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domenica 3 gennaio 2016

Operazioni di conguaglio anno 2015: arrivano le istruzioni dall’INPS


A dicembre di ogni anno le retribuzioni nette dei lavoratori dipendenti e collaboratori risultano quasi sempre ridotte rispetto le mensilità dei mesi precedenti. Questa riduzione è causata dal prelievo fiscale che scaturisce dalle cosiddette “operazioni di conguaglio fiscale di fine anno”.

Ogni datore di lavoro, in qualità di sostituto d’imposta, ovvero di soggetto che si sostituisce all’Ufficio Imposte per operare le ritenute fiscali attraverso il cedolino paga, ha l’obbligo, in applicazione alla normativa fiscale, di effettuare il conguaglio fiscale ovvero il ricalcolo, su base annuale, delle imposte dovute dai propri lavoratori e pagate mensilmente in forma di ritenuta d’acconto.

Conguaglio di fine anno 2015 dei contributi previdenziali e assistenziali. I datori di lavoro potranno effettuare le operazioni di conguaglio, oltre che con la denuncia di competenza del mese di “dicembre 2015” (scadenza di pagamento 16/1/2016), anche con quella di competenza di “gennaio 2016” (scadenza di pagamento 16/2/2016, attenendosi alle modalità indicate con riferimento alle singole fattispecie.

Con la circolare n. 209 del 30 dicembre 2015, l’INPS ha fornito le istruzioni sulle modalità da seguire per lo svolgimento delle operazioni di conguaglio dei contributi previdenziali e assistenziali, relative all’anno 2015, finalizzate alla corretta quantificazione dell’imponibile contributivo, anche con riguardo alla misura degli elementi variabili della retribuzione.

La circolare si sofferma in particolare sulle modalità di rendicontazione delle seguenti fattispecie:

- elementi variabili della retribuzione;

- massimale contributivo e pensionabile;

- contributo aggiuntivo IVS 1%;

- conguagli sui contributi versati sui compensi ferie a seguito fruizione delle stesse;

- “fringe benefits” esenti non superiori al limite di € 258,23 nel periodo d'imposta;

- auto aziendali ad uso promiscuo;

- prestiti ai dipendenti;

- conguagli per versamenti di quote di TFR al Fondo di Tesoreria;

- rivalutazione annuale del TFR conferito al Fondo di Tesoreria;

- gestione delle operazioni societarie.

L’INPS comunque sottolinea la possibilità di effettuare le operazioni di conguaglio inserendole anche nella denuncia di “febbraio 2016” (scadenza di pagamento 16 marzo 2016),senza aggravio di oneri accessori tenuto conto che dal 2007, i conguagli possono riguardare anche il TFR al Fondo di Tesoreria e le misure compensative. Resta fermo l'obbligo del versamento o del recupero dei contributi dovuti sulle componenti variabili della retribuzione nel mese di gennaio 2016.

Per i lavoratori nei confronti dei quali nell’anno 2015 sono state versate quote di TFR al Fondo di Tesoreria, i datori di lavoro dovranno determinare la rivalutazione ex art. 2120 c.c. (separatamente da quella spettante sul TFR accantonato in azienda) e calcolare sulla stessa l'imposta sostitutiva del 17 per cento che sarà recuperato in sede di conguaglio con i contributi dovuti all’INPS.

Qualora nel corso del mese intervengano elementi o eventi che comportino variazioni nella retribuzione imponibile, il datore di lavoro può tener conto delle variazioni in occasione degli adempimenti e del connesso versamento dei contributi relativi al mese successivo a quello interessato dall'intervento di tali fattori.

Gli eventi o elementi considerati sono: compensi per lavoro straordinario; indennità di trasferta o missione; indennità economica di malattia o maternità anticipate dal datore di lavoro per conto dell'INPS; indennità riposi per allattamento; giornate retribuite per donatori sangue; riduzioni delle retribuzioni per infortuni sul lavoro indennizzabili dall'INAIL; permessi non retribuiti; astensioni dal lavoro; indennità per ferie non godute; congedi matrimoniali; integrazioni salariali (non a zero ore).

Gli eventi o elementi che hanno determinato l'aumento o la diminuzione delle retribuzioni imponibili, di competenza del mese di dicembre 2015, i cui adempimenti contributivi sono assolti nel mese di gennaio 2016, vanno evidenziati nel flusso UniEmens valorizzando l’elemento “VarRetributive” di “DenunciaIndividuale”, per gestire le variabili retributive e contributive in aumento e in diminuzione e anche gli “imponibili negativi” con il conseguente recupero delle contribuzioni non dovute.

Sul punto, è bene ricordare che ai fini dell’imputazione nella posizione assicurativa e contributiva del lavoratore, gli elementi variabili della retribuzione sopra indicati si considerano secondo il principio della competenza (dicembre 2015), mentre, ai fini dell'assoggettamento al regime contributivo (aliquote, massimali, agevolazioni, ecc.), si considerano retribuzione del mese di gennaio 2016, salvo il caso di imponibile negativo in relazione al quale la contribuzione non dovuta va recuperata nel suo effettivo ammontare.

Il massimale retributivo. I datori di lavoro che hanno alle proprie dipendenze lavoratori soggetti alle disposizioni di cui all’art. 2, c. 18, della L. n. 335/1995 che superano nel mese di verifica il massimale retributivo, pari a € 100.324 per l’anno 2015, devono: valorizzare nel limite massimo stesso l’elemento “Imponibile” di “Denuncia Individuale”, “Dati Retributivi”; indicare la parte eccedente nell’elemento “EccedenzaMassimale” di “DatiParticolari” con la relativa contribuzione minore.

Contributo aggiuntivo dell’1% - Quanto alle modalità operative per la gestione del contributo aggiuntivo dell’1%, l’INPS precisa che, ove gli adempimenti contributivi vengano assolti con la denuncia del mese di gennaio 2016, gli elementi variabili della retribuzione non incidono sulla determinazione del tetto massimo di € 46.123 per l’anno 2015. Il contributo aggiuntivo, inoltre, va inserito nell’elemento “ContribuzioneAggiuntiva” di “DatiRetributivi”.

Fringe benefits. Con riferimento ai fringe benefits (benefici accessori), che sono tecnicamente quegli emolumenti retributivi esposti in busta paga allo scopo di quantificare i beni e i servizi di cui il lavoratore può usufruire gratuitamente ovvero a condizioni più vantaggiose rispetto a chi si rivolge al mercato per acquistarli, non concorrono a formare reddito di lavoro dipendente se il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati è di importo non superiore, nel periodo di imposta, a € 258,23. In caso contrario, ossia se si oltrepassa tale soglia, il valore dei fringe benefits concorre interamente a formare il reddito.

Ai fini del compimento delle operazioni di conguaglio di fine anno il dipendente può chiedere al sostituto d’imposta di tener conto anche di altri redditi di lavoro dipendente, o assimilati a quelli di lavoro dipendente, percepiti nell’ambito di precedenti rapporti intrattenuti nel corso dell’anno e anche se erogati da soggetti che non rivestono la qualifica di sostituto d’imposta.

Le imposte sul reddito da lavoro dipendente si calcolano mensilmente con la stessa tabella fiscale annuale, ma i valori sono divisi per 12 perché dodici sono i mesi di calendario; il Testo Unico delle Imposte sui Redditi stabilisce infatti che per il calcolo dell’Irpef mensile si applicano le aliquote di legge sugli scaglioni di reddito fiscale mensili che sono quelli annuali diviso dodici (a volte per diminuire l’impatto del conguaglio di fine anno le fasce annuali sono divise per 13 o 14, fermo restando che a conguaglio bisogna usare le fasce annue).

Dalle operazioni di conguaglio di fine anno deriva, generalmente, un debito d’imposta e quindi un maggior prelievo fiscale per il lavoratore perché l’IRPEF si calcola mensilmente sulle tredici o quattordici mensilità corrisposte per contratto collettivo, mente la progressione delle imposte è riferita ai dodici mesi di calendario.

Sostanzialmente la maggiore IRPEF che si paga a dicembre deriva dal ricalcolo della tredicesima e quattordicesima che fanno alzare il reddito ad uno scaglione d’imposta superiore, inoltre le detrazioni d’imposta competono solo per dodici mesi, non sono dovute su tredicesima e quattordicesima mensilità, pertanto quanto si paga di più a dicembre è riferito alle operazioni di ricalcolo di tutto il reddito annuo comprese le mensilità aggiuntive.

In fase di conguaglio fiscale a dicembre vengono calcolate, sull’imponibile fiscale annuo, le addizionali regionale e comunale che saranno trattenute in undici rate nel 2015, con decorrenza dal mese di gennaio.

Sì, può verificarsi che un dipendente, in corso d’anno, abbia pagato più imposte del dovuto rispetto il reddito complessivo annuo, in tal caso dalle operazioni di conguaglio può scaturire un credito d’imposta che dà diritto ad un rimborso dell’IRPEF. E’ il caso, ad esempio, del dipendente che da tempo pieno passa a tempo parziale, o quando per varie ragioni, quali la cassa integrazione guadagni, il reddito mensile e conseguentemente l’IRPEF degli ultimi mesi dell’anno è inferiore rispetto i mesi precedenti. Se dal conguaglio fiscale deriva un importo di IRPEF a credito il datore di lavoro lo rimborsa con il cedolino paga di dicembre.


mercoledì 23 settembre 2015

Lavoro: malattia, visite fiscali e reperibilità: tutte le novità


La visita fiscale è un accertamento medico previsto dallo Statuto dei Lavoratori, e predisposto dall’INPS o dal datore di lavoro per verificare l’effettivo stato di malattia del dipendente assente per motivi di salute. La visita fiscale, infatti, non si limita a un mero controllo della presenza al proprio domicilio del lavoratore in malattia, bensì consiste in una vera e propria verifica della sussistenza degli impedimenti fisici al lavoro.

Il lavoratore che intende usufruire dell’astensione dal lavoro per malattia deve avvisare tempestivamente il proprio datore e il medico di famiglia e deve sottoporsi, preferibilmente sin dal primo giorno di malattia, ad un accertamento sanitario da parte del proprio medico curante, che produce un’apposita certificazione. La disciplina cambia caso a seconda che l’assenza per malattia sia di durata pari o inferiore a 10 giorni, oppure sia superiore a 10 giorni:

– per le assenze da malattia pari o inferiori a 10 giorni, nonché per le assenze fino al secondo evento nel corso dell’anno solare, il lavoratore può rivolgersi anche al medico curante non appartenente al SSN (o con esso convenzionato);

– se invece l’assenza supera i 10 giorni o nei casi di eventi di malattia successivi al secondo nel corso dell’anno, la certificazione deve essere rilasciata esclusivamente dal medico del SSN (o con esso convenzionato).

Visite mediche fiscali di controllo

La nuova normativa INPS ha chiarito le modalità e il diritto del datore di lavoro di attivare la procedura di visita fiscale nei confronti dei lavoratori che dichiarano uno stato di malattia, che da tale data può essere richiesta per via telematica mediante i servizi online messi a disposizione dall’INPS servizio “Richiesta visita medica di controllo“.

Al termine della visita di controllo il medico redige presso il domicilio del lavoratore un apposito verbale informatico e ne fornisce copia al lavoratore. Il verbale viene trasmesso in tempo reale ai sistemi informatici dell’INPS e reso contestualmente accessibile al datore di lavoro che ha richiesto la visita.

Il datore di lavoro può inviare all’INPS, con un’unica operazione (funzione “Invio richieste multiple”), più richieste di visite mediche di controllo (al massimo 50).

In altre parole, il datore di lavoro ha diritto a richiedere all’Inps il servizio di controllo dello stato di salute dei propri dipendenti mediante presentazione online della richiesta sin dal primo giorno di malattia se l’assenza si verifica nelle giornate precedenti o successive a quelle non lavorative.

