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lunedì 8 agosto 2016

Lavoro autonomo e smart working: i diritti dei dipendenti




Il Disegno di legge è volto a garantire misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato.
Lo smart working (lavoro agile) è una prestazione di lavoro subordinato prestata, parzialmente, all'interno dei locali aziendali e dietro i soli vincoli di orario massimo desunti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.


Ovvero, il telelavoro, il padre dello smart working, è andato in soffitta, e si apre una nuova era. Almeno dal punto di vista delle tutele, perché - come riportano i dati dell'Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano - quasi il 50% delle grandi aziende sta già sperimentando questo tipo di prestazione.

Lo Smart Working intende cambiare il vecchio modello del lavoro, spostando il lavoratore da una postazione fissa raggiunta dopo aver timbrato il cartellino ad una tipologia di lavoro più flessibile, più adatta al nuovo modo di intendere il lavoro. E non si tratta soltanto di voler conciliare i tempi di vita e lavoro, e aiutare mamma e papà nella gestione della casa e dei figli, lo Smart Working è qualcosa di più. Lo Smart Working gira intorno al concetto di produttività: lasciando il dipendente libero di organizzarsi spazi, tempi e luoghi di lavoro si rende più responsabile del proprio operato e si possono fissare degli obiettivi di produttività da raggiungere in totale autonomia.

Multinazionali e imprese stanno già sperimentando o discutendo da tempo di Smart Working, o per dirla all’italiana di “lavoro agile”, ma a breve questa nuova modalità di lavoro troverà anche uno spazio tra le leggi dello Stato. Il 27 luglio scorso, infatti, la commissione Lavoro del Senato ha dato il via libera al disegno di legge sul lavoro autonomo che dovrà ora passare all’esame dell’aula, quasi sicuramente dopo la pausa estiva.

I principi cardine del lavoro agile sono semplici: vengono meno i vincoli legati a luogo e orario lavorativo; il dipendente organizza il lavoro in piena autonomia e flessibilità; acquista maggior importanza la responsabilità personale dei risultati ottenuti.

L'obiettivo, quindi, è quello di costruire anche per i lavoratori autonomi un sistema di diritti e di welfare moderno capace di sostenere il loro presente e di tutelare il loro futuro.
Il provvedimento si compone di 22 articoli suddivisi in tre capi:

il capo I concerne il lavoro autonomo e si compone degli articoli da 1 a 12,

il capo II reca disposizioni in materia di lavoro agile e si compone degli articoli da 13 a 20,

il capo III reca le disposizioni finali.

Per quanto riguarda le misure previste per favorire l’articolazione flessibile della prestazione di lavoro subordinato in relazione al tempo e al luogo di svolgimento (cosiddetto «lavoro agile»), il presente disegno di legge risponde alla necessità di dar vita a una modalità flessibile di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, allo scopo di incrementarne la produttività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e di accompagnare il profondo cambiamento culturale nella concezione del lavoro. Il disegno di legge configura il lavoro agile come strumento e non come tipologia contrattuale, con lo scopo di renderlo utilizzabile da tutti i lavoratori che svolgano mansioni compatibili con questa possibilità, anche in maniera «orizzontale»: alcuni pomeriggi a settimana, tre ore al giorno, tutte le mattine, a seconda dell’accordo raggiunto tra datore di lavoro e lavoratore.

La legge sullo Smart Working prevede che datore di lavoro e dipendente sottoscrivano un accordo individuale, sia a tempo determinato che indeterminato, per disciplinare la nuova tipologia di lavoro.Questo accordo deve definire:

le forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro;

gli strumenti tecnologici utilizzati dal lavoratore;

i tempi di riposo;

l’esercizio del potere di controllo del datore, nei limiti della disciplina dei controlli a distanza;

le condotte legate al lavoro esterno all’ufficio che danno luogo a sanzioni disciplinari.

Il pilastro portante dello Smart Working deve essere un rapporto di fiducia tra il datore di lavoro e il dipendente che, sentendosi più libero di organizzare luoghi e tempi di lavoro, può garantire maggior produttività all’azienda. In questo modo a guadagnarci sono tutti: i dipendenti guadagnano tempo, flessibilità ed energie per esempio sprecate per andare e tornare dal luogo di lavoro; il datore di lavoro ci guadagna in termini di spese per la gestione dell’ufficio che perde di centralità, e in produttività dei dipendenti.

Per quanto riguarda i diritti del dipendente, restano validi tutti i diritti “tradizionali” come la tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Il testo italiano, nel recente passaggio in commissione Lavoro, ha accolto il “diritto alla disconnessione” introdotto nella disciplina francese: si prevede che con un accordo aziendale tra dipendente e datore si stabiliscano le regole per lasciare tempi liberi dalla connessione con l'ufficio.

La legge sullo Smart Working, inoltre, prevede che lo stipendio del dipendente che lavora all’esterno dell’ufficio non possa essere inferiore a quello dei dipendenti che svolgono la stessa mansione all’interno dell’azienda.

Il provvedimento da un lato prevede misure di sostegno a favore del lavoro autonomo, dall’altro introduce delle regole per lo smart working, o lavoro agile, cioè le prestazioni lavorative di tipo subordinato che, anche grazie alle nuove tecnologie, possono essere svolte senza la necessità di una sede predefinita e stabile.

Per quanto riguarda il lavoro autonomo, il Ddl amplia le tutele dei professionisti sul fronte dei pagamenti, del welfare e individua anche nuovi ambiti di azione, quali l’attività sussidiaria rispetto a quanto svolto finora dalla pubblica amministrazione. Altre novità prevedono l’ampliamento del raggio d’azione delle Casse di previdenza dei professionisti, che potranno erogare prestazioni di welfare a fronte di periodi di difficoltà degli iscritti, e la semplificazione della normativa sulla sicurezza degli studi professionali.






venerdì 29 luglio 2016

Contratto di lavoro Co.co.co per i Call Center: la nuova disciplina



È stata firmata il 14 luglio 2016 l’ipotesi di accordo per la disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative per Call Center, servizi non di telefonia, e servizi realizzati attraverso operatori telefonici da parte delle quattro associazioni aderenti a Confcommercio – Ancic, Asseprim, Assintel, Federtelservizi – e Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl, Uiltucs-Uil, Nidil-Cgil.

Si tratta di una disciplina sperimentale valida a decorre dalla data di stipula fino al 31 dicembre 2018 che rappresenta la prima regolamentazione collettiva per i contratti di collaborazione coordinata e continuativa per alcune figure specifiche a fronte dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 81/2015 (Jobs Act) che ha apportato novità sostanziali alla regolamentazione previgente in materia di collaborazioni coordinate e continuative, anche a progetto. Da precisare tuttavia che l’ipotesi di accordo dovrà essere validata entro il 30 settembre 2016.

Infatti l'art. 2, comma 1, del decreto n. 81 ha disposto che, a far data dall’1/1/2016, troverà applicazione la disciplina del rapporto di lavoro subordinato ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.

Al comma 2, ha limitato l'operatività della presunzione di subordinazione andando ad escludere dalla riconduzione al lavoro subordinato le collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore.

L’accordo si è concentrato sull'individuare le figure professionali che possono dar luogo ad un rapporto di co.co.co. autentico.

Si tratta in particolare di 5 figure rientranti nell'attività:

Call Center: attività in Outbound:

Vendita (Teleselling) dove il Collaboratore presenta la vendita di beni e/o servizi per conto del committente, sia su liste di clienti o ex clienti (Data Base) fomite dal committente che su liste di archivi (fomite o meno dal committente). Descrive i servizi/prodotti proposti, analizza le esigenze e/o gli interessi dell'intervistato e finalizza la vendita mediante invio della proposta o con registrazione vocale. L'inserimento del contratto o la registrazione vocale possono anche essere effettuate con contatto telefonico distinto e successivo alla vendita iniziale.

Telemarketing in questo caso il Collaboratore svolge un'attività analoga al servizio di vendita, con la sola differenza che anziché finalizzare la vendita al telefono, genera un appuntamento presso il potenziale cliente da parte di un agente di vendita dell'agenzia o del committente.

Sondaggi e ricerche di mercato, in questa veste il Collaboratore svolge interviste telefoniche per acquisire orientamenti, interessi e pareri degli interlocutori intervistati.

Servizi di verifica qualità e prevenzione truffe, dove il Collaboratore contatta i clienti che hanno acquistato beni o servizi, normalmente tramite intermediari (agenti, concessionari, ecc.) per verificare la corretta esecuzione delle fasi di vendita (soprattutto la corretta informazione fornita all'acquirente) e la genuinità della compera. Controlla se il cliente conferma di aver effettuato acquisti di beni o servizi con finalità di prevenzione truffe.

Sollecito crediti, qui il Collaboratore contatta i debitori che presentano arretrati nei pagamenti. A seconda del livello della mora, genera il solo sollecito, o pretende il pagamento o negozia il rientro. Al fine di svolgere tali servizi, il Collaboratore effettua attività di rintraccio del debitore.

 e altre 7 figure operanti in aziende di Servizi di mercato e Servizi non di telefonia quali:

Redattore di rapporti informativi, qui il Collaboratore esegue analisi qualitative sulle imprese o sui settori, sulla base delle metodologie richieste. Realizza un'attività di reperimento delle informazioni, utilizzando fonti interne ed esterne all'azienda tramite questionari, telefonate e agenzie esterne. Stila report informativi relativi alla valutazione qualitativa dell'impresa e sul settore di appartenenza.

Rielaborazione di bilanci, dove il Collaboratore si occupa di analisi e rielaborazione dei bilanci e all'incremento delle informazioni tramite il reperimento di dati integrativi a valore aggiunto. Provvede alla rilevazione delle partecipazioni presenti in bilancio e all'aggiornamento dei legami di gruppo.

Codificatore in questa veste il Collaboratore mette in ordine le risposte aperte, secondo criteri di ricerca indicati, con una componente valutativo - discrezionale nello svolgimento di tale attività.

Acquisti in incognito, qui il Collaboratore ha il compito di valutare i comportamenti, le procedure e le capacità del personale coinvolto nell'erogazione di un servizio/vendita di un prodotto, oltre a valutare il materiale promozionale e la qualità dei prodotti.

Intervistatore: il Collaboratore realizza un'attività di recupero delle informazioni, utilizzando fonti interne ed esterne all'azienda tramite questionari, telefonate e agenzie esterne, stila i relativi report informativi.

Specialista dell'animazione dove il Collaboratore si occupa della realizzazione di specifiche parti di singoli progetti nell'ambito delle agenzie di pubblicità e delle società di animazione.

Addetto allo sviluppo, gestione e manutenzione di contenuti multimediali e animazione, in questo caso il Collaboratore cura i contenuti multimediali dell'azienda, conoscendone gli obiettivi di comunicazione; individua i contenuti per migliorare la visibilità on line del Committente, combinando l'utilizzo della tecnologia digitale con un uso efficace di grafici, audio, immagini fotografiche, video e animazione.

