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mercoledì 15 novembre 2017

Pensioni: vecchiaia o anticipata con decorrenza dal 2019



L'innalzamento delle aspettative di vita riguarda il requisito di accesso alla pensione, non la decorrenza del trattamento, tuttavia è necessario presentare domanda entro il 2018 per gli aventi diritto con le attuali regole altrimenti si rischia lo slittamento di cinque mesi previsto dal 2019. Quindi, i cinque mesi in più che scatteranno nel 2019 riguardano esclusivamente coloro che maturano il requisito per la pensione di vecchiaia o anticipata successivamente al primo gennaio 2019.

Tutte le procedure burocratiche fra la fine della mobilità e l’inizio del trattamento previdenziale vanno fatte entro il 31 dicembre 2018, altrimenti rischia di attendere cinque mesi in più in virtù dello scatto 2019.

L’innalzamento delle aspettative di vita pari a cinque mesi (decreto attuativo entro fine anno 2017) porterà a 67 anni il requisito per la pensione di vecchiaia dal primo gennaio 2019. Chi maturerà il requisito entro il 31 dicembre 2018 non è interessato da questo scatto. Nel suo caso, quindi, il diritto a pensione cade nel 2018 e di conseguenza avrà diritto a ritirarsi in base all’età pensionabile 2018, ovvero 66 anni e sette mesi.

L’età per la pensione di vecchiaia nel 2019 salirà a 67 anni, mentre per la pensione anticipata saranno necessari 43 anni e tre mesi per gli uomini e 42 anni e tre mesi per le donne: è la conseguenza dell’innalzamento dell’aspettativa di vita di cinque mesi confermata dall’ISTAT. A 65 anni, si legge nel report ISTAT arriva a 20,7 anni per il totale dei residenti, allungandosi di cinque mesi rispetto a quella registrata nel 2013. Risultato, ci sarà il conseguente scatto di aumento dei requisiti per andare in pensione, previsto per il 2019, pari appunto a cinque mesi. In realtà, per l’ufficialità, bisogna attendere il decreto con cui il Governo recepisce il dato misurato dall’istituto di statistica, che arriverà entro al fine dell’anno.

Con l'adeguamento dell'uscita della pensione di vecchiaia Inps all'età di 67 anni (e la pensione anticipata a 64 anni, i primi ad essere interessati saranno i nati nel 1952 e nel 1953. Infatti, se nel 2017 usciranno a 66,7 i nati entro fine maggio del '51 e nel 2018 i nati entro lo stesso mese del 1952, con gli aumenti del 2019 andranno in pensione i nati entro la fine del '52 e, nel 2020, i nati entro la fine del '53.

Tuttavia, gli aumenti dei requisiti anagrafici delle pensioni di vecchiaia avranno cadenza diversificata ogni due anni. Infatti, nel 2021 è previsto un successivo adeguamento dell'età della pensione di vecchiaia a 67 anni e tre mesi. Interessati, pertanto, a lasciare il lavoro per la pensione saranno i contribuenti nati entro fine settembre del '54 (per il 2021) ed entro la fine di settembre del '55 per l'anno successivo. Solo nel biennio 2023/24 l'età della pensione salirebbe di un mese, passando a 67,4: per il 2023 andranno in pensione i contribuenti con data di nascita non successiva all'agosto '56, mentre per il 2024 l'uscita sarebbe matura per le nascite fino ad agosto '57.

La pensione anticipata è una strumento previdenziale che sostituisce la pensione di anzianità. Si consente sostanzialmente al lavoratore che non ha raggiunto l'età per ottenere la pensione di vecchiaia, ma che ha versato un elevato numero di contributi di ottenere una pensione.
Ecco precisamente come cambia l’età pensionabile dal 2019:

pensione di vecchiaia: 67 anni per tutti (dipendenti, autonomi, uomini e donne). Attualmente il requisito è pari a 66 anni e sette mesi;

pensione anticipata: 43 anni e tre mesi di contributi per gli uomini (che attualmente vanno in pensione a 42 anni e dieci mesi), e 42 anni e tre mesi di contributi per le donne (che al momento si ritirano con 41 anni e dieci mesi);

pensione anticipata precoci: passa a 41 anni e cinque mesi di contributi. Attualmente il requisito è pari a 41 anni. Ricordiamo che è necessario possedere tutti gli altri requisiti per essere considerati lavoratori precoci, in base a quanto previsto dalla finanziaria dell’anno scorso;

assegno sociale: 67 anni (attualmente il requisito è a 65 anni e sette mesi, ma salirà di un anno nel 2018);

pensione lavoratori usuranti: requisito invariato, la finanziaria 2017 congela gli scatti alle aspettative di vita fino al 2026. Quindi, quota 97,6 per i lavoratori dipendenti, 98,6 per i lavoratori autonomi, da 98,6 a 100,6 per i lavoratori notturni.



venerdì 20 ottobre 2017

APe sociale e volontaria domande e requisiti



L'Ape Sociale è un’indennità garantita dallo Stato ed erogata dall’INPS ai lavoratori in stato di bisogno che chiedano di andare in pensione in anticipata. Ricordiamo innanzitutto le regole di base dell’anticipo pensionistico APE: lo possono utilizzare dipendenti pubblici e privati e lavoratori autonomi con 63 anni di età a cui mancano tre anni e sette mesi per il raggiungimento della pensione di vecchiaia, con almeno 20 anni di contributi.

L’APe volontaria è utilizzabile da tutte le categorie di lavoratori con 63 anni di età, 20 anni di contributi, al massimo 3 anni e sette mesi alla pensione di vecchiaia, e con un assegno pari ad almeno 1,4 volte il minimo, mentre l’APe sociale è riservato a quattro specifiche tipologie di lavoratori, ovvero:

disoccupati per licenziamento, dimissioni per giusta causa, o procedure di conciliazione ex legge 604/1996 (articolo 7), che abbiamo terminato il sussidio spettante da almeno tre mesi;

caregiver che assistono da almeno sei mesi coniuge, partner in unione civile, o parente di primo grado convivente con handicap grave;

lavoratore disabile almeno al 74%;

addetto a mansioni usuranti.

Come è noto, la fondamentale differenza fra i due trattamenti è che l’APe volontaria è un anticipo pensionistico, finanziato dal sistema bancario, che poi viene restituito con al pensione (pagando rate per 20anni), mentre l’APe sociale è un’indennità pagata interamente dallo Stato. Altro punto importante da sottolineare: l’APe volontario è compatibile con il proseguimento dell‘attività lavorativa, mentre per l’accesso all’Ape sociale bisogna interrompere l’attività lavorativa. E’ possibile sommare solo redditi da lavoro dipendente fino a 8mila euro annui, o da lavoro autonomo fino a 4mila 800 euro annui.

Per quanto riguarda l’APe sociale, sono 25mila 895 le domande rigettate (il 64,89%) e 13mila 601 quelle accolte.

Per quanto riguarda la pensione precoci le domande respinte sono state 18mila 411 domande, ossia ben il 70,13% delle 26mila 251 presentate.

Dunque, anche se venissero riammesse tutte le domande su cui è ripresa l’istruttoria, continuerebbero a essere ampiamente maggioritarie le richieste da parte di lavoratori ai quali in realtà non è stato certificato il requisito.

Questo significa due cose:

tutti coloro che hanno presentato domanda entro il 15 luglio e hanno avuto al certificazione dei requisiti accedono all’APe sociale nel 2017, non si pone il problema dell’esaurimento delle risorse disponibili che avrebbe provocato uno slittamento al 2018;

l’INPS prenderà in considerazione anche le domande presentate dopo il 15 luglio 2017, perché la norma prevede la possibilità di esaminare queste richieste nel caso in cui quelle arrivate nei tempi previsti non esauriscano le risorse. Attenzione: la scadenza non è lontanissima, è il 30 novembre.
Mentre il requisito dei tre anni e sette mesi dalla pensione di vecchiaia, necessario per avere diritto all’APe Volontaria, si riferisce al solo momento in cui viene presentata la domanda: gli eventuali adeguamenti alle aspettative di vita su scelta iniziale del lavoratore possono estendere la durata del prestito con ricalcolo del trattamento e relativa rata di ammortamento.