Queste ultime sono da individuare non solo nelle giornate festive e nella domenica, ma anche nelle giornate di riposo infrasettimanale conseguenti all’effettuazione di turni o servizi, nonché in quelle di permesso o di licenza concesse.

Il datore di lavoro, mediante i servizi online dell’Inps, richiede e dispone, pertanto, il controllo fiscale del suo dipendente che si dichiara in malattia per un certo numero di giorni o per una sola giornata, il sistema a fine procedura rilascia al richiedente il numero di protocollo relativo alla sua richiesta, con il quale può conoscere in qualsiasi momento e in tempo reale, dallo stato di avanzamento fino all’esito finale della visita medica.

Il Jobs Act ha introdotto l'esclusione obbligo di reperibilità per dipendenti privati in caso di malattia grave, così come avviene già per i dipendenti del Pubblico Impiego.

L'esclusione avviene nelle stesse modalità applicate ai lavoratori del settore pubblico, per cui in caso di:

gravi malattie che richiedono terapie salvavita;

infortuni e malattia professionale per i quali sia accertata dall'INAIL la causa servizio;

invalidità riconosciuta.

Invio certificazione

Il medico è tenuto ad inviare la certificazione per via telematica all’INPS, con le specifiche tecniche e le modalità procedurali determinate dall’Istituto.

Il lavoratore deve richiedere al medico il numero di protocollo identificativo del certificato inviato e fornirlo al proprio datore di lavoro, quando richiesto.

L’INPS, a sua volta, mette a disposizione dei datori di lavoro, attraverso i propri canali telematici, gli attestati di malattia ricevuti dai medici.

Il lavoratore è esonerato dall’invio della documentazione in forma cartacea.
Il lavoratore può continuare a presentare, sia all’INPS che al datore di lavoro, il certificato di malattia in formato cartaceo quando lo stesso viene rilasciato da medici privati non abilitati all’invio telematico o da strutture di pronto soccorso, nonché quando l’evento di malattia comporta il ricovero ospedaliero.

Al momento della visita il lavoratore può richiedere al medico la copia cartacea del certificato e dell’attestato di malattia, o, in alternativa, l’invio della copia dei documenti in formato pdf alla propria casella di posta elettronica.

Quando la stampa della certificazione non è oggettivamente possibile, il medico può limitarsi a chiedere al lavoratore conferma dei dati anagrafici inseriti rilasciandogli il numero di protocollo.

Il lavoratore, infine, può prendere visione dei propri certificati accedendo al sito internet dell’INPS, tramite PIN o codice fiscale.

Obbligo reperibilità del lavoratore e fasce orarie
Per consentire il controllo dello stato di malattia, il lavoratore ha l’obbligo di essere reperibile presso l’indirizzo abituale o il domicilio occasionale comunicato al datore di lavoro:
tutti i giorni durante la durata della malattia comprese le domeniche ed i giorni festivi nelle seguenti fasce orarie giornaliere:

1) lavoratori statali e personale enti locali
mattina: dalle ore 9 alle 13
pomeriggio: dalle ore 17 alle 18.

2) Lavoratori settore privato
mattina: dalle ore 10 alle 12
pomeriggio: dalle ore 17 alle 19.

Alcune sentenze ritengono che il lavoratore debba sempre rendersi reperibile nelle fasce orarie, anche nel caso in cui il controllo medico sia già avvenuto, in quanto il datore di lavoro ha diritto alla reiterazione delle visite nei limiti in cui ciò non abbia lo scopo di molestare o danneggiare il lavoratore senza un valido motivo.

Un altro orientamento stabilisce invece che, posto il carattere eccezionale della limitazione della libertà di movimento che deriva dall’obbligo della reperibilità, il lavoratore non è più tenuto a rispettarla una volta che il medico di controllo abbia accertato la malattia. Diversamente si potrebbe addirittura incidere negativamente sulla guarigione, specialmente per alcune patologie la cui cura può richiedere l’allontanamento dal luogo abituale di residenza per località più consone alle condizioni del lavoratore ammalato.

Il lavoratore ha il dovere di cooperare all’effettuazione delle visite domiciliari, in modo da consentire al medico l’immediato ingresso nell’abitazione. Se non rispetta tale dovere per incuria, negligenza o altro motivo (si pensi all’assenza del nome del lavoratore sul citofono) scatta la decadenza dal diritto al trattamento economico; non vi si può rimediare neanche con la conferma della malattia in una successiva visita ambulatoriale.

Se il lavoratore risulta assente alla visita di controllo domiciliare, il medico:

– rilascia, possibilmente a persona presente nell’abitazione del lavoratore, un avviso recante l’invito per quest’ultimo a presentarsi il giorno successivo (non festivo) alla visita di controllo ambulatoriale, salvo che l’interessato non riprenda l’attività lavorativa;

– comunica l’assenza del lavoratore all’INPS che, a sua volta, avvisa il datore di lavoro.

Se il lavoratore non si reca alla visita ambulatoriale, l’INPS ne dà comunicazione al datore di lavoro ed invita il lavoratore a fornire le proprie giustificazioni entro 10 giorni.

Ad un’assenza ingiustificata segue la trattenuta di un giorno di retribuzione in busta paga e il rifiuto dell’INPS di corrispondere al datore l’indennità di malattia. Solitamente, alla prima assenza ingiustificata c’è la trattenuta fino a 10 giorni di malattia. Nel caso di assenza ingiustificata per un numero di giorni anche non consecutivi superiori a 3 nell’arco di un biennio, o comunque per più di 7 giorni nel corso degli ultimi 10 anni, è previsto il licenziamento con preavviso (giustificato motivo soggettivo).


venerdì 28 agosto 2015

Licenziamento del dipendente con familiari a carico



La scelta dei lavoratori da licenziare non è libera. L’impresa infatti deve attenersi ai criteri stabiliti dalla contrattazione collettiva.

Se i contratti collettivi nello specifico non prevedono nulla la legge n. 223/1991 stabilisce dei criteri generali in base ai quali l’individuazione dei lavoratori da licenziare deve avvenire considerando:

i carichi di famiglia (ovverosia l’impatto che un eventuale licenziamento può avere in relazione alla presenza di un coniuge a carico e del numero dei figli);

l’anzianità del lavoratore (tenendo conto del principio per il quale un lavoratore molto anziano trova maggiori difficoltà a reinserirsi nel mondo del lavoro);

le esigenze tecniche, produttive e organizzative dell’impresa.

Il licenziamento mai come in questi anni è uno degli argomenti maggiormente temuti dai lavoratori, il rischio che l’Azienda per la quale si lavori improvvisamente chiuda mandando per strada tanti lavoratori è sempre dietro l’angolo.

Segnaliamo una recente Sentenza emessa dal Tribunale di Firenze in materia di licenziamenti.

Quando un’Azienda è costretta ad effettuare dei licenziamenti per ragioni legate all’attività produttiva o l’organizzazione del lavoro, ci sono dei criteri da tenere in considerazione come:

anzianità maturata del lavoratore all’interno dell’Azienda;

età del lavoratore, infatti una lavoratore più giovane ha più possibilità di trovare un nuovo impiego rispetto ad un collega più anziano, infatti come è noto le Aziende che assumono cercano sempre giovani che non superino i 30/35 anni.

Il Tribunale di Firenze con la sentenza. n. 4/2015 ha stabilito che in caso di licenziamento di un lavoratore, oltre ai criteri  che abbiamo visto deve tener conto anche dei carichi familiari del dipendente.

Quindi a parità di anzianità di servizio il datore di lavoro deve “salvaguardare” il lavoratore che ha moglie e i figli a carico, la sentenza quindi ha come obiettivo quello di tutelare tutti i lavoratori dipendenti che si trovano in una posizione di maggiore debolezza sociale in caso di licenziamento.

Esistono, alcune specificità del licenziamento:

innanzitutto affermiamo che il diritto di libertà dell’attività economica privata è sancito dall’articolo 41 della Costituzione: quando il datore di lavoro ritiene, che per attuare delle modifiche, sia necessario licenziare un dipendente, ha facoltà di farlo, ma in caso di contestazione dovrà dimostrare il giustificato motivo oggettivo (ad esempio, il reale riassetto dell’azienda). Quindi l’azienda deve dimostrare la sussistenza delle ragioni del licenziamento, il nesso di causalità con il recesso dal rapporto di  lavoro, l’impossibilità di ricollocare il dipendente presso un reparto diverso o spostarlo a mansioni diverse rispetto a quelle precedentemente svolte.

In caso di ricorso il  giudice ha l’obbligo di controllare la veridicità delle ragioni addotte ma non può entrare nel merito delle scelte del datore di lavoro, ossia non può opporsi al ridimensionamento o alla riorganizzazione aziendale. Se in sede di contestazione il lavoratore si  trova nella possibilità di indicare mansioni che avrebbe potuto ricoprire, spetta al datore di lavoro motivare il mancato riposizionamento.

Il datore di lavoro deve prima tener conto dei carichi familiari del lavoratore, quindi della sua anzianità anagrafica e, infine, delle esigenze tecnico-produttive dell’azienda».

Ricapitolando: quando un’azienda si trova costretta ad effettuare delle riduzioni di personale, il datore di lavoro, rispettando i canoni di correttezze e buona fede, ha l’obbligo di:

privilegiare quel lavoratore con moglie e figli a carico rispetto ad un dipendente senza carichi familiari oppure con la sola moglie a carico;

salvaguardare quei lavoratori più anziani rispetto a quelli più giovani, per il semplice fatto che quest’ultimi hanno maggiori possibilità di reinserirsi nel mondo del lavoro rispetto ai colleghi più anziani;

tener conto delle reali esigenze dell’impresa, sia dal punto di vista tecnico al fine di non far mancare le figure professionali adeguate per la continuazione dell’attività aziendale e sia dal punto di vista economico, per un miglioramento prettamente produttivo.

Tuttavia all’interno degli accordi tra impresa e sindacati raggiunti al termine del procedimento di cui abbiamo parlato al paragrafo precedente, è possibile che le parti stabiliscano dei criteri diversi da quelli previsti dalla legge.

Nel derogare ai principi di legge, tuttavia, le parti devono comunque rispettare i principi:
di non discriminazione (sindacale, religiosa, politica, sessuale, linguistica ecc);
di razionalità (in particolare i criteri adottati devono essere coerenti con le ragioni aziendali che sono alla base della richiesta di mobilità).

giovedì 18 giugno 2015

Lavoratori dipendenti: il datore di lavoro li potrà controllare con pc e telefoni aziendali



I dipendenti comunque devono essere avvisati: multa per chi viola le regole. Leggere posta elettronica e Sms continua a essere vietato, e la telecamera si usa solo per ragioni di sicurezza. Ma si possono tracciare gli spostamenti.

Si apre ai controlli a distanza attraverso gli strumenti di lavoro, cioè pc, tablet, telefoni aziendali (senza più passare per accordi sindacali o ispettorato del lavoro). Ma si chiede all'azienda un preciso documento di policy da consegnare ai dipendenti.

I dati che ne derivano possono essere «utilizzati ad ogni fine connesso al rapporto di lavoro, purché sia data al lavoratore adeguata informazione circa le modalità d’uso degli strumenti e l’effettuazione dei controlli, sempre, comunque, nel rispetto del Codice privacy». Nel dettaglio, l’articolo al primo comma prevede che «gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali.