E' stato determinato il compenso da erogare al Collaboratore, stabilendo che il corrispettivo spettante non possa essere inferiore ai minimi stabiliti nell'accordo stesso, e debba essere in generale commisurato alla qualità e quantità di lavoro necessario a far fronte all'incarico, alla professionalità e al livello di raggiungimento degli obbiettivi concordati.

Trattamento economico

La corresponsione del compenso deve avvenire con cadenza di norma mensile, fatta eccezione per compensi mensili di importo pari o inferiore a 100 euro, che potranno essere corrisposti con cadenza trimestrale. Viene prevista una progressione del compenso orario, con base di partenza a settembre 2016 e maturazione definitiva a settembre del 2018. I compensi minimi lordi fissati in valori di paga oraria e indicati al lordo delle ritenute fiscali, previdenziali e assistenziali previste dalla normativa vigente sono:
1/9/2016 6 euro;
1/3/2017 6,70 euro;
1/9/2017 7,40 euro;
1/3/2018 8,10 euro;
1/9/2018 8,75 euro.

Non sono previsti compensi straordinari, mensilità aggiuntive, ferie, indennità di fine rapporto o altri istituti riconducibili al rapporto di lavoro subordinato. Per i collaboratori che superano le 500 ore annue di prestazione lavorativa è prevista una somma forfettaria aggiuntiva di 0.50 € lordi, di cui la prima in acconto nel mese di luglio e la seconda a conguaglio nel mese di dicembre.

L’ipotesi di accordo stabilisce che la gravidanza, la malattia e l’infortunio non comportano l’estinzione del rapporto contrattuale.

In questi casi il rapporto rimane sospeso senza corrispettivo. Il committente può recedere se la sospensione si protrae per un periodo superiore a un sesto della durata stabilita nel contratto, solo se questa è predeterminata, oppure supera trenta giorni nei contratti di durata non determinata. In caso di gravidanza la durata del rapporto è prorogata per un periodo di 180 giorni.



venerdì 22 luglio 2016

I diritti sindacali dei lavoratori a contratto di somministrazione




I lavoratori in somministrazione hanno diritto a:

partecipare alle assemblee del personale dipendente delle imprese utilizzatrici.

riunirsi per la trattazione di problemi di natura sindacale e le relative ore di permesso per parteciparvi sono retribuite al 100% e calcolate mensilmente.

organizzarsi in un sindacato, con sottoscrizione di delega (nella prima busta paga dei lavoratori deve essere inserito il modello di delega per aderire al sindacato, contributo pari allo 0,8% della retribuzione netta);

eleggere i propri rappresentanti aziendali (qualora l’impresa utilizzatrice impieghi almeno 15 lavoratori in somministrazione contemporaneamente per almeno 2 mesi, provenienti anche da diverse APL).

Ai dipendenti delle società di somministrazione si applicano tutti i diritti sindacali previsti dallo Statuto dei Lavoratori. Pertanto, nei confronti del somministratore i lavoratori in questione possono esercitare per esempio il diritto di costituire rappresentanze sindacali aziendali o unitarie, di riunirsi in assemblea, di fruire di permessi, di fruire - in qualità di dirigenti di rappresentanza sindacale aziendale o unitaria - di permessi sindacali retribuiti e non. Ovviamente la concreta fruizione di questi diritti presuppone che il somministratore, presso gli uffici cui compete l'organizzazione dei lavoratori somministrati, occupi più di 15 dipendenti.

Il fatto che i lavoratori somministrati siano dislocati presso una pluralità di utilizzatori può comportare alcuni problemi pratici per il concreto esercizio dei diritti sindacali. A tale riguardo, è previsto per legge, a loro favore, compete uno specifico diritto di riunione, da esercitarsi con le modalità determinate dalla contrattazione collettiva. Inoltre, il lavoratore somministrato vanta alcuni diritti sindacali anche nei confronti dell'utilizzatore. Infatti, nei confronti di quest'ultimo egli può esercitare - per tutta la durata del contratto - i diritti di libertà e di attività sindacale, nonché di partecipare alle assemblee del personale dipendente dell'impresa utilizzatrice. Esistono altri obblighi di natura sindacale in capo all'utilizzatore. Egli, infatti, deve rendere alcune comunicazioni alle rappresentanze sindacali, aziendali o unitarie o, in loro mancanza, ai sindacati territoriali che appartengono alle confederazioni comparativamente più rappresentative.

Più esattamente, l'utilizzatore deve indicare il numero e i motivi del ricorso alla somministrazione, e ciò ancor prima della stipulazione del contratto di somministrazione (solo in caso di particolari motivi d'urgenza la comunicazione può essere successiva di 5 giorni). Inoltre, ogni 12 mesi deve essere data indicazione in ordine al numero e ai motivi dei contratti di somministrazione conclusi, alla loro durata, al numero e alla qualifica dei lavoratori interessati.

Quindi l'utilizzatore comunica alla RSU, ovvero alle rappresentanze aziendali e, in mancanza, alle associazioni territoriali di categoria aderenti alle confederazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale:

il numero e i motivi del ricorso alla somministrazione di lavoro prima della stipula del contratto di somministrazione; ove ricorrano motivate ragioni di urgenza e necessità di stipulare il contratto, l'utilizzatore fornisce le predette comunicazioni entro i cinque giorni successivi;

ogni dodici mesi, anche per il tramite della associazione dei datori di lavoro alla quale aderisce o conferisce mandato, il numero e i motivi dei contratti di somministrazione di lavoro conclusi, la durata degli stessi, il numero e la qualifica dei lavoratori interessati,




martedì 28 giugno 2016

Lavoro agile e smart working 2016: le differenze



Lo smart working (lavoro agile) è una prestazione di lavoro subordinato prestata, parzialmente, all’interno dei locali aziendali e dietro i soli vincoli di orario massimo desunti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.

Ovvero, il telelavoro, il papà dello smart working, è andato in soffitta, e si apre una nuova era. Almeno dal punto di vista delle tutele, perché - come riportano i dati dell'Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano - quasi il 50% delle grandi aziende sta già sperimentando questo tipo di prestazione.

Sono diversi gli aspetti innovativi dello smart working rispetto al telelavoro, di cui non si applicano né le norme né i contratti collettivi. Nel lavoro agile il lavoratore ha la possibilità di utilizzare strumenti tecnologici propri ovvero assegnatigli dal datore di lavoro. E’ quest’ultimo, in tal caso, il soggetto responsabile dei rispettivi sicurezza e funzionamento.

Nel telelavoro, di norma, è il datore di lavoro il responsabile della fornitura, dell’installazione e della manutenzione degli strumenti necessari, a meno che il telelavoratore non utilizzi strumenti propri.
Qualora il telelavoro venga svolto regolarmente, il datore di lavoro è responsabile della compensazione o copertura dei costi che derivano direttamente dal lavoro. Il datore di lavoro, infine, deve fornire al telelavoratore i supporti tecnici richiesti per compiere la prestazione lavorativa.

Punto comune tra telelavoro e smart working è la volontarietà del datore di lavoro e del dipendente. Il telelavoro può costituire l’esito di un “successivo impegno assunto volontariamente”; lo smart working è sempre subordinato alla conclusione di un accordo scritto tra le parti, che regola le modalità con cui svolgere il servizio prestato al di fuori dei locali aziendali, anche con attinenza alle forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro ed agli strumenti adoperati dal lavoratore.

L’accordo può essere a tempo determinato o indeterminato; se indeterminato il recesso può verificarsi dietro un preavviso che non  deve essere inferiore a 30 giorni. In presenza di un giustificato motivo, invece, se l’accordo è a tempo determinato, le parti possono recedere prima della scadenza del termine, mentre possono farlo senza preavviso se l’accordo è a tempo indeterminato.

l 18 febbraio 2016 è stato presentato la legge denominata “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato” , che dal 25 maggio 2016 è all'esame delle Commissioni parlamentari Il capo II è appunto interamente dedicato al c.d. lavoro agile, che come noto è uno strumento e non una tipologia contrattuale . Finora infatti la nostra normativa non aveva regolamentato lo smart working, mentre  il telelavoro è regolamentato per legge solo nelle pubbliche amministrazioni. Ma da qualche anno sia il telelavoro sia lo smart working si sono diffusi nel settore privato in diverse grandi aziende sulla base di accordi collettivi, a cui in parte si rifà il testo in esame. La modalità di svolgimento della prestazione svolta dal lavoratore agile si differenzia da quella del telelavoro che si caratterizza perché l’attività lavorativa   “viene regolarmente svolta al di fuori dei locali” dell’azienda. Ci si chiede  inoltre se l’espressione “lavoro agile” può essere considerata una traduzione efficace dell’inglese “smart working”, molto utilizzata di recente. Lo “smart working” ed il “lavoro agile”  non paiono comunque essere “perfetti equivalenti”. Il loro utilizzo si presta a sottolineare aspetti diversi di un modello di lavoro del futuro. Nel caso di “lavoro agile” si sottolinea un’indipendenza attiva, ma parziale, legata ai tempi di vita e di lavoro, nel caso di “smart working” si esprime invece un lavoro più caratterizzato dalle competenze della persona.

Conciliare, innovare e competere. Sono questi i tre diversi obiettivi, apparentemente antitetici, dello smart working che si configura come un nuovo approccio all'organizzazione aziendale, in cui le esigenze individuali del lavoratore si contemperano, in maniera complementare, con quelle dell’impresa.

Lo smart working implica un nuovo modello di organizzazione del lavoro, in cui sono fondamentali questi tre elementi:

Risorse umane. È necessaria una nuova ottica da parte del personale che deve essere pronto a rivedere il proprio ruolo in un’ottica di flessibilità e disponibile a creare maggiori sinergie con il management.

Tecnologia.  Le modalità di lavoro sono “agili” e tecnologicamente avanzate e l’accesso ai dati aziendali deve essere possibile da remoto, consentendo forme di lavoro più efficienti e altamente personalizzate.

Monitoraggio costante. È indispensabile un’analisi dei risultati del lavoro per valutare l’efficienza del personale a seguito dell’introduzione del nuovo modello organizzativo del lavoro.
Quali sono le opportunità e le possibili criticità? Per il lavoratore un maggiore controllo nel bilanciare il rapporto lavoro-famiglia e i ritmi lavorativi con quelli giornalieri, implica un aumento della propria soddisfazione lavorativa con ripercussioni positive anche in termini di produttività e contenimento dei tassi di assenteismo. Dall’altro lato, gli aspetti negativi riguardano un minor coinvolgimento nelle dinamiche di apprendimento del know-how attraverso l’osservazione dei colleghi e l’isolamento e la mancata integrazione rispetto alla “squadra” di lavoro.

Si tratta di aspetti che possono essere valutati e risolti in sede di definizione dell’organizzazione del telelavoro, specificando le modalità di coordinamento tra unità operativa e lavoratore. In particolare, la valutazione delle performance del telelavoratore è ancor più indispensabile in questo modello organizzativo. A tal fine risulta utile l’individuazione di indicatori o parametri obiettivi quali: numero email inviate, numero telefonate svolte, numero di clienti e la loro soddisfazione ecc.

