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mercoledì 27 marzo 2013

Licenziamento del lavoratore possibilità al trasferimento o al tempo parziale

Rispetto rigoroso della tempistica, esatta individuazione dei requisiti dimensionali dell'azienda, definizione del perimetro del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Sono i tre binari su cui si articola la circolare n. 3/2013 del ministero del Lavoro sulla conciliazione obbligatoria preventiva. Senza dimenticare l'obbligo di pagamento del ticket sui licenziamenti scattato il 1 gennaio 2013, che va versato a prescindere dall'esito della conciliazione.

A parte i passaggi previsti dalla conciliazione obbligatoria, bisogna considerare con attenzione anche i diversi effetti che questa produce sul rapporto di lavoro, a seconda dell'esito finale.

Il datore di lavoro può avanzare la procedura del licenziamento del lavoratore se il tentativo di conciliazione viene meno perché le parti non hanno trovato un accordo, perché si è verificato l'abbandono o l'assenza di una di esse, oppure se la convocazione da parte della Direzione Territoriale del lavoro (Dtl ) non è arrivata nei termini previsti: in queste ipotesi, la cessazione del rapporto ha effetto dal giorno della comunicazione alla Dtl con cui il procedimento è stato avviato (individuata nella data di ricezione della comunicazione da parte dell'ufficio), fatti salvi il diritto al periodo di preavviso – se il lavoratore non ha continuato a lavorare, durante la procedura – oppure, in alternativa, all'indennità sostitutiva in favore del lavoratore.

In alcuni casi, come quello di un periodo contrattuale di preavviso breve, si pone il problema di computare a questo titolo soltanto una parte dei giorni lavorati.

Per evitare eccessi, la riforma del lavoro ha previsto che eventuali malattie insorte dopo la comunicazione di avvio non producano alcuna sospensione del licenziamento, mentre restano validi gli effetti sospensivi previsti dalle norme a tutela della maternità e della paternità e in caso di impedimento derivante da un infortunio sul lavoro.

Viceversa, nell'ipotesi di esito positivo della conciliazione, le soluzioni alternative al licenziamento possono essere diverse: si pensi, ad esempio al trasferimento del lavoratore, alla trasformazione del rapporto da tempo pieno tempo parziale.
I contenuti dell'accordo sono verbalizzati dalla commissione di conciliazione, e acquistano un valore incontestabile.

Nel caso di risoluzione consensuale del rapporto, invece, la Dtl ne dà sempre atto con un verbale e resta escluso l'obbligo di convalida – previsto dall'articolo 4, comma 17, della legge 92/2012 – davanti a uno degli organismi abilitati. Inoltre, in deroga alla disciplina ordinaria, il lavoratore può accedere all'Aspi ed essere affidato a un'agenzia del lavoro per la ricollocazione.

Sugli adempimenti operativi che riguardano la comunicazione obbligatoria del licenziamento ai servizi per l'impiego, che in via ordinaria deve essere effettuata nei cinque giorni successivi al recesso, il ministero del Lavoro (con la nota 18273 del 12 ottobre 2012) ha già chiarito che il termine di riferimento decorre dalla conclusione della procedura di conciliazione: vale a dire dalla data di effettiva risoluzione del rapporto, e non dal giorno della comunicazione di avvio del procedimento, che la legge 92/2012 individua come «data legale» e dalla quale si producono gli effetti del licenziamento.

Ricordaiamo che, in caso di omissione della comunicazione obbligatoria, è prevista una sanzione amministrativa a carico del datore di lavoro, con un importo che va da un minimo di 100 euro a un massimo di 500 euro.

domenica 27 gennaio 2013

Guida al contributo di licenziamento per colf e badanti

I lavoratori domestici sono domestici coloro che prestano un’attività lavorativa continuativa per le necessità della vita familiare del datore di lavoro come ad esempio colf, assistenti familiari o baby sitter, governanti, camerieri. Rientrano in questa categoria anche i lavoratori che prestano tali attività presso comunità religiose (conventi, seminari), presso caserme e comandi militari, nonché presso le comunità senza fini di lucro, come orfanotrofi e ricoveri per anziani, il cui fine è prevalentemente assistenziale.

Il rapporto di lavoro può cessare per libera volontà del lavoratore e del datore di lavoro, a condizione che si dia regolare preavviso all'altra parte.