Resterebbe, a livello di principio generale, il divieto di controllo tramite impianti direttamente «finalizzati» alla vigilanza sulla prestazione di lavoro (le cosiddette telecamere che riprendono il lavoratore). Qui si ammetterebbe una deroga: nei casi in cui c’è un’autorizzazione sindacale o amministrativa all’impianto delle apparecchiature purché legate a esigenze di sicurezza e prevenzione. L’attuale articolo 4 dello Statuto dei lavoratori vieta, o limita tantissimo, l’uso di impianti audiovisivi o di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori (possono essere installati solo per ragioni di sicurezza o in rare altre eccezioni, sempre comunque previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o, in assenza, con l’ok dell’ispettorato del lavoro). Un freno considerato come le nuove tecnologie siano ormai parte integrante dell’organizzazione del lavoro. E anche il Garante della privacy ha dettato specifiche disposizioni a tutela della riservatezza dei lavoratori.

L’ipotesi su cui sta lavorando il governo è aggiornare l’articolo 4 distinguendo i controlli sugli impianti da quelli sugli strumenti di lavoro. I controlli sui primi, finalizzati alla vigilanza sulla prestazioni di lavoro, sarebbero vietati. Tranne il caso in cui, con un’autorizzazione sindacale o amministrativa, le telecamere servano per garantire la sicurezza. Si “sdoganerebbero” del tutto invece i controlli sugli strumenti di lavoro, per i quali non sarebbero più richieste autorizzazioni di sorta.

«Qui però sarebbe opportuno liberalizzare anche i controlli sulle apparecchiature, come badge e rilevatori di presenza, che non rientrano nell’articolo 4 dello Statuto - sottolinea Arturo Maresca (ordinario di diritto del Lavoro, Sapienza, Roma) -. Inoltre, è positivo aver chiarito l’utilizzabilità degli esiti dei controlli anche ai fini disciplinari. Ma la disposizione deve essere inderogabile, e quindi non modificabile dai contratti collettivi». Anche per Sandro Mainardi (ordinario di diritto del Lavoro, università di Bologna) l’apertura sui controlli attraverso pc, telefonini e tablet «sarebbe una vera novità. Da un lato, perché la strumentazione deve essere destinata allo svolgimento della prestazione e non ad altri fini illeciti; dall’altro perché essendo la proprietà di tali beni/strumenti di matrice aziendale deve pur essere concesso un controllo sull’utilizzo della stessa». Certo, resta il tema della privacy e della informazione preventiva: «Qui il legislatore - aggiunge Mainardi - se la potrebbe cavare traducendo in precetto le buone pratiche da tempo suggerite in termini di policy aziendali dal Garante». Per gli esperti è positivo anche il chiarimento sull'utilizzo degli esiti delle verifiche: «Si potrebbe superare il dibattito giurisprudenziale sui “controlli difensivi”, e soprattutto circa la liceità della prova “elettronica” offerta in giudizio da parte del datore, laddove essa sia davvero significativa di inadempimento certo da parte del lavoratore».

Con l’entrata in vigore delle nuove norme le aziende potranno controllare computer, smartphone e telefoni cellulari assegnati per ragioni di lavoro ai dipendenti senza il via libera delle organizzazioni sindacali. E’ fatto obbligo alle imprese di informare dettagliatamente i propri dipendenti delle caratteristiche dei vari apparecchi, la possibilità di effettuare controlli anche a distanza, compresa la geolocalizzazione, e di fissare eventuali limiti al loro utilizzo.

I datori di lavoro non possono controllare la posta elettronica e la navigazione in Internet dei dipendenti, se non in casi eccezionali. In base alle disposizione del Garante della privacy che risalgono al 2007 spetta al datore di lavoro definire le modalità d’uso di tali strumenti sempre tenendo conto dei diritti dei lavoratori e della disciplina in tema di relazioni sindacali. L’Autorità prescrive innanzitutto di informare in modo dettagliato i lavoratori sulle modalità di utilizzo di Internet e della posta elettronica e sulla possibilità che vengano effettuati controlli. E vieta la lettura e la registrazione sistematica delle e-mail così come il monitoraggio sistematico delle pagine web visualizzate suggerendo di individuare preventivamente i siti considerati correlati o meno con la prestazione lavorativa e l’utilizzo di filtri che prevengano l’accesso a determinati siti o il download di file video o musicali.

In mancanza di accordo possono essere installati previa autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più Direzioni territoriali del lavoro, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali». E prosegue: «La disposizione di cui al primo comma non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze».

"Sui controlli a distanza siamo al colpo di mano", dice la Cgil sottolineando che le novità del Jobs act "pongono un punto di arretramento pesante" rispetto allo Statuto. "Non solo daremo battaglia in Parlamento", aggiunge la segretaria nazionale Serena Sorrentino, "Ma verificheremo con il garante della privacy se ciò si può consentire anche alla luce della raccomandazione del comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, che mira a proteggere la privacy dei lavoratori di fronte ai progressi tecnologici che permettono ai datori di lavoro di raccogliere e conservare ogni tipo di informazione".



lunedì 20 aprile 2015

Licenziamento può essere verbale o orale?



Si chiede quali sono le conseguenze della comunicazione del licenziamento orale(verbale)del dipendente e se è necessario impugnarlo per renderlo inefficace.

Si ha il licenziamento orale o verbale quando manca la forma scritta; sul punto va ricordato che il licenziamento deve essere intimato nella forma scritta. Tale requisito di forma é essenziale e la sua mancanza rende il licenziamento "inefficace", secondo l'espressione adoperata dal legislatore nell’art. 2, comma 3, della L. 604/1966, in quanto non produce alcun effetto, atteso che il rapporto di lavoro rimane in essere fino a quando non intervenga un valido atto interruttivo dello stesso.

Il licenziamento orale non deve essere impugnato entro 60 giorni.
In base all’interpello n. 12 del 25 marzo 2014, si può affermare che, in caso di licenziamento verbale o di fatto, il licenziamento è inefficace ed in questo caso non si ritiene applicabile l’impugnazione del licenziamento nel termine di decadenza di 60 giorni, in quanto licenziamento, come se non ci fosse ed il lavoratore può agire per far dichiarare tale inefficacia, contestualmente all’azione per la costituzione o l’accertamento del rapporto di lavoro con il fruitore materiale delle prestazioni, senza l’onere della previa impugnativa stragiudiziale del licenziamento stesso, entro il termine prescrizionale di 5 anni.

Quindi il licenziamento verbale o orale non è idoneo a produrre effetti sulla continuità del rapporto di lavoro per cui ne consegue l'obbligo del datore di lavoro di riposizionare immediatamente il lavoratore nella propria posizione lavorativa. Per quanto concerne le altre conseguenze della declaratoria di inefficacia del licenziamento orale, ove non applicabile l'art. 18 della Statuto dei lavoratori, secondo la indicata decisione, non può accogliersi la domanda di risarcimento con condanna del datore di lavoro al pagamento delle retribuzioni globali di fatto maturate dalla data del licenziamento a quella della reintegrazione.

Il licenziamento verbale si verifica quando il lavoratore viene allontanato dal luogo di lavoro senza alcun atto formale da parte del datore di lavoro (lettera o altro).

La legge impone al datore di lavoro di comunicare il licenziamento per iscritto e afferma che il licenziamento verbale è inefficace: ciò significa che il licenziamento comunicato solo oralmente non produce alcun effetto e, in particolare, non interrompe il rapporto di lavoro tra le parti, sicché il datore di lavoro è tenuto a continuare a pagare la retribuzione al lavoratore sino a quando non sopravvenga un'efficace causa di risoluzione o estinzione del rapporto di lavoro o l'effettiva riassunzione.

In questi casi è necessario che il lavoratore faccia pervenire immediatamente una raccomandata A/R (di cui si deve tenere copia) nella quale lo stesso si mette a disposizione per la ripresa immediata dell'attività dando conto del fatto di essere stato allontanato dal datore di lavoro.

Le conseguenze derivanti dal licenziamento intimato in forma orale sono ora espressamente disciplinate dall'art. 18 Statuto lavoratori, come modificato dalla legge 92/2012 di riforma del mercato del lavoro.

Conseguentemente, il lavoratore ha diritto a:

essere reintegrato nel posto di lavoro;

ottenere il risarcimento del danno per il periodo successivo al licenziamento e fino all'effettiva reintegra, dedotto quanto percepito da altra occupazione (il risarcimento non può comunque essere inferiore nel minimo di cinque mensilità di retribuzione);


ottenere il versamento dei contributi assistenziali e previdenziali per tutto il periodo dal giorno del licenziamento a quello della reintegra;

scegliere fra la reintegra e l'indennità sostitutiva pari a quindici mensilità della retribuzione globale di fatto (cd. diritto di opzione)

Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno, determinabile secondo le regole in materia di inadempimento delle obbligazioni, anche facendo eventualmente riferimento alle retribuzioni perdute, ma sempre tenendo presente che la natura sinallagmatica del rapporto richiede, ai fini dell'adempimento dell'obbligazione retributiva, l'offerta della prestazione lavorativa.

Ne consegue che non sia applicabile la disposizione dell'articolo 8 che prevede il risarcimento del danno a seguito di illegittimo licenziamento per difetto della giusta causa o del giustificato motivo, mentre nella fattispecie è applicabile il risarcimento del danno liquidato in relazione all'inadempimento dell'obbligazione per un rapporto di lavoro che non si è mai interrotto.




martedì 14 aprile 2015

Infortunio sul lavoro Inail: procedura, retribuzione e quesiti



L’infortunio sul lavoro INAIL 2015 è un incidente che avviene in occasione dell’attività lavorativa che va ben oltre il concetto di durante l’orario di lavoro o sul posto di lavoro, in quanto in esso vengono ricomprese tutte quelle situazioni anche ambientali, nelle quali il lavoratore può essere a rischio di incidenti e quindi di infortunio.

Cos'è e come funziona l'infortunio Inail?
L’infortunio sul lavoro INAIL 2015 è coperto dall'assicurazione obbligatoria che prevede risarcimento, retribuzione indennità sostitutiva in caso di incidente violento dal quale derivi la morte e l’inabilità permanente o assoluta del lavoratore.

Nel concetto di infortunio sul lavoro INAIL, oltre a far rientrare gli incidenti causati da agenti aggressivi esterni tali da provocare danneggiamenti all'integrità psico fisica del lavoratore come ad esempio sostanze tossiche, sforzi muscolari eccessivi o virus,  l’INAIL ricomprende anche tutti gli eventi che possono minare la salute del lavoratore durante lo svolgimento dell’attività lavorativa, quindi durante l’orario di lavoro e sul posto di lavoro ma anche gli eventi con rapporto indiretto di causa effetto, tra l’incidente che causa l’infortunio e l’attività lavorativa svolta.

Per cui l’INAIL copre tutti gli infortuni sul lavoro del lavoratore anche se direttamente causati dal lavoratore stesso per negligenza, imprudenza o imperizia ed estende la copertura assicurativa anche agli incidenti che il lavoratore potrebbe avere durante il normale tragitto di andata e ritorno tra casa e posto di lavoro, il cd. in itinere.

Cosa fare se il lavoratore si infortuna sul posto di lavoro?
Cosa deve fare il datore di lavoro e il lavoratore in caso di infortunio sul lavoro:

1.Il lavoratore in caso di infortunio sul lavoro deve comunicare immediatamente l’incidente al datore di lavoro che deve inviarlo subito al Pronto Soccorso.

2.Il pronto soccorso a seguito della visita medica rilascia il primo certificato medico che deve essere trasmesso dal lavoratore al datore di lavoro.

3.Il datore di lavoro deve obbligatoriamente presentare per via telematica il nuovo modello denuncia infortunio sul lavoro INAIL, nel caso in cui i giorni di prognosi dovessero superare i 3 giorni oltre la giornata in cui si è verificato l’incidente.

4.Una volta presentata la denuncia infortunio INAIL online, il lavoratore infortunato, due o tre giorni prima della scadenza della prognosi indicata sul certificato medico del pronto soccorso, deve recarsi alla visita medica presso gli ambulatori INAIL.

5.A seguito della visita medica INAIL, l’istituto provvede a:

◦fissare un nuovo appuntamento in caso di continuazione della temporanea e un certificato medico INAIL infortunio sul lavoro da consegnare al datore di lavoro;

◦chiudere l’infortunio temporaneo con un certificato di chiusura definitiva da consegnare in azienda per poter riprendere il lavoro.

Si ricorda che, la mancata denuncia infortunio INAIL da parte del datore di lavoro entro 2 giorni dal ricevimento del certificato medico o in caso di ritardata presentazione, viene sanzionato con una multa amministrativa da € 1.290,00 a € 7.745,00 sia da parte dell’Inail che dall'Autorità di Pubblica Sicurezza.

Tale sanzione, è prevista anche nel caso in cui il datore di lavoro non indichi o ometta completamente o parzialmente il codice fiscale del lavoratore nel modello di denuncia Inail, in tal caso l’ammontare della sanzione amministrativa è stabilito dall’art. 16, legge n. 251/1982.

Se l’infortunio invece è a carico di un lavoratore autonomo del settore artigianato o del settore dell’agricoltura non è prevista alcuna sanzione amministrativa per l’omessa o ritardata denuncia all’Inail, ma vi è la perdita del diritto all'indennità di temporanea per i giorni antecedenti l’inoltro della denuncia.

Incidente in itinere 2015 quando è risarcito?
L’infortunio sul lavoro incidente itinere Inail, è la tutela dei lavoratori che subiscono infortuni durante il normale tragitto di andata e ritorno tra l’abitazione e il luogo di lavoro.

L’INAIL copre quindi l'infortunio in itinere anche se l’incidente occorso al lavoratore si verifica quando durante il normale percorso per recarsi da un luogo di lavoro a un altro, nel caso di rapporti di lavoro plurimi, oppure durante il tragitto abituale per la consumazione dei pasti, se non esiste una mensa aziendale.

L’infortunio sul lavoro in itinere è risarcito per qualsiasi incidente avuto dal lavoratore durante il normale tragitto a prescindere dal mezzo di trasporto pubblico utilizzato, quindi anche in treno, a piedi, in autobus, taxi a patto che siano appurate le finalità lavorative, la normalità del tragitto e la compatibilità degli orari.

Incidente in itinere occorso al lavoratore durante il tragitto normale tra casa e lavoro con il mezzo privato: auto, moto o bicicletta, è coperto dall’assicurazione, solo se tale uso è considerato per forza necessario ai fini dello svolgimento dell’attività lavorativa come ad esempio:

•se l’auto o il motorino sono stati forniti dal datore di lavoro per esigenze lavorative

•se il posto di lavoro non può essere raggiunto con i mezzi pubblici

•se il posto di lavoro è raggiungibile con i mezzi pubblici ma i loro orari non consentono di arrivare in tempo al turno di lavoro

•se i mezzi pubblici obbligano ad attese eccessivamente lunghe

•se i mezzi pubblici comportano un rilevante dispendio di tempo rispetto all’utilizzo del mezzo privato

•se la distanza della fermata più vicina è molto lunga da percorrere a piedi.

Importante: l’infortunio sul lavoro in itinere causato dal consumo di alcool, droga e di psicofarmaci, non è indennizzabile dall’INAIL come la mancanza della patente di guida da parte del conducente.

Per quanti giorni il datore di lavoro paga l’infortunio?
Chi paga l’infortunio sul lavoro e per quanti giorni? L’infortunio sul lavoro è pagato per i primi 4 giorni di assenza del lavoratore infortunato, dal datore di lavoro e comprendono la giornata in cui è avvenuto l’infortunio che è considerato giornata di lavoro a tutti gli effetti e quindi è pagata al 100% della retribuzione giornaliera spettante al lavoratore e i successivi 3 giorni, chiamati periodo di carenza che sono pagati invece al 60% della retribuzione.

Durante il periodo di carenza, ovvero, dal 2° al 4° giorno compresi, il datore di lavoro è obbligato per legge a corrispondere al lavoratore infortunato, le seguenti percentuali della retribuzione media giornaliera utilizzata dall’INAIL per il calcolo dell’indennità:

•100% per il giorno dell’infortunio

•60% dal 2° al 4° giorno compresi i sabati e le domeniche.


Indennizzo INAIL retribuzione e pagamento:
L’indennizzo infortunio sul lavoro è pagato dall’INAIL, dal 5° giorno in poi e per tutto il periodo di assenza dal lavoro per infortunio e spetta la suddetta percentuale di retribuzione:

•al 60% della retribuzione fino al 90° giorno

•al 75% della retribuzione dal 91°giorno e fino alla completa guarigione del lavoratore infortunato.

L’indennizzo INAIL per infortunio sul lavoro, è pagata per tutti i giorni, compresi i festivi che cadono le periodo di astensione dal lavoro. Tale indennità non è però cumulabile con l’indennità di malattia INPS e quindi Infortunio sul lavoro non è soggetto agli orari visite fiscali, indennità economica sanatoriale, cassa integrazione guadagni mentre è cumulabile con l’assegno per congedo matrimoniale, che è erogato sulla differenza tra la retribuzione spettante nello stesso periodo e l’integrazione INAIL e l’assegno per il nucleo familiare che spetta sia per i giorni di carenza e fino a un massimo di 3 mesi.

Il pagamento dell’indennità INAIL per infortunio sul lavoro, viene immediatamente erogata sulla prima busta paga spettante al lavoratore, in quanto è anticipata dal datore di lavoro in base a quanto stabilito dall’articolo 70 T.U. 1124/65 ma nel caso in cui l’azienda o il datore di lavoro non si avvalga di questa facoltà, è la stessa Inail ad erogare direttamente la temporanea assenza del lavoratore infortunato.

Dal momento che l’infortunio sul lavoro INAIL è indennizzabile dall’istituto senza alcun limite di durata, ovvero, l’INAIL paga l’indennità per tutto il periodo di assenza dal lavoro, il lavoratore deve prestare però molta attenzione alle limitazioni circa il diritto alla conservazione del posto di lavoro, stabilite dai vari CCNL di riferimento che in genere sono di 180 giorni.

Tabella danno biologico 2015:
Una novità importante circa il danno biologico derivato dall'infortunio sul lavoro, è stata introdotta dalla Legge di Stabilità 2014 che ha previsto con il comma 78 dell’articolo unico, uno stanziamento di 50 milioni di euro annui, a decorrere dal 2014, per l’aumento in via straordinaria delle indennità dovute dall’INAIL per danno biologico, in attesa che venga introdotto un meccanismo di rivalutazione automatico. Tale provvedimento, andrebbe quindi a portare una rivalutazione di circa il 7-8% della retribuzione degli assicurati.

Ma cos'è il danno biologico INAIL? Innanzitutto bisogna dire, che per l’infortunio sul lavoro che causa una inabilità permanente del lavoratore, occorre fare una distinzione tra gli incidenti avvenuti prima o dopo il 2000, in quanto la normativa è stata modificata:

•infortuni sul lavoro permanenti avuti prima del 25 luglio 2000: le disposizioni da applicare sono quelle del regime del Testo Unico 1124/65 che prevede l’erogazione di una rendita diretta per i casi di inabilità permanente pari o superiore all’11%.

•infortuni sul lavoro permanenti avuti dopo il 25 luglio 2000: la regola da applicare è quella stabilita dal Dlgs. 38/2000 che ha introdotto la tutela del danno biologico, ovvero, un’indennità in denaro per gli incidenti sul lavoro che hanno causato nel lavoratore, menomazioni di grado compreso tra 6% e 15% e di una rendita diretta per i casi di grado pari o superiore al 16%.

Nello specifico, l’infortunio sul lavoro con danno biologico è pagato dall’INAIL con una somma in denaro per gli incidenti che hanno causato menomazioni sul corpo del lavoratore. Tali menomazioni, calcolate in percentuali di danno biologico compreso tra il 6% e il 15%, sono elencate in specifiche tabelle INAIL che riportano le valutazioni del danno biologico per le menomazioni elencate e organizzate secondo criteri specifici, ovvero, distinti per tipologia ad esempio: valutazione danno biologico apparato cardio-circolatorio, danno biologico cicatrici e dermopatie, danno biologico dell’apparato digerente ecc.. La descrizione della menomazione e il valore del danno biologico si trovano nella tabella INAIL infortunio sul lavoro con danno biologico.

Il lavoratore infortunato, inoltre, entro 10 anni dall’incidente sul lavoro può presentare domanda di aggravamento del danno biologico. Tale istanza però, può essere fatta una sola volta entro i 10 anni dall’incidente o dall’erogazione della rendita. La domanda di aggravamento della rendita, invece, può essere presentata una volta all’anno per i primi 4 anni, dopodiché al 7° e al 10° anno dalla decorrenza della rendita.

Chi paga le spese visite mediche?
Chi paga le spese mediche in caso di infortunio sul lavoro? Il lavoratore assente dal lavoro per infortunio causata da incidente, è tutelato dall’INAIL anche per la copertura di esami diagnostici e le terapie riabilitative, in quanto le spese mediche sono completamente pagate dall'istituto, se preventivamente prescritte o autorizzate dall’Inail. Per il lavoratore, inoltre, per tutta la durata dell’erogazione dell’indennità INAIL per infortunio o malattia professionale INAIL 2015, se di durata temporanea, è prevista l’esenzione ticket sanitario per esami e analisi prescritti dall’Inail o dal medico curante.

Successivamente, per i casi in cui al lavoratore viene riconosciuta l’inabilità permanente o danno biologico, ha il diritto all'esenzione ticket parziale riferita alla patologia specifica, da richiedere alla ASL competente, producendo la documentazione Inail che attesti i postumi riconosciuti.





lunedì 9 marzo 2015

Lavoro: dipendente chi lavora fuori dalla sede principale


Il concetto di trasferta distinto dal distacco e dal trasferimento.

La trasferta presuppone che al lavoratore venga temporaneamente richiesto di prestare la propria opera in un luogo diverso da quello in cui deve abitualmente eseguirla ( si tratta della sede indicata nel contratto di lavoro quale luogo normale di svolgimento dell’attività lavorativa) anche all'estero. A tale richiesta alla quale il lavoratore in genere è tenuto a adeguarsi.

Ai fini del configurarsi della trasferta del lavoratore, è necessaria la permanenza di un legame del prestatore con l'originario luogo di lavoro. Sono invece irrilevanti la protrazione dello spostamento per un luogo periodo di tempo e anche l'eventuale la coincidenza del luogo della trasferta con quello di un successivo trasferimento, anche se disposto senza soluzione di continuità al termine della trasferta medesima.

 L’inizio della trasferta deve essere comunicata preventivamente all’Inail. La giurisprudenza prevalente indica che si debba parlare di trasferimento e non di trasferta quando il provvedimento di trasferimento momentaneo del lavoratore/ collaboratore/amministratore non indichi la data di rientro ovvero di termine della trasferta.

 Non esiste una vera e propria disciplina legale della trasferta, per cui si occupano di questa materia:

i contratti collettivi nazionali di lavoro , regolandone, in particolare, i risvolti di carattere economico,

e la giurisprudenza per i profili di diritto.

La disciplina collettiva attribuisce al lavoratore una indennità che in alcuni casi ha natura retributiva, in altri risarcitoria (o di rimborso spese), o, infine, natura “mista”. La differenza tra la natura retributiva o risarcitoria dell’indennità di trasferta non è di poco conto, dal momento che la legge - art. 51, c. 5 e 6 del D.P.R. n. 917/86 - prevede un diverso trattamento fiscale e contributivo da applicare alle somme corrisposte ai lavoratori inviati in trasferta, a seconda che si tratti di compensi o rimborsi spese.

 Altra categoria sono i Trasfertisti che si differenziano dai lavoratori inviati in trasferta a seguito di una singola e contingente decisione del datore di lavoro . I trasfertisti sono i lavoratori la cui prestazione è, per sua natura, itinerante, e per i quali si può dire che non vi sia neppure un normale luogo di lavoro, intendendosi come tale un luogo in cui di norma si svolge la prestazione. La distinzione è fondamentale, dal momento che per questi ultimi la contrattazione collettiva prevede di solito la corresponsione di uno speciale emolumento, che ha la funzione di “rappresentare il corrispondente aspetto strutturale della retribuzione, in quanto diretto a compensare il particolare disagio e la gravosità connessi alla prestazione”, e che, pertanto, “ha natura retributiva”.

In assenza di normativa contrattuale la giurisprudenza decide in materia di licenziamento per rifiuto del lavoratore alla trasferta.

Si; sul diritto del lavoratore di rifiutare una trasferta, secondo la giurisprudenza prevalente, in assenza di una normativa specifica , il potere del datore di lavoro di inviare il lavoratore in trasferta “prescinde dall’espressa disponibilità da parte del lavoratore, e dal fatto che, nel luogo di assegnazione, il lavoratore svolga mansioni identiche a quelle espletate presso l’abituale sede di lavoro”.

Inoltre, va ricordato che la giurisprudenza considera il rifiuto della trasferta come un atto di insubordinazione del lavoratore, cui può conseguire il licenziamento: si segnala, sul punto, quanto affermato da una pronuncia della Pretura di Milano (Pret. Milano 30 marzo 1999; analogamente in Trib. Milano 26 marzo 1994), che ha ritenuto “legittimo il licenziamento del lavoratore che rifiuti la disposizione aziendale di recarsi in trasferta per un periodo di 4 mesi; tali legittimità, peraltro, esige – non potendo essere applicabile alla trasferta la norma di cui all’art. 2103 c.c. – una verifica della fondatezza delle esigenze che sono alla base di una decisione aziendale che ha immediati effetti anche sulla vita di relazione del lavoratore”.

E’, dunque, dannoso che un lavoratore, in assenza di una sentenza del giudice che ne accerti la illegittimità, rifiuti di dare esecuzione al provvedimento di trasferta.

La trasferta è uno spostamento temporaneo del lavoratore in una località diversa da quella contrattuale, per esigenze aziendali transitorie e contingenti: il contratto non subisce modifiche, ed al lavoratore possono essere riconosciute indennità e rimborso spese. Dal punto di vista fiscale, è regolamentata dall’art. 51, co. 5, D.P.R. 917/1986 (Tuir):

l’indennità forfettaria non fa reddito imponibile fino a 46,48 euro giornalieri se la trasferta è entro il territorio nazionale e fino a 77,47 euro se all’estero, al netto delle spese di viaggio e trasporto;

il rimborso spese analitico per vitto, alloggio, viaggio, trasporto, ecc. non concorre a formare reddito fino a 15,49 euro giornalieri su territorio nazionale e 25,82 euro all’estero;
il rimborso misto (analitico delle spese + indennità di trasferta) prevede la riduzione di 1/3 per

l’indennità forfettaria in caso di rimborso spese di alloggio o vitto e di 2/3 in caso di rimborso spese di entrambe le voci.

Distacco con residenza in Italia
Il lavoratore sarà soggetto alla tassazione italiana. La base imponibile è determinata dall'indennità di trasferimento, prima sistemazione ed equipollenti e dagli assegni di sede e di altre indennità percepite per servizi prestati all'estero.

Le prime voci elencate godono, per il primo anno, di un regime speciale in occasione del trasferimento dalla sede di lavoro e non concorrono alla formazione del reddito imponibile per il 50% fino a 1.549,37 euro per i trasferimenti in Italia e 4.648,11 euro per quelli da o verso l’estero. Se il dipendente ottiene altre indennità per servizi svolti all'estero e percepiti per compensare il disagio del dipendente, può accedere a un regime agevolato secondo cui l’indennità concorre alla formazione della base imponibile per il 50% dell’ammontare.

Se la permanenza all’estero supera 183 giorni in 12 mesi con requisiti di continuità ed esclusività, la retribuzione del lavoratore è definita a partire dalle retribuzioni convenzionali indicate ogni anno da un decreto interministeriale del ministero del Lavoro a dell’Economia.

Distacco con residenza fuori Italia
I redditi prodotti fuori dall’Italia non concorrono a costituire la base imponibile. Dal punto di vista previdenziale, i contributi vanno pagati differentemente se il Paese estero ha o meno un accordo con l’Italia circa la sicurezza sociale. In caso affermativo la base imponibile previdenziale si calcola seguendo i co. da 1 a 8, art. 15, Tuir, in caso negativo si calcolano in base alle retribuzioni convenzionali, come previsto dalla L. 398/1987.



martedì 9 settembre 2014

Il congedo non retribuito per malattia del bambino




Il padre o la madre, in alternativa, hanno diritto art. 47 Dlgs 151/2001:

nei primi 3 anni di vita del bambino, a congedi per malattia dello stesso, senza limiti di tempo , anche se la malattia non è in fase acuta;

dai 4 agli 8 anni di età del bambino, a 5 giorni lavorativi all'anno , per ciascun genitore, per un totale massimo di 10 giorni non fruibili contemporaneamente.

Lo stato della malattia deve essere documentato, con certificato medico specialista del SSN o convenzionato.

In entrambi i casi:

non sono previste visite di controllo;

i congedi non sono retribuiti;

è possibile chiedere l'anticipo del trattamento di fine rapporto (TFR);

I periodi di assenza per malattia del bambino di età compresa tra il terzo e l'ottavo anno saranno coperti da contribuzione figurativa ( punto 8 , circ. n. 15/2001 )

I criteri di determinazione del valore figurativo si applicano ai periodi di astensione per malattia del bambino successivamente al terzo anno di età e fino al compimento dell'ottavo anno (art. 15, comma 2, della legge 1204/1971, come sostituito dall' art. 3 della legge n. 53/2000 ).

Quando si verifica l’evento della malattia del figlio, i genitori lavoratori possono usufruire di giornate di congedo, alternativamente. Si tratta di permessi non retribuiti, ma di assenze giustificate e senza limiti fino ai 3 anni di età del bambino. Il diritto spetta anche in caso di adozione o affidamento. Necessaria la presentazione del certificato medico e di un’autocertificazione. Vediamo tutti gli aspetti, anche relativi alla scelta rispetto al congedo parentale. Tra le cause di sospensione del rapporto di lavoro consentite dalla legge c’è l’assenza dal lavoro per la malattia del proprio figlio. Si tratta di permessi non retribuiti che consentono ad entrambi i genitori, anche adottivi o affidatari, di poter svolgere la propria essenziale funzione familiare nei confronti del proprio bambino, nel momento del bisogno come uno stato di malattia, senza che l’assenza possa essere ritenuta ingiustificata.

Il congedo per malattia del bambino è previsto dall’art. 47 del Decreto Legislativo n. 151 del 2001, ossia il Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e di sostegno della maternità e della paternità. Il testo prevede che “in caso di malattia del bambino i genitori naturali hanno diritto ad astenersi dal lavoro alternativamente”:

Per tutta la durata della malattia del bambino, senza limiti per i figli fino a 3 anni di età;
Per 5 giorni lavorativi all’anno per ciascun genitore, per i figli dai 3 agli 8 anni di età.
Permessi non retribuiti, nel settore pubblico sì. Come accennato già, i permessi per malattia del figlio sono concessi fino all’ottavo anno di età del bambino, rappresentano assenze giustificate, ma non sono retribuiti, salvo migliori condizioni previste dai contratti collettivi. Nel settore pubblico i congedi per la malattia del figlio sono retribuiti.

Sono considerate utili ai fini dell’anzianità di servizio (gli scatti di anzianità ad esempio). Sono esclusi invece ai fini della maturazione della tredicesima mensilità ed ai fini della maturazione delle ferie retribuite, lo stabilisce l’art. 48 del Decreto.

Relativamente alla copertura previdenziale, i permessi per la malattia del bambino fino a 3 anni di età sono accreditati come contributi figurativi per intero, mentre quelli fruiti successivamente, cioè dai 4 agli 8 anni di età del figlio danno diritto ad una copertura contributiva ridotta.

Diritto di assenza autonomo per ogni genitore. Il diritto spetta ad entrambi i genitori, che siano lavoratori con un rapporto di lavoro dipendente. Anzi, ciascun lavoratore detiene un proprio diritto, che autonomo rispetto a quello dell’altro. Il congedo per malattia del bambino, anche adottato o affidato, infatti spetta al genitore richiedente anche qualora l’altro genitore non ne abbia diritto e non trovano applicazione, nel caso della malattia del figlio, le disposizioni sul controllo della malattia del lavoratore (attestazione medica, eventuale visita di controllo, ecc).

I lavoratori dipendenti non hanno solo questa tipologia di assenza giustificata, e non retribuita, come fruibile nel caso di malattia del proprio figlio. Esiste un altro tipo di permessi e cioè l’ex astensione facoltativa, o congedo parentale. Viene riconosciuta, anche in questo caso, fino agli 8 anni del bambino.

Il vantaggio del congedo parentale  è che in caso di astensione facoltativa viene riconosciuto, per le assenze richieste per i bambini fino ai 3 anni di età, il diritto alla retribuzione nella misura del 30% attraverso l’indennità per congedo parentale erogata dall’Inps per il tramite del datore di lavoro. E alcuni CCNL possono prevedere anche l’integrazione a carico del datore di lavoro (nel settore pubblico ricordiamo che il congedo per malattia del bambino è retribuito).

In realtà il diritto alla percezione dell’indennità nel congedo parentale può essere riconosciuta anche dai 4 agli 8 anni, a condizione che il reddito individuale del lavoratore richiedente non superi le 2,5 volte la misura del trattamento minimo di pensione (attualmente nel 2012 il reddito da non superare è pari a 15.612,22 euro). Per maggiori informazioni vediamo il trattamento minimo e il congedo parentale.

Le possibilità di scelta tra congedo parentale e permessi per malattia del bambino. Quindi il lavoratore ha una doppia possibilità di scelta per assentarsi dal lavoro in caso di malattia del bambino: richiedere un congedo parentale o un permesso per malattia del bambino, uno retribuito (fino ai tre anni, o anche dopo se in possesso di un reddito idoneo al requisito) e l’altro no.

Nel caso di congedo per malattia del bambino dopo i tre anni di età, l’opzione per il congedo parentale diventa utile se si ha ancora diritto all’indennità da parte dell’Inps, sempre per reddito individuale inferiore a 2,5 volte il trattamento minimo di pensione dell’anno. I genitori quindi dovranno fare una scelta, anche economica, su quale congedo richiedere, tenendo conto anche delle giornate e dei mesi consentiti dalla legge per entrambi i permessi fruibili.

Infatti, per quanto riguarda le assenze giustificate fruibili, ricordiamo solo ed esclusivamente durante il verificarsi dell’evento della malattia del bambino, la madre ha la possibilità di astensione facoltativa per congedo parentale fino a 6 mesi nei primi 8 anni del bambino, il padre invece fino a 7 mesi sempre negli 8 anni di età. Cumulativamente il congedo parentale può essere richiesto da entrambi i genitori per 10 mesi complessivi negli 8 anni. Di questi mesi, fino ai tre anni del bambino, l’Inps eroga l’indennità per un massimo di 6 mesi per entrambi i genitori. Questo per tutti i  lavoratori. Se si ha il reddito idoneo, si ha diritto all’indennità fino ai 10 mesi totali negli 8 anni.

Oltre a queste assenze giustificate, e volendo retribuite, i genitori hanno anche la libertà di assenza, giustificata ma non retribuita, tramite il congedo per malattia del bambino fino ai tre anni di età di cui stiamo parlando in questo approfondimento, e poi dai 4 anni agli 8 anni, 5 giorni lavorativi all’anno per ciascun genitore, quindi utilizzando i permessi per malattia del bambino oltre i tre anni.

Quindi nei primi tre anni del bambino, i genitori possono utilizzare i 6 mesi retribuiti per entrambi i genitori anche nel caso di malattia del bambino e poi c’è la libertà, ma non retribuita, di assentarsi per la malattia del figlio. Dai 4 anni di età e fino agli 8 anni, si possono utilizzare il residuo individuale (6 o 7 mesi) e cumulato (10 mesi per entrambi) del congedo parentale, soprattutto se si ha diritto all’indennità dell’Inps, e poi utilizzare i 5 giorni lavorativi all’anno, per ciascun genitore, del congedo per malattia del bambino.

Ovviamente è  il Ministero del lavoro (in una nota del 2006) che consente la facoltà di scelta per i genitori tra il congedo parentale e il congedo per malattia del bambino, stabilendo che il titolo di assenza dal lavoro può essere modificato su domanda del genitore interessato, ma nel caso di assenza per malattia del bambino caso bisogna rispettare le condizioni per la fruizione che a questo punto dettagliamo.

Prima di tutto bisogna chiarire il concetto di malattia, evento che dà diritto al congedo per malattia del bambino. Il Ministero del lavoro fornisce indicazioni in tal senso: per malattia del bambino deve intendersi la modificazione peggiorativa dello stato di salute e più precisamente una qualsivoglia alterazione anatomica e funzionale dell’organismo, anche localizzata, perciò non impegnativa delle condizioni organiche generali. A tale valutazione provvederà il medico specialista del Servizio sanitario nazionale.

Il lavoratore per poter fruire del congedo per malattia del figlio deve presentare al datore di lavoro il certificato di malattia rilasciato appunto dal medico specialista del Servizio sanitario nazionale o medico con esso convenzionato.

Il genitore che si assenta non è tenuto a rispettare le fasce di reperibilità, destinate al controllo dello stato di salute del genitore e non della malattia del figlio che pure ha dato motivo all’astensione da lavoro, la legge non pone alcuna condizione relativa alla gravità o la acutezza della malattia del figlio del lavoratore.

Il lavoratore e la lavoratrice, entrambi dipendenti, hanno diritto ai permessi per malattia del bambino ma non contemporaneamente. Cioè uno dei due genitori può chiedere il congedo ma non entrambi per gli stessi giorni. Questo non limita però il diritto al padre di assentarsi dal lavoro usufruendo del congedo per la cura della malattia dei figli durante lo stesso periodo in cui la madre sta fruendo di un periodo di congedo parentale. La condizione d’alternatività dei genitori nella fruizione dei congedi di cura dei figli, se entrambi lavoratori dipendenti, vale anche nel caso in cui si ammalano due figli contemporaneamente.


domenica 3 agosto 2014

Diritto alle ferie: quesiti più importanti da conoscere



Il lavoratore dipendente è libero di scegliere le modalità e le località per usufruire di un periodo di ferie che ritenga più utili”. E la sua reperibilità “può essere oggetto di specifico obbligo disciplinato dal contratto individuale o collettivo del lavoratore in servizio, ma non già del lavoratore in ferie.

La Corte di Cassazione ha stabilito che il datore di lavoro può sospendere le ferie solo prima della partenza per le vacanze. In sostanza la Suprema Corte protegge il posto di lavoro per i dipendenti che sono in ferie e per le neo spose durante il primo anno di nozze.

La norma fondamentale per la gestione delle ferie è l’articolo 10 del decreto legislativo n. 66 dell’8 aprile 2003. In base al quale: “il prestatore di lavoro ha diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane – fatte salve condizioni di miglior favore stabilite dalla contrattazione collettiva – e tale periodo minimo non può essere sostituito dalla indennità per ferie non godute, ad eccezione della risoluzione del rapporto di lavoro”.

La Maturazione diritto di ferie è sospesa negli scioperi e CIG a zero ore. I periodi compresi nel contratto di lavoro in cui non maturano le ferie sono i seguenti:

periodi di sospensione dal lavoro per sciopero;

periodi di aspettativa non retribuita;

periodi di congedo parentale (aspettativa post parto);

periodi di cassa integrazione a zero ore, salvo condizioni di miglior favore.

La malattia insorta prima dell'inizio del periodo di ferie programmato e comunicato al lavoratore oppure delle ferie collettive con chiusura dell’azienda ne determina la fruizione in un momento successivo alla guarigione.

Invece la malattia insorta durante le ferie ne sospende la fruizione , ma solo se lo stato di malattia è incompatibile con il recupero delle energie psico-fisiche e purché regolarmente certificata dal servizio sanitario e salvo diversa previsione dei C.C.N.L..

In questo caso il datore di lavoro ha la possibilità di richiedere all’INPS la verifica dello stato di malattia del lavoratore e, dopo i dovuti accertamenti sanitari, può sostenere che malattia e ferie sono compatibili, per cui la fruizione delle ferie non viene sospesa.

Il datore di lavoro può richiamare in servizio il lavoratore in ferie quando sussistano imprescindibili esigenze aziendali, in questi casi, i C.C.N.L. possono prevedere il rimborso delle spese sostenute dal lavoratore per l’anticipato rientro.

Il periodo minimo di ferie annuali è di quattro settimane, salvo durate superiori previste dai C.C.N.L. in base alla qualifica contrattuale e all’anzianità di servizio.

Vanno fruite obbligatoriamente nell'anno in cui maturano per almeno due settimane (continuative su richiesta del lavoratore) mentre le altre due vanno prese entro i 18 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione, sempre fatte salve differenti prescrizioni del Contratto collettivo di lavoro di riferimento.

Alla scadenza dei 18 mesi dalla fine dell’anno di maturazione, il datore di lavoro è obbligato al versamento dei contributi all’INPS relativi al periodo ,  anche se le ferie non sono state godute.

La maturazione delle ferie è collegata ai mesi di servizio prestato. In genere ogni mese di servizio dà diritto ad un dodicesimo del periodo annuale di ferie e le frazioni di mese di almeno 15 giorni  valgono come mese intero, ma vi possono essere prescrizioni diverse nei CCNL.
Da notare che le ferie maturano anche durante:

il periodo di prova;

i periodi di assenza per maternità, compreso l’astensione anticipata per gravidanza a rischio o lavoro a rischio e durante la proroga del congedo di maternità per lavoro a rischio;

i periodi di malattia;

i periodi di infortunio;

i periodi di cassa integrazione a orario ridotto.

Ferie: diritto irrinunciabile e non monetizzabile, in questo caso bisogna differenziare: il periodo minimo di quattro settimane non può essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute, salvo il caso di licenziamento o dimissioni oppure nel caso di contratti a termine di durata inferiore all’anno. questo perché la Costituzione stabilisce che le ferie sono un diritto irrinunciabile (art. 36 ) e infatti "sono vietati accordi individuali che ne impediscano fruizione oppure finalizzati alla monetizzazione".

E’ consentito invece compensare le ferie con l’equivalente indennità sostituiva in caso di:

ferie eccedenti il periodo minimo;

ferie residue al momento della risoluzione del rapporto di lavoro.

La Corte di Cassazione ha più volte ribadito questo principio (di recente: n. 16735/2014), mentre sul tema la Corte Europea ha anche stabilito che l'indennità per ferie non godute passa agli eredi in caso di decesso del lavoratore (sentenza C-118-13).

Il Decreto legislativo n. 213 del 2004, ha introdotto specifiche sanzioni amministrative per i datori di lavoro che non permettono ai propri lavoratori il godimento delle ferie: esse vanno da 130 a 780 euro per ogni lavoratore e per ciascun periodo cui si riferisce la violazione.

Il dispositivo legislativo attribuisce all'autonomia collettiva (CCNL) un ampio potere derogatorio alla previsione legale e legittima una clausola contrattuale che riduce il periodo delle due settimane di ferie di cui è obbligatoria la fruizione, purché la riduzione non vanifichi la funzione del diritto alle ferie e sia occasionata da eccezionali esigenze di servizio.


lunedì 17 febbraio 2014

Fondi pensione, quale garanzia paga?



La previdenza complementare ha lo scopo di integrare il trattamento pensionistico garantito ai lavoratori dall'assicurazione generale obbligatoria.

Il diritto alla prestazione pensionistica complementare si acquisisce:
•    alla maturazione del diritto nel regime obbligatorio di appartenenza
•    con almeno 5 anni di partecipazione al fondo.
Si possono richiedere anticipazioni :
•    in qualsiasi momento nel limite del 75% per spese sanitarie
•    dopo 8 anni di iscrizione nel limite del 75% per l'acquisto e manutenzione della prima casa
•    dopo 8 anni di iscrizione nel limite 30% per ulteriori esigenze degli aderenti.

Casi particolari:
•    inoccupazione per un periodo superiore a 4 anni: in tal caso vi è la possibilità di anticipare la prestazione pensionistica di 5 anni  rispetto ai requisiti per l'accesso alle prestazioni nel regime obbligatorio

Non tutti i risparmiatori e soprattutto coloro che sono prossimi alla pensione sono disposti a mettere a rischio i propri contributi e il proprio Tfr sui mercati finanziari globali. Anzi, una fetta consistente - soprattutto quelli che in pensione ci dovranno andare tra pochissimi anni, riforme pensionistiche permettendo – punta alla garanzia; circa la metà dei nuovi iscritti ai fondi di categoria, infatti, aderisce a una linea garantita, che ciascuno strumento di previdenza complementare deve mettere a disposizione dei propri iscritti.

Nel lungo periodo - per chi ha per esempio meno di 40 anni e ha molti anni di lavoro davanti a sé - il mercato azionario tende a ottenere rendimenti importanti, spesso superando in modo rilevante la stessa inflazione; così com'è risaputo nel breve/medio periodo è possibile incassare ottenere delle riduzioni nel valore quota di tutti i comparti, da quelli bilanciati a quelli ed azionari (e pertanto sulla propria rendita pensionistica complementare). Da qui l'indicazione per chi è vicino alla pensione, di consolidare i rendimenti accumulati in passato passando a una linea prudente e, meglio ancora, garantita. Ma quanto rende il comparto garantito di un fondo pensione? Abbiamo provato a confrontare  i rendimenti relativi al 2013 dei comparti garantiti di alcuni fondi negoziali. Le performance medie dei 34 negoziali analizzati ammontano al 2,26%, ossia circa un terzo più di quanto genera la rivalutazione annua delle quote di Tfr relativa allo stesso periodo.

Ci sono Fondi che riescono ad ottenere performances di tutto rispetto (si pensi a Cooperlavoro e a Fondapi con guadagni intorno al 3,4%), così come ci sono stati Fondi che hanno ottenuto rendimenti sinceramente deludenti come ad esempio il caso Fonchim rivalutatosi solo dello 0,7% nel suo comparto più avverso al rischio. Questo perché ogni fondo affida il mandato di gestione con obiettivi diversi: dalla garanzia del valore nominale a un rendimento minimo garantito. È bene ricordare che la garanzia di rendimento scatta non in ogni circostanza, ma al sopraggiungere di una serie di eventi: pensionamento: premorienza, invalidità e inoccupazione per oltre 48 mesi (ciascun fondo può estendere o restringere questi requisiti). Attenzione però: in caso di trasferimento da un comparto garantito a un altro, il valore di "riscatto" o "uscita" sarà quello del valore quota: nel bene, se la performance è stata alta, o nel male, se invece è stata negativa. Per questo è importante tenere d'occhio il risultato della gestione di questi comparti.

Se un lavoratore non è appagato del gestore del proprio fondo di categoria può sempre optare per un fondo aperto o per un piano individuale previdenziale; di questi ultimi si attende di conoscere i rendimenti delle gestioni separate delle polizze previdenziali, che verranno diffuse più avanti. Per quanto riguarda gli aperti si deve tenere presente che la media delle performance dei comparti garantiti nel 2013 è stata più bassa di quella dei fondi negoziali, complice la loro tradizionale maggior esposizione alle azioni: la media dei rendimenti dei comparti garantiti infatti è stata pari a circa l'1,52% quindi addirittura del 12% inferiore alla rivalutazione del Tfr. Anche in questo caso, così come per i negoziali, c'è una forte varianza nei risultati da fondo a fondo. E' sempre bene ricordare che le performance passate non possono essere tenute in considerazione per il futuro, ma rappresentano in ogni caso importanti osservazioni che si possono fare per la scelta del fondo cui affidare il destino della propria pensione complementare. Nel 2013, il sistema fondi pensione italiani monitorato dalla Covip, la commissione di vigilanza sui fondi pensione, ha fatto registrare performance medie di tutto rispetto e un continuo aumento delle adesioni, anche se in modo non uniforme tra le differenti tipologie di strumenti.

Una volta esercitata la scelta del conferimento del Tfr ad un Fondo Pensione la possibilità di disporne si riduce a poche situazioni. Vediamole in dettaglio:

1.Prima della maturazione del diritto all'erogazone del trattamento pensionistico:

(a) possibilità di trasferire il montante accumulato alla nuova forma pensionistica complementare prevista dal nuovo contratto collettivo di lavoro nel quale si rientra in conseguenza di cambio di lavoro;

(b) possibilità di trasferire il montante accumulato ad un altro fondo, compatibile con il contratto collettivo di appartenenza, dopo 2 anni di versamenti;

(c) riscatto parziale nella misura del 50% del montante accumulato, in caso di:

cessazione dell'attività lavorativa che comporti inoccupazione per un periodo superiore ad 1 anno;

mobilità;

cassa integrazione guadagni ordinaria o straordinaria;

(d) riscatto totale del montante accumulato, in caso di:

invalidità permanente che comporti la riduzione della capacità lavorativa a meno di un terzo di quella ordinaria;

cessazione dell'attività lavorativa che comporti disoccupazione per un periodo di tempo superiore a 4 anni;

2.Dopo la maturazione del diritto all'erogazone del trattamento pensionistico:

(a) liquidazione parziale fino ad un massimo del 50% del montante accumulato fino a quel momento.

(b) liquidazione totale del montante accumulato, solo per i dipendenti che risultano iscritti alla previdenza complementare prima del 29 aprile 1993.

Pertanto, dal punto di vista della liquidazione:

il TFR lasciato in azienda funziona esattamente come prima, sia come liquidazione finale e sia come possibilità di richiedere anticipazioni (è comunque l'azienda a farlo conguagliando poi le somme nei versamenti successivi all’Inps)

Se si aderisce ad un fondo non c’è più la liquidazione: al momento della cessazione del rapporto di lavoro non si prende un centesimo. Il capitale accumulato nei fondi può essere liquidato, a richiesta, per un massimo del 50% al momento in cui maturano i requisiti per andare in pensione. Il resto viene comunque trasformato in una rendita pagata mensilmente.



domenica 9 febbraio 2014

Detrazioni fiscali familiari a carico 2014 in busta paga



Le detrazioni fiscali riducono la ritenuta Irpef operata dall’Inps Gestione Dipendenti Pubblici sulla pensione e spettano al pensionato che non usufruisca delle detrazioni su altre pensioni o sullo stipendio nel caso di cumulo.
Il pensionato può chiedere le detrazioni per sé e per i familiari a carico: coniuge, figli, discendenti prossimi, anche naturali, dei figli, genitori e ascendenti prossimi, anche naturali, adottati, nuore, suoceri e suocere, fratelli e sorelle

Sono a carico del pensionato le persone che non hanno avuto nel corso dell’anno redditi propri superiori a 2.840,51 euro. I redditi vanno considerati al lordo degli oneri deducibili e nel calcolo rientrano anche alcuni redditi esenti dall’imposta e alcuni redditi soggetti a ritenuta fiscale alla fonte. Per usufruire delle detrazioni per carichi di famiglia il pensionato deve presentare la prevista dichiarazione utilizzando il modello cartaceo, “Richiesta detrazioni 2013”, inviato a casa insieme al CUD.

Il Ddl di Stabilità per il 2014, prevede delle detrazioni per il coniuge, i figli e gli altri familiari a carico parametrate al reddito complessivo del contribuente.

Sono considerati familiari fiscalmente a carico i membri della famiglia che nel corso dell’anno solare oggetto della dichiarazione hanno posseduto un reddito complessivo uguale o inferiore a 2.840,51 euro, al lordo degli oneri deducibili.

Nel limite di reddito di 2.840,51 euro che il familiare deve possedere per essere considerato fiscalmente a carico, devono essere computate anche le seguenti somme, che non sono comprese nel reddito complessivo:
le retribuzioni corrisposte da Enti e Organismi Internazionali, da Rappresentanze diplomatiche e consolari, da Missioni, dalla Santa Sede, dagli Enti gestiti direttamente da essa e dagli Enti centrali della Chiesa Cattolica;

la quota esente dei redditi di lavoro dipendente prestato nelle zone di frontiera ed in altri Paesi limitrofi in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto lavorativo da soggetti residenti nel territorio dello Stato;

il reddito d’impresa o di lavoro autonomo assoggettato ad imposta sostitutiva nel caso di applicazione del regime fiscale di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità (art. 27, commi 1 e 2, D.L. n. 98/2011);

il reddito d’impresa o di lavoro autonomo assoggettato ad imposta sostitutiva in applicazione del regime per le nuove attività produttive (art. 13, legge n. 388/2000 - Finanziaria 2001);

il reddito dei fabbricati assoggettato alla cedolare secca sulle locazioni.

Mentre non deve essere considerato il reddito degli immobili sfitti (rendita catastale) assoggettati ad IMU (imposta municipale unica) prevista dal D.Lgs. n. 23/2011.

Possono essere considerati familiari a carico, anche se non conviventi con il contribuente o residenti all’estero:
il coniuge non legalmente ed effettivamente separato;

i figli (compresi i figli naturali riconosciuti, adottivi, affidati o affiliati) indipendentemente dal superamento di determinati limiti di età e dal fatto che siano o meno dediti agli studi o al tirocinio gratuito; gli stessi pertanto ai fini dell’attribuzione della detrazione non rientrano mai nella categoria “altri familiari”.

Possono essere considerati a carico anche i seguenti altri familiari, a condizione che convivano con il contribuente o che ricevano dallo stesso assegni alimentari non risultanti da provvedimenti dell’Autorità giudiziaria:
il coniuge legalmente ed effettivamente separato;

i discendenti dei figli;

i genitori (compresi i genitori naturali e quelli adottivi);

i generi e le nuore;

il suocero e la suocera;

i fratelli e le sorelle (anche unilaterali);

i nonni e le nonne (compresi quelli naturali).

In caso di coniuge fiscalmente a carico dell'altro, la detrazione compete a quest'ultimo per l'intero importo. Se l'altro genitore manca o non ha riconosciuto i figli naturali e il contribuente non è coniugato o, se coniugato, si è successivamente legalmente ed effettivamente separato, o se vi sono figli adottivi, affidati o affiliati del solo contribuente e questi non è coniugato o, se coniugato, si è successivamente legalmente ed effettivamente separato, per il primo figlio si applicano, se più convenienti, le detrazioni previste per il coniuge a carico.

Si ricorda che, in caso di variazione, è il dipendente che ha l’obbligo di comunicare ogni modifica per evitare di percepire somme indebite e di essere così perseguito: in assenza della dichiarazione rettificatrice, il comportamento del dipendente è punito con una sanzione amministrativa da un minimo di 258 a un massimo di 2.065 euro.


mercoledì 11 dicembre 2013

Lavoratore dipendente in ferie: nessun obbligo di reperibilità




Il lavoratore dipendente è libero di scegliere le modalità e le località per usufruire di un periodo di ferie che ritenga più utili”. E la sua reperibilità “può essere oggetto di specifico obbligo disciplinato dal contratto individuale o collettivo del lavoratore in servizio, ma non già del lavoratore in ferie.

La Corte di Cassazione ha stabilito che il datore di lavoro può sospendere le ferie solo prima della partenza per le vacanze. In sostanza la Suprema Corte protegge il posto di lavoro per i dipendenti che sono in ferie e per le neo spose durante il primo anno di nozze.

Con due sentenze depositatela numero 27057 e 27055, i giudici, annullano similmente licenziamenti bollandoli come illegittimi. Nel primo caso la massima sanzione era stata disposta nei confronti di un tecnico del Comune colpevole di essersi reso introvabile durante le ferie, ignorando l'ordine di rientrare in servizio. Secondo il datore l'obbligo di rispondere derivava da una precisa norma del contratto collettivo che imponeva la reperibilità e poco importava che le comunicazioni non fossero mai state ritirate.

Dal canto suo l'ente locale rivendicava il diritto di revocare le ferie già concesse e affermava il dovere del dipendente di interrompere gli "ozi" e presentarsi in ufficio.

La Cassazione invita a leggere correttamente le norme ossia CCNL. Non c'è dubbio che il datore debba essere informato del luogo in cui inviare le comunicazioni al suo dipendente, ma il diritto non si estende ai periodi di ferie, che sono un bene costituzionalmente tutelato. Esiste poi anche un'esigenza di privacy, coniugata con l'assoluta libertà per il lavoratore di andare dove vuole a recuperare le sue energie psicofisiche. Impresa difficile se si è obbligati a sopportare lo stress di dare le coordinate dei propri spostamenti.

Il datore, per esigenze organizzative, può modificare i periodi di ferie ma deve farlo, con un congruo preavviso, prima che queste abbiano inizio. La norma invocata specifica il diritto al rimborso delle spese documentate del viaggio interrotto per motivi di servizio, ma non fa alcun riferimento alle modalità con cui l'interruzione può essere adottata. Al contrario la giurisprudenza ha affermato il dovere di una comunicazione tempestiva ed efficace prima che il lavoratore abbia fatto le valige, momento dal quale cessa ogni obbligo di reperibilità.

Un'altra lancia contro i licenziamenti, in questo caso discriminatori, la Cassazione la spezza in favore delle neo spose (sentenza 27055). Il divieto di licenziare la lavoratrice che ha detto sì vale per l'intero anno delle nozze. Né il licenziamento può essere giustificato da ragioni di ristrutturazione e di ridimensionamento dell'organico, essendo la deroga al divieto ammessa solo in caso di cessazione dell'attività dell'azienda. La garanzia, assicurata dalla legge 7 del 1973 ha la stessa finalità della legge 1204/1971 che impedisce il licenziamento della lavoratrice madre. «Si tratta di provvedimenti legislativi che nel loro insieme - si legge nella sentenza - tendono a rafforzare la tutela della lavoratrice in momenti di passaggio "esistenziale" particolarmente importanti».

Per questo alla lavoratrice è risparmiato anche l'onere di provare il carattere discriminatorio del licenziamento, mentre spetta al datore dimostrare il contrario.

In base queste delucidazioni Un’eventuale opposta interpretazione delle norme sarebbe, infatti, “una compressione del diritto alla ferie - conclude la Suprema Corte - costringendo il lavoratore in viaggio non solo a far conoscere al datore di lavoro i luoghi e i tempi dei suoi spostamenti, ma anche ad un’inammissibile e gravosa attività di comunicazione formale, magari giornaliera, dei suoi spostamenti”.


venerdì 22 febbraio 2013

Elezioni 2013: compensi e retribuzione per il servizio di scrutatore, segretario e presidente di seggio


Il 24 e 25 febbraio gli italiani saranno chiamati al voto per le elezioni politiche 2013.

Sono migliaia gli italiani che vivranno le elezioni nelle vesti di pubblici incaricati, a tutela del corretto svolgimento delle procedure democratiche. Lì dove si svolgeranno anche elezioni regionali (Lombardia, Molise e Lazio) le “buste” saranno più cospicue e verranno coperte per due terzi dallo Stato e per il restante dalla Regione.

In occasione delle consultazioni elettorali, tutti i lavoratori dipendenti chiamati a svolgere funzioni elettorali hanno diritto ad assentarsi dal lavoro per il periodo necessario allo svolgimento delle relative operazioni; ne consegue che il datore di lavoro non può, in nessun caso, impedire al proprio dipendente di adempiere a tale compito.

In sintesi, ai lavoratori interessati deve essere garantito:
lo stesso trattamento economico che sarebbe spettato in caso di effettiva prestazione lavorativa, per i giorni lavorativi passati al seggio;
un’ulteriore retribuzione (pari a una giornata di retribuzione) o un riposo compensativo, per i giorni non lavorativi o festivi trascorsi ai seggi per lo svolgimento delle operazioni elettorali.

La giurisprudenza ha precisato che in caso di svolgimento di operazioni che occupino anche solo una porzione di giornata il diritto ad assentarsi debba valere per l’intero giorno lavorativo.

Il Ministero dell’Interno ha emanato una circolare che definisce tutte le specifiche di competenze e di indennizzo per tutti coloro che, i prossimi 24 e 25 febbraio, saranno impegnati nelle vesti di ufficiali nominati ai seggi del Comune di residenza. Per le competenze ai componenti dei seggi si applicano le disposizioni di cui al citato art. 1, della legge 13 marzo 1980, n. 70.

Ai componenti dei seggi, sia normali che speciali, spetta un onorario fisso. Per l’imminente consultazione, le competenze dovute ai componenti dei seggi ordinari sono quelle riportate di seguito e sono comprensive delle maggiorazioni di € 37,00 (Presidenti) e di € 25,00 (Scrutatori e Segretari) da corrispondere per ogni consultazione da effettuare contemporaneamente alla prima.

Elezioni politiche (n. 2 schede)
Ai Presidenti  spetta una retribuzione di  € 187,00; ai Scrutatori e Segretari: € 145,00.

Elezioni politiche ed elezioni regionali (n. 3 schede)
Spetta una retribuzione Presidenti: € 224,00;  Scrutatori e Segretari: € 170,00.

A ciascuno degli scrutatori ed al segretario dell’ufficio elettorale di sezione, il comune nel quale ha sede l’ufficio elettorale deve corrispondere un onorario fisso forfettario di euro 120.

Per ogni elezione da effettuare contemporaneamente alla prima e sino alla quinta, gli onorari di cui ai commi 1 e 2 sono maggiorati, rispettivamente, di euro 37 e di euro 25. In caso di contemporanea effettuazione di più consultazioni elettorali o referendarie, ai componenti degli uffici elettorali di sezione possono riconoscersi fino ad un massimo di quattro maggiorazioni.

Ricordiamo che l'orario coincide con quello delle votazioni, ovvero domenica 24 dalle 8:00 alle 22:00 e lunedì 25 dalle 7 alle 15. Alla chiusura dell'orario di voto scatta lo scrutinio, che naturalmente ha durata variabile.

Nei casi in cui, invece, il Presidente sia stato assegnato a un seggio oltre i confini del proprio Comune di residenza, allora alla legge prevede il diritto al trattamento di missione, con eventuali rimborsi di biglietti ferroviari, se necessario l’alloggio, i pasti e, all’occorrenza, anche i chilometri percorsi con la propria auto (ma solo se assente il collegamento ferroviario).

Entro sei mesi dalla data elettorale, poi, dovranno essere le singole amministrazioni a redigere un piano delle spese sostenute dai singoli incaricati, inviandolo quindi alle Prefetture per vedersi consegnare le cifre investite.

Per le circoscrizioni estere, gli indennizzi restano i medesimi che nel caso di seggi aperti per le sole elezioni politiche – 187 euro ai Presidenti, 145 agli scrutatori e segretari. Per i seggi speciali aperti a Roma, presso la Corte d’Appello, dove le schede giunte da oltreconfine verranno scrutinate, le quote ammonteranno rispettivamente a 90 euro e 60 euro.

Prima dello svolgimento delle operazioni elettorali il lavoratore dipendente nominato presidente di seggio, segretario, scrutatore è tenuto ad avvisare, sia verbalmente che per iscritto, il proprio datore di lavoro della sua partecipazione ai seggi, affinché quest’ultimo si possa organizzare in vista di tale assenza.

Concluse le votazioni ed il relativo scrutinio, il lavoratore è tenuto a consegnare al datore di lavoro un attestato da cui risulti l’indicazione dei giorni (e delle ore) trascorsi al seggio. Tale attestato deve essere firmato dal Presidente del seggio e deve riportare il timbro della sezione elettorale presso cui il lavoratore è stato chiamato ad adempiere alle funzioni elettorali.
I compensi sono complessivi, non al giorno. Le cifre sopra riportate rappresentano il totale dell'onorario che si percepirà.

domenica 27 gennaio 2013

Lavoro: tfr, fondi di previdenza, e fondi pensione per il 2013


Ricordiamo che l’istituto del fondo TFR garantisce un fondo finanziato da un contributo pari alla quota maturata da ciascun lavoratore del settore privato a decorrere dal 1° gennaio 2007, e non destinata alle forme pensionistiche complementari.

La normativa TFR differenzia le aziende con meno o più di 50 dipendenti. Per le prime, se il lavoratore sceglie di mantenere la destinazione TFR nella sua forma originaria, nulla cambia. Per le aziende che hanno più di 50 dipendenti, invece, la scelta del dipendente di mantenere la destinazione TFR nella forma di liquidazione comporterà che la quota di TFR non sia più mantenuta all'interno del sistema contabile della azienda, ma venga dalla stessa versata all'INPS che si occuperà di rivalutarlo e renderlo disponibile al lavoratore al momento del suo allontanamento dall'azienda.

Nel caso di TFR silenzio-assenso, nel momento della scelta è stato trasferito per legge alla forma pensionistica complementare di categoria (per i metalmeccanici Fondo Cometa), oppure, nel caso il contratto del lavoratore non preveda un fondo di categoria , presso una forma pensionistica residuale istituita presso l'INPS.

Esiste poi per le aziende la possibilità di stipulare un accordo con i propri dipendenti (direttamente o tramite le rappresentanze sindacali) mediante il quale dare al lavoratore una terza alternativa per la costruzione del proprio piano di integrazione pensionistica, ovvero l'adesione a fondi pensione o fondi TFR (di solito istituiti da società di gestione del risparmio o da società assicurative).

Qualora il dipendente decida di fare confluire il suo “guadagno” ad un fondo pensione, la destinazione a TFR (sia per adesione ad un fondo di categoria che per adesione ad un fondo stabilito da accordo collettivo con il datore di lavoro), oltre che versa al fondo potrà godere del versamento di un contributo obbligatorio da parte del datore di lavoro e decidere poi di versare un contributo volontario.

Rimangono esclusi dall’obbligo contributivo le situazioni inerenti lavoratori con rapporto di lavoro di durata inferiore a 3 mesi, ai lavoratori a domicilio, agli impiegati quadri e dirigenti del settore agricolo nonché ai lavoratori per i quali i Contratti collettivi prevedono la corresponsione periodica delle quote maturate ovvero l’accantonamento TFR delle stesse presso soggetti terzi.

In ogni caso, con la legge TFR (istituzione del fondo TFR), il trattamento di fine rapporto è stato tolto alle imprese con più di 50 dipendenti e trasferito a soggetti esterni.

Il lavoratore dipendente, durante lo svolgimento del rapporto di lavoro, ha diritto a chiedere un'anticipazione del TFR. In quanto credito, il dipendente, con almeno 8 anni di anzianità lavorativa presso lo stesso datore di lavoro, può chiedere (una sola volta) un'anticipazione del credito maturato, con i vincoli previsti all'art. 2120 C.C., C. 6, C.C.)

L’anticipo TFR può essere richiesto dai lavoratori dipendenti pubblici o privati secondo determinate condizioni  e con una richiesta al datore di lavoro:

acquisto prima casa, l'atto può essere intestato alla moglie in regime di comunione dei beni con il coniuge che chiede l'anticipazione;

cure sanitarie ed ospedaliere, sono finanziabili le spese sanitarie necessarie per terapie e interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche.

L’anticipo TFR non può eccedere del 70% della cifra accantonata alla data della richiesta.
I datori di lavoro sono obbligati a soddisfare le richieste di anticipo della liquidazione dei dipendenti entro il 10% degli aventi titolo e comunque nei limiti del 4% del numero totale dei dipendenti. Infine è possibile ottenere l’anticipazione del TFR una sola volta nel corso di uno stesso rapporto di lavoro.

In ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il prestatore di lavoro ha diritto ad un trattamento di fine rapporto. Tale trattamento si calcola sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all'importo della retribuzione dovuta per l'anno stesso divisa per 13,5.

In caso di sospensione della prestazione di lavoro nel corso dell'anno al lavoratore dipendente deve essere computato nella retribuzione l'equivalente a cui il lavoratore avrebbe avuto diritto in caso di normale svolgimento del rapporto di lavoro.

L'anticipazione può essere ottenuta una sola volta nel corso del rapporto di lavoro e viene detratta, a tutti gli effetti, dal trattamento di fine rapporto. Nell'ipotesi di cui all'articolo 2122 la stessa anticipazione è detratta dall'indennità prevista dalla norma medesima. Condizioni di miglior favore possono essere previste dai contratti collettivi o da patti individuali. I contratti collettivi possono altresì stabilire criteri di priorità per l'accoglimento delle richieste di anticipazione".

Iscrivendosi ad un fondo pensione si può scegliere il proprio profilo di investimento all'atto della scelta del fondo. Esistono due tipologie di scelta. Una linea più soft di tfr fondi pensioni che è quella dei fondi che investono in obbligazioni, e quella più rischiosa per i guadagni e il capitale investito è la linea fondi che investe in azioni. Ai sottoscrittori di fondi di investimento pensioni che questi sono strumenti finanziari comunque rischiosi, l'entità del guadagno o della perdita dipende dal comportamento delle borse e dei mercati azionari. Quanto più un fondo vi consente di guadagnare (fondo speculativo) tanto più è rischioso per il vostro capitale.

La performance di un fondo pensione dipende dalla capitalizzazione individuale specifica di ciascun lavoratore e dal coefficiente di rendita che viene stabilito contrattualmente (tramite un accordo tra la gestione del fondo e una compagnie assicurativa che deve coprire il rischio).

La posizione individuale di ogni lavoratore sottoscrittore dipende da: contribuzione versata (somma delle quote del datore di lavoro - se negoziale -, del lavoratore e tfr); rendimento del fondo, rendimenti effettivi al netto dei costi di gestione del fondo (se il fondo è senza fini di lucro i costi sono bassi).

La maggior parte delle aziende e le organizzazioni sindacali hanno promosso la costituzione dei fondi pensione negoziali stipulando accordi per destinare a queste istituzioni versamenti paritetici da parte delle imprese e dei lavoratori e quote di TFR dei lavoratori. Aderendo alla previdenza complementare si ha l’opportunità di incrementare la pensione futura evitando un drastico ridimensionamento del reddito pensionistico disponibile al termine dell’attività lavorativa.

Con il 2013 i Piani Previdenziali Individuali rappresentano una vera e propria polizza assicurativa che porta all’erogazione di prestazioni pensionistiche integrative. La peculiarità è di essere a carattere individuale, offrendo al lavoratore maggiore flessibilità di versamenti. Questi possono infatti essere interrotti e poi ripresi senza interruzioni del contratto e senza penalizzazioni. Questi possono infatti essere interrotti e poi ripresi senza interruzioni del contratto e senza penalizzazioni.
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