E’ fondamentale per un positivo esito dello smart working il confronto costruttivo delle parti sociali sulle modalità organizzative e la comunicazione tra i soggetti coinvolti così come indicato nelle disposizioni comunitarie.


mercoledì 1 giugno 2016

Lavoro: calcolo part time in busta paga



Il contratto di lavoro a tempo parziale, meglio conosciuto come contratto part time, indica un rapporto di lavoro subordinato caratterizzato da una riduzione dell'orario di lavoro rispetto a quello a tempo pieno.

Come ogni contratto di lavoro, anche quello part time può essere sia a tempo determinato che indeterminato. Un contratto part time per essere in regola deve essere sottoscritto da entrambe le parti e deve contenere informazioni precise sulla durata della prestazione lavorativa e sull'orario di lavoro con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno.

Un lavoratore part - time può instaurare più rapporti di lavoro fino a raggiungere l’orario previsto generalmente dai CCNL o dalla legge (comunque non oltre 40 ore settimanali).

Esistono tre diversi tipi di part - time:

ORIZZONTALE
si lavora tutti i giorni della settimana (mattina o pomeriggio) con un orario ridotto rispetto a quello contrattuale (es. 4 ore al giorno per 5 giorni alla settimana).

VERTICALE
si lavora per alcuni giorni nella settimana con un orario ridotto o normale (es. lunedì, mercoledì e venerdì, oppure tutte le domeniche del mese o nei fine settimana).

MISTO

Si lavora con un orario settimanale sia verticale che orizzontale, in base a quanto è stato stabilito dai contratti collettivi nazionali (es. 6 ore per 3 giorni e 3 ore per 2 giorni)

Il contratto week-end è un rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale e si realizza quando il dipendente presta la sua attività solo nei giorni di sabato e domenica.

I CCNL possono prevedere combinazioni diverse tra le varie tipologie contrattuali, determinando le modalità temporali di svolgimento dell'attività lavorativa ad orario ridotto, nonché le eventuali implicazioni di carattere retributivo della stessa.

Chi lavora con un contratto part time beneficia dei medesimi diritti di un lavoratore a tempo pieno. Ciò è vero sia per la retribuzione oraria, sia per la durata e l'assegnazione delle ferie annuali. Al pari di un lavoratore full time chi lavora con un contratto part time può essere soggetto a un periodo di prova e ha diritto a un congedo di maternità e paternità così come a riposi giornalieri. Un lavoratore part time è tutelato anche nella conservazione del posto in caso di infortunio o malattia.

La retribuzione oraria è la medesima prevista per un lavoratore full time ma c'è da dire che il trattamento economico è proporzionale in ragione della ridotta entità della prestazione, ciò significa che le ferie pagate e i trattamenti economici per malattie, indennità e maternità saranno calcolati in proporzione alle prestazioni lavorative.

Quindi il lavoratore part time ha diritto alla medesima retribuzione oraria del lavoratore full time anche se gli importi dei trattamenti economici singoli (malattie, infortunio e maternità) saranno di gran lunga inferiori perché il calcolo è proporzionale al numero di ore di lavoro.

Per i rapporti di lavoro a tempo parziale, bisogna parametrare i calcoli all’orario di lavoro. Se il contratto di riferimento prevede 40 ore settimanali (è il caso della maggioranza dei lavoratori del settore privato), il minimale orario (da moltiplicare per le ore del contratto part-time), è pari a 7,15 euro (47,68 euro, ovvero il minimo giornaliero, moltiplicato per sei giorni lavorativi e diviso per 40 ore). Se il contratto è di 36 ore (ipotesi che ricorre per i lavoratori iscritti alle gestioni previdenziali pubbliche), il minimale orario è di 6,62 euro (47,68 per cinque giorni lavorativi diviso 36).

Come calcolare lo stipendio di un contratto part time a 20, 24, 30 o 36 ore? La prima cosa da fare, è quella di fare una proporzione rispetto allo stipendio a tempo pieno, a partire dal lordo ed inoltre considerare l’eventuale più basso scaglione IRPEF che andrebbe a centrare il reddito.

Vediamo come fare.
Se sul contratto non è scritto lo stipendio lordo mensile, ma quello lordo annuale (RAL), occorre prima calcolare lo stipendio lordo mensile. Supponiamo che per il lavoro part time di 20 ore a settimana, si percepisca secondo il CCNL uno stipendio lordo annuale di 10.000 euro, diviso su 14 mensilità.

Per calcolare lo stipendio lordo mensile, si dovrà fare 10.000 / 14 = 714,28 euro (stipendio lordo mensile).

Su uno stipendio di 10.000 euro lorde annuali si applica un’aliquota IRPEF pari al 23%. Da 10.000 bisogna  togliere 2.300 euro e quindi rimangono 7.700 euro. Da questi si dovrà togliere un ulteriore 1000 euro di INPS e altri contributi, quindi si arriva a 6.600 euro. Tale importo si divide 6.600 euro per 14 (se il CCNL prevede 14 mensilità) si otterrà 470 euro netti al mese circa.

Con il part-time agevolato lavoratore potrà concordare col datore di lavoro il passaggio al part-time, con una riduzione dell'orario tra il 40 ed il 60%, e di ricevere mensilmente l'importo corrispondente ai contributi previdenziali e alla contribuzione figurativa. La misura si rivolge solo ai lavoratori del settore privato. I requisiti richiesti per l’accesso sono i seguenti:

contratto a tempo indeterminato;

lavoro a tempo pieno;

20 anni di contributi versati (requisito contributivo minimo per la pensione di vecchiaia);

requisito anagrafico maturato entro il 31 dicembre del 2018. nel caso in cui il lavoratore decida di ridurre il proprio orario di lavoro del 50%, grazie al meccanismo previsto all’interno del decreto, riceverà una retribuzione corrispondente a circa il 65% di ciò che percepiva in precedenza. Nel momento in cui andrà in pensione, riceverà il 100% dell’assegno previdenziale.


domenica 6 marzo 2016

Assunzioni nella pubblica amministrazione


In Gazzetta il decreto che autorizza assunzioni in vari ministeri e agenzie nazionali. Il Consiglio dei Ministri ha pubblicato, sulla Gazzetta Ufficiale n. 50 del 1° febbraio 2016, il D.P.C.M. 31 dicembre 2015 con il quale autorizza, in favore di varie Amministrazioni, a bandire procedure di reclutamento ai sensi dell’art. 35, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonché autorizza ad assumere a tempo indeterminato ai sensi dell’articolo 3, comma 102, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 e successive modificazioni ed integrazioni, nonché’ dell’articolo 3, commi 1 e 3, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge  11 agosto 2014 n. 114.

Si autorizza in favore di varie amministrazioni, a bandire procedure di reclutamento di personale a tempo indeterminato. In particolare, autorizza poco più di un centinaio di assunzioni nei ministeri ed enti sottoelencati:
Ministero della salute;
Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali;
Ente nazionale per l'aviazione civile;
Agenzia nazionale per la sicurezza del volo;
INAIL - Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro;
Ministero della difesa;
Ministero dell'ambiente;
Ministero dell' interno;
Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale.

Inoltre, le Amministrazioni che intendano  procedere  ad  assunzioni  per unità di  personale  appartenenti  a categorie  e  professionalità diverse rispetto a quelle autorizzate,  o intendano procedere all’indizione  di  concorsi  diversi  rispetto  a quelli  autorizzati,  possono  avanzare  richiesta  di  rimodulazione indirizzata alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per la funzione pubblica, Ufficio per il  personale  delle  pubbliche amministrazioni e al Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento  della  ragioneria generale dello Stato, IGOP, che valuteranno la richiesta nel rispetto della normativa vigente e delle risorse finanziarie autorizzate con il presente provvedimento.

Secondo quando previsto dall’art. 97, 3° comma, della Costituzione, “Agli impieghi nellepubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”. Il principio è stato più volte ribadito dalla Corte Costituzionale secondo cui “Il concorso pubblico–quale meccanismo imparziale di selezione tecnica e neutrale dei più capaci sulla base del criterio del merito – costituisce la forma generale e ordinaria di reclutamento per le pubbliche amministrazioni.

Esso è posto a presidio delle esigenze di imparzialità e di efficienza dell'azione amministrativa. Le eccezioni a tale regola consentite dall'art. 97 Cost., purché disposte con legge, debbono rispondere a «peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico» (sentenza n. 81 del 2006). Altrimenti la deroga si risolverebbe in un privilegio a favore di categorie più o meno ampie di persone (sentenza n. 205 del 2006). Perché sia assicurata la generalità della regola del concorso pubblico disposta dall'art. 97 Cost., l'area delle eccezioni va, pertanto, delimitata in modo rigoroso”.

Appare quindi necessario ricordare cosa s’intende per pubblica amministrazione. Un’elencazione esaustiva delle pubbliche amministrazioni nel nostro ordinamento è contenuta nell’art. 1, comma 2, del D.Lgs 30/03/2001 n. 165 recante “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”. Oltre a quelle tipizzate, la norma fa un generico riferimento a “tutti gli enti pubblici non economici”. L’individuazione di questi è riservata all’ordinamento positivo.

Quindi, per amministrazioni pubbliche si deve intendere tutte le amministrazioni dello Stato, compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN).

giovedì 18 febbraio 2016

Bonus assunzione per il 2016: disoccupati, pensionati e collaboratori


La legge di Stabilità 2016 ha prorogato gli sgravi contributivi in favore dei datori di lavoro che effettuano nuove assunzioni con contratto a tempo indeterminato dal 1° gennaio al 31 dicembre 2016.

L’agevolazione si estende anche ai rapporti a tempo indeterminato instaurati con scopo di somministrazione. Non può, invece, rientrare fra le tipologie incentivate il contratto di lavoro intermittente o a chiamata.

Il Ministero del Lavoro ha chiarito tutti i casi in cui spetta il bonus assunzione ovvero alle aziende che impiegano disoccupati, anche se pensionati e collaboratori trasformati in lavoratori subordinati, ad affermarlo è il Ministero.

Lo scopo del bonus è quello di gratificare le imprese che assumono con contratto a tempo determinato permettendo ai datori di lavoro di fruire di uno sgravio contributivo.

Visto che il fine del bonus è quello di creare lavoro per i disoccupati dalle assunzioni con il bonus non si escludono nè i pensionati nè i collaboratori le cui collaborazioni vengano trasformate in lavoro subordinato. La platea dei beneficiari viene infatti ampliata sulla base della finalità della normativa: incentivare il ricorso alle assunzioni a tempo indeterminato. Per questo motivo il Ministero conferma l’interpretazione per la quale sono esclusi dal bonus assunzioni solo quei soggetti esplicitamente tagliati fuori dalla legge.