I requisiti fondamentali per ottenere l’APe volontaria sono 63 anni di età, 20 anni di contributi, una assegno maturato nel momento in cui si richiede l’anticipo pensionistico pari ad almeno 1,4 volte il minimo, e al massimo tre anni e sette mesi dalla pensione di vecchiaia. La legge ha chiarito che il requisito anagrafico che consente la maturazione del  diritto alla pensione di vecchiaia entro 3 anni e 7 mesi dalla data di domanda di APE tiene conto dell’adeguamento agli incrementi della speranza di vita dei requisiti di accesso al sistema pensionistico.

Significa che nel momento in cui si chiede l’accesso all’APe non possono mancare più di tre anni e sette mesi all’età per la pensione e si tiene conto degli adeguamenti alle aspettative di vita scattati fino al momento in cui si chiede l’APe, ma (par di capire) non di quelli che eventualmente sono previsti in periodi successivi. Esempio: richiesta di APe volontaria nel novembre 2017. I tre anni e sette mesi si calcolano in base al requisito per la pensione di vecchiaia relativo al 2017, quindi:

65 anni e sette mesi per le lavoratrici dipendenti;

66 anni e 1 mese per le lavoratrici autonome;

66 anni e sette mesi per i lavoratori dipendenti e autonomi.

In pratica, tutti coloro che hanno 63 anni soddisfano il requisito. Nei prossimi anni, però scatteranno innalzamenti dell’età pensionabile e adeguamenti alle aspettative di vita.

Il lavoratore che chiede l’APe volontaria può scegliere, nel momento in cui presenta la domanda, come comportarsi in relazione ai futuri scatti di adeguamento alle aspettative di vita. Se decide di rideterminare il beneficio, aggiungendo quindi i mesi in più che sono scattati, l’INPS farà i relativi calcoli, basandosi sugli accordi quadro con banche e assicurazioni che regolamentano la concessione del finanziamento e dell’assicurazione sul prestito. Si tratta degli accordi che vanno siglati entro 30 giorni dal decreto attuativo appena entrato in vigore: quello con le banche determina le regole di concessione del prestito, l’APe viene versato al lavoratore dall’INPS, ma è finanziato dalle banche.

Attenzione: il finanziamento supplementare è già incluso nelle valutazioni svolte dalla banca dopo la domanda di APe ai fini dell’accertamento delle cause di mancata accettazione della proposta di finanziamento e di conseguenza è previsto originariamente nel contratto di finanziamento, senza alcuna successiva verifica da parte dell’istituto finanziatore al momento dell’adeguamento.

Per quanto riguarda il lavoratore, la regola comporta che nel momento in cui scatta l’innalzamento delle aspettative di vita, si allunga il periodo di APe volontaria, e si ricalcola di conseguenza l’importo del beneficio, e quello delle rate ventennali di restituzione (che come è noto saranno applicate sulla pensione vera e propria).

Nell’ipotesi in cui invece il lavoratore, nel momento in cui chiede l’APE, dichiara di non voler il finanziamento supplementare in caso di innalzamento delle aspettative di vita, non è ancora chiaro cosa accadrà.

Ricordiamo che l’APe volontaria non è ancora operativa, perché mancano i provvedimenti di prassi e gli accordi quadro con banche e assicurazioni, previsti entro 30 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.


Riscatto della laurea ai fini pensionistici



Il riscatto della Laurea, ossia dei periodi di studi universitari, influisce sull'anzianità (nel senso che detti periodi vengono computati) e conseguentemente sul trattamento di fine rapporto,  cioè il versamento dei contributi per gli anni passati all'Università in modo da avvicinare il momento della pensione. L’idea è rendere flessibile anche il riscatto: potendo scegliere non solo il numero degli anni da recuperare, cosa possibile già oggi.

Chi oggi è vicino dalla pensione e chiede il riscatto della laurea di solito si vede presentare un conto parecchio salato. E questo perché il calcolo viene fatto sulla base del suo stipendio attuale che, a fine carriera, tende a essere più alto. Chi chiede il conteggio, quindi, spesso rinuncia all'operazione e resta al lavoro fino alla scadenza naturale. Rendere flessibile il riscatto significa slegare la somma da pagare dallo stipendio attuale, considerarla un versamento volontario di contributi.

Il riscatto della laurea ai fini pensionistici può essere chiesto da tutti i lavoratori iscritti alle gestioni INPS che abbiano già conseguito il titolo di studio e non siano già coperti da contribuzione nel periodo di frequentazione dell’università. Si possono riscattare solo gli anni previsti dalla durata ordinaria del corso di laurea, se lo studente è andato fuori corso non potrà riscattare gli anni in più che ci ha impiegato per laurearsi. La frequentazione dell’università deve essere successiva al 31 marzo 1996. Il riscatto della laurea può essere chiesto anche da chi è già titolare di pensione. Naturalmente, se lo si chiede per anticipare la pensione di vecchiaia, l’operazione andrà fatta prima dell’età pensionabile perché gli anni siano poi conteggiabili ai fini della maturazione della pensione. Possono chiedere il riscatto dalla laurea anche i soggetti inoccupati.

Una regola fondamentale consiste nel fatto che i periodi di cui si chiede il riscatto non devono già essere coperti da contribuzione. Nel caso in cui, durante il corso di studi, ci sia stato un periodo limitato di lavoro durante il corso, ad esempio un impiego part-time, potrà essere chiesto il riscatto della laurea al netto dei periodi già coperti da contribuzione. Sono ammessi al riscatto tutti i titoli di laurea (vecchio ordinamento, laurea triennale, laurea magistrale, diplomi di specializzazione post-laurea, Accademia delle Arti e Conservatorio, dottorati di ricerca. Non sono inclusi, invece, i master universitari.

Il riscatto della laurea è un’operazione onerosa, il cui costo dipende da diversi fattori: collocazione cronologica del periodo di studio (prima o dopo il 1995, e prima e dopo il 2011), e sistema di calcolo della pensione (contributivo o retributivo).

Se il periodo di riscatto è valutato con metodo retributivo, il calcolo si effettua in base al principio della riserva matematica. In sintesi, si calcolano due diverse pensioni: quella senza riscatto, e quella che conteggia anche gli anni del corso di studi. La nuova pensione tiene conto di un beneficio corrispondente all’aumento delle settimane in quota A (media rivalutata degli ultimi 5 anni di contribuzione prima del pensionamento).

Il beneficio pensionistico va a questo punto moltiplicato per un coefficiente attuariale legato a età, sesso e stato lavorativo del richiedente. Esempio: beneficio (calcolato in base allo schema sopra indicato) pari a 15mila 600 lordi annui. Coefficiente di un lavoratore di 63 anni pensionato pari a 16,68. Onere spettante: 260mila 200 euro.

Se invece il periodo di riscatto è valutato con il contributivo, il calcolo si effettua con il sistema a percentuale, che consiste nell’applicazione dell’aliquota contributiva in vigore al momento della domanda sull’imponibile previdenziale dello ultime 52 settimane. In pratica, si calcolano gli ultimi 12 mesi di contribuzione obbligatoria precedenti alla domanda di riscatto, si applica l’aliquota vigente (ad esempio, il 33% per l’Assicurazione generale obbligatoria), si calcola l’adeguamento per il periodo oggetto di riscatto.

Esempio: retribuzione imponibile ultimi 12 mesi 40mila euro. Costo onere annuale 13mila 200 euro, per quattro anni di studi 52mila 800 euro.

Esiste infine uno specifico metodo di calcolo per gli inoccupati, che è analogo a quello che si effettua per chi ha la pensione contributiva (quindi, su base percentuale) prendendo come riferimento il minimale reddituale della Gestione Commercianti per l’anno della domanda di riscatto. Per esempio, il minimale 2017 è pari a 15.548, quindi l’onere di riscatto è di 5mila 130,84 euro per ogni anno.

Altro esempio, un laureato di 32 anni, impiegato, che guadagna circa 25.000 euro l’anno (non è un miraggio, si può fare). Quanto dovrebbe pagare ogni anno per riscattare la laurea per la pensione? Circa 8.300 euro l’anno. Moltiplicato per 5 anni (triennale più magistrale) arriviamo ai 41.200 euro in totale. Ci vorrebbe un mutuo. Ma sarebbe peggio se aspettasse ad avere quasi l’età pensionabile: il costo raddoppierebbe. Gli converrebbe lavorare 5 anni in più e dimenticarsi del riscatto. Come si vede, il riscatto della laurea è un’operazione piuttosto costosa. per cui è sempre opportuno fare bene tutti i calcoli sulla convenienza (in relazione al fatto che poi aumenta la pensione, piuttosto che si aggancia prima l’età pensionabile).

