordinamento giuridico consente al datore di lavoro (che si trovi in particolari situazioni di crisi o abbia la necessità di procedere a ristrutturazioni o riorganizzazioni) di sospendere in tutto o in parte i propri dipendenti dal lavoro. Tuttavia, al contempo, questo potere viene disciplinato e limitato dalla legge. Pertanto, la sospensione in CIG disposta al di fuori di questi limiti è illegittima, e il lavoratore può ricorrere al Giudice del lavoro al fine di ottenere la riammissione al lavoro, nonché il risarcimento del danno (che, normalmente, consisterà nella differenza tra la retribuzione che egli avrebbe percepito se non fosse stato sospeso e l’indennità di CIG percepita durante la sospensione).

A tale riguardo, bisogna ricordare che il potere di sospendere i propri dipendenti in CIG incontra innanzi tutto limiti di tipo formale. Infatti, la legge prescrive l’obbligo, per il datore di lavoro, di attivare preventivamente una procedura di informazione e (a richiesta) di consultazione con il sindacato. Questa procedura è analiticamente disciplinata dalla legge soprattutto nei casi di CIG straordinaria.

Il descritto obbligo di informare e, eventualmente, di trattare con il sindacato ha evidentemente lo scopo di garantire che la sospensione dei lavoratori sia trasparente e corretta, con la conseguenza che eventuali violazioni della procedura sindacale rilevino, oltre che sul piano formale, anche su quello sostanziale. Infatti, l’ordinamento ha affidato il controllo in merito alla regolare sospensione dal lavoro – non potendolo assegnare a tutti i lavoratori – al sindacato, che dunque lo esercita per conto dei lavoratori: è allora inevitabile che una violazione della procedura sindacale violi al contempo i diritti del sindacato, ma anche quelli del singolo lavoratore sospeso in CIG. Sulla scorta di simili argomentazioni, la giurisprudenza ha quindi ritenuto che le violazioni della procedura sindacale possano essere fatte valere in giudizio anche dal singolo lavoratore. Inoltre, se la causa è promossa dal sindacato (per esempio in un giudizio per comportamento antisindacale), la conseguenza dell’accertata violazione della procedura comporta inevitabilmente la riammissione in servizio dei lavoratori sospesi, anche se gli stessi non erano parte di quella causa.

Con riferimento ai vizi procedurali di cui si è detto, dunque, il lavoratore (ma anche il sindacato) potrebbe per esempio lamentare l’omissione della procedura, oppure il fatto che non siano state rese tutte le informazioni previste dalla legge, o che le stesse siano state fornite in maniera generica o falsa, o ancora che il datore di lavoro non ha dato seguito alla richiesta del sindacato di trattare.

Vi sono però altri limiti che il datore di lavoro deve rispettare e che, in caso contrario, legittimano il ricorso al giudice da parte del lavoratore. Innanzi tutto, si deve ricordare che il datore di lavoro può ricorrere alla CIG solo in presenza di situazioni di crisi o di ristrutturazione e riorganizzazione previste dalla legge.

Sotto questo profilo, dunque, il lavoratore potrebbe per esempio contestare che la causa della sospensione, enunciata dal suo datore di lavoro, non rientra tra quelle previste dalla legge, oppure che quella situazione non corrisponde al vero.

Infine, il datore di lavoro deve scegliere il personale da sospendere in CIG utilizzando criteri oggettivi e coerenti con la causa della sospensione: il lavoratore potrebbe quindi lamentare di essere stato scelto sulla scorta di criteri che non corrispondono a tali caratteristiche.

Decadenza del rimborso: la richiesta di rimborso delle somme anticipate dal datore di lavoro a titolo di integrazione salariale straordinaria va presentata entro il termine di 6 mesi decorrenti:

dalla fine del periodo di paga in corso alla scadenza del periodo concesso (se la pubblicazione del decreto di concessione del trattamento è avvenuto prima di tale termine);

dal termine del periodo di paga in corso alla data di pubblicazione del provvedimento stesso (se il periodo concesso risulta esaurito alla data della pubblicazione del provvedimento).

Nell'ipotesi in cui l'Istituto sia autorizzato dal Ministero del lavoro ad effettuare il pagamento diretto delle integrazioni salariali straordinarie, il diritto del lavoratore interessato a percepire tali prestazioni è soggetto alla prescrizione decennale decorrente dalla data di emanazione del decreto stesso.

Le aziende possono richiedere il rimborso all'INPS dell' indennità di anzianità (oggi il riferimento va fatto al TFR), corrisposta ai lavoratori licenziati durante il periodo di sospensione, limitatamente alla quota maturata durante tale periodo immediatamente precedente al licenziamento  La norma è applicabile a prescindere dalla scelta sulla destinazione del TFR effettuata dai lavoratori. Il rimborso non può essere richiesto se è intervenuto un evento che ha interrotto la continuità cronologica della sospensione dal lavoro (prima del licenziamento). Non si considerano interruttive della sospensione l'astensione per maternità, le festività, la rioccupazione a tempo determinato presso altra impresa se regolarmente comunicato. Non si considera altrettanto interruttiva la collocazione dei lavoratori in CIG in deroga anche se tale periodo viene fruito senza soluzione di continuità rispetto alla conclusione del periodo di CIGS autorizzato.

Il periodo di sospensione per intervento della CIG in deroga non può prevedere il rimborso delle relative quote di TFR maturate non essendovi norme che lo preveda espressamente. Può però essere riconosciuto il rimborso delle quote di TFR, maturate durante l'intervento della CIGS (ma solo per tale periodo) anche nel caso in cui sopravvenga il licenziamento del lavoratore dopo il periodo di CIG in deroga fruito senza soluzione di continuità rispetto alla conclusione del periodo di CIGS. È prevista la decadenza dal diritto al rimborso delle quote di TFR all'azienda che pone il lavoratore in mobilità nel periodo compreso tra la scadenza del dodicesimo mese successivo a quello di emanazione del decreto di concessione della CIGS e la fine del dodicesimo mese successivo al completamento del programma contenuto nella richiesta di intervento straordinario di integrazione salariale.



domenica 23 novembre 2014

Indennità ASPI: in caso di nuova occupazione



In caso di nuova occupazione del disoccupato come lavoratore subordinato, l’indennità Aspi viene sospesa d’ufficio fino ad un massimo di 6 mesi. La sospensione interviene in seguito alla comunicazioni obbligatorie a cui è tenuto il datore di lavoro, che entro 5 giorni, deve segnalare l’assunzione agli uffici competenti.

Al termine del periodo di rioccupazione, se compreso nei 6 mesi, l’indennità riprende a decorre dal momento della sospensione. I sei mesi di contribuzione del nuovo lavoro possono essere fatti valere ai fine di acquisire il diritto ad un nuovo trattamento di Aspi o mini-Aspi.

Oltre alla sospensione di sei mesi, è prevista anche la decadenza definitiva del diritto all'indennità di disoccupazione Aspi, che interviene in caso di:

inizio di attività autonoma senza aver provveduto alla comunicazione entro i 30 giorni:

raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia o anticipata;

diritto alla pensione di inabilità;

diritto all’assegno ordinario di invalidità, con possibilità di opzione tra i due trattamenti;

condanna per reati di terrorismo, associazione mafiosa, strage;

richiesta di anticipazione prevista in via sperimentale per il 2014 e 2015;

rifiuto a partecipare alle iniziative di politiche attive;

rifiuto di un lavoro congruo con una retribuzione superiore almeno del 20% rispetto all’importo lordo dell’indennità spettante periodo per periodo.

Nel caso di nuova occupazione del soggetto assicurato con contratto di lavoro subordinato, l’erogazione della prestazione ASPI è sospesa d’ufficio, sulla base delle comunicazioni obbligatorie, per un periodo massimo di sei mesi; al termine della sospensione l’indennità riprende  ad essere corrisposta per il periodo residuo spettante al momento in cui l’indennità stessa era stata sospesa.

Il soggetto titolare dell’indennità di disoccupazione ASPI può svolgere attività lavorativa di natura meramente occasionale (lavoro accessorio), purchè la stessa non dia luogo a compensi superiori a 3.000 euro (al netto dei contributi previdenziali) nel corso dell’anno solare.

In caso di svolgimento di lavoro autonomo o parasubordinato, dal quale derivi un reddito inferiore al limite utile alla conservazione dello stato di disoccupazione, il soggetto titolare dell’indennità di disoccupazione ASPI deve, a pena di decadenza, informare l’INPS entro un mese dall’inizio dell’attività, dichiarando altresì il reddito annuo che prevede di trarre dall'attività.

Nel caso in cui il reddito rientri nel limite di cui sopra, l’indennità di disoccupazione è ridotta di un importo pari all’80% dei proventi preventivati. Qualora il soggetto intende modificare il reddito dichiarato, può farlo attraverso nuova dichiarazione “a montante”, cioè comprensiva del reddito in precedenza dichiarato e delle variazioni a maggiorazione  o a diminuzione. In tal caso l’indennità verrà rideterminata.

Il beneficiario decade dall'indennità nei seguenti casi:

perdita dello stato di disoccupazione;

rioccupazione con contratto di lavoro subordinato superiore a 6 mesi;

inizio attività autonoma senza comunicazione all’INPS;

pensionamento di vecchiaia o anticipato;

assegno ordinario di invalidità, se non si opta per l’indennità;

rifiuto di partecipare, senza giustificato motivo, ad una iniziativa di politica attiva (attività di formazione, tirocini ecc.) o non regolare partecipazione;

mancata accettazione di un’offerta di lavoro il cui livello retributivo sia superiore almeno del 20% dell’importo lordo dell’indennità.



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