venerdì 28 luglio 2017

APE Sociale: decadenza, compatibilità e incompatibilità



L'Ape Sociale è un’indennità garantita dallo Stato ed erogata dall’INPS a lavoratori in stato di bisogno che chiedano di andare in pensione in anticipata, ovvero è un anticipo pensionistico, cioè una prestazione che conduce l’interessato dalla data di uscita dal lavoro (o, comunque, dalla data in cui si presenta la domanda per ottenere il trattamento), sino alla data di maturazione dei requisiti per la pensione. Questo anticipo pensionistico lo possono utilizzare dipendenti pubblici e privati e lavoratori autonomi con 63 anni di età a cui mancano tre anni e sette mesi per il raggiungimento della pensione di vecchiaia, con almeno 20 anni di contributi.

L'indennità non spetta ai titolari di un trattamento pensionistico diretto in Italia o all'estero, ed è subordinata alla residenza in Italia e alla condizione che il soggetto abbia cessato l'attività di lavoro dipendente, autonomo e parasubordinato svolta in Italia o all'estero.

L'indennità è inoltre incompatibile con i trattamenti a sostegno del reddito connessi allo stato di disoccupazione involontaria, con il trattamento Asdi e con l'indennizzo per cessazione attività commerciale.

Il beneficiario dell'Ape sociale può svolgere un'attività lavorativa, in Italia o all'estero, durante il godimento dell'indennità purché i redditi da lavoro dipendente o da collaborazione coordinata e continuativa percepiti non superino gli 8.000 euro lordi annui, e quelli derivanti da lavoro autonomo non superino i 4.800 euro lordi annui. In caso di superamento dei limiti annui, il soggetto decade dall'Ape sociale, l'indennità percepita nel corso dell'anno diviene indebita e la Sede Inps procede al relativo recupero.

L’APe Sociale prosegue fino al raggiungimento della pensione di vecchiaia e a quel punto si interrompe automaticamente, senza presentare nuove istanze, mentre per la pensione anticipata rileva il momento in cui decorre il trattamento e non quello di maturazione del requisito: l’indennità è incompatibile con qualsiasi altra forma di trattamento previdenziale, mentre si può sommare ad altre tipologie di trattamento assistenziale, come ad esempio l’assegno sociale.

Decadenza
 La legge prevede che l’APe sociale prosegua “fino al conseguimento dell’età anagrafica prevista per l’accesso al trattamento pensionistico di vecchiaia”. Nel momento in cui viene liquidata l’indennità, spiega l’INPS, l’operatore inserisce anche la data di raggiungimento del requisito anagrafico previsto dall’articolo 24 della legge 214/2011 per l’accesso alla pensione di vecchiaia.

Quindi, il pagamento dell’APE Sociale (salvo che non intervengano ipotesi di decadenza dal beneficio) cesserà automaticamente dal mese successivo alla predetta scadenza “naturale”. Significa che il pensionato non deve fare ulteriori pratiche e nemmeno l’INPS deve procedere alla revoca del trattamento, che appunto cessa automaticamente.

La Legge di Bilancio 2017 prevede però che, se prima del raggiungimento dell’età per la pensione di vecchiaia il lavoratore matura il requisito per la pensione anticipata, decade dal diritto all’APE Sociale. In questo caso c’è un problema interpretativo, perché la legge si riferisce, testualmente, al “raggiungimento dei requisiti per il pensionamento anticipato”, mentre il decreto ministeriale attuativo, all’articolo 8 comma 2, parla di decorrenza della pensione anticipata.

L’INPS con la circolare 100/2017 ha chiarito che rileva la decorrenza e non la maturazione del diritto, in modo che l’assicurato possa percepire la pensione subito dopo la fine dell’APe, non restando mai senza un assegno.

Incompatibilità
Come detto, l’APe non può essere sommato con nessun’altra prestazione previdenziale o con ammortizzatori sociali. Quindi, è incompatibile con assegno ordinario di invalidità, indennizzo cessazione attività commerciale, trattamenti di disoccupazione (ASDI, NASPI, e via dicendo).

E’ invece compatibile con l’assegno sociale, che non è una prestazione previdenziale. Significa che il titolare dell’assegno sociale può chiedere l’accesso all’APE e il titolare dell’APE Sociale può chiedere l’assegno sociale. In entrambi i casi, ai fini del calcolo del tetto di reddito di 1500 euro, si calcolano entrambi i trattamenti: quindi l’assegno sociale viene ridotto, oppure revocato nel caso in cui l’APe comporti il superamento del limite reddituale consentito.

Quindi concludendo l’Ape sociale è incompatibile con le prestazioni a sostegno del reddito conseguenti allo stato di disoccupazione.

In particolare è incompatibile:

con la Naspi (l’indennità di disoccupazione che spetta ai dipendenti);

con l’Asdi (l’assegno di disoccupazione, erogato ad alcuni soggetti, una volta terminata la Naspi);

con l’indennizzo per i commercianti (corrisposto, in determinati casi, per accompagnare alla pensione il commerciante che cede l’attività).

È invece compatibile:

con attività lavorativa dipendente o parasubordinata, se il reddito che ne deriva non supera 8.000 euro all’anno;

con attività di lavoro autonomo, se il reddito che ne deriva non supera 4.800 euro annui.

Inoltre, si decade dal diritto all’indennità se si raggiungono i requisiti della pensione anticipata.




mercoledì 26 luglio 2017

DIS COLL 2017 le istruzioni INPS



Nella circolare 115 del 2017 l'INPS fornisce le istruzioni sulla stabilizzazione ed estensione dell’indennità di disoccupazione DIS COLL per i collaboratori coordinati e per eventi dal 1 luglio del 2017.

Il documento si occupa in particolare : dei destinatari e soggetti esclusi , dei requisiti e dei periodi di contribuzione figurativa per la tutela della maternità - Base di calcolo e misura - Durata della prestazione - Presentazione della domanda e decorrenza della prestazione   Condizionalità in caso di nuova attività lavorativa - Decadenza . Inoltre chiarisce le risorse finanziare e il monitoraggio della funzionalità dell'istituto. Infine si sofferma sul Regime fiscale sulle modalità di ricorso e sulle istruzioni procedurali.

Queste istruzioni riguardano in particolare i lavoratori che perdono la collaborazione a partire dal 1 luglio 2017.

Si ricorda che, in generale, hanno diritto alla Dis Coll i soggetti che soddisfano i 2 requisiti fondamentali:

essere al momento della domanda di prestazione, in stato di disoccupazione ai sensi dell’art. 19, comma 1 del decreto legislativo 14 settembre 2015 n. 150 (stato di disoccupazione);

possano fare valere almeno tre mesi di contribuzione come collaboratori coordinati nel periodo che va dal 1° gennaio dell’anno civile precedente l’evento di cessazione dal lavoro al predetto evento (accredito contributivo di tre mensilità).

Sullo stato di disoccupazione, si considerano disoccupati i soggetti privi di impiego che dichiarano, in forma telematica al sistema informativo unitario delle politiche del lavoro, la propria immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa ed alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro concordate con il centro per l’impiego ed è stato previsto per legge, tra l’altro, che la domanda di indennità DIS-COLL presentata dall’interessato all’INPS equivale a dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro.

La platea dei destinatari viene estesa anche ad assegnisti e dottorandi di ricerca in gestione separata rimasti senza occupazione (oltre a collaboratori coordinati e continuativi, anche a progetto, del pubblico e del privato). Comunque i destinatari non devono avere partita IVA nel momento in cui chiedono il sussidio (se l’hanno aperta ma non produce reddito, devono chiuderla prima di chiedere il sussidio). Il requisito dell’iscrizione in via esclusiva alla gestione separata è soddisfatto se non c’è sovrapposizione tra il rapporto da collaborazione coordinata e continuativa e altra attività lavorativa, come ad esempio un rapporto di lavoro subordinato.

Esempio: dal 1° gennaio 2016 al 30 settembre 2017 l’assicurato ha un contratto di collaborazione /assegno di ricerca / dottorato di ricerca con borsa di studio e per il solo periodo dal 1° gennaio al 30 aprile 2016 ha contemporaneamente in essere un contratto di lavoro subordinato. Il requisito può ritenersi soddisfatto per il solo periodo dal 1° maggio 2016 al 30 settembre 2017, in quanto non sussiste sovrapposizione. Per determinare durata e misura della prestazione sarà utile questo unico periodo.

L’indennità è pari al 75% del reddito medio mensile nel caso in cui tale reddito sia pari o inferiore, per l’anno 2017, all’importo di 1.195 euro. Se il reddito medio mensile è superiore al predetto importo, la misura della Dis-Coll è pari al 75% di 1.195 euro, incrementato di una somma pari al 25% della differenza tra il reddito medio mensile e 1.195 euro. In ogni caso, non può superare i 1.300 euro. L’indennità viene versata per un numero di mesi pari alla metà di quelli lavorati a partire dal primo gennaio dell’anno precedente a quello della disoccupazione, fino a un massimo di sei mesi.

Esempio 1: si ipotizzi un rapporto di collaborazione/assegno di ricerca/dottorato di ricerca con borsa di studio della durata di 10 mesi con la corresponsione di un compenso complessivo di 8.000 euro [copertura contributiva di sei mesi (8.000:1.295,66=6,17 mesi)]. In questa ipotesi, la prestazione spettante avrà una durata di 5 mesi. Ai fini della determinazione della misura della prestazione, dividendo il compenso legato al rapporto di collaborazione/assegno di ricerca/dottorato di ricerca con borsa di studio per il numero dei mesi o frazione di essi, di durata del medesimo, si ottiene un compenso mensile pari ad € 800. La prestazione mensile sarà, pertanto, pari ad € 600 (800X75:100) per i primi tre mesi; € 582 ( € 600 meno il 3 %) per il quarto mese ed € 564,54 (€ 582 meno il 3% ) per il quinto mese, per un importo totale pari a € 2.946,54.

Esempio 2: si ipotizzi un rapporto di collaborazione/assegno di ricerca/dottorato di ricerca con borsa di studio della durata di 6 mesi con la corresponsione di un compenso complessivo di 16.000 euro [(copertura contributiva di 12 mesi (16.000:1.295,66=12,35 mesi)]. In questo caso, la prestazione spettante avrà una durata di 3 mesi. Ai fini della determinazione della misura della prestazione, dividendo il compenso legato al rapporto di collaborazione/assegno di ricerca/dottorato di ricerca con borsa di studio per il numero dei mesi o frazione di essi, di durata del medesimo, si ottiene un compenso mensile pari ad € 2.666,66. La prestazione mensile sarà, pertanto, pari a € 1.264,16 (€ 1.195X75:100 + il 25% della differenza tra € 2.666,66 e € 1.195), per un importo totale pari ad € 3.792,50.

Si precisa che in caso di fruizione parziale della prestazione, ipotizzando ad esempio nel primo caso la fruizione di soli 2 dei 5 mesi spettanti, ai fini del non computo – in occasione di una nuova domanda di DIS-COLL - dei periodi di lavoro che hanno già dato luogo ad erogazione di precedente prestazione DIS-COLL, non saranno computati 4 mesi di lavoro. Analogamente ipotizzando nel secondo caso la fruizione di 1 solo dei 3 mesi spettanti, ai fini del non computo – in occasione di una nuova domanda di DIS-COLL - dei periodi di lavoro che hanno già dato luogo ad erogazione di precedente prestazione DIS-COLL, non saranno computati 2 mesi di lavoro. Per i periodi di fruizione della prestazione non sono riconosciuti i contributi figurativi.

La domanda si presenta all’INPS, in via telematica, entro 68 giorni dalla data di cessazione del contratto di collaborazione / assegno di ricerca / dottorato di ricerca con borsa di studio. Esclusivamente per le cessazioni dal lavoro avvenute nel luglio 2017, i 68 giorni si calcolano dalla pubblicazione della circolare INPS, quindi dal 19 luglio (anche se il rapporto di lavoro si è interrotto in data precedente). In caso di nuova occupazione, la Dis-Coll viene sospesa in caso di un contratto di lavoro fino a cinque giorni mentre si decade dal diritto se il nuovo lavoro dura più di cinque giorni.

Il beneficiario decade dall’indennità, con effetto dal verificarsi dell’evento interruttivo, nei casi di seguito elencati:

a) perdita dello stato di disoccupazione ai sensi dell’art. 19, comma 1 del d.lgs. n. 150 del 2015;

b) non regolare partecipazione alle misure di politica attiva proposte dai centri per l’impiego;

c) nuova occupazione con contratto di lavoro subordinato di durata superiore a cinque giorni;

d) inizio di una attività lavorativa autonoma, di impresa individuale o di un’attività parasubordinata senza che il lavoratore comunichi all’INPS entro trenta giorni, dall’inizio dell’attività o, se questa era preesistente, dalla data di presentazione della domanda di DIS COLL, il reddito che presume di trarre dalla predetta attività;

e) titolarità di trattamenti pensionistici diretti;

f) acquisizione del diritto all’assegno ordinario di invalidità, sempre che il lavoratore non opti per l’indennità DIS COLL. A tale proposito si richiama la circolare n. 138 del 2011.

martedì 25 luglio 2017

Portale INPS, guida alle ultime novità



Più moderno, semplice e intelligente, il nuovo portale è stato progettato basandosi sulle esigenze, modalità di navigazione e abitudini espresse dal cittadino.

Per semplificare la comprensione e la lettura dei contenuti sono state create tipologie di pagina standardizzate finalizzate a orientare, offrire informazioni specifiche e approfondire i temi trattati.

La navigazione del portale è libera: ognuno può scegliere il proprio percorso. È possibile esplorare i contenuti per “categoria di utenza” e per “tema”, raffinare la navigazione per tipologia di pagina, oppure effettuare ricerche specifiche. Il portale propone automaticamente nuovi contenuti di possibile interesse coerenti con la navigazione. I più condivisi, i più cercati, i più cliccati e più consultati, riconfigurati dinamicamente in base all’area del portale che si sta consultando, offrono ulteriori spunti e nuovi percorsi di conoscenza. I tag redazionali, inoltre, permettono la navigazione trasversale tra i contenuti per singola parola chiave.

Ogni contenuto può essere salvato in “MyINPS”, un’area personalizzata e personalizzabile che offre ulteriori strumenti per arricchire la propria esperienza d’uso. L’accesso ai servizi INPS è oggi più immediato. Oltre a poter contare su un motore di ricerca e un’area dedicata, l’accesso avviene direttamente dalla scheda delle relative prestazioni. La finestra consente di scegliere, anche in base alla categoria di utenza, il servizio o il modulo necessario per usufruire della prestazione.

I servizi INPS online sono molto utilizzati e il nuovo portale (online da aprile 2017), nei primi tre mesi, ha registrato 90 milioni di visite (350 milioni di pagine visitate) e ricevuto 56mila suggerimenti, postati attraverso la funzione “Aiutaci a migliorare questa pagina”. Questi feedback hanno offerto: “interessanti spunti di riflessione per la messa a punto e le evoluzioni del portale.

Le indicazioni degli utenti sono state studiate, approfondite e categorizzate per delineare le aree di intervento, utili a rendere il portale più vicino alle richieste.

Il pulsante “Tutti i servizi“ consente di accedere, direttamente dalla home page, a una pagine dalla quale si possono poi selezionare i servizi per tipologia di utenza, per tema, oppure digitando un testo libero nell’apposita stringa di ricerca. E’ anche possibile selezionare la lettera dell’alfabeto corrispondente al servizio desiderato, che va poi selezionato dall’elenco che appare.

Il pulsante “trova la prestazione” serve invece per trovare le schede prestazione, che sono dedicate ai diversi temi, possono anch’esse essere cercate per categorie di utenza, contengono per ogni tipologia di servizio una sintetica spiegazione e le indicazioni su a chi è rivolto, come funziona, come si presentano le eventuali domande.

La mini guida sottolinea anche l’utilità del pulsante assistenza, che consente di accedere a una sezione di supporto alla navigazione. Ci sono tutorial, FAQ, un menù che consente di accedere a indirizzi PEC, Contact Center, il servizio INPS risponde, un applicazione per trovare la sede INPS più vicina, indicazioni sulla procedura per ottenere il PIN ordinario o dispositivo.

Segnaliamo in home page, in basso a destra, il pulsante “Scopri come usare il portale“, cliccando sul quale si aprono delle tendine che spiegano a cosa servono i diversi pulsanti.

Dalla homepage è anche possibile accedere ai canali social (Facebook, Twitter e Youtube).

Aprendo invece le diverse schede prestazioni, si trova sempre il pulsante “accesso al servizio” che rimanda direttamente alla pagine richiesta (passando eventualmente dalla pagine di log in).

Un’altra novità consiste nei menù dedicati a “categorie di utenza” e “temi“, che sempre dalle schede prestazione rimandano a contenuti associati alla pagina in cui ci si trova.

Per ogni servizio, è possibile selezionare in modo intuitivo la pagina desktop per chi sta usando il pc, l’accesso Mobile da smartphone e tablet.

E’ stata anche inserita un’icona che consente di tornare a inizio pagina, sempre nell'ottica di agevolare la navigazione.

Quando si seleziona un determinato servizio, infine, è possibile scegliere se visualizzare le informazioni a griglia o per elenco.


Srl semplificata, requisiti, costituzione e costi




Mettersi in gioco iniziando un’attività sotto la veste di imprenditori sembra essere una scelta meno difficile ed onerosa da attuare rispetto che in passato. Considerate le interessanti opportunità di abbattimento delle barriere all'ingresso, con tutti i vantaggi che la normativa sulle S.r.l. semplificate prevede in termini di diminuzione dei costi e degli oneri notarili e camerali normalmente previsti per altre forme di società di capitali e/o di persone, appare estremamente allettante la possibilità di realizzare una società con questa peculiare forma giuridica.

La disciplina sulle Srl a 1 euro, per chi vuole aprire una società a responsabilità limitata semplificata, è stata conclusa con il Decreto Lavoro 2013, che ha eliminato alcuni paletti lasciando intatte tutte le agevolazioni in materia di minori costi di avvio ma anche di statuto standard – integrabile ma inderogabile rispetto ai suoi tratti distintivi.

Vediamo dunque come aprire una S.r.l. semplificata e quanto costa.

Requisiti per aprire una Srls
L’atto costitutivo deve essere redatto per atto pubblico e contenere i dati anagrafici e requisiti della società:

La denominazione sociale contiene l’indicazione di società a responsabilità limitata.

Il capitale sociale è compreso fra uno e 9.999 euro, è sottoscritto e interamente versato alla data della costituzione. Il conferimento deve essere in denaro e versato all’organo amministrativo.

Vanno indicati gli amministratori (che, rispetto alla regola originaria, non devono più essere soci).

Costi di costituzione

Versamento capitale – da Euro 1 a euro 9.999. N.B. – la disciplina vigente impone l’obbligo di sottoscrivere e versare interamente il capitale sociale scelto nei limiti di legge dai soci al momento della costituzione della società.

Bolli e diritti – circa 150 euro (da verificare, vi sono poi eventuali bolli per copie conformi e tasse archivio notarile);

Imposta di registro – 200 euro;

Tassa Concessione GG. Vidimazione libri sociali – 309,87 euro da versare con bollettino postale
Vidimazione libri sociali – marca da bollo di 16 euro ogni 100 facciate (in genere 200 fogli, quindi 32 euro); il costo per la vidimazione varia, in Camera di Commercio si versa un diritto fisso di 25 euro;

P.E.C. per iscrizione alla CCIAA – a partire da 5 Euro con ARUBA;

Inizio attività – se non contestuale il costo varia in base al professionista che istruisce la pratica; i diritti di segreteria sono di 30 euro;

Non si paga. Per l’atto costitutivo, il notaio controlla i requisiti senza chiedere onorari ed entro 20 giorni deposita l’atto presso l’Ufficio del Registro Imprese tramite software ComUnica, senza spese per i diritti di segreteria e bollo.

Si paga. I costi dovuti sono il diritto annuale alla Camera di Commercio, l’imposta di registro, la denuncia inizio attività.

Un discorso a parte meritano i costi relativa alla tassa di concessione governativa per i libri sociali. Per le Srls, infatti, c’è l’obbligo di contabilità ordinaria, nonché di deposito del bilancio di esercizio presso il registro imprese e di tenuta dei libri sociali.

In totale quindi io costi si aggirano in media intorno ai 650 euro per la costituzione (a fronte dei circa 1400 euro minimi stimati per la costituzione di una SRL), che posso ulteriormente ridursi nel caso di startup innovativa.

Srl a un euro: tutte le regole in dettaglio
Le società a 1 euro sono oggi identificate con le Srls, che hanno inglobato, unificandole, le ex-Srl a capitale ridotto, subendo nel tempo una serie di modifiche in ottica di una maggiore flessibilità per quanto riguarda:

Statuto;

età dei soci;

aumenti di capitale;

trasformazione societaria.

L’atto costitutivo può contenere le seguenti voci aggiuntive, purché non incidano sulla legittimità dell’atto costitutivo né sulla validità delle clausole stesse:

eventuali clausole su durata della società, scelta del modello di amministrazione (collegiale, unipersonale, pluripersonale congiunta o disgiunta), previsione della possibilità di decisioni non assembleari;

dichiarazioni, menzioni e attestazioni di carattere formale, con particolare riguardo a quelle richieste dalla legge notarile in ordine all’intervento delle parti, alla loro capacità e ad altri aspetti della formazione dell’atto pubblico;

dichiarazioni che le parti rivolgono al notaio al fine della redazione della domanda di iscrizione della società nel registro delle imprese, quali ad esempio l’indicazione dell’indirizzo della sede sociale, o la data di scadenza degli esercizi sociali;

clausole meramente riproduttive di norme di legge, anche redatte in documento separato, eventualmente contenente anche gli elementi non contingenti e transitori dell’atto costitutivo.

Età dei soci
Il vecchio requisito della soglia massima dei 35 anni di età, inizialmente necessario per diventare socio di una società a responsabilità limitata semplificata, è stato abolito

Aumenti di capitale
Le Srl semplificate hanno l’obbligo di versare completamente, in denaro, il capitale (da uno a 10mila euro, superati i quali bisogna cambiare forma societaria). Ma l’obbligo di attribuzione in denaro non vale per gli aumenti di capitale, che si può aumentare fino ai 10mila euro senza obbligo integrale di versamento in denaro. Le operazioni di aumento di capitale sono disciplinate dalle norme dettate per la Srl ordinaria Questo vale anche in caso di perdite:  in materia di ricostituzione del capitale in presenza di perdite che superano un terzo (articoli 2482-bis e 2482-ter del codice civile), con riferimento ai valori di capitale richiesto per srls (da 1 a 10mila euro).

Trasformazione in Srl ordinaria
E’ possibile modificare lo statuto per passare da Srl semplificata a ordinaria ma serve che l’atto costitutivo (o Statuto) risultante dalle modificazioni sia conforme alla disciplina del modello di destinazione e che siano rispettati i requisiti soggettivi dei soci. Per quanto riguarda in particolare il passaggio da Srl semplificata alla forma di Srl ordinaria, è necessario il contestuale aumento del capitale sociale ad almeno 10mila euro, con modalità analoghe a quanto avviene in caso di trasformazione di una S.r.l. (con capitale inferiore a euro 120.000) in SpA, senza che risulti necessario accertare il valore del patrimonio sociale mediante una relazione di stima. Quindi, non è necessaria la perizia di stima del patrimonio sociale che, invece, è per esempio richiesta nel caso di trasformazione di una società di persone in Srl. Questo perché in sostanza si rimane all’interno della disciplina della stessa tipologia societaria, la Srl.

Passaggio da Srl ordinaria
Infine nel caso opposto, di passaggio da Srl ordinaria a Srls, è necessario ridurre il capitale sociale sotto i 10mila euro. Ne consegue che il passaggio può essere deliberato:

con efficacia immediata (salva l’iscrizione nel registro delle imprese) in caso di riduzione del capitale sociale per perdite, anche ai sensi dell’art. 2482-ter del codice civile;

con efficacia subordinata al decorso del termine di 90 giorni nel caso in cui la riduzione del capitale sociale avvenga in base all‘art 2482 del codice civile (rimborso ai soci).



lunedì 24 luglio 2017

Lavoro intermittente: legittimo licenziare il lavoratore che compie 25 anni



La disciplina italiana sul lavoro intermittente non viola la disciplina europea in materia di divieti di discriminazioni dei lavoratori in ragione della loro età.

La Corte di Giustizia Europea, con la sentenza 19 luglio 2017, C‐143/16, ritiene che il datore di lavoro può essere autorizzato a concludere un contratto di lavoro intermittente con un lavoratore che abbia meno di 25 anni, qualunque sia la natura delle prestazioni da eseguire, e a licenziare detto lavoratore al compimento del venticinquesimo anno, quando tale disposizione persegue una finalità legittima di politica del lavoro e del mercato del lavoro e i mezzi per conseguire tale finalità sono appropriati e necessari.

Il caso dei giovani commessi di Abercrombie & Fitch è arrivato davanti alla Corte Ue. A portarcelo era stato un giovane assunto nel 2010 e poi licenziato al compimento dei 25 anni. Il lavoratore era stato assunto nel 2010 con contratto di lavoro intermittente a tempo determinato, poi convertito a tempo indeterminato il 1° gennaio 2012. Il 26 luglio di quell'anno, però, era stato licenziato perché compiva 25 anni.

Il lavoratore si era opposto a tale decisione e la Corte di appello di Milano gli aveva dato ragione ritenendo discriminatorio il licenziamento e imponendo all'azienda di riassumere il ragazzo.

La Cassazione aveva successivamente deciso di sollevare davanti alla Corte di giustizia una questione pregiudiziale, chiedendo se fosse compatibile con il diritto dell’Unione la normativa italiana (Dlgs 276/2003) secondo cui il contratto di lavoro intermittente può riguardare soltanto lavoratori di età inferiore a 25 anni o superiore a 45.

I giudici europei hanno deciso che la legge italiana non contrasta con il diritto dell’Unione e, in particolare, con la Carta dei diritti fondamentali e con la direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000. Secondo i giudici «la facoltà di concludere un contratto di lavoro intermittente con un lavoratore che abbia meno di 25 anni, qualunque sia la natura delle prestazioni da eseguire, e di licenziare detto lavoratore al compimento del venticinquesimo anno, persegue una finalità legittima di politica del lavoro e del mercato del lavoro e costituisce un mezzo appropriato e necessario per conseguire tale finalità».

La Corte non nega che la licenziabilità del lavoratore intermittente al compimento del venticinquesimo anno introduca una differenza di trattamento fondata sull’età. «Tuttavia - spiegano i giudici Ue - tale differenza di trattamento è giustificata dalla finalità di favorire l’occupazione giovanile. Infatti, i giovani sotto i 25 anni sono normalmente penalizzati sul mercato del lavoro dall'assenza di esperienza professionale. Per controbilanciare tale situazione, il contratto intermittente riservato agli infraventicinquenni consente agli stessi non tanto di ottenere un lavoro stabile quanto piuttosto di avere una prima esperienza lavorativa funzionale al successivo accesso al mercato del lavoro».

I giudici europei, insomma, alla luce di quanto sopra ritengono ragionevole la scelta del legislatore italiano di prevedere una simile tipologia contrattuale, compiuta in ragione dell'ampio margine discrezionale riconosciuto agli Stati membri nel perseguire uno scopo determinato in materia di politica sociale e dell'occupazione e nel definire le misure atte a realizzarlo. La direttiva 2000/78 è rispettata.

Secondo i magistrati europei la previsione, per il datore di lavoro, della facoltà di concludere un contratto di lavoro intermittente con un lavoratore che abbia meno di 25 anni, qualunque sia la natura delle prestazioni da eseguire, e di licenziare il lavoratore al compimento del venticinquesimo anno, “persegue una finalità legittima di politica del lavoro e del mercato del lavoro e costituisce un mezzo appropriato e necessario per conseguire tale finalità”.

I magistrati sostengono anche che ai lavoratori intermittenti, nei periodi di lavoro, è garantito un trattamento complessivamente “non meno favorevole” rispetto a quello di un lavoratore stabile con mansioni equivalenti. Dunque, in sintesi “nella la misura in cui il limite di venticinque anni di età sia da considerarsi uno strumento appropriato e necessario a raggiungere i richiamati obiettivi di politica occupazionale, deve considerarsi legittimo nel quadro nell'ordinamento dell’Unione”.


mercoledì 12 luglio 2017

Dal 10 luglio 2017 i nuovi voucher: Libretto di famiglia e Contratto di prestazione occasionale




Al posto dei vecchi e super abusati bonus, ecco il Libretto di famiglia e il «Contratto di prestazioni occasionali» che può essere usato solo da imprese con meno di 5 dipendenti assunti a tempo indeterminato. Al loro posto ci sono il Libretto di famiglia (Lf)   e il Contratto di prestazione occasionale (Cpo). Il primo va usato quando il datore di lavoro è una persona fisica. Il secondo per imprese e liberi professionisti che hanno non più di 5 dipendenti a tempo indeterminato in azienda.

L’ambito familiare è definito e limitato alle sole persone fisiche che non esercitano attività d’impresa o professionale. I lavori che possono essere resi dai prestatori (anche per più famiglie) sono unicamente i piccoli lavori domestici (compresi quelli di giardinaggio, pulizia o manutenzione), l’assistenza domiciliare ai bambini, persone anziane, ammalate o con disabilità, l’insegnamento privato supplementare. Di conseguenza non sarà, per esempio, possibile utilizzare il l Libretto di famiglia da parte di un condominio (che non è persona fisica e sarà trattato come tutti gli altri utilizzatori).

Escluse da questi contratti le imprese che operano in edilizia e affini, attività di escavazione, lavorazione di materiale lapideo e in miniere, cave e torbiere. Il Cpo non può essere usato nemmeno nell’ambito di esecuzione di appalti di opere o servizi. Per questo progetto l’Inps ha attivato una piattaforma digitale: dove chi li utilizza deve registrarsi.

Tra i diritti del lavoratore: un riposo giornaliero, pause e riposi settimanali; assicurazione contro infortuni sul lavoro e malattie professionali; assicurazione per invalidità e vecchiaia, con iscrizione alla gestione separata. I compensi sono: esenti da tassazione ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche; computabili ai fini della determinazione del reddito necessario per rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno e non incidono sullo stato di disoccupato o inoccupato. Il «Libretto di famiglia» può essere usato solo per lavori domestici, inclusi quelli di giardinaggio, pulizia o manutenzione; assistenza domiciliare a bambini e persone anziane, malate o disabili; insegnamento privato supplementare. Il Cpo, invece, riguarda professionisti, lavoratori autonomi, imprenditori, associazioni, fondazioni ed altri enti di natura privata, oltre che imprese agricole e Pa.

Il concetto di occasionalità della prestazione è definito dal limite economico senza che ci sia una distinzione tra libretto famiglia e contratto di prestazione occasionale. Nel corso di un anno civile (1° gennaio – 31 dicembre) è consentito acquisire prestazioni di lavoro occasionale:

per ciascun prestatore, con riferimento alla totalità degli utilizzatori, compensi di importo complessivamente non superiore a 5.000 euro;

per ciascun utilizzatore, con riferimento alla totalità dei prestatori, compensi di importo complessivamente non superiore a 5.000 euro;

per le prestazioni complessivamente rese da ogni prestatore in favore del medesimo utilizzatore, compensi di importo non superiore a 2.500 euro.

Questi importi sono al netto di contributi e oneri di gestione.

Per il collaboratore domestico, il primo passo che deve svolgere per usufruire del nuovo strumento contrattuale è lo stesso del datore di lavoro: si deve registrare sulla piattaforma digitale dell’Inps (www.inps.it alla voce «Prestazioni occasionali» ). A lui spetta decidere come ricevere il compenso: accredito su un conto corrente fornendo l’iban, su un libretto postale o su una carta di credito abilitata. Infine il lavoratore può scegliere anche un bonifico domiciliato da riscuotere agli sportelli postali.

Ciascun lavoratore può incassare massimo 5 mila euro l’anno e il limite è di 2 mila e 500 per un solo datore di lavoro. Stessa cosa vale al contrario: ciascun datore di lavoro può raggiungere un importo complessivo non superiore a 5 mila euro. Limiti ci sono anche per la durata della prestazione che in un anno (calcolato dal 1° gennaio al 31 dicembre) non può superare le 280 ore complessive. Per il Libretto famiglia il compenso minimo stabilito è di 10 euro lordi all’ora, 8 netti.

Il datore di lavoro, dopo essersi registrato sul portale dell’Inps, dovrà versare una somma di denaro che formerà il suo portafoglio elettronico per pagare compenso, contributi e oneri di gestione. Inoltre il datore di lavoro, se si tratta di un «Lf», deve comunicare la prestazione entro il giorno 3 del mese successivo alla prestazione. Se si tratta di un «Cpo» invece almeno 60 minuti prima della prestazione. Il lavoratore sarà a sua volta avvisato con mail o sms.

Come registrarsi
Sul piano degli adempimenti, per accedere al Libretto di Famiglia è prevista la registrazione obbligatoria per l’utilizzatore e il prestatore sulla piattaforma informatica dell’Inps (www.inps.it). Adempimenti che potranno essere svolti anche dagli intermediari abilitati (legge 12/1979 e patronati) appena sono pronte le funzionalità (entro fine luglio). In fase di registrazione bisognerà scegliere se accedere al libretto famiglia o al contratto per prestazioni occasionali. Ciascun libretto famiglia contiene titoli di pagamento con un valore nominale di 10 euro, utilizzabili per compensare prestazioni di durata non superiore a un’ora. Per ciascun titolo di pagamento erogato sono dovuti la contribuzione all’Inps (1,65 euro), il premio Inail (0,25 euro) e gli oneri gestionali (0,10 euro). Il compenso orario è dunque pari a 8 euro.

Per il Cpo il compenso giornaliero non può essere inferiore a 36 euro netti, che è la retribuzione minima per 4 ore di lavoro. Questo vale anche se la prestazione ha una durata inferiore. Per le ore successive il compenso è di 9 euro l’ora, ai quali si devono aggiungere gli oneri a carico del datore di lavoro e un’addizionale dell’1% per gli oneri di gestione della prestazione e dell’erogazione del compenso. Il costo totale diventa quindi di 12,29 euro.

Le eccezioni
Si applica anche alle famiglie (come utilizzatori) la particolarità di calcolo del limite di compenso annuo se impiegano pensionati, giovani con meno di 25 anni, persone disoccupate o percettori di prestazione di sostegno al reddito. Per loro il computo sarà ridotto (75% dei compensi erogati) a favore dell’utilizzatore, ma non per il prestatore. In altre parole, impiegando solamente questi prestatori l’utilizzatore avrà un limite d’importo più elevato (6.667 euro), ma per il lavoratore i limiti rimangono quelli ordinari (2.500 oppure 5.000 euro) senza poterli superare. Come nella pregressa disciplina sui voucher, i compensi percepiti dal prestatore sono esenti da imposizione fiscale, non incidono sul suo stato di disoccupato e sono computabili ai fini della determinazione del reddito necessario per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno.


lunedì 10 luglio 2017

APe volontaria e APe sociale, requisiti e beneficiari a confronto




L'Ape Sociale è un’indennità garantita dallo Stato ed erogata dall’Inps a lavoratori in stato di bisogno che chiedano di andare in pensione in anticipata. La domanda all’Inps per questa tipologia di pensione anticipata dovrà essere presentata nella finestra temporale compresa tra il 1 maggio e il 30 giugno 2017. Tale finestra sarà valida per tutti coloro che raggiungeranno i requisiti richiesti per l’accesso entro il 31 dicembre 2017.

Ricordiamo innanzitutto le regole di base dell’anticipo pensionistico APE: lo possono utilizzare dipendenti pubblici e privati e lavoratori autonomi con 63 anni di età a cui mancano tre anni e sette mesi per il raggiungimento della pensione di vecchiaia, con almeno 20 anni di contributi.

Le certezze definitive si avranno solo con i decreti attuativi sull’APe volontaria, che sono ancora attesi, ma comunque sia le regole applicative sull’APe sociale hanno già chiarito tutti i dubbi relativi alle differenze di requisiti per l’accesso alle due indenità. Il punto in comune è rappresentato dai 63 anni di età, che sono sempre necessari sia per il diritto all’Ape sociale sia per quello all’APe volontaria.

Il requisito contributivo invece è più alto per l’APe sociale. Per l’anticipo pensionistico di mercato bastano 20 anni di contributi, per quello pagato dallo stato ce ne vogliono 30 (disoccupati, caregiver, lavoratori con disabilità al 74%), oppure 36 (mansioni gravose).

Il tempo che manca all’età per la pensione di vecchiaia è un paletto che riguarda solo l’APe volontaria, mentre non è previsto per l’APe sociale: quindi, per l’accesso all’APe volontaria non possono mancare più di tre anni e sette mesi alla maturazione del requisito per la pensione di vecchiaia. Per l’APe sociale non è previsto alcun paletto. Sono in realtà allo studio meccanismi per prevedere una flessibilità nell’applicazione del requisito dei 3 anni e 7 mesi per l’APe volontaria, per armonizzare la legge agli scatti sulle aspettative di vita (che non possono essere calcolati in anticipo, ma che potrebbero poi allungare la distanza dalla pensione). Per questi dettagli, bisogna attendere il decreto applicativo. Un’altra differenza relativa al rapporto fra APe e maturazione della pensione, è che l’APe volontaria è utilizzabile esclusivamente per raggiungere la pensione di vecchiaia (con scelta non più revocabile), mentre l’APe sociale si interrompe nel caso in cui, prima del raggiungimento della pensione di vecchiaia, il lavoratore maturi il diritto a pensione anticipata.

In entrambi i casi, è previsto che l’assegno venga calcolato sulla base della pensione maturata nel momento della richiesta. Ma gli importi sono diversi. Nel caso dell’APe sociale c’è un tetto a 1500 euro lordi. Nel caso dell’APe volontaria, invece, è previsto che l’assegno maturato sia pari ad almeno 1,4 volte il minimo (700 euro lordi). Quindi, questo ultimo trattamento (l’Ape volontario) non può essere inferiore a 700 euro lordi, mentre l’Ape sociale non può superare i 1500 euro. Attenzione: è possibile che i decreto attuativi sull’APe volontario permettano di sommare le due indennità, consentendo quindi a chi avrebbe maturato un assegno più alto di 1500 euro di chiedere la differenza sotto forma di APe volontaria. In questo caso, la somma sarà poi da restituire con rate ventennali.

Come è noto, la fondamentale differenza fra i due trattamenti è che l’APe volontaria è un anticipo pensionistico, finanziato dal sistema bancario, che poi viene restituito con al pensione (pagando rate per 20anni), mentre l’APe sociale è un’indennità pagata interamente dallo Stato. Altro punto importante da sottolineare: l’APe volontario è compatibile con il proseguimento dell‘attività lavorativa, mentre per l’accesso all’Ape sociale bisogna interrompere l’attività lavorativa. E’ possibile sommare solo redditi da lavoro dipendente fino a 8mila euro annui, o da lavoro autonomo fino a 4mila 800 euro annui.

Infine, l’APe volontario è utilizzabile da tutte le categorie di lavoratori con 63 anni, 20 anni di contributi, al massimo 3 anni e sette mesi alla pensione di vecchiaia, e con un assegno pari ad almeno 1,4 volte il minimo, mentre l’APe sociale è riservato a quattro specifiche tipologie di lavoratori, ovvero:

disoccupati per licenziamento, dimissioni per giusta causa, o procedure di conciliazione ex legge 604/1996 (articolo 7), che abbiamo terminato il sussidio spettante da almeno tre mesi;

caregiver che assistono da almeno sei mesi coniuge, partner in unione civile, o parente di primo grado convivente con handicap grave;

lavoratore disabile almeno al 74%;

addetto a mansioni usuranti (fra quelle contenute nell’allegato alla Legge di Bilancio).




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