Possono essere riscattati solo i periodi corrispondenti alla durata legale del corso di laurea (o una sua parte), compresi i dottorati di ricerca, i diplomi di specializzazione post laurea ed i titoli di studio equiparati a seguito dei quali sia stata conseguita la laurea o i diplomi previsti dall’articolo 1, della legge 341/1990. Possono essere riscattati anche i titoli conseguiti all’estero, se hanno valore legale in Italia.

Non possono invece essere riscattati:

i periodi di iscrizione fuori corso;

i periodi già coperti da contribuzione obbligatoria o figurativa o da riscatto;

le borse di studio concesse dalle Università per la frequenza ai corsi di dottorato di ricerca;

gli assegni concessi da alcune scuole di specializzazione



lunedì 2 ottobre 2017

Visite mediche fiscali: chiarimenti INPS, come accreditarsi



L'INPS ha pubblicato il messaggio n. 3685 2017 con cui chiarisce le modalità di richiesta, da parte di Pubbliche amministrazioni, delle credenziali per l’accesso al servizio on line di richiesta visita medica di controllo, modificate a seguito dell'accorpamento sull'istituto di previdenza del servizio di visite di controllo della malattia di tutti i lavoratori pubblici e privati.

Nuove modalità di richiesta di accreditamento dei datori di lavoro pubblici al Polo Unico delle visite mediche fiscali, che si aggiungono a quelle precedentemente comunicate dall’Ente di previdenza, e chiarimenti sulla corretta compilazione della modulistica. Nel nuovo messaggio l’INPS introduce novità procedurali con l’obiettivo di semplificare le operazioni per disporre le visite fiscali ai dipendenti in malattia – su richiesta dei datori di lavoro pubblici e privati o d’ufficio. - dopo che dallo scorso primo settembre è ufficialmente entrata in vigore la Riforma che introduce il Polo Unico delle Visite Fiscali, interamente gestito dall'istituto di previdenza tanto per le aziende private quanto per quelle pubbliche.

Per legge si dispone che, in caso di datore di lavoro pubblico, il modulo di richiesta delle credenziali debba essere compilato e sottoscritto dal legale rappresentante dell'ente. Alla luce delle novità normative l'Inps chiarisce che tali indicazioni, vanno lette nel senso per cui titolato ad autorizzare la richiesta di abilitazione in favore dei funzionari individuati è il legale rappresentante, un suo delegato, e anche i soggetti da questi ultimi espressamente incaricati.

Per semplificare le modalità di abilitazione, la modulistica di richiesta, da parte delle aziende private e pubbliche, è stata unificata in due nuovi moduli, SC65 e SC62, il modello SC65 deve essere utilizzato per la richiesta di abilitazione del datore di lavoro, mentre il modello SC62 deve essere utilizzato per la richiesta di abilitazione presentata direttamente dal dipendente individuato per l’accesso al servizio. In tale ultimo caso, il modulo prevede sia la firma del dipendente, che del datore di lavoro (legale rappresentante dell'ente o soggetto da questi delegato o soggetto incaricato) per autorizzazione.

Il secondo passaggio è l’invio del modulo alla sede competente dell’INPS via PEC (posta elettronica certificata), allegando copia del documento di riconoscimento del sottoscrittore, ed eventuale delega o incarico da parte del legale rappresentante. A questo punto l’INPS attiva il PIN e invia la relativa comunicazione, sempre via PEC, all’ente richiedente invitandolo a ritirare il codice. Il ritiro potrà essere effettuato da un soggetto incaricato dal legale rappresentante. L’operatore INPS, al momento del ritiro, verifica che l’incaricato sia munito di apposita delega al ritiro del PIN e fa sottoscrivere allo stesso una ricevuta di consegna dei PIN ritirati.

Nel caso in cui la pubblica amministrazione che richiede l’abilitazione al sistema Polo unico visite fiscali abbia già il PIN, l’invio dei moduli via PEC è sufficiente per l’abilitazione, ed eventualmente anche per la conversione del PIN  ordinario in dispositivo, senza necessità di ritiro presso la sede INPS. Importante: le comunicazione devono necessariamente essere inviate attraverso gli indirizzi PEC dell’amministrazione richiedente.

La stessa procedura può essere utilizzata anche per la richiesta di accedere al servizio online di visualizzazione degli attestati di malattia.

Si fa presente che con riferimento sia ai chiarimenti sui soggetti titolati a sottoscrivere le richieste di PIN e abilitazioni, sia alle modalità di trasmissione delle richieste e ritiro dei PIN, è valido anche per la richiesta di abilitazione delle PPAA ai servizi on line di visualizzazione degli attestati di malattia, di cui alla circolare n. 60 del 16 aprile 2010.

Ricordiamo che il Polo Unico per le visite fiscali è stato previsto dal dlgs 75/2017, attuativo della Riforma della PA, e di fatto attribuisce all’INPS anche la competenza per gli accertamenti e le pratiche relative alla malattia dei dipendenti della pubblica amministrazione (prima se ne occupavano le Asl), del tutto parificate ai datori di lavoro privati.

Resta ancora da attuare la disposizione sull’unificazione fra pubblico e privato delle fasce orarie di reperibilità. Al momento, per il settore pubblico le fasce orarie vanno dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18, mentre per il privato dalle 10 alle 12 e dalle 17 alle 19.




mercoledì 20 settembre 2017

Pensione anticipata lavori usuranti: come fare domanda



Si definiscono lavoratori impegnati in mansioni usuranti, i lavoratori che svolgono le seguenti attività:

"Lavori in galleria, cava o miniera”: mansioni svolte in sotterraneo con carattere di prevalenza e continuità;

“lavori nelle cave”, mansioni svolte dagli addetti alle cave di materiale di pietra e ornamentale;
“lavori nelle gallerie”, mansioni svolte dagli addetti al fronte di avanzamento con carattere di prevalenza e continuità;

“lavori in cassoni ad aria compressa”;

“lavori svolti dai palombari”;

“lavori ad alte temperature”: mansioni che espongono ad alte temperature, quando non sia possibile adottare misure di prevenzione, quali, a titolo esemplificativo, quelle degli addetti alle fonderie di seconda fusione, non comandata a distanza, dei refrattaristi, degli addetti ad operazioni di colata manuale;

“lavorazione del vetro cavo”: mansioni dei soffiatori nell’industria del vetro cavo eseguito a mano e a soffio;

“lavori espletati in spazi ristretti”, con carattere di prevalenza e continuità ed in particolare delle attività di costruzione, riparazione e manutenzione navale, le mansioni svolte continuamente all’interno di spazi ristetti, quali intercapedini, pozzetti, doppi fondi, di bordo o di grandi blocchi strutture;

“lavori di asportazione dell’amianto”: mansioni svolte con carattere di prevalenza e continuità.
lavoratori notturni che possano far valere una determinata permanenza nel lavoro notturno, con le seguenti modalità:

lavoratori a turni, che prestano la loro attività di notte per almeno 6 ore, comprendenti l’intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino, per un numero minimo di giorni lavorativi annui non inferiore a 78 per coloro che perfezionano i requisiti per l’accesso anticipato nel periodo compreso tra il 1° luglio 2008 ed il 30 giugno 2009, e non inferiore a 64, per coloro che maturano i requisiti per l’accesso anticipato dal 1° luglio 2009;

lavoratori che prestano la loro attività per almeno 3 ore nell'intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino, per periodi di lavoro di durata pari all'intero anno lavorativo.

Ad essi vengono associati ai fini del trattamento pensionistico, anche:

lavoratori addetti alla c.d. “linea catena”, ovvero i lavoratori alle dipendenze di imprese per le quali operano le voci di tariffa per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro gestita dall’Inail, impegnati all'interno di un processo produttivo in serie, con ritmo determinato da misurazione di tempi, con esclusione degli addetti a lavorazioni collaterali a linee di produzione, alla manutenzione, al rifornimento materiali, ad attività di regolazione o controllo computerizzato delle linee;

conducenti di veicoli pesanti, di capienza complessiva non inferiore ai nove posti compreso il conducente, adibiti a servizi pubblici di trasporto.