Il bonus assunzioni prevede uno sgravio contributivo del 40% per gli assunti del 2016 per tutti i nuovi assunti con contratto a tempo indeterminato privi di un’occupazione stabile.

L’agevolazione spetta per tutti coloro che nei 6 mesi precedenti sono risultati privi di un’occupazione stabile (ovvero di un contratto a tempo indeterminato). I pensionati, che pur percependo un assegno pensionistico che garantisca loro una certa stabilità economica, non possono essere assimilati al lavoro a tempo indeterminato e proprio su questa casistica il Ministero si è espresso rispondendo all’interpello n 4 del 2016 affermando che “Si ritiene pertanto che, in assenza di una preclusione espressa da parte del Legislatore, l’ipotesi di assunzione a tempo indeterminato di lavoratori già percettori di trattamento pensionistico possa rientrare nel campo di applicazione della disposizione di cui all’art. 1, comma 118, L. n. 190/2014.”

Ricordiamo che il bonus assunzioni prevede uno sgravio sui contributi INPS relativi ai nuovi contratti a tempo indeterminato esonero 2016: 3.250 euro fino a 24 mesi. L’agevolazione spetta in caso di assunzione a tempo indeterminato di lavoratori privi di occupazione stabile (disoccupati), sia da parte di aziende che di altri enti o liberi professionisti, a patto che l’azienda sia in possesso del DURC regolare, non siano state commesse violazioni delle norme essenziali di lavoro e siano state rispettate quelle previste dai contratti collettivi.

L’agevolazione spetta per tutte le assunzioni di lavoratori che, nei 6 mesi precedenti, percepivano redditi non configurabili come occupazione stabile, intesa come rapporto a tempo indeterminato. In tale casistica non rientrano i pensionati che, pur avendo un assegno che garantisce loro una certa stabilità di reddito, non possono essere assimilati al rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Su questo punto il Ministero si è espresso nella riposta ad uno specifico interpello (Mlps. Int. n. 4/2016).

Il bonus spetta anche in caso di trasformazione del precedente rapporto in un contratto a tempo indeterminato.

I lavoratori per i quali non spetta il bonus assunzione sono quelli che, nei 6 mesi precedenti:
abbiano stipulato un contratto di apprendistato, in quanto configura comunque un contratto a tempo indeterminato, nonostante la possibilità di disdetta finale;
abbiano avuto un rapporto a tempo indeterminato, ma non abbiano superato il periodo di prova.

Sono esclusi dal bonus assunzione, infine, anche i lavoratori che, pur essendo non occupati nei 6 mesi precedenti, abbiano già fruito del bonus, anche in un’altra azienda.

lunedì 18 gennaio 2016

Come diventare giornalista professionista




Ricordiamo che il 18 dicembre 2013, il Consiglio Nazionale dell'ordine dei giornalisti ha approvato il nuovo testo del documento relativo all'accesso al professionismo da parte dei pubblicisti che, regolarmente, svolgono attività giornalistica.

C'è differenza tra giornalisti pubblicisti e professionisti. Mentre i primi svolgono attività・giornalistica anche se esercitano altri impieghi o professioni, i secondi invece si occupano in modo esclusivo e continuativo di attività・giornalistica. Non c'è quindi alcuna differenza di tipo qualitativo: è stata la stessa Suprema Corte, a escludere tassativamente una discriminazione qualitativa tra le due categorie.

È stato precisato che occorre essere iscritti all’elenco dei pubblicisti da almeno cinque anni (il termine finale per presentare la domanda è fissato per il 31 dicembre 2016, quindi bisognerà essersi iscritti all’albo dei giornalisti pubblicisti almeno 5 anni prima di questo termine) e aver esercitato in maniera sistematica e principale attività giornalistica per almeno 36 mesi (di cui 18 nell’ultimo triennio).
Passione e professionalità, amore per la scrittura e per l’informazione di qualità, curiosità e senso di responsabilità, spirito di iniziativa e desiderio di ricerca, puntualità e resilienza: se ti riconosci in questa breve descrizione, allora quella del giornalista professionista è la tua strada giusta.

Ma come si diventa, realmente, un giornalista professionista?

Cosa è necessario sapere per fare del giornalista la tua professione quotidiana?

Quella del giornalista ・da sempre una professione che affascina molti. Secondo l'articolo 1 della Legge 69/1963, il giornalista professionista ・colui che, esercita esclusivamente la professione di giornalista in maniera continuativa ed esclusiva. Questo significa che, a differenza del pubblicista, deve lavorare soltanto nell'ambito del giornalismo. Ma come si fa a diventare giornalista professionista? Andiamo a scoprirlo con questa guida.

Assicurati di avere a portata di mano:

Praticantato o scuola di giornalismo 18 mesi Superamento di due esami Un corso di giornalismo approvato dall'ordine nazionale dei giornalisti Desiderio di lavorare soltanto nel campo dell'informazione.

Per i giornalisti esiste un albo, a cui è necessario iscriversi per poter poi accedere al titolo. Ma non tutti sanno qual ・la procedura da seguire per potersi iscriversi. Infatti, per accedere all'albo dei giornalisti professionisti bisogna frequentare per due anni una scuola di giornalismo o fare un praticantato di 18 mesi presso una testata giornalistica, regolarmente registrata e riconosciuta. A differenza del praticantato del pubblicista, l'aspirante dovrà essere regolarmente assunto e con contratto anche se a tempo determinato e stipendio fisso.

Durante il periodo di praticantato, l'aspirante giornalista dovrà imparare a svolgere tutte le funzioni di redattore e dovr・recarsi al lavoro secondo gli orari e i giorni stabiliti dal direttore responsabile. ネ consigliabile seguire un corso di formazione, che insegni le basi del giornalismo. Tuttavia non basta un corso qualsiasi, ma ・importante scegliere il corso giusto, perché non tutti quelli che sono pubblicizzati, risultano poi essere autorizzati e validi. Per essere sicuri di fare la scelta corretta, bisognerebbe scegliere un corso consigliato dall'ordine nazionale dei giornalisti e prepararsi poi ad accedere e superare gli esami di idoneità・

Non tutti possono effettivamente iscriversi all’albo dei professionisti. E’ infatti necessario rispettare una serie di prerequisiti da seguire:
compimento del 21esimo anno di età;
l'esercizio continuativo della pratica giornalistica previa iscrizione nel registro dei praticanti per almeno 18 mesi, attestato da una dichiarazione di compiuta pratica del direttore, oppure titolo rilasciato da una delle scuole di giornalismo riconosciute in Italia che attesti il tirocinio dell誕llievo per la durata di due anni;
il possesso dei requisiti di legge (cittadinanza, assenza di precedenti penali, attestazione di versamento della tassa di concessione governativa);
l’esito favorevole della prova di idoneità professionale di cui all’art. 32 l. 69/1963, consistente in una prova scritta e orale di tecnica e pratica del giornalismo integrata dalla conoscenza delle norme giuridiche che hanno attinenza con la materia del giornalismo (cfr. artt. 44 e seguenti dpr 115/1965).
L’esame abilitativo, sia per quelli che escono dalle scuole che dalla praticantato classico, si compone di due prove:
A) una prova scritta, della durata di 8 ore, consistente:
nella  redazione della sintesi di un articolo  tra quelli proposti dalla commissione per un massimo di 1.800 battute.
nella  risposta a questionari su temi di attualità e di cultura politico-economico-sociale  concernenti l’esercizio della professione.
nella  redazione di un articolo  della lunghezza massima di 2.700 battute su un argomento di attualità scelto dal candidato tra quelli proposti dalla commissione (Interni, Esteri, Economia, Cronaca, Sport, Cultura, Spettacolo).
B) una  prova orale, consistente in   colloquio teso a valutare l’effettiva conoscenza, da parte del candidato, dei principi della deontologia giornalistica, delle norme giuridiche afferenti al giornalismo e delle tecniche e pratiche collegate all’esercizio della professione.

 
QUANTO COSTA

Ma quanto costa effettivamente sostenere l'ntero  percorso per diventare giornalista professionista? Vi anticipiamo che non ècosa da poco: tra tasse, corsi e bollo  si arriva a circa  1000 euro. E non abbiamo contato i costi di viaggio, alloggio a Roma per chi vien da fuori a sostenere l'esame di stato.

Corso Obbligatorio per accedere all’esame per chi non ha fatto una scuola di giornalismo o non ha potuto seguire il corso organizzato presso l’ordine regionale:  450 euro
Tassa d’esame:  400 euro
Posta certificata obbligatoria:  15,73  euro
Tassa d’ammissione:  100  euro
Costo della tessera:  16  euro– Marca da bollo: 16 euro
Chi prima non era già pubblicista deve aggiungere  168  euro come “tasse di concessioni governative”.

STIPENDIO

Secondo il contratto nazionale di lavoro giornalistico, un caporedattore dovrebbe avere uno stipendio minimo di 2.668,26, euro, un redattore con oltre 30 mesi di lavoro 2.122,84 euro, mentre uno con meno di 30 mesi 1.551,61 euro. Questo però quando il giornalista é assunto con un contratto CNL, quindi con contratto di lavoro dipendente. La pratica infatti dimostra che che i compensi variano di molto a seconda della collaborazione con la testata attraverso prestazioni occasionali, contratti a progetto, di collaborazione coordinata e continuativa, cessione di diritti d’autore.

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lunedì 4 gennaio 2016

Co.co.co. 2016, arrivano le Co.co.pe


Le Co.co.pe., rappresentano le nuove collaborazioni continuative personali, con la nuova disciplina dal 2016.

Dal 1° gennaio 2016 sarà dunque molto più difficile ricorrere alle collaborazioni coordinate e continuative (anche a progetto) dato che tali prestazioni hanno spesso, per loro natura, quel carattere di “personalità” e “ripetitività” che potrà facilmente portare alla conversione del rapporto, innanzi ad un giudice, in lavoro subordinato.

Il Jobs Act, nonostante abbia dato un colpo di spugna ai contratti a progetto, non ha cancellato del tutto le Co.co.co., cioè le collaborazioni coordinate e continuative. Difatti, dopo l’entrata in vigore del Decreto di Riordino dei Contratti, le vecchie Co.co.co. sono comunque valide, e, dal primo gennaio 2016, saranno affiancate da una nuova tipologia di contratto parasubordinato, le Co.co.pe.

La sigla Co.co.pe. sta per collaborazioni continuative e personali: saranno ricondotte in questa categoria tutte le collaborazioni che consistono in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e con modalità di esecuzione, comprese le tempistiche ed il luogo di lavoro, organizzate dal committente.

Pertanto, qualora si riscontrino tali elementi in un rapporto di lavoro parasubordinato, non sarà possibile qualificarlo come Co.co.co, ma come Co.co.pe.

Il Jobs Act specifica che la disciplina da applicarsi alle Co.co.pe. sarà quella relativa al lavoro subordinato, escluse le seguenti categorie:

– collaborazioni previste da contratti collettivi nazionali, a causa di esigenze produttive e organizzative particolari, previste dal settore di attività: gli accordi dovranno regolamentare gli aspetti economici e normativi relativi a tali collaborazioni;

– collaborazioni prestate da professionisti iscritti ad albi, qualora siano inerenti all’attività professionale per la quale è necessaria l’iscrizione (ciò vuol dire che, se un avvocato collabora con un committente in un’attività al di fuori delle proprie competenze professionali, il suo rapporto potrà essere comunque ricondotto al lavoro subordinato, anche se è iscritto all’albo);

– attività effettuate da sindaci, amministratori, altri componenti di organi di controllo delle società, e partecipanti a collegi e commissioni;

– collaborazioni rese a società ed associazioni sportive dilettantistiche (Asd); in questo caso, è richiesta l’affiliazione a una federazione sportiva nazionale, alle discipline sportive associate, o a un ente di promozione sportiva riconosciuto dal C.O.N.I.

Nei casi dubbi, per i quali non si ravvisa con sicurezza il carattere della personalità della prestazione, è possibile certificare l’inesistenza di tale caratteristica, presso un’apposita commissione di certificazione dei contratti. Tuttavia, pur in presenza della certificazione (sottoscritta da datore di lavoro e lavoratore), non ci si salverà dalla riconduzione del contratto al lavoro subordinato, qualora venga accertato che, nel concreto, l’attività sia svolta in maniera esclusivamente personale, continuativa, e con modalità, tempo e sede di lavoro decisi dal committente.

Quindi restano in piedi, nel 2016, le collaborazioni coordinate e continuative genuine, cioè quelle non etero-organizzate. Le altre fattispecie, dette Co.co.pe (collaborazioni coordinate personali), saranno ricondotte al lavoro subordinato: esisteranno alcune eccezioni, come esplicite previsioni da parte del contratto collettivo applicato, nonché i contratti precedenti al 25 giugno 2015. È possibile, mediante una conciliazione, effettuare una sanatoria del contratto che metta al riparo da sanzioni per l’errata qualificazione, convertendolo in lavoro subordinato a tempo indeterminato.

I contratti di lavoro con collaborazioni coordinate e continuative, Co.co.co., rappresentano una categoria intermedia fra il lavoro autonomo ed il lavoro dipendente e pertanto rientrano in una fascia detta parasubordinata. Essi lavorano infatti in piena autonomia operativa, ed è escluso ogni vincolo di subordinazione con il committente del lavoro. Sono pertanto funzionalmente inseriti nell’organizzazione aziendale e possono operare all’interno del ciclo produttivo del committente, al quale viene dato un potere di coordinamento dell’attività del lavoratore in funzione dei bisogni e della programmazione aziendale.

I contratti di collaborazione Coordinata e Continuativa (CoCoCo) e i contratti di collaborazione a progetto (CoCoPro) siano aboliti, dal 1 Gennaio 2016 e sia commutati il contratti di lavoro dipendente (nella maggioranza dei casi, presumibilmente, in contratti a tempo determinato) in tutti i casi in cui:
«la collaborazione consista, in concreto, in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative, di contenuto ripetitivo e con modalità di esecuzione organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi ed al luogo di lavoro»

In altri termini, stando al dettato della norma, dovranno essere abolite tutte quelle collaborazioni che si caratterizzano per:

una prestazione personale;

la ripetitività delle mansioni lavorative svolte;

l’obbligo di rispettare un determinato orario di lavoro;

l’obbligo di svolgere il lavoro in una specifica sede fisica;

l’organizzazione delle modalità di lavoro, da parte del datore di lavoro stesso.

Resteranno comunque valide le collaborazioni già attivate prima dell’entrata in vigore del provvedimento (anche se resta da comprendere la disciplina applicabile durante il periodo che va dall’entrata in vigore del decreto e il 1° gennaio 2016). Si prevede inoltre una sanatoria, a partire dal 1° gennaio 2016, per i datori di lavoro privati che stabilizzano: questi potranno infatti assumere con contratti di lavoro dipendente a tempo indeterminato, i soggetti già titolari (con i medesimi datori) di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (anche a progetto) o i soggetti titolari di partita IVA, con conseguente estinzione degli illeciti amministrativi, contributivi e fiscali, connessi all’erronea qualificazione del rapporto di lavoro pregresso, fatti salvi gli illeciti già accertati a seguito di accessi ispettivi effettuati in data precedente l’assunzione.

Una particolare deroga è concessa anche per le pubbliche amministrazioni. Le collaborazioni coordinate e continuative potranno continuare ad essere utilizzate nel settore pubblico, in attesa che arrivi in porto la riforma della pubblica amministrazione all’esame del Senato, sino al 31 dicembre 2016. Dal 1° gennaio 2017 saranno vietate, parimenti a quanto accade nel settore privato, quelle «continuative, di contenuto ripetitivo e con modalità organizzate dal committente».

lunedì 12 ottobre 2015

Incentivi assunzioni anche nel 2016


Esteso al 2016 lo sgravio contributivo per le imprese per le assunzioni a tempo indeterminato, ma con soglia annua dimezzata. L’attuale misura è uno sgravio del 100% per 36 mesi (tre anni) fino a un massimo di 8.060 euro. Significa che la decontribuzione è totale con uno stipendio fino a 26mila euro.

La decontribuzione introdotta assieme al contratto a tutele crescenti con il Jobs Act, nel 2015 sta funzionando bene: quasi 787mila assunzioni nei primi sette mesi, oltre le stime dello stesso Governo. La misura potrebbe essere dunque rifinanziata per far fronte a tutte le richieste in corso.

In vista, come detto potrebbe esserci un’analoga misura anche per il 2016, ma con un tetto annuo più basso, intorno ai 4mila euro, In pratica, lo sgravio sarebbe totale per stipendio molto più bassi, mentre e scenderebbe poi con l’alzarsi del salario. Non si escludono altre tipologie di rimodulazione, che tengano comunque conto delle risorse finanziarie, come detto più basse dell’anno scorso. In compenso ritorneranno con novità gli incentivi per la contrattazione di secondo livello legata agli incrementi di produttività. Quindi, mentre chi assume entro il 2015 beneficia di una riduzione dei contributi fino a 8.060 euro per tre anni, dall'anno prossimo il taglio sarà al massimo di 4000 euro e durare 2 anni invece di 3 e si esaurirà nel 2017.

Nel medio termine, invece, il contratto a tempo indeterminato dovrebbe essere strutturalmente meno oneroso per le aziende, con una riduzione di 4-5 punti percentuali del cuneo contributivo.
Significherebbe portare il peso dei contributi dall'attuale 33% al 27-28 per cento.

Novità per la parte di retribuzione legata alla produttività. Nel recente passato è stata prevista una decontribuzione (modificata nel tempo) per le somme erogate a fronte di prestazioni che aumentavano la produttività in azienda (straordinari, nuova turnazione ecc.) nell'ambito di un contratto aziendale di secondo livello. Finora l'incentivo era costituito da una riduzione dei contributi, ma questa soluzione comportava tempi lunghi per l'incasso, che nei migliori dei casi erano di un anno e mezzo.

Per il 2016 l'incentivo dovrebbe essere fiscale, cioè una defiscalizzazione immediata in busta paga per il dipendente un po’ come successo per il bonus mensile da 80 euro per i redditi più bassi introdotto quest'anno. In compenso, però, arriveranno requisiti più stringenti per accedere all'agevolazione rispetto al passato, quando in molti casi la normativa era stata applicata a maglie larghe ed era sufficiente avere un contratto di secondo livello, magari non troppo collegato alla produttività, per ottenere la decontribuzione.

Attualmente lo sgravio prevede un esonero contributivo per il datore di lavoro del 100% per 36 mesi, con un tetto massimo di 8060 euro annui per ogni lavoratore. Questo significa che per stipendi fino a 26 mila euro lordi l’anno lo sgravio è sul totale dei contributi. Verrebbe esteso al prossimo anno, ma con un tetto massimo per ogni lavoratore pari a 4mila euro annui, la metà rispetto ad ora.

Lo sgravio totale dei contributi, in questo modo, ci sarebbe soltanto su stipendi molto bassi, e la percentuale di decontribuzione scenderebbe con l’aumentare del salario corrisposto.

L’agevolazione va richiesta dal datore di lavoro tramite il cassetto previdenziale Inps; una volta concessa, l’azienda conguaglierà l’incentivo in sede di versamento dei contributi, compensandolo con la contribuzione dovuta.


martedì 14 luglio 2015

Facile.it ricerca di personale



Facile.it è il sito di comparazione più importante d’Italia, nato nel 2011 dopo il successo dei siti di comparazione Assicurazione.it, Mutui.it e Prestiti.it. Facile.it confronta le migliori offerte di Assicurazioni, Mutui, Prestiti, Conti Correnti e Deposito, ADSL, Pay TV, Gas e Luce. Sono 1,5 milioni gli italiani che ogni mese scelgono di risparmiare su spese di casa e finanza personale.

Ecco le posizioni aperte da Facile.it nello specifico le posizioni aperte riguardano:

Sviluppatore PHP senior

Sviluppatore PHP junior

Web Designer

Sviluppatore Mobile

Web Marketing assistant

Web Content Specialist junior

SEM Specialist

SEO Specialist

Account Manager

Consulenti Telefonici

Il candidato ricercato di occuperà di:

Gestire le chiamate in ingresso dei potenziali clienti;

Effettuare chiamate in uscita agli utenti che hanno già calcolato online un preventivo per la polizza auto e moto;

Fornire informazioni sui prodotti, comprendendo le esigenze del cliente;

Completare il processo di vendita o rinnovo della polizza auto o moto.

Ecco i requisiti richiesti:

6 mesi di esperienza lavorativa in un contact center outbound o nella vendita di prodotti assicurativi o finanziari, anche su reti fisiche

Diploma o laurea, da massimo 1 anno (specificare la votazione conseguita)

Residenza nella provincia di Milano

Età massima 28 anni

Completano il profilo una spiccata attitudine commerciale, un`ottima capacità relazionale e comunicativa e l`attitudine a lavorare in team e per obbiettivi.

Facile.it offre un contratto a tempo determinato di 6 mesi, finalizzato all'assunzione. Si offre contratto CCNL commercio V livello con bonus, buoni pasto e benefit sul luogo di lavoro.

Facile.it ricerca un neolaureato/a da inserire all’interno di diverse Business Unit in qualità di Junior Business Analyst, con diretto riporto ai Direttori della Funzione. Il candidato selezionato si occuperà, in affiancamento al Responsabile, delle seguenti attività:

Analisi delle principali dinamiche e metriche di mercato;

Analisi dei KPI (economici e di processo) della struttura;

Analisi e definizione delle opportunità di miglioramento / crescita della struttura;

Collaborazione con team IT per l’implementazione delle opportunità di miglioramento / crescita identificate;

Supporto alle attività commerciali e di marketing (on-line e TV)

Requisiti richiesti:

Laurea Specialistica in Ingegneria, Economia o scientifica con una votazione non inferiore a 108/110 o equivalente (meglio se con Lode);

Ottime capacità analitiche;
Preferibili esperienze di studio e/o lavoro all'estero.

Addetti al Telemarketing

I candidati selezionati dovranno occuparsi della ricerca attiva di clienti, nello specifico di medici specialisti, della negoziazione e chiusura di accordi commerciali. La modalità della ricerca prevede la ricerca di contatti, un contatto telefonico con il cliente volto a concludere la trattativa direttamente telefonicamente.

Requisiti minimi richiesti:

Una spiccata attitudine commerciale e propensione alla vendita telefonica;

Spirito di squadra e rapida comprensione delle logiche competitive del mercato;

Un forte spirito di iniziativa per scoprire nuove opportunità commerciali e trasformarle in vendite;

Uno spiccato orientamento al raggiungimento degli obiettivi di vendita e la capacità di mantenere dei ritmi sostenuti di lavoro;

6 mesi di esperienza lavorativa nella vendita telefonica, preferibilmente outbound

Età massima 29 anni.

Programmatore PHP
Facile.it ricerca programmatori PHP con le seguenti competenze:

Dimestichezza con programmazione ad oggetti

Conoscenza del linguaggio Php5

Conoscenza linguaggio SQL (in particolare MySql)

Conoscenza del framework Javascript Jquery

Conoscenza approfondita ambiente LAMP

Capacità di gestire cospicui flussi di dati (XML, JSON, webservices, etc)

Conoscenza lingua inglese

Conoscenza principali design pattern

Conoscenza metodologie sviluppo Agile

Abilità con le espressioni regolari

E’ richiesta una certa familiarità con:

Conoscenza framework PHP (es: Symfony / Zend)

Doti sistemistiche ambiente Linux

Abitudine all’utilizzo di sistemi di “versionamento” del codice (es: GIT)

La tipologia di contratto sarà stabilita in base all'esperienza del candidato selezionato.

Come candidarsi
E’ possibile inviare la propria candidatura online tramite la pagina “lavora con noi” del portale Facile.it dove è possibile visualizzare le singole offerte di lavoro ed allegare il proprio curriculum vitae.

Infine, l’azienda ricerca un brillante neolaureato da inserire all'interno di diverse Business Unit in qualità di Junior Business Analyst, tramite un contratto di stage. Il candidato ideale deve essere in possesso di una Laurea Specialistica in Ingegneria, Economia o scientifica.

Per ulteriori informazioni: http://jobs.facile.it




lunedì 29 giugno 2015

Jobs Act: novità e nuove regole per il contratto a tempo parziale



Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto legislativo n. 81 del 15 giugno 2015, cambiano le regole per i contratti di lavoro a tempo parziale.

La riforma ha introdotto un limite allo svolgimento del lavoro supplementare nonché la possibilità per le parti di concordare clausole flessibili ed elastiche nel caso di mancata previsione di una disciplina da parte del contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro. E’ stato poi introdotto il diritto o la preferenza nella trasformazione dal full-time in part-time in ipotesi di patologie che toccano il lavoratore o i familiari e la possibilità di chiedere tale trasformazione in luogo del congedo parentale.

Il Decreto di riordino delle tipologie contrattuali modifica in parte la normativa sul contratto di lavoro a tempo parziale, anche se ripropone sostanzialmente l’attuale disciplina del confermando il ruolo della contrattazione collettiva e prevedendo alcune nuove clausole elastiche (che consentono al datore di lavoro di variare la collocazione temporale della prestazione lavorativa) e flessibili (che consentono al datore di lavoro di variare in aumento la durata della prestazione lavorativa).

Il decreto legislativo ha lasciato invariata la previsione delle diverse tipologie di part-time:

a) Rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale: se la riduzione dell'orario di lavoro rispetto al tempo pieno è prevista in relazione all'orario normale giornaliero di lavoro;

b) Rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale: se l'attività lavorativa è svolta a tempo pieno, ma limitatamente a periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell'anno;

c) Rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo misto: se si svolge secondo una combinazione delle regole del part-time orizzontale con quello verticale.

Il contratto di lavoro a tempo parziale è stipulato in forma scritta ai fini della prova. Nel contratto di lavoro a tempo parziale è contenuta puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell'orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno.

Dunque il contratto a tempo parziale può prevedere tanto una riduzione dell’orario di lavoro nella giornata lavorativa o lo svolgimento di un orario di lavoro a tempo pieno ma limitatamente ad alcuni giorni della settimana, del mese o dell’anno.

Il datore di lavoro può richiedere lo svolgimento di prestazioni di lavoro supplementare, oltre l’orario di lavoro concordato fra le parti, purché entro il limite del tempo pieno (orario normale di lavoro, o eventuale minor orario normale fissato dai contratti collettivi applicati) e non superiore al 25% delle ore di lavoro settimanali concordate. La nuova disciplina è intervenuta a regolare l’ipotesi di mancata previsione della disciplina del lavoro supplementare da parte dei contratti collettivi. Nel caso in cui il contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro non contenga una specifica disciplina del lavoro supplementare, nei rapporti di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale il datore di lavoro può richiedere al lavoratore lo svolgimento di prestazioni di lavoro supplementare in misura non superiore al 15 per cento delle ore di lavoro settimanali concordate. In tale ipotesi il lavoro supplementare è retribuito con una percentuale di maggiorazione sull'importo della retribuzione oraria globale di fatto pari al 15 per cento, comprensiva dell'incidenza della retribuzione delle ore supplementari sugli istituti retributivi indiretti e differiti.

Il lavoratore può rifiutare lo svolgimento del lavoro supplementare ove giustificato da comprovate esigenze lavorative, di salute, familiari o di formazione professionale.

Si precisa che il lavoratore a tempo parziale ha i medesimi diritti di un lavoratore a tempo pieno, il decreto stabilisce che egli non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno di pari inquadramento e che il suo trattamento economico e normativo è riproporzionato in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa.

Interessante la novità che prevede la possibilità per la lavoratrice madre o il lavoratore padre di chiedere la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale al posto del congedo parentale ancora spettante, purché lo faccia una sola volta e con una riduzione d’orario non superiore al 50%. Il datore di lavoro è tenuto a dar corso alla trasformazione entro quindici giorni dalla richiesta.

Le clausole flessibili sono quelle che consentono al datore di variare la collocazione temporale della prestazione lavorativa; le clausole elastiche, invece, consentono un aumento della durata della prestazione lavorativa.

I contratti collettivi possono determinare le condizioni e le modalità per l'esercizio del potere di variazione della collocazione temporale della prestazione rispetto a quella concordata inizialmente con il lavoratore, introducendo una clausola di tipo flessibile o di tipo elastico.

La contrattazione collettiva stabilisce:
- le condizioni e le modalità in relazione alle quali il datore di lavoro può modificare la collocazione temporale della prestazione lavorativa;

- le condizioni e le modalità in relazioni alle quali il datore di lavoro può variare in aumento la durata della prestazione lavorativa;

- i limiti massimi di variabilità in aumento della durata della prestazione lavorativa.

Altro intervento della nuova disciplina riguarda l’attribuzione del diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale verticale od orizzontale a soggetti che si trovano in delicate condizioni di salute.

Tale diritto spetta:

1) Ai lavoratori del settore pubblico e del settore privato affetti da patologie oncologiche nonché da gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti, per le quali residui una ridotta capacità lavorativa, eventualmente anche a causa degli effetti invalidanti di terapie salvavita, accertata da una commissione medica istituita presso l'azienda sanitaria locale territorialmente competente. A richiesta del lavoratore il rapporto di lavoro a tempo parziale è trasformato nuovamente in rapporto di lavoro a tempo pieno.

E’ poi riconosciuta la priorità nella trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale:

1) In caso di patologie oncologiche o gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti riguardanti il coniuge, i figli o i genitori del lavoratore o della lavoratrice, nonché nel caso in cui il lavoratore o la lavoratrice assista una persona convivente con totale e permanente inabilità lavorativa, alla quale è stata riconosciuta una percentuale d’invalidità̀ pari al 100 per cento, con necessità di assistenza continua in quanto non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita.

2) Nel caso di richiesta del lavoratore o della lavoratrice, con figlio convivente di età non superiore a tredici anni o con figlio convivente portatore di handicap.



sabato 14 marzo 2015

Contratto di lavoro a tutele crescenti: mutui a rischio



Il contratto a tutele crescenti è legge dello stato: dal 1° marzo regolerà le nuove assunzioni a tempo indeterminato. Porterà davvero a un miglioramento del mercato del lavoro? Dipende dalla sua capacità di ridurre la precarietà.

Pensiamo a cosa succederà quando il beneficio fiscale verrà meno. Non si tratta di un’ipotesi ca perché il rischio che il bonus fiscale non sia sostenibile per le finanze pubbliche è molto concreto. In Italia è ora possibile assumere a termine senza causa scritta e rinnovare per cinque volte il contratto nell’arco di tre anni. Nulla vieterà a un’impresa di offrire il nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti soltanto dopo tre anni di contratto a termine. Tenendo conto che nei primi due anni l’indennizzo è decisamente modesto, in queste condizioni si rischia di rendere precario un nuovo assunto per almeno cinque anni. Ciò significa che una volta esaurito il beneficio fiscale, la precarietà potrebbe anche aumentare. Una situazione paradossale.

L'ABI rassicura, più mutui grazie al Jobs Act, ma da un'inchiesta su dieci banche solo una concede il prestito a fronte di contratto indeterminato a tutele crescenti: dati e riflessioni.

Il problema si è posto da subito: il nuovo contratto indeterminato a tutele crescenti previsto dal Jobs Act, che prevede meno garanzie contro il licenziamento rispetto al vecchio tempo indeterminato, avrà conseguenze sensibili sulla possibilità di ottenere mutui per acquistare la casa? Una risposta certa al momento non si può dare, visto che il nuovo indeterminato a tutele crescenti è in vigore dal 7 marzo  2015 e non ci sono dati su come si comporteranno le banche.

Ci sono, in compenso, due elementi contrastanti su cui riflettere: da una parte una dichiarazione del presidente dell’ABI, Giorgio Patuelli, del tutto confortante sul fatto che le banche vedranno di buon occhio il nuovo contratto indeterminato a tutele crescenti per la concessione dei mutui. Anzi, per Patuelli, i mutui sono destinati ad aumentare nel caso in cui lo strumento alimenti nuove assunzioni, spingendo quindi un maggior numero di lavoratori ad acquistare la casa e a chiedere mutui. Dall’altra, ci sono dubbi sollevati da più parti sul fatto che il nuovo contratto presenta meno garanzie rispetto al vecchio e anche una specifica inchiesta di Repubblica che mette in luce una serie di criticità.

Partiamo dalle dichiarazioni di Patuelli:

«Guardiamo con una disposizione favorevole al nuovo contratto, ci attendiamo un aumento di assunzioni a tempo indeterminato, destinato ad assorbire alcune forme contrattuali precarie. Sono convinto che i neoassunti con il contratto a tutele crescenti saranno bene visti dalle banche, che sono pronte ad accogliere positivamente la richiesta di prestiti e mutui avanzata da lavoratori stabilizzati».

«Per le banche la questione sostanziale è rappresentata dalla tipologia di contratto che è a tempo indeterminato – aggiunge Patuelli -. Il fatto che le tutele dal licenziamento si esplichino in modo differente rispetto al passato è ininfluente, perché al posto della reintegrazione è previsto per il lavoratore licenziato il pagamento di un indennizzo crescente fino a 24 mensilità che rappresenta una garanzia. Ovviamente il merito di credito sarà visto da ciascuna banca con una predisposizione positiva, ma guardando alla situazione specifica, ovvero all’importo richiesto, al reddito mensile, al valore dell’immobile, come si è sempre fatto per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato».

Come si vede, toni rassicuranti da parte del presidente dell’ABI, che però non sembrano confortati, almeno per il momento, dai fatti.

Due giornalisti di Repubblica, Matteo Pucciarelli e Silvia Valenti, hanno svolto una specifica inchiesta, presentandosi in una decina di banche fingendosi una coppia che chiedeva un mutuo per una casa a Milano da 200 milioni di euro, 70mila come anticipo. Il mutuo serviva a coprire il 65% dell’acquisto, dunque, (in genere, il massimo è l’80%). La somma richiesta: 130mila euro. Si presentavano come una giovane coppia di trentenni con due contratti di assunzione a tempo indeterminato, uno a tutele crescenti, per un importo di 1600 euro al mese, l’altro con il vecchio tempo indeterminato, con stipendio di 1200 euro al mese. Ebbene, una sola banca ha dichiarato disponibilità a concedere il mutuo, mentre tre hanno dato risposta negativa, quattro hanno preso tempo, due non hanno risposto.

Va fatta una precisazione importante: il problema fondamentale emerso dall’inchiesta non è l’indisponibilità a concedere un mutuo, ma la scarsa conoscenza da parte delle banche del nuovo contratto a tutele crescenti. Si tratta di un nuovo strumento sul quale ancora non c’è una preparazione adeguata da parte degli operatori e dei consulenti a cui ci si rivolge per ottenere i mutui.

Nella maggior parte dei casi le banche hanno chiesto tempo, per acquisire ad esempio documentazione storica sulle busta paga dell’assunto a tutele crescenti (che, nella coppia in questione, rappresentava lo stipendio più alto), nel senso che si rimandava la decisione di qualche mese, alcuni hanno chiesto almeno sei buste paga pregresse. Non sono mancati casi in cui di fatto l’orientamento iniziale è stato quello di considerare il contratto a tutele crescenti in modo simile a un contratto parasubordinato (caso in cui, spesso, si chiedono ulteriori garanzie).

L’unica banca che ha detto sì senza fare una piega è Deutsche Bank (fra le poche banche straniere interpellate nell’inchiesta, la maggioranza nel panel è stato rappresentato da istituti di credito italiani). L’impiegato a cui la giovane coppia si è rivolta ha risposto, semplicemente: «se non lo diamo a voi, il mutuo, a chi dobbiamo darlo?».

E’ difficile non pensare che se non si fanno mutui a giovani coppie con due contratti a tempo indeterminato, quale che sia la protezione prevista in materia di articolo 18 e reintegro, sembra difficile che il mercato dei mutui possa riprendersi come tutti auspicano.

Che effetti dovremmo quindi aspettarci dal nuovo contratto? Rendendo più facili le interruzioni di lavoro, implicherà ovviamente un aumento dei licenziamenti. Al tempo stesso, renderà anche più facile assumere nuovi lavoratori. Il saldo netto è però ambiguo, come da sempre evidenziato dagli studi empirici in materia.

Il vero obiettivo del contratto a tutele crescenti non va ricercato tanto nella riduzione della disoccupazione, quanto piuttosto nella riduzione della precarietà. Questo significa che la riforma avrà avuto successo se la quota di assunzioni a termine si ridurrà. Come dovrebbe ridursi anche la quota di assunzioni sotto altre forme instabili (in particolare contratti a progetto e false partite Iva).



mercoledì 11 marzo 2015

Jobs act: il contratto a tempo indeterminato



Per contratto di lavoro a tempo indeterminato si deve intendere un accordo fra le parti nel quale un soggetto, il lavoratore, si impegna dietro versamento di una retribuzione e senza vincolo di durata alcuno, a prestare la propria attività lavorativa accettando il potere direttivo, organizzativo e disciplinare di un altro soggetto, il datore di lavoro. Il contratto di lavoro subordinato va inteso quindi a tempo indeterminato, concetto questo già chiaramente espresso dal legislatore già nel 1962 e più recentemente ribadito nel 2007 dopo che la riforma del lavoro con la quale poteva sembrare che il contratto di lavoro subordinato andasse inteso a tempo determinato. In questa sezione del sito trovi tutte le novità in materia, gli approfondimenti e gli incentivi alle imprese che assumono.

Pubblicato in Gazzetta Ufficiale (GU Serie Generale n.54 del 6-3-2015) il Decreto Legislativo attuativo del Jobs Act che dà il via al nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, entrato ufficialmente in vigore dal 7 marzo 2015. Questo significa che la nuova normativa si applica a tutti i contratti stipulati dal 7 marzo 2015 in poi.

Per gli assunti a tempo indeterminato con qualifica di operaio, impiegato e quadro, la disciplina delle tutele crescenti sostituirà il vecchio articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Le nuove regole sanzionatorie in caso di licenziamento nullo, illegittimo o inefficace contenute nel decreto legislativo 23/2015 si applicano in primis agli assunti dalle aziende grandi, cioè quelle con più di 15 dipendenti nelle unità produttiva site nello stesso comune, o più di 60 a livello complessivo.

Il nuovo regime si applica altresì ai nuovi assunti dalle cosiddette organizzazioni di tendenza, cioè da quei datori di lavoro che svolgono attività senza fine di lucro, nonché, limitatamente all'ipotesi dell'ingiustificato licenziamento per motivo oggettivo, e in forma dimezzata, ai nuovi lavoratori delle piccole aziende.

Con le assunzioni effettuate da oggi i datori di lavoro potranno cumulare le due agevolazioni previste dalla legge delega 183/2014, e cioè l'applicazione del regime delle tutele crescenti, nonché l'esonero contributivo introdotto dalla legge di Stabilità 2015 (massimo 8.060 euro all'anno per tre anni). I due interventi dovrebbero infatti rimuovere i limiti legati al contratto a tempo indeterminato, quale contratto economicamente oneroso e dal quale il datore è impossibilitato a recedere, limiti che avevano di fatto costretto le aziende a scegliere forme contrattuali alternative.

Grazie all'importante sconto contributivo, non riconosciuto soltanto per i dipendenti già titolari di un contratto a tempo indeterminato nei 6 mesi antecedenti, il contratto a tempo indeterminato è diventato quello meno oneroso, sia se confrontato ai contratti a termine (soggetti altresì al contributo addizionale dell'1,4%, salvo specifiche deroghe), sia se paragonato alle co.co.co che sopravviveranno dopo l'abrogazione delle collaborazioni a progetto.

Con l'introduzione delle tutele crescenti, il contratto a tempo indeterminato non sarà più vissuto dall'imprenditore come una mancanza di libertà economica, in quanto il nuovo apparato sanzionatorio limita le ipotesi di reintegra a casi gravemente illegittimi (licenziamento nullo o licenziamento disciplinare in presenza di fatto materiale insussistente), e individua gli specifici rischi economici a cui il datore di lavoro si espone in caso di licenziamento ingiustificato (massimo 24 mensilità ridotte a 18, se il lavoratore accetta la nuova proposta di conciliazione).

Senza contare il fatto che rimane l'unico contratto che non origina contenziosi connessi al suo inquadramento, a differenza di quanto succede per i contratti di lavoro autonomo.

Secondo uno studio della UIL il rischio sarebbe legato alla combinazione tra lo sconto sui contributi a carico delle imprese per i primi tre anni di assunzione e l’abolizione dell’articolo 18. Gli indennizzi previsti dal contratto a tutele crescenti sarebbero infatti di molto inferiori agli sgravi fiscali previsti dalla Legge di Stabilità per chi assume. Se questo da una parte incentiverà l’occupazione dall’altra lascerà le aziende libere di licenziare, anche senza giusta causa, dopo tre anni. Nel caso in cui il datore di lavoro assumesse un lavoratore nel 2015 e lo licenziasse a fine anno il saldo risulterebbe positivo di circa 4.390 euro medi. Licenziandolo invece dopo 3 anni il saldo positivo salirebbe a 13.190 euro. Questo considerando uno stipendio medio di 22 mila euro lordi/anno (1.692 euro lordi/mese), con uno sgravio contributivo a favore dell’azienda di circa 6.390 euro. In generale gli ipotetici benefici per i datori di lavoro potrebbero variare dai 763 euro ai 5 mila euro se si licenzia entro il primo anno, mentre se si licenzia alla fine dei 3 anni i benefici variano dai 12 ai 15 mila euro.




lunedì 9 marzo 2015

Lavoro: dipendente chi lavora fuori dalla sede principale


Il concetto di trasferta distinto dal distacco e dal trasferimento.

La trasferta presuppone che al lavoratore venga temporaneamente richiesto di prestare la propria opera in un luogo diverso da quello in cui deve abitualmente eseguirla ( si tratta della sede indicata nel contratto di lavoro quale luogo normale di svolgimento dell’attività lavorativa) anche all'estero. A tale richiesta alla quale il lavoratore in genere è tenuto a adeguarsi.

Ai fini del configurarsi della trasferta del lavoratore, è necessaria la permanenza di un legame del prestatore con l'originario luogo di lavoro. Sono invece irrilevanti la protrazione dello spostamento per un luogo periodo di tempo e anche l'eventuale la coincidenza del luogo della trasferta con quello di un successivo trasferimento, anche se disposto senza soluzione di continuità al termine della trasferta medesima.

 L’inizio della trasferta deve essere comunicata preventivamente all’Inail. La giurisprudenza prevalente indica che si debba parlare di trasferimento e non di trasferta quando il provvedimento di trasferimento momentaneo del lavoratore/ collaboratore/amministratore non indichi la data di rientro ovvero di termine della trasferta.

 Non esiste una vera e propria disciplina legale della trasferta, per cui si occupano di questa materia:

i contratti collettivi nazionali di lavoro , regolandone, in particolare, i risvolti di carattere economico,

e la giurisprudenza per i profili di diritto.

La disciplina collettiva attribuisce al lavoratore una indennità che in alcuni casi ha natura retributiva, in altri risarcitoria (o di rimborso spese), o, infine, natura “mista”. La differenza tra la natura retributiva o risarcitoria dell’indennità di trasferta non è di poco conto, dal momento che la legge - art. 51, c. 5 e 6 del D.P.R. n. 917/86 - prevede un diverso trattamento fiscale e contributivo da applicare alle somme corrisposte ai lavoratori inviati in trasferta, a seconda che si tratti di compensi o rimborsi spese.

 Altra categoria sono i Trasfertisti che si differenziano dai lavoratori inviati in trasferta a seguito di una singola e contingente decisione del datore di lavoro . I trasfertisti sono i lavoratori la cui prestazione è, per sua natura, itinerante, e per i quali si può dire che non vi sia neppure un normale luogo di lavoro, intendendosi come tale un luogo in cui di norma si svolge la prestazione. La distinzione è fondamentale, dal momento che per questi ultimi la contrattazione collettiva prevede di solito la corresponsione di uno speciale emolumento, che ha la funzione di “rappresentare il corrispondente aspetto strutturale della retribuzione, in quanto diretto a compensare il particolare disagio e la gravosità connessi alla prestazione”, e che, pertanto, “ha natura retributiva”.

In assenza di normativa contrattuale la giurisprudenza decide in materia di licenziamento per rifiuto del lavoratore alla trasferta.

Si; sul diritto del lavoratore di rifiutare una trasferta, secondo la giurisprudenza prevalente, in assenza di una normativa specifica , il potere del datore di lavoro di inviare il lavoratore in trasferta “prescinde dall’espressa disponibilità da parte del lavoratore, e dal fatto che, nel luogo di assegnazione, il lavoratore svolga mansioni identiche a quelle espletate presso l’abituale sede di lavoro”.

Inoltre, va ricordato che la giurisprudenza considera il rifiuto della trasferta come un atto di insubordinazione del lavoratore, cui può conseguire il licenziamento: si segnala, sul punto, quanto affermato da una pronuncia della Pretura di Milano (Pret. Milano 30 marzo 1999; analogamente in Trib. Milano 26 marzo 1994), che ha ritenuto “legittimo il licenziamento del lavoratore che rifiuti la disposizione aziendale di recarsi in trasferta per un periodo di 4 mesi; tali legittimità, peraltro, esige – non potendo essere applicabile alla trasferta la norma di cui all’art. 2103 c.c. – una verifica della fondatezza delle esigenze che sono alla base di una decisione aziendale che ha immediati effetti anche sulla vita di relazione del lavoratore”.

E’, dunque, dannoso che un lavoratore, in assenza di una sentenza del giudice che ne accerti la illegittimità, rifiuti di dare esecuzione al provvedimento di trasferta.

La trasferta è uno spostamento temporaneo del lavoratore in una località diversa da quella contrattuale, per esigenze aziendali transitorie e contingenti: il contratto non subisce modifiche, ed al lavoratore possono essere riconosciute indennità e rimborso spese. Dal punto di vista fiscale, è regolamentata dall’art. 51, co. 5, D.P.R. 917/1986 (Tuir):

l’indennità forfettaria non fa reddito imponibile fino a 46,48 euro giornalieri se la trasferta è entro il territorio nazionale e fino a 77,47 euro se all’estero, al netto delle spese di viaggio e trasporto;

il rimborso spese analitico per vitto, alloggio, viaggio, trasporto, ecc. non concorre a formare reddito fino a 15,49 euro giornalieri su territorio nazionale e 25,82 euro all’estero;
il rimborso misto (analitico delle spese + indennità di trasferta) prevede la riduzione di 1/3 per

l’indennità forfettaria in caso di rimborso spese di alloggio o vitto e di 2/3 in caso di rimborso spese di entrambe le voci.

Distacco con residenza in Italia
Il lavoratore sarà soggetto alla tassazione italiana. La base imponibile è determinata dall'indennità di trasferimento, prima sistemazione ed equipollenti e dagli assegni di sede e di altre indennità percepite per servizi prestati all'estero.

Le prime voci elencate godono, per il primo anno, di un regime speciale in occasione del trasferimento dalla sede di lavoro e non concorrono alla formazione del reddito imponibile per il 50% fino a 1.549,37 euro per i trasferimenti in Italia e 4.648,11 euro per quelli da o verso l’estero. Se il dipendente ottiene altre indennità per servizi svolti all'estero e percepiti per compensare il disagio del dipendente, può accedere a un regime agevolato secondo cui l’indennità concorre alla formazione della base imponibile per il 50% dell’ammontare.

Se la permanenza all’estero supera 183 giorni in 12 mesi con requisiti di continuità ed esclusività, la retribuzione del lavoratore è definita a partire dalle retribuzioni convenzionali indicate ogni anno da un decreto interministeriale del ministero del Lavoro a dell’Economia.

Distacco con residenza fuori Italia
I redditi prodotti fuori dall’Italia non concorrono a costituire la base imponibile. Dal punto di vista previdenziale, i contributi vanno pagati differentemente se il Paese estero ha o meno un accordo con l’Italia circa la sicurezza sociale. In caso affermativo la base imponibile previdenziale si calcola seguendo i co. da 1 a 8, art. 15, Tuir, in caso negativo si calcolano in base alle retribuzioni convenzionali, come previsto dalla L. 398/1987.



martedì 3 marzo 2015

Dubbi di costituzionalità sul contratto di lavoro a tutele crescenti



Con la legge delega sul lavoro n. 183/2014 viene introdotto il contratto a tempo indeterminato  a tutele crescenti per i lavoratori assunti dopo l'entrata in vigore. Comunque si contesta  appunto la creazione del  dualismo di categorie di lavoratori, quelli che soggiacciono alla nuova disciplina e coloro ai quali continuerà ad applicarsi la vecchia formulazione dell'articolo 18. Un altro problema nasce dal fatto che il decreto attuativo in materia di contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti  si applica anche  nei casi di “conversione” - successiva all'entrata in vigore del decreto - di contratti a tempo determinato o di apprendistato a tempo indeterminato ma non è chiaro che  se ciò valga anche per i lavoratori reintegrati in azienda all'esito di un procedimento giudiziale.

Jobs Act e il nuovo contratto a tutele crescenti: quali novità concrete introduce, a chi si applica, cosa comporta per lavoratori e aziende?

Il nuovo contratto a tutele crescenti è il presupposto che il contratto a tempo indeterminato, pur cambiando nome, rimane pressoché invariato rispetto al passato, cambiano sono le tutele rispetto al licenziamento del lavoratore, ovvero le tutele reali ed obbligatorie, che fino ad ora erano garantite per la generalità dei lavoratori dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori L. 300/1970 e dalla L. 604/1966.

Vediamo a chi si applica:
tutti i lavoratori assunti con contratti a tempo indeterminato stipulati a partire dal 1° marzo 2015;

per tutte le stabilizzazioni di apprendistato, ovvero per le trasformazioni di contratti da tempo determinato in indeterminato, avvenute dal 1° marzo 2015;

nel caso in cui una o più assunzioni a tempo indeterminato determinano il superamento in azienda della soglia del numero di 15 dipendenti, la nuova disciplina si applicherà a tutti, anche ai vecchi dipendenti;

come specificato nel testo di legge la nuova normativa dovrà essere applicata anche ai datori di lavoro non imprenditori, che svolgono senza fine di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto.

Nello specifico, per quanto riguarda i lavoratori, tale contratto sostituisce tutte le forme di contratto di lavoro attualmente vigenti, per cui un’azienda che vuole assumere deve farlo utilizzando o il contratto a tutele crescenti oppure a tempo determinato o con il nuovo apprendistato.

In questa prospettiva, i lavoratori nel 2015 saranno quindi solo dipendenti, a tempo indeterminato o a tempo determinato, oppure, autonomi con partita IVA che svolgeranno la propria attività autonomamente.

Per i neoassunti con questa tipologia non varrà l’articolo 18, quindi il lavoratore non avrà diritto al reintegro nel caso di licenziamento ingiustificato (a meno che non sia discriminatorio o uno dei rari casi di licenziamento disciplinare che saranno individuati nei decreti delegati).

Al posto del reintegro il lavoratore avrà diritto a un indennizzo che cresce con il crescere dell’anzianità lavorativa (appunto un’indennità crescente in funzione agli anni di servizio,  per ogni anno di lavoro oltre al riconoscimento da parte dello Stato dell’indennità di disoccupazione ASpI).

Se, ad esempio, un lavoratore neoassunto con contratto a tutele crescenti e con stipendio da 1.200 euro al mese dovesse lavorare per due anni, potrà poi essere licenziato liberamente dall'azienda dietro il versamento di un’indennità di poco più di 3.000 euro, nel migliore dei casi di quasi 5 mila euro.

I contenuti di larga parte dei principi e dei criteri direttivi contenuti nella legge delega ha già spinto molti commentatori ad invocare un vaglio di costituzionalità da parte della Corte costituzionale. Il tema si pone, evidentemente, in ragione di quanto previsto dall’art. 76 della Costituzione, il quale ammette la delega dell’esercizio della funzione legislativa al Governo soltanto “con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti”.

La Corte ha, in effetti, specificato che “le direttive, i principi ed i criteri servono, da un verso, a circoscrivere il campo della delega, sì da evitare che essa venga esercitata in modo divergente dalle finalità che l’hanno determinata, ma, dall’altro, devono consentire al potere delegato la possibilità di valutare le particolari situazioni giuridiche da regolamentare. In particolare, la norma di delega non deve contenere enunciazioni troppo generiche o troppo generali, riferibili indistintamente ad ambiti vastissimi della normazione oppure enunciazioni di finalità, inidonee o insufficienti ad indirizzare l’attività normativa del legislatore delegato” (così C. Cost., n. 158/1985).

La Corte costituzionale si è più volte mossa verso una censura sulla costituzionalità dei decreti delegati per estraneità della disciplina regolatoria stabilita nel decreto delegato in raffronto con l’oggetto della delega, come pure per l’estraneità dell’oggetto rispetto ai contenuti della delega. In effetti, “l’impossibilità di individuare nella legge di delegazione un’idonea base della normativa impugnata ne comporta quindi la dichiarazione di illegittimità costituzionale per violazione dell'art. 76 della Costituzione”, peraltro “il sindacato di costituzionalità sulla delega legislativa si esplica attraverso un confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli: l'uno, relativo alle norme che determinano l'oggetto, i principi e i criteri direttivi indicati dalla delega, tenendo conto del complessivo contesto di norme in cui si collocano e si individuano le ragioni e le finalità poste a fondamento della legge di delegazione; l'altro, relativo alle norme poste dal legislatore delegato, da interpretarsi nel significato compatibile con i principi ed i criteri direttivi della delega”.

D’altro canto, proprio con riguardo alle deleghe volte al riordino e al coordinamento di una specifica disciplina normativa  la Corte ha già avuto modo di pronunciarsi per riconoscere che se la delega volta riordino e al coordinamento della materia non contiene l’enunciazione esplicita di principi ai quali il Governo deve specificamente uniformarsi, l’attività del legislatore delegato resta limitata e la delega va intesa “in senso minimale”, per cui le nuove disposizioni dovranno avere carattere di sostanziale conferma di quelle vigenti prima del riordino.





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