In caso di licenziamento, per il rapporto di lavoro con impegno superiore a 24 ore settimanali il preavviso dovrà essere:
15 giorni di calendario, fino a cinque anni di anzianità presso lo stesso datore di lavoro;

30 giorni di calendario, oltre i cinque anni di anzianità presso lo stesso datore di lavoro.

Per il rapporto di lavoro con impegno fino a 24 ore settimanali il preavviso dovrà essere:

8 giorni di calendario, fino a due anni di anzianità;

15 giorni di calendario, oltre i due anni di anzianità.

Tali termini sono ridotti del 50% nel caso di dimissioni da parte del lavoratore.
In caso di mancato preavviso da parte del datore di lavoro è dovuta al lavoratore un’indennità pari alla retribuzione corrispondente al periodo di preavviso spettante.
In caso di dimissioni invece, al lavoratore che non effettua la prestazione nel periodo di preavviso viene
trattenuta dalla liquidazione l’importo che gli sarebbe spettato in tale periodo.

Dal 1° gennaio 2013 chi licenzia una collaboratrice domestica dovrà versare fino a 1.450 euro. La somma si aggiunge al Tfr e alla 13esima e vale per i licenziamenti per giusta causa: ad esempio quando la colf non viene al lavoro o ha rubato in casa.

Diciamo che sono veri e propri nuovi contributi dovuti all’Ente di previdenza (Inps) anche se c'è giusta causa, e non va pagata solo se è il lavoratore a dimettersi o se ovviamente il contratto viene risolto consensualmente.

Quindi con le nuove norme sul lavoro anche per i collaboratori domestici, come per gli altri lavoratori dipendenti, la riforma del mercato del lavoro approvata dal governo Monti prevede il «contributo di licenziamento» che può arrivare fino a 1.450 euro. Una somma che il datore di lavoro deve versare obbligatoriamente all'Inps e che si aggiunge al trattamento di fine rapporto e alla quota della tredicesima già maturata. E’ un vero e proprio esborso che servirà a finanziare l'Aspi e la mini Aspi, cioè le due assicurazioni sociali per l'impiego che proprio a partire dal primo gennaio del 2013 sostituiscono l'indennità di disoccupazione.

Per calcolare quanto si dovrà versare all'Inps si deve devono considerare per ogni anno di anzianità lavorativa 438,80 euro. Se l'anzianità di servizio è inferiore all'anno, andranno conteggiati soltanto i mesi effettivamente lavorati. Dunque, sei mesi di lavoro come colf corrispondono alla metà della quota: 241,90 euro. In ogni caso non è possibile conteggiare più di tre anni: con un tetto massimo di 1.451,40 euro.

L’Assindatacolf, l'Associazione sindacale fra datori di lavoro dei collaboratori familiari ha sostenuto che: «Il contributo è previsto in tutti i casi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato successivi al primo gennaio del 2013». E riguarda anche i licenziamenti per giusta causa o giustificato motivo, che possono scattare, per esempio, quando la colf o la badante non si presenta più al lavoro.

domenica 20 gennaio 2013

Cessione ramo d'azienda a garanzia del lavoratore per l'anno 2013


Si ha il la cessione ramo d'azienda o trasferimento d'azienda quando, in seguito a operazioni quali cessione contrattuale, fusione, affitto, usufrutto, cambia il titolare della azienda stessa.

L'art. 2112 del Codice Civile 'Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d'azienda', e i suoi successivi Decreti Legislativi, intendono per trasferimento d'azienda qualsiasi operazione che comporti un mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata. Il trasferimento di un ramo di azienda è uno strumento molto importante per le aziende che intendono attuare processi di ristrutturazione e esternalizzazione, nonché espellere il personale aziendale in esubero invece di avviare drastiche procedure di licenziamento.

La cessione può riguardare l'intera azienda o parte di essa e in questo caso si parla di trasferimento di ramo d'azienda.

Questo ultimo tipo di cessione è ammissibile solo se la parte di azienda che si intende trasferire è funzionalmente autonoma al momento della cessione o trasferimento identificata come tale o dal cedente o dal cessionario al momento del trasferimento (detta entità deve presentare una organizzazione di mezzi idonea allo svolgimento dell’attività di impresa, con la possibilità di eventuali e successive integrazioni da parte del cessionario).

Quando vi è la cessione dell'azienda (o di un ramo di essa) cambia il titolare dell'attività e quindi cambia il datore di lavoro. La legge tutela il lavoratore con alcune disposizioni specifiche e prevede che:

il rapporto di lavoro non si estingue, ma continua con il nuovo titolare dell'azienda; il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano; il lavoratore può chiedere al nuovo datore di lavoro il pagamento dei crediti da lavoro che aveva maturato al momento del trasferimento; il nuovo datore di lavoro è pertanto obbligato in solido con il vecchio titolare per la soddisfazione di tali crediti; nel caso di stipulazione di un contratto d'appalto tra azienda d'origine e ramo trasferito, il lavoratore dipendente di questo ultimo può agire in giudizio direttamente nei confronti dell'azienda di origine per obbligarla al pagamento dei debiti che questa ha contratto con il ramo trasferito;

il nuovo titolare deve continuare ad applicare il contratto collettivo nazionale, in vigore al momento del trasferimento, fino alla sua scadenza;

la cessione o trasferimento d'azienda non costituisce motivo di licenziamento;

se la cessione si verifica in imprese che occupano più di 15 dipendenti, è obbligatorio per il datore di lavoro avvertire con comunicazione scritta, almeno 25 giorni prima dell'atto di cessione, le rappresentanze sindacali che avviano procedure di analisi e verifica necessarie alla tutela dei lavoratori , per evitare che il mancato rispetto della normativa potrebbe eludere altri istituti contrattuali e di legge, come le norme sullo Statuto del lavoratori, il collocamento dei disabili.

La cessione di rami societari può risultare per alcune aziende una ricetta necessaria per far fronte alle difficoltà della crisi economica. Il tema sta diventando sempre più di attualità in questo momento, a cavallo tra la fine del 2012 e il 2013.
Dal punto di vista dei giudici – chiamati a esprimersi su queste operazioni in caso di contenzioso – l'esigenza di razionalizzare le strutture aziendali deve bilanciare la libertà di iniziativa economica e salvaguardare l'occupazione e soprattutto i diritti dei lavoratori. In questa direzione, la giurisprudenza è sempre più impegnata nella ricerca degli elementi di legittimità per determinare una genuina ed effettiva operazione di cessione imprenditoriale. In particolare, il filo che lega le pronunce è certamente la presenza di una struttura aziendale con autonomia funzionale e produttiva.

Ricordiamo che con sentenza n. 21711, la Cassazione ha precisato che il trasferimento a un altro datore di lavoro di una serie di contratti di lavoro eterogenei, rappresenta cessione di ramo d'azienda solo se prima del negozio tra cedente e cessionario questi contratti configuravano una vera e propria struttura aziendale con autonomia funzionale e produttiva: in mancanza di questi elementi, il trasferimento è una mera esternalizzazione.

Vediamo il problema Tfr cessione ramo d'azienda. La Cassazione, ribadendo la natura di retribuzione differita del Tfr, sostiene che in caso di cessione di ramo di azienda assoggettata al regime previsto dall'articolo 2112 del Codice civile, il datore di lavoro cedente rimane obbligato nei confronti del lavoratore suo dipendente, il cui rapporto prosegua con il datore di lavoro cessionario, per la quota di trattamento di fine rapporto maturata durante il periodo di rapporto con lui svolto e calcolato fino alla data del trasferimento d'azienda. Viceversa, il datore di lavoro cessionario è obbligato per questa stessa quota soltanto in ragione e nei limiti del vincolo di solidarietà previsto dall'articolo 2112, comma 2. Infine, conclude l'estensore, quest'ultimo, come datore di lavoro cessionario, è l'unico obbligato al trattamento di fine rapporto quanto alla quota maturata nel periodo del rapporto intercorso dopo il trasferimento di azienda.

Comunque per quanto riguarda la tutela dei lavoratori nell'ipotesi di cessione del ramo d'azienda, la legge provvede a disciplinare i criteri e le modalità di attuazione delle rispettive parti in causa, sia per il cedente che il cessionario. Di norma il rapporto di lavoro del lavoratore  dipendente prosegue con il cessionario e quindi il nuovo datore di lavoro. Si tratta di una disposizione di estrema tutela per il dipendente, il quale oltre a mantenere la garanzia del proprio lavoro, conserva anche lo stesso trattamento economico e normativo di cui disponeva presso l'azienda cedente.

domenica 9 settembre 2012

Lavoratori stranieri, regolarizzazione a partire dal 15 settembre 2012


Al via la procedura di regolarizzazione degli immigrati impiegati senza regolare contratto di lavoro.

Un mese di tempo per regolarizzare la posizione degli stranieri presenti irregolarmente in Italia. Dal 15 settembre al 15 ottobre i datori di lavoro potranno sanare la propria posizione in merito a dipendenti extracomunitari presentando domanda di regolarizzazione, in armonia con il Decreto legislativo n. 109 del 16 luglio 2012, in vigore dal 9 agosto.

Il Decreto ha permesso l'attuazione della direttiva 2009/52/CE che vieta ai datori di lavoro di impiegare cittadini con soggiorno irregolare, con sanzioni e provvedimenti in caso di inadempienza.
Il datore di lavoro che presenta domanda di emersione dovrà versare un contributo forfettario di 1.000 euro per ciascun lavoratore, a partire dal 7 settembre 2012.

Sono esclusi dalla procedura i datori di lavoro che negli ultimi cinque anni sono stati condannati per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, sfruttamento di persone, anche minori, per prostituzione o altre attività illecite, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro ai sensi dell'articolo 603-bis c.p, datori con lavoratori privi del permesso di soggiorno e che non hanno sottoscritto il contratto di soggiorno presso lo sportello unico salvo cause forza maggiore.
Nella circolare si ricordano i vari passaggi che i datori di lavoro devono seguire: dopo il pagamento dei mille euro, sarà necessario presentare l'istanza telematica attraverso il sito del ministero dell'Interno. La procedura telematica sarà attiva dalle 8 del 15 settembre, fino alla mezzanotte del 15 ottobre.

Per l'invio della domanda i datori potranno farsi assistere anche dai patronati, come già è avvenuto per le precedenti sanatorie. A differenze delle regolarizzazioni degli anni scorsi, però, stavolta non è stata fissata una quota massima di ammissione. Non sarà, quindi, necessario affrettarsi nell'invio della domanda.

Esclusi anche i lavoratori stranieri con provvedimento di espulsione, segnalati ai fini della non ammissione nel territorio dello Stato, condannati per uno dei reati previsti dall'articolo 380, o che costituiscono una minaccia per l'ordine pubblico e la sicurezza. Esclusi anche rapporti di lavoro a tempo parziale.

L'Agenzia delle Entrate ha inoltre istituito i codici tributo REDO (lavoro domestico) e RESU (lavoro subordinato), per l'esatta compilazione del modello F24 Versamenti con elementi identificativi da parte del datore di lavoro.

Ci sono vincoli anche per i datori di lavoro: il reddito mimino deve essere di 20mila euro nel caso in cui un nucleo familiare composto da un solo percettore di reddito voglia regolarizzare un lavoratore domestico di sostegno al bisogno familiare. Tale reddito sale a 27mila se nella famiglia ci sono più soggetti conviventi. Per sanare la posizione di un lavoratore di un altro settore, invece, bisognerà dimostrare di avere un reddito annuo di almeno 30mila euro. Per regolarizzare una badante, invece, non è previsto alcun reddito minimo.

Un altro requisito indispensabile riguarda la durata del rapporto di lavoro che deve essere in atto almeno dal 9 maggio scorso.

domenica 22 aprile 2012

Donne e la riforma del lavoro

La politica che si sta occupando di riforma del mercato del lavoro, e delle lavoratrici donne, distinguendole in due grandi categorie: le lavoratici – madri e tutte le altre.

Il ddl di riforma del mercato del lavoro ha introdotto norme che dovrebbero incentivare l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro e ne tutelano alcuni diritti.

Il capo V del ddl è tutto dedicato alle donne, e gli artt. 55 e 56 contengono disposizioni incentrate sul ripristino del contrasto alle dimissioni in bianco, sul mini congedo obbligatorio di tre giorni continuativi di paternità, e sui buoni per pagare le baby sitter invece di prendersi le aspettative facoltative per maternità.

Tra le misure introdotte, prende piede la previsione riguardante le dimissioni delle lavoratrici madri. Si prevede l’estensione della necessità di convalida, a cura del competente servizio ispettivo territoriale, delle dimissioni e della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. Un meccanismo di convalida questo che prevede che la lavoratrici si presenti personalmente al servizio ispettivo, al preciso scopo di verificare la libera e non influenzata volontà della stessa a voler interrompere il rapporto di lavoro. Il tempo per la convalida delle dimissioni della lavoratrice madre (o anche del lavoratore- padre) e quindi la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, passa dal compimento del primo anno di vita del figlio, ai 3 anni, con adeguamenti corrispondenti in caso di adozione o affidamento. Rimane però fermo al compimento di un anno del figlio, sia il periodo in cui opera il divieto di licenziamento, sia il periodo entro il quale le dimissioni della lavoratrice (o del lavoratore, se fruisce del congedo di paternità) si presumono “a causa di maternità”, producendo così il diritto al pagamento della indennità sostitutiva del preavviso.

La riforma sembra dichiarare una volta per tutte guerra a quella pratica illegale, denominata “Dimissioni in bianco”, consistente in un foglio di dimissioni fatto firmare da alcune aziende al momento dell’assunzione di una donna e da utilizzare, in seguito, in caso di maternità della stessa.
La riforma prevede che la risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice durante il periodo di gravidanza (o nei primi tre anni di vita del bambino) debbano essere convalidate dal servizio ispettivo del ministero del Lavoro e delle politiche sociali competente per territorio.

L’art. 55 del ddl prevede infatti che «La risoluzione consensuale del rapporto o larichiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, o, in caso di adozione internazionale dovranno essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro».

L’art. 56 del ddl introduce poi una disposizione sui congedi obbligatori di paternità: “il padre lavoratore dipendente, entro i cinque mesi dalla nascita del figlio, ha l’obbligo di astenersi dal lavoro per un periodo di tre giorni, anche continuativi, dei quali due giorni in sostituzione della madre e con un riconoscimento di un’indennità giornaliera a carico dell’Inps pari al cento per cento della retribuzione e il restante giorno in aggiunta all’obbligo di astensione della madre con un riconoscimento di un’indennità giornaliera pari al cento per cento della retribuzione”, recita la norma.

In verità alcuni contratti di lavoro prevedono già forme di congedi di paternità, ma sarebbe la prima volta che ne viene introdotto, per legge e in Italia, l’obbligo. Si tratta di un mini-congedo obbligatorio, ma è pur sempre un passo avanti che può contribuire a “far cambiare la mentalità” perché “la maternità non è un fatto solo di donne”, come ha detto il ministro Fornero.

L’altra novità rilevante della riforma del lavoro riguarda i voucher per retribuire le baby sitter. All‘art. 56 lett. b) del ddl è disciplinata “la possibilità di concedere alla madre lavoratrice, al termine del periodo di congedo di maternità, per gli undici mesi successivi e in alternativa al congedo parentale (…) la corresponsione di voucher per l’acquisto di servizi di baby-sitting da richiedere al datore di lavoro”.

In effetti i voucher per baby sitter sembrano volti ad incoraggiare le madri a tornare al più presto al lavoro, senza fruire del congedo parentale (tantomeno incoraggiando i padri a prenderlo) e senza neppure garantire loro e ai loro bambini servizi adeguati sul piano quantitativo e qualitativo. Mentre tutte le ricerche scientifiche sottolineano l´importanza della qualità della cura e delle relazioni nel primo anno di vita del neonato.

domenica 3 aprile 2011

CCNL: che cosa è?

Il contratto collettivo nazionale di lavoro detto in modo abbreviato CCNL è il contratto stipulato a livello nazionale con i sindacati e i datori di lavoro, che predeterminano congiuntamente la disciplina dei rapporti individuali di lavoro e aspetti delle relazioni presente nel luogo di lavoro (orari di lavoro, particolari permessi, sicurezza sul lavoro ed aspetti che rappresentano cambiamenti nell’ambito dell’azienda presa di coscienza e conoscenza delle linee politiche e di intervento in determinati settori dell’azienda (evoluzioni strategiche).
Nel settore del pubblico impiego il CCNL è stipulato tra le rappresentanze sindacali dei lavoratori e l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN), che rappresenta per legge l’Amministrazione Pubblica, l’ente di appartenenza nella contrattazione collettiva.
La funzione del CCNL è di dettare dei minimi economici e normativi validi per tutti i lavoratori di un determinato  settore è garantire, in quasi tutti gli ordinamenti che prevedono l'istituto, da specifiche procedure volte ad estendere le norme collettive a tutti i soggetti.
Il rapporto di lavoro è disciplinato da una molteplicità di fonti: legge, contratti collettivi e contratto individuale. Ricordiamo che il CCNL non ha mai efficacia abrogativa nei confronti delle leggi ordinarie, salvo il caso di recepimento delle disposizioni del contratto in un atto avente forza di legge.
Il CCNL deve essere interpretato secondo i criteri ermeneutici dettati dal codice civile agli artt 1362 e seguenti. L'interprete deve quindi ricercare la "comune volontà delle parti", riferendosi: all'elemento letterale delle clausole; al comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla conclusione del CCNL; al contesto contrattuale, interpretando le clausole del contratto le une per mezzo delle altre.
Vediamo i CCNL più significati per numero di dipendenti e per l’omogeneità dei lavoratori che né fanno parte sono: CCNL commercio, il contratto collettivo dei metalmeccanici, la tanto discussa scuola ed il turismo , oltre a tanti altri CCNL presenti nel panorama del lavoro.

domenica 20 marzo 2011

Rapporto di lavoro nel 2011

Innanzitutto bisogna mettere in evidenza che le forti difficoltà del mercato del lavoro, dovute alla crisi economica a livello globale e non locale ha portato le amministrazioni che gestiscono il personale a valutare sempre con maggiore attenzione ai contratti di lavoro a tempo determinato in genere per le sostituzioni di maternità  e dare maggiore rilevanza a progetti aziendali a lungo termine con contratti a progetto.

I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, contratto a progetto, devono essere predeterminati dal committente ed autonomamente gestiti dal collaboratore in funzione del risultato, indipendentemente dal tempo impiegato per la realizzazione del progetto. E per il datore di lavoro deve essere un contratto che garantisca tutele sul progetto e maggiori garanzie al collaboratori, infatti la finanziaria 2010 ha aumentato l'indennità disoccupazione dei collaboratori a progetto.

Secondo il Codice Civile il rapporto lavoro è un contratto tipico e nel ambito del rapporto di lavoro il datore è tenuto ad applicare nell'ambito dell'impresa ogni innovazione che risulti dal campo della scienza ancor prima che sia in effettiva diffusione e che ne sia stata verificata l'effettività. Questa è una garanzia per il datore di lavoro e deve essere una tutela per il lavoratore.
Vediamo qualche dato statistico del 2011
Nel mese di gennaio gli occupati sono 22.831 mila unità, in diminuzione dello 0,4% (-83 mila unità) rispetto a dicembre 2010. Nel confronto con l’anno precedente l’occupazione è in calo dello 0,5% (-110 mila unità). La diminuzione registrata nel mese è dovuta sia alla componente maschile sia a quella femminile.
Il tasso di occupazione è pari al 56,7%, in calo di 0,2 punti percentuali rispetto a dicembre e di 0,4 punti rispetto a gennaio 2010.
Il dato è che il numero dei disoccupati, pari a 2.145 mila, ha registra una crescita dello 0,1% (+2 mila unità) rispetto a dicembre. Il risultato è sintesi della crescita della disoccupazione femminile e della flessione di quella maschile. Su base annua la crescita del numero di disoccupati è del 2,8% (+58 mila unità).
Per il terzo mese consecutivo il tasso di disoccupazione si attesta all’8,6% con una crescita di 0,2 punti percentuali su base annua. Prosegue la crescita del tasso di disoccupazione giovanile, che raggiunge il 29,4%.
Una soluzione di politica del lavoro la si può trovare nel documento prodotto dal sindacato UIL contro la lotta al lavoro sommerso bisogna fare un sforzo per far si che le tante risorse recuperabili tornino a far parte del bilancio dello Stato e siano indirizzate a sostegno di bisogni primari per i lavoratori e per il Paese stesso. Il tasso di lavoro irregolare deve essere colpito e fare in modo un rapporto di lavoro che navighi a vista tra la sua stabilità e la flessibilità, per incentivare le imprese ( creare posti di lavoro stabili) Regolare il rapporto di lavoro.
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