I lavoratori impegnati in mansioni usuranti sono stati esclusi dalla possibilità di accedere all’anticipo pensionistico a carico dello Stato, l’APe Social, ma per loro la legge prevede comunque delle possibilità di accesso alla pensione con requisiti agevolati. Si tratta di lavoratori pubblici o privati che svolgono attività lavorative particolarmente faticose e pesanti, definite usuranti e indicate nel decreto legislativo 67/2011.

Tra i requisiti viene richiesta la cessazione del rapporto di lavoro dipendente e l’aver svolto l’attività usurante per almeno sette anni negli ultimi dieci anni di lavoro o per almeno metà della vita lavorativa complessiva.

Dal 2016 al 2026, i requisiti agevolati per accedere al trattamento pensionistico anticipato sono di avere almeno 35 anni di contributi e rientrare in una certa quota, pari alla somma tra età anagrafica e anzianità contributiva, differente a seconda della tipologia di lavoro usurante svolto:

per i lavoratori impegnati in mansioni particolarmente usuranti e notturni a turni occupati per un numero di giorni lavorativi pari o superiore a 78 all’anno o per lavoratori notturni che prestano attività per periodi di durata pari all’intero anno lavorativo:

dipendenti: quota 97,6con età minima di 61 anni e 7 mesi;

autonomi: quota 98,6 con età minima di 62 anni e 7 mesi;

per i lavoratori notturni a turni occupati per un numero di giorni lavorativi da 72 a 77 all’anno:
dipendenti: quota 98,6 con età minima di 62 anni e 7 mesi;

autonomi: quota 99,6 con età minima di 63 anni e 7 mesi;

per i lavoratori notturni a turni occupati per un numero di giorni lavorativi da 64 a 71 all’anno:

dipendenti: quota 99,6 con età minima di 63 anni e 7 mesi;

autonomi: quota 100,6 con età minima di 64 anni e 7 mesi.

Si tratta di requisiti validi fino al 2015, poiché ad essi non si applicano gli adeguamenti alla speranza di vita previsti per gli anni 2019, 2021, 2023 e 2025. In più per l’accesso alla pensione anticipata riservata ai lavori usuranti, dal 1° gennaio 2017, non si applicano le cosiddette “finestre mobili”, ovvero il differimento della decorrenza del trattamento pensionistico di 12 mesi, per i lavoratori dipendenti, o di 18 mesi, per i lavoratori autonomi, dal perfezionamento dei requisiti.

Domanda INPS

Per accedere al beneficio è necessario presentare apposita domanda – online sul portale INPS oppure presso la sede territorialmente competente, allegando la relativa documentazione – entro il 1º maggio dell’anno precedente a quello di maturazione dei requisiti agevolati qualora tali requisiti siano maturati a decorrere dal 1º gennaio 2018.

Per ottenere la pensione anticipata con i requisiti agevolati, è necessario che venga riconosciuto il beneficio per lavoratori addetti ad attività lavorative particolarmente faticose e pesanti.

Ricordiamo poi che la Legge di Stabilità 2017 ha previsto per i lavoratori che hanno svolto lavori usuranti e che rientrano tra i cosiddetti “precoci”, ovvero con almeno un anno di contributi entro il 19esimo anno di età, la possibilità di accedere alla pensione anticipata con la quota 41, ovvero con dopo aver raggiunto i 41 anni di contributi versati, purché abbiano svolto le mansioni usuranti per almeno sette anni negli ultimi dieci anni, oppure per la metà della vita lavorativa.

Tale misura è stata prevista in via permanente (e non sperimentale per gli anni 2017-2018 come l’APe Social) e la domanda di accesso alla pensione anticipata precoci con quota 41 va presentata entro il 1° marzo per via telematica, direttamente o rivolgendosi a un patronato.



lunedì 4 settembre 2017

Visite mediche di controllo, servizio INPS: come funziona il Polo Unico



La visita fiscale è un accertamento medico previsto dallo Statuto dei Lavoratori, e predisposto dall'INPS o dal datore di lavoro per verificare l’effettivo stato di malattia del dipendente assente per motivi di salute. La visita fiscale, infatti, non si limita a un mero controllo della presenza al proprio domicilio del lavoratore in malattia, bensì consiste in una vera e propria verifica della sussistenza degli impedimenti fisici al lavoro.

Il lavoratore che intende usufruire dell’astensione dal lavoro per malattia deve avvisare tempestivamente il proprio datore e il medico di famiglia e deve sottoporsi, preferibilmente sin dal primo giorno di malattia, ad un accertamento sanitario da parte del proprio medico curante, che produce un’apposita certificazione.

Attivo dal primo settembre il Polo unico per le visite mediche di controllo (VMC) da parte dell’INPS ai lavoratori in malattia. A disposizione dei datori di lavoro anche privati, è inoltre disponibile il nuovo servizio online per la richiesta di visita medica di controllo.

Entrano dunque in vigore le disposizioni del decreto legislativo 75/2017, su cui è intervenuto il messaggio INPS 3265 del 9 agosto 2017, che fornisce il dettaglio delle PA interessate dalla Riforma. Per il momento le nuove norme riguardano i dipendenti della pubblica amministrazione, per i quali l’INPS può anche disporre visite d’ufficio.

Per consentire il controllo dello stato di malattia, il lavoratore ha l’obbligo di essere reperibile presso l’indirizzo abituale o il domicilio occasionale comunicato al datore di lavoro:

tutti i giorni durante la durata della malattia comprese le domeniche ed i giorni festivi nelle seguenti fasce orarie giornaliere:

1) lavoratori statali e personale enti locali
mattina: dalle ore 9 alle 13
pomeriggio: dalle ore 17 alle 18.

2) Lavoratori settore privato
mattina: dalle ore 10 alle 12

Se il dipendente pubblico in malattia si assenta durante questo orario, deve darne comunicazione al datore di lavoro.

La creazione del Polo Unico comporta una serie di novità relative al funzionamento del sistema, grazie al nuovo applicativo informatico “SAVIO” che consente, ad esempio, di elaborare serie statistiche in base alle quali vengono selezionati in modo mirato i lavoratori a cui inviare la visita fiscale. Potrà anche succedere, per stanare i cosiddetti “furbetti del cartellino“, che allo stesso lavoratore vengano inviate due visite nello stesso giorno.

Ne guadagna anche la tempestività delle visite: il medico riceve quotidianamente, sul pc o sul tablet, l’elenco delle visite da effettuare, specificando quali sono quelle richieste dal datore di lavoro e quali, invece, vengono effettuate d’ufficio. Anche il medico viene selezionato con criteri precisi, in base alla disponibilità e alla distanza dal paziente. In vista c’è un decreto ministeriale che conterrà le regole generali per le convenzione fra INPS e medici generali.

Presentando il Polo unico per le Visite Mediche di Controllo (VMC), l’INPS ha pubblicato una serie di dati relativi all’andamento delle assenze per malattia dei dipendenti del privato e del pubblico. Questi ultimi si assentano mediamente il doppio, con percentuali particolarmente significative nel Sud e nelle Isole. Nel privato la malattia del dipendente dura in media cinque giorni, nel settore pubblico si arriva a 11 giorni. Nel Sud e nelle isole (sempre con riferimento al settore pubblico), si arriva a 12 o 13 giorni.

E’ interessante notare come questo squilibrio territoriale non riguarda il settore privato, dove i giorni di malattia per dipendente sono omogenei sull’intero territorio nazionale. Un segnale del fatto che il fenomeno dei furbetti del cartellino riguardano in particolare la pubblica amministrazione.

Servizio INPS online
Il servizio online VMC, per la richiesta delle visite mediche di controllo domiciliare e/o ambulatoriale, è dunque rivolto ai datori di lavoro pubblici e privati. Il servizio “Richiesta Visite Mediche di Controllo (Polo unico VMC)” è attivo sul portale INPS, nella sezione Prestazioni e Servizi.

A partire dal 1° settembre 2017 sono entrate in vigore importanti novità sia per i dipendenti pubblici che per quelli di aziende private, con controlli che potranno essere ripetuti anche due volte nello stesso giorno soprattutto in caso di malattia in giorni sospetti, come di lunedì o venerdì o a ridosso di giorni festivi.

Per i dipendenti pubblici, con l’entrata in vigore della riforma Madia le nuove regole sui controlli in caso di malattia prevedono che la competenza sulle visite fiscali trasferita dalle Asl al Polo Unico Inps, con l’obiettivo di ridurre assenteismo e false malattie.

I controlli potranno farsi più frequenti e verranno avviate anche d’ufficio dall’Inps senza la richiesta del datore di lavoro. I medici di famiglia che dovranno controllare il rispetto degli orari di reperibilità ed accertare l’effettiva malattia dei dipendenti pubblici e privati verranno retribuiti, in parte, con quota percentuale in base alle visite fiscali effettuate.

Ricordiamo che ci sono anche casi in cui è prevista l’esenzione dalla visita fiscale e nell’articolo troverete tutte le informazioni relative a dipendenti pubblici e privati che, in caso di malattia, sono esonerati dai controlli del medico Inps e, di conseguenza, non devono rimanere a casa negli orari delle visite fiscali. Con la circolare Inps n. 95/2016 sono state stabilite proprio le condizioni per richiedere le esenzioni dai controlli del medico della mutua.

Quindi in conclusione visite mirate, anche due ripetute nello stesso giorno allo stesso lavoratore. Un software elaborerà i certificati medici telematici e sceglierà gli eventi che hanno la probabilità più alta — statisticamente parlando — di ridurre i giorni di prognosi del lavoratore.

Se ad esempio un lavoratore si ammala frequentemente a ridosso del weekend o il lunedì, allora il caso sospetto finisce sotto la lente d’ingrandimento dell’Inps che guarderà anche alle storie personali di chi non si sente bene e resta a casa.


domenica 3 settembre 2017

Indennità di malattia, calcolo e importi




Com’è disciplinata la malattia e le differenti tutele in caso di contratto a tempo determinato e indeterminato.

Il lavoratore che intende usufruire dell’astensione dal lavoro per malattia deve avvisare tempestivamente il proprio datore e il medico di famiglia e deve sottoporsi, preferibilmente sin dal primo giorno di malattia, ad un accertamento sanitario da parte del proprio medico curante, che produce un’apposita certificazione. La disciplina cambia caso a seconda che l’assenza per malattia sia di durata pari o inferiore a 10 giorni, oppure sia superiore a 10 giorni:

– per le assenze da malattia pari o inferiori a 10 giorni, nonché per le assenze fino al secondo evento nel corso dell’anno solare, il lavoratore può rivolgersi anche al medico curante non appartenente al SSN (o con esso convenzionato);

– se invece l’assenza supera i 10 giorni o nei casi di eventi di malattia successivi al secondo nel corso dell’anno, la certificazione deve essere rilasciata esclusivamente dal medico del SSN (o con esso convenzionato).


Sia i lavoratori a termine che i lavoratori a tempo indeterminato, hanno diritto all’indennità di malattia a carico dell’Inps, ma con alcune differenze.

Malattia e tempo determinato
Il contratto a tempo determinato, infatti, prevede alcune tutele per il lavoratore tra le quali l’indennità di malattia a carico dell’INPS, che però segue regole diverse rispetto al contratto a tempo indeterminato.

In particolare, l’indennità di malattia è proporzionata ai periodi lavorati e non è più dovuta, né dall’INPS né dal datore di lavoro, una volta scaduto il termine del contratto, che non può essere spostato alla fine della malattia, a meno di diverso accordo delle parti. In più l’indennità di malattia può essere corrisposta ai lavoratori a termine:

per un periodo non superiore alla durata dell’attività lavorativa prestata nei 12 mesi precedenti alla malattia, comunque fino ad un massimo di 180 giorni nell’anno solare;

per un periodo non inferiore a 30 giorni, se il lavoratore, nei 12 mesi precedenti alla malattia, ha lavorato per meno di un mese;

Il periodo di comporto, durante il quale il dipendente ha diritto alla conservazione del posto di lavoro, nel contratto a tempo determinato non può andare oltre la durata del contratto, né superare il comporto previsto dal contratto collettivo applicato per i dipendenti a tempo indeterminato.

Il termine periodo di comporto sta ad indicare la somma di tutte le assenze per malattia avvenute in un determinato arco temporale. La normativa prevede che durante tale periodo di comporto (malattia) viene conservato il posto di lavoro. Allorquando si supera il periodo di comporto, si può procedere al licenziamento del dipendente.


In caso di lavoratori a termine impiegati nel settore dell’agricoltura, l’indennità di malattia spetta per tutti i giorni di durata della malattia, purché il lavoratore possa far valere almeno 51 giornate di lavoro in agricoltura nell’anno precedente (anche se a tempo indeterminato), o nell’anno in corso e prima dell’inizio della malattia. In ogni caso il periodo indennizzabile non può essere superiore al numero di giorni di iscrizione negli elenchi dei lavoratori agricoli e non può superare i 180 giorni nell’anno solare.

Calcolo indennità
L’ammontare dell’indennità si calcola con le stesse modalità per entrambe le tipologie di lavoratori, secondo quanto stabilito dal contratto collettivo applicato: si moltiplica la retribuzione media giornaliera (calcolata in modo differente per operai e impiegati) per la percentuale pagata dall’INPS e per il numero di giornate.

I contratti collettivi quasi sempre prevedono un’integrazione a carico del datore in modo da raggiungere il 100% della retribuzione del lavoratore. L’indennità relativa ai primi tre giorni di malattia è normalmente a carico del datore di lavoro.

Durante il periodo di malattia il lavoratore avrà diritto alle normali scadenze dei periodi di paga:

ad una indennità pari al cinquanta per cento della retribuzione giornaliera per i giorni di malattia dal quarto al ventesimo e pari a due terzi della retribuzione stessa per i giorni di malattia dal ventunesimo in poi, posta a carico dell’INPS, secondo le modalità stabilite, e anticipata dal datore di lavoro.

L’importo anticipato dal datore di lavoro è posto a conguaglio con i contributi dovuti all’INPS;

ad una integrazione dell’indennità a carico dell’INPS da corrispondersi dal datore di lavoro, a suo carico, in modo da raggiungere complessivamente le seguenti misure:

100% (cento per cento) per primi tre giorni (periodo di carenza)

75% (settantacinque per cento) per i giorni dal 4° al 20

100% (cento per cento) per i giorni dal 21° in poi della retribuzione giornaliera netta cui il lavoratore avrebbe avuto diritto in caso di normale svolgimento del rapporto.





giovedì 17 agosto 2017

Pensione di invalidità le nuove regole ecco cosa cambia



Nuove regole per la pensione di invalidità. Nella verifica dei redditi per la liquidazione delle prestazioni di invalidità civile i pagamenti arretrati soggetti a tassazione separata non devono più essere computati sulla base del principio di cassa, cioè nel loro importo complessivo, ma sulla base dei ratei maturati in ciascun anno di competenza. Lo specifica l'INPS nel messaggio 3098/2017, nel quale l'Istituto si conforma all'orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione.

Con tale messaggio l’INPS chiarisce le modalità di computo del reddito per l’erogazione delle prestazioni previdenziali ed assistenziali, distinguendo la procedura da seguire per i periodi futuri da quelli che riguardano le istanze già presentate. L'INPS che, acquisito il parere favorevole del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, nel suo messaggio ha stabilito, che nel computo dei redditi in tema di liquidazione delle prestazioni di invalidità civile gli arretrati siano calcolati non nel loro importo complessivo, ma sulla base dei ratei maturati in ciascun anno di competenza a prescindere dall'anno di competenza.

L’INPS ha stabilito che, a partire dal 25 luglio 2017, nel computo dei redditi in tema di liquidazione delle prestazioni di invalidità civile gli arretrati siano calcolati non nel loro importo complessivo, ma sulla base dei ratei maturati in ciascun anno di competenza. Di conseguenza le sedi, al fine di dare applicazione alla suddetta disposizione, in fase di acquisizione dei redditi, dovranno ripartire manualmente gli importi arretrati per anno di competenza.

Coloro che hanno ricevuto in passato una risposta negativa alla domanda di pensione, motivata dall’applicazione del principio di cassa, per ottenere le pensioni invalidità devono presentare specifica istanza.

Nuovo quadro normativo
Fino a ad oggi, le regole INPS per assegno sociale e prestazioni di invalidità civile si riferivano alla circolare del 2010 (126/2010), secondo cui:

per l’assegno sociale, nel calcolo dei redditi – ai fini del riconoscimento dell’assegno – si applicava il criterio di competenza;

per le pensioni di invalidità civile, tutti gli arretrati soggetti a tassazione separata, a prescindere dall’anno di competenza (criterio di cassa).

Sulla differenziazione è sorto un contenzioso giudiziario, concluso con sentenza di Cassazione 12796/2005 a sezioni unite, che ha dato torto all’INPS: per entrambe le tipologie di prestazione si applica il criterio di competenza.

Revisione domande
Le nuove domande vengono da oggi in poi lavorate in base al dettato della sentenza, recepita dal Messaggio copra citato. Per quanto riguarda istanze in precedenza respinte, ma che applicando l’orientamento accolto dalla Cassazione avrebbero avuto esito positivo, l’INPS di comporta nel seguente modo:

domanda respinta per la quale è pendente istanza di riesame: risposta positiva alla domanda;

domanda respinta per la quale è pendente ricorso amministrativo al Comitato provinciale: la sede INPS dovrà riconoscere la prestazione in autotutela;

domanda respinta per la quale, a seguito di ricorso al Comitato provinciale e di accoglimento dello stesso, il Direttore di Sede abbia sospeso la delibera di esecuzione: dopo la trasmissione della sospensiva alla Direzione centrale sostegno alla non autosufficienza, invalidità civile e altre prestazioni, la medesima Direzione trasmetterà alla Sede competente formale invito di accogliere l’istanza in autotutela.

Se la domanda era stata respinta e non c’è stato nessun seguito, il contribuente ripresenta domanda all’INPS, che dovrà accoglierla.



venerdì 28 luglio 2017

APE Sociale: decadenza, compatibilità e incompatibilità



L'Ape Sociale è un’indennità garantita dallo Stato ed erogata dall’INPS a lavoratori in stato di bisogno che chiedano di andare in pensione in anticipata, ovvero è un anticipo pensionistico, cioè una prestazione che conduce l’interessato dalla data di uscita dal lavoro (o, comunque, dalla data in cui si presenta la domanda per ottenere il trattamento), sino alla data di maturazione dei requisiti per la pensione. Questo anticipo pensionistico lo possono utilizzare dipendenti pubblici e privati e lavoratori autonomi con 63 anni di età a cui mancano tre anni e sette mesi per il raggiungimento della pensione di vecchiaia, con almeno 20 anni di contributi.

L'indennità non spetta ai titolari di un trattamento pensionistico diretto in Italia o all'estero, ed è subordinata alla residenza in Italia e alla condizione che il soggetto abbia cessato l'attività di lavoro dipendente, autonomo e parasubordinato svolta in Italia o all'estero.

L'indennità è inoltre incompatibile con i trattamenti a sostegno del reddito connessi allo stato di disoccupazione involontaria, con il trattamento Asdi e con l'indennizzo per cessazione attività commerciale.

Il beneficiario dell'Ape sociale può svolgere un'attività lavorativa, in Italia o all'estero, durante il godimento dell'indennità purché i redditi da lavoro dipendente o da collaborazione coordinata e continuativa percepiti non superino gli 8.000 euro lordi annui, e quelli derivanti da lavoro autonomo non superino i 4.800 euro lordi annui. In caso di superamento dei limiti annui, il soggetto decade dall'Ape sociale, l'indennità percepita nel corso dell'anno diviene indebita e la Sede Inps procede al relativo recupero.

L’APe Sociale prosegue fino al raggiungimento della pensione di vecchiaia e a quel punto si interrompe automaticamente, senza presentare nuove istanze, mentre per la pensione anticipata rileva il momento in cui decorre il trattamento e non quello di maturazione del requisito: l’indennità è incompatibile con qualsiasi altra forma di trattamento previdenziale, mentre si può sommare ad altre tipologie di trattamento assistenziale, come ad esempio l’assegno sociale.

Decadenza
 La legge prevede che l’APe sociale prosegua “fino al conseguimento dell’età anagrafica prevista per l’accesso al trattamento pensionistico di vecchiaia”. Nel momento in cui viene liquidata l’indennità, spiega l’INPS, l’operatore inserisce anche la data di raggiungimento del requisito anagrafico previsto dall’articolo 24 della legge 214/2011 per l’accesso alla pensione di vecchiaia.

Quindi, il pagamento dell’APE Sociale (salvo che non intervengano ipotesi di decadenza dal beneficio) cesserà automaticamente dal mese successivo alla predetta scadenza “naturale”. Significa che il pensionato non deve fare ulteriori pratiche e nemmeno l’INPS deve procedere alla revoca del trattamento, che appunto cessa automaticamente.

La Legge di Bilancio 2017 prevede però che, se prima del raggiungimento dell’età per la pensione di vecchiaia il lavoratore matura il requisito per la pensione anticipata, decade dal diritto all’APE Sociale. In questo caso c’è un problema interpretativo, perché la legge si riferisce, testualmente, al “raggiungimento dei requisiti per il pensionamento anticipato”, mentre il decreto ministeriale attuativo, all’articolo 8 comma 2, parla di decorrenza della pensione anticipata.

L’INPS con la circolare 100/2017 ha chiarito che rileva la decorrenza e non la maturazione del diritto, in modo che l’assicurato possa percepire la pensione subito dopo la fine dell’APe, non restando mai senza un assegno.

Incompatibilità
Come detto, l’APe non può essere sommato con nessun’altra prestazione previdenziale o con ammortizzatori sociali. Quindi, è incompatibile con assegno ordinario di invalidità, indennizzo cessazione attività commerciale, trattamenti di disoccupazione (ASDI, NASPI, e via dicendo).

E’ invece compatibile con l’assegno sociale, che non è una prestazione previdenziale. Significa che il titolare dell’assegno sociale può chiedere l’accesso all’APE e il titolare dell’APE Sociale può chiedere l’assegno sociale. In entrambi i casi, ai fini del calcolo del tetto di reddito di 1500 euro, si calcolano entrambi i trattamenti: quindi l’assegno sociale viene ridotto, oppure revocato nel caso in cui l’APe comporti il superamento del limite reddituale consentito.

Quindi concludendo l’Ape sociale è incompatibile con le prestazioni a sostegno del reddito conseguenti allo stato di disoccupazione.

In particolare è incompatibile:

con la Naspi (l’indennità di disoccupazione che spetta ai dipendenti);

con l’Asdi (l’assegno di disoccupazione, erogato ad alcuni soggetti, una volta terminata la Naspi);

con l’indennizzo per i commercianti (corrisposto, in determinati casi, per accompagnare alla pensione il commerciante che cede l’attività).

È invece compatibile:

con attività lavorativa dipendente o parasubordinata, se il reddito che ne deriva non supera 8.000 euro all’anno;

con attività di lavoro autonomo, se il reddito che ne deriva non supera 4.800 euro annui.

Inoltre, si decade dal diritto all’indennità se si raggiungono i requisiti della pensione anticipata.




mercoledì 12 luglio 2017

Dal 10 luglio 2017 i nuovi voucher: Libretto di famiglia e Contratto di prestazione occasionale




Al posto dei vecchi e super abusati bonus, ecco il Libretto di famiglia e il «Contratto di prestazioni occasionali» che può essere usato solo da imprese con meno di 5 dipendenti assunti a tempo indeterminato. Al loro posto ci sono il Libretto di famiglia (Lf)   e il Contratto di prestazione occasionale (Cpo). Il primo va usato quando il datore di lavoro è una persona fisica. Il secondo per imprese e liberi professionisti che hanno non più di 5 dipendenti a tempo indeterminato in azienda.

L’ambito familiare è definito e limitato alle sole persone fisiche che non esercitano attività d’impresa o professionale. I lavori che possono essere resi dai prestatori (anche per più famiglie) sono unicamente i piccoli lavori domestici (compresi quelli di giardinaggio, pulizia o manutenzione), l’assistenza domiciliare ai bambini, persone anziane, ammalate o con disabilità, l’insegnamento privato supplementare. Di conseguenza non sarà, per esempio, possibile utilizzare il l Libretto di famiglia da parte di un condominio (che non è persona fisica e sarà trattato come tutti gli altri utilizzatori).

Escluse da questi contratti le imprese che operano in edilizia e affini, attività di escavazione, lavorazione di materiale lapideo e in miniere, cave e torbiere. Il Cpo non può essere usato nemmeno nell’ambito di esecuzione di appalti di opere o servizi. Per questo progetto l’Inps ha attivato una piattaforma digitale: dove chi li utilizza deve registrarsi.

Tra i diritti del lavoratore: un riposo giornaliero, pause e riposi settimanali; assicurazione contro infortuni sul lavoro e malattie professionali; assicurazione per invalidità e vecchiaia, con iscrizione alla gestione separata. I compensi sono: esenti da tassazione ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche; computabili ai fini della determinazione del reddito necessario per rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno e non incidono sullo stato di disoccupato o inoccupato. Il «Libretto di famiglia» può essere usato solo per lavori domestici, inclusi quelli di giardinaggio, pulizia o manutenzione; assistenza domiciliare a bambini e persone anziane, malate o disabili; insegnamento privato supplementare. Il Cpo, invece, riguarda professionisti, lavoratori autonomi, imprenditori, associazioni, fondazioni ed altri enti di natura privata, oltre che imprese agricole e Pa.

Il concetto di occasionalità della prestazione è definito dal limite economico senza che ci sia una distinzione tra libretto famiglia e contratto di prestazione occasionale. Nel corso di un anno civile (1° gennaio – 31 dicembre) è consentito acquisire prestazioni di lavoro occasionale:

per ciascun prestatore, con riferimento alla totalità degli utilizzatori, compensi di importo complessivamente non superiore a 5.000 euro;

per ciascun utilizzatore, con riferimento alla totalità dei prestatori, compensi di importo complessivamente non superiore a 5.000 euro;

per le prestazioni complessivamente rese da ogni prestatore in favore del medesimo utilizzatore, compensi di importo non superiore a 2.500 euro.

Questi importi sono al netto di contributi e oneri di gestione.

Per il collaboratore domestico, il primo passo che deve svolgere per usufruire del nuovo strumento contrattuale è lo stesso del datore di lavoro: si deve registrare sulla piattaforma digitale dell’Inps (www.inps.it alla voce «Prestazioni occasionali» ). A lui spetta decidere come ricevere il compenso: accredito su un conto corrente fornendo l’iban, su un libretto postale o su una carta di credito abilitata. Infine il lavoratore può scegliere anche un bonifico domiciliato da riscuotere agli sportelli postali.

Ciascun lavoratore può incassare massimo 5 mila euro l’anno e il limite è di 2 mila e 500 per un solo datore di lavoro. Stessa cosa vale al contrario: ciascun datore di lavoro può raggiungere un importo complessivo non superiore a 5 mila euro. Limiti ci sono anche per la durata della prestazione che in un anno (calcolato dal 1° gennaio al 31 dicembre) non può superare le 280 ore complessive. Per il Libretto famiglia il compenso minimo stabilito è di 10 euro lordi all’ora, 8 netti.

Il datore di lavoro, dopo essersi registrato sul portale dell’Inps, dovrà versare una somma di denaro che formerà il suo portafoglio elettronico per pagare compenso, contributi e oneri di gestione. Inoltre il datore di lavoro, se si tratta di un «Lf», deve comunicare la prestazione entro il giorno 3 del mese successivo alla prestazione. Se si tratta di un «Cpo» invece almeno 60 minuti prima della prestazione. Il lavoratore sarà a sua volta avvisato con mail o sms.

Come registrarsi
Sul piano degli adempimenti, per accedere al Libretto di Famiglia è prevista la registrazione obbligatoria per l’utilizzatore e il prestatore sulla piattaforma informatica dell’Inps (www.inps.it). Adempimenti che potranno essere svolti anche dagli intermediari abilitati (legge 12/1979 e patronati) appena sono pronte le funzionalità (entro fine luglio). In fase di registrazione bisognerà scegliere se accedere al libretto famiglia o al contratto per prestazioni occasionali. Ciascun libretto famiglia contiene titoli di pagamento con un valore nominale di 10 euro, utilizzabili per compensare prestazioni di durata non superiore a un’ora. Per ciascun titolo di pagamento erogato sono dovuti la contribuzione all’Inps (1,65 euro), il premio Inail (0,25 euro) e gli oneri gestionali (0,10 euro). Il compenso orario è dunque pari a 8 euro.

Per il Cpo il compenso giornaliero non può essere inferiore a 36 euro netti, che è la retribuzione minima per 4 ore di lavoro. Questo vale anche se la prestazione ha una durata inferiore. Per le ore successive il compenso è di 9 euro l’ora, ai quali si devono aggiungere gli oneri a carico del datore di lavoro e un’addizionale dell’1% per gli oneri di gestione della prestazione e dell’erogazione del compenso. Il costo totale diventa quindi di 12,29 euro.

Le eccezioni
Si applica anche alle famiglie (come utilizzatori) la particolarità di calcolo del limite di compenso annuo se impiegano pensionati, giovani con meno di 25 anni, persone disoccupate o percettori di prestazione di sostegno al reddito. Per loro il computo sarà ridotto (75% dei compensi erogati) a favore dell’utilizzatore, ma non per il prestatore. In altre parole, impiegando solamente questi prestatori l’utilizzatore avrà un limite d’importo più elevato (6.667 euro), ma per il lavoratore i limiti rimangono quelli ordinari (2.500 oppure 5.000 euro) senza poterli superare. Come nella pregressa disciplina sui voucher, i compensi percepiti dal prestatore sono esenti da imposizione fiscale, non incidono sul suo stato di disoccupato e sono computabili ai fini della determinazione del reddito necessario per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno.


lunedì 10 luglio 2017

APe volontaria e APe sociale, requisiti e beneficiari a confronto




L'Ape Sociale è un’indennità garantita dallo Stato ed erogata dall’Inps a lavoratori in stato di bisogno che chiedano di andare in pensione in anticipata. La domanda all’Inps per questa tipologia di pensione anticipata dovrà essere presentata nella finestra temporale compresa tra il 1 maggio e il 30 giugno 2017. Tale finestra sarà valida per tutti coloro che raggiungeranno i requisiti richiesti per l’accesso entro il 31 dicembre 2017.

Ricordiamo innanzitutto le regole di base dell’anticipo pensionistico APE: lo possono utilizzare dipendenti pubblici e privati e lavoratori autonomi con 63 anni di età a cui mancano tre anni e sette mesi per il raggiungimento della pensione di vecchiaia, con almeno 20 anni di contributi.

Le certezze definitive si avranno solo con i decreti attuativi sull’APe volontaria, che sono ancora attesi, ma comunque sia le regole applicative sull’APe sociale hanno già chiarito tutti i dubbi relativi alle differenze di requisiti per l’accesso alle due indenità. Il punto in comune è rappresentato dai 63 anni di età, che sono sempre necessari sia per il diritto all’Ape sociale sia per quello all’APe volontaria.

Il requisito contributivo invece è più alto per l’APe sociale. Per l’anticipo pensionistico di mercato bastano 20 anni di contributi, per quello pagato dallo stato ce ne vogliono 30 (disoccupati, caregiver, lavoratori con disabilità al 74%), oppure 36 (mansioni gravose).

Il tempo che manca all’età per la pensione di vecchiaia è un paletto che riguarda solo l’APe volontaria, mentre non è previsto per l’APe sociale: quindi, per l’accesso all’APe volontaria non possono mancare più di tre anni e sette mesi alla maturazione del requisito per la pensione di vecchiaia. Per l’APe sociale non è previsto alcun paletto. Sono in realtà allo studio meccanismi per prevedere una flessibilità nell’applicazione del requisito dei 3 anni e 7 mesi per l’APe volontaria, per armonizzare la legge agli scatti sulle aspettative di vita (che non possono essere calcolati in anticipo, ma che potrebbero poi allungare la distanza dalla pensione). Per questi dettagli, bisogna attendere il decreto applicativo. Un’altra differenza relativa al rapporto fra APe e maturazione della pensione, è che l’APe volontaria è utilizzabile esclusivamente per raggiungere la pensione di vecchiaia (con scelta non più revocabile), mentre l’APe sociale si interrompe nel caso in cui, prima del raggiungimento della pensione di vecchiaia, il lavoratore maturi il diritto a pensione anticipata.

In entrambi i casi, è previsto che l’assegno venga calcolato sulla base della pensione maturata nel momento della richiesta. Ma gli importi sono diversi. Nel caso dell’APe sociale c’è un tetto a 1500 euro lordi. Nel caso dell’APe volontaria, invece, è previsto che l’assegno maturato sia pari ad almeno 1,4 volte il minimo (700 euro lordi). Quindi, questo ultimo trattamento (l’Ape volontario) non può essere inferiore a 700 euro lordi, mentre l’Ape sociale non può superare i 1500 euro. Attenzione: è possibile che i decreto attuativi sull’APe volontario permettano di sommare le due indennità, consentendo quindi a chi avrebbe maturato un assegno più alto di 1500 euro di chiedere la differenza sotto forma di APe volontaria. In questo caso, la somma sarà poi da restituire con rate ventennali.

Come è noto, la fondamentale differenza fra i due trattamenti è che l’APe volontaria è un anticipo pensionistico, finanziato dal sistema bancario, che poi viene restituito con al pensione (pagando rate per 20anni), mentre l’APe sociale è un’indennità pagata interamente dallo Stato. Altro punto importante da sottolineare: l’APe volontario è compatibile con il proseguimento dell‘attività lavorativa, mentre per l’accesso all’Ape sociale bisogna interrompere l’attività lavorativa. E’ possibile sommare solo redditi da lavoro dipendente fino a 8mila euro annui, o da lavoro autonomo fino a 4mila 800 euro annui.

Infine, l’APe volontario è utilizzabile da tutte le categorie di lavoratori con 63 anni, 20 anni di contributi, al massimo 3 anni e sette mesi alla pensione di vecchiaia, e con un assegno pari ad almeno 1,4 volte il minimo, mentre l’APe sociale è riservato a quattro specifiche tipologie di lavoratori, ovvero:

disoccupati per licenziamento, dimissioni per giusta causa, o procedure di conciliazione ex legge 604/1996 (articolo 7), che abbiamo terminato il sussidio spettante da almeno tre mesi;

caregiver che assistono da almeno sei mesi coniuge, partner in unione civile, o parente di primo grado convivente con handicap grave;

lavoratore disabile almeno al 74%;

addetto a mansioni usuranti (fra quelle contenute nell’allegato alla Legge di Bilancio).




lunedì 19 giugno 2017

Pensioni: domande INPS aperte per APe sociale e pensione precoci



Decreti APe sociale e pensione precoci nella Gazzetta Ufficiale n.138 del 16 giugno, contemporaneamente alle istruzioni INPS (circolare INPS n. 99 che disciplina l’applicazione della pensione anticipata dei lavoratori precoci e la circolare n.100 che disciplina l’applicazione dell’APE sociale), che sanciscono quindi il via libera alle domande per i nuovi canali di flessibilità in uscita . Il presidente dell’INPS, Tito Boeri, ha confermato l’apertura dei termini per la domanda a partire dalla  mezzanotte del 17 giugno del 2017: «siamo in grado di raccogliere le domande di Ape sociale».


Secondo il Ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, con la pubblicazione dei decreti: «i lavoratori in condizioni di difficoltà, per quest’anno stimati in circa 60mila, possono anticipare fino a tre anni e sette mesi l’età di pensionamento, con potenziali effetti positivi sul ricambio generazionale in azienda».

Si stimano 35mila soggetti con i requisiti APE e 20mila precoci. Il nuovo ammortizzatore sociale (anticipo pensionistico APE) è riservato a chi ha più di 63 anni e si trova in condizioni di disagio lavorativo e sociale.

Per i Precoci si apre una finestra di uscita con 41 anni di contributi  purché rientrino in una delle quattro categorie di disagio valide per l’APE sociale: disoccupazione da almeno 3 mesi, familiari disabili a carico, invalidità pari o superiore al 75%, lavoro usuranti per almeno 6 anni negli ultimi 7.

I termini per la presentazione delle domande preliminari si chiudono il 15 luglio per chi matura i requisiti entro fine 2017. Le domande di APE saranno accolte nel limite di spesa di 300 milioni di euro per quest’anno. Quelle per i lavoratori precoci fino a 360 milioni.

il conto alla rovescia è partito per presentare le domande all’INPS di accesso all’Ape sociale o al pensionamento anticipato da parte dei lavoratori precoci, ovvero chi ha lavorato almeno un anno prima di compierne 19.

Chi può accedere
Con qualche mese di ritardo sulla tabella di marcia (i nuovi sono in vigore dal 1° maggio) si attiva dunque il nuovo ammortizzatore sociale per gli over 63enni in condizione di bisogno che non hanno ancora l’età per la pensione di vecchiaia. Mentre per i precoci si apre una finestra di uscita alla pensione con 41 anni di contributi versati (contro i 41 anni e 10 mesi per gli uomini e i 42 e 10 mesi se donne) a patto di rientrare in una delle quattro categorie di disagio valide per l’Ape sociale: disoccupazione da almeno 3 mesi, familiari disabili a carico, una invalidità pari o superiore al 75%, aver svolto un lavoro usurante per almeno 6 anni negli ultimi 7.

Assegno massimo di 1.500 euro lordi
L’Ape sociale è una vera e propria indennità ponte verso la pensione. Il suo importo è commisurato alla pensione attesa, con un massimo di 1.500 euro lordi mensili per 12 mensilità (circa 1.325 netti) fino a un massimo di 43 mesi, ma il termine potrebbe allungarsi di qualche mese se dal 2019 cambieranno i requisiti di pensionamento per l’adeguamento alla nuova aspettativa di vita (si parla di un allungamento possibile di 3 o 5 mesi). L’Ape sociale è inoltre tassata come reddito da lavoro dipendente e gode quindi di tutte le detrazioni e i crediti d’imposta spettanti a tali redditi, compreso quindi il “bonus” 80 euro che i pensionati non hanno. È inoltre compatibile con redditi da lavoro dipendente o da collaborazione coordinata e continuativa, fino al limite di 8mila euro annui, e da lavoro autonomo fino al limite di 4.800 euro annui. Per accedere si terrà conto di tutta la contribuzione versata, compresi i contributi figurativi cumulati in caso di cassa integrazione, per esempio, principio attualmente non previsto per l’accesso alla pensione anticipata. «L’Ape sociale - ha spiegato Stefano Patriarca, uno dei consiglieri economici di palazzo Chigi che più ha lavorato a questa misura - è una rilevante innovazione nel nostro welfare».

Domande entro il 15 luglio
I termini per la presentazione delle domande si chiudono il 15 luglio per chi matura i requisiti entro quest’anno ed entro il 31 marzo del 2018 per chi li matura l’anno venturo (si veda l’altro articolo in pagina) sia per l’Ape sociale sia per usufruire della finestra di anticipo precoci. Le due misure sono sperimentali e restano in vigore nella versione attuale per due anni. Dovrebbero intercettare domande per circa 35mila che usufruiranno dell’Ape e 20mila precoci nel primo anno di applicazione secondo stime governative e dell’Inps. Le domande di Ape sociale saranno accolte nel limite di spesa di 300 milioni di euro per quest’anno e fino a 609 milioni di euro per il 2018. Quelle per i precoci fino a 360 milioni quest’anno e 505 l’anno prossimo.



sabato 20 maggio 2017

Pensioni: novità, proposte e calcoli



Fra le misure della riforma delle pensioni c’è il fermo agli adeguamenti alle speranze di vita per alcune categorie di lavoratori, in particolare precoci e addetti a mansioni usuranti. Non ci sono invece novità su questo fronte per le altre tipologie di pensioni, che quindi continuano ad applicare gli aumenti delle aspettative di vita previsti dalla legge.

Sul fronte pensioni, arrivano buone novità dall'associazione Lavoro e Welfare, presieduta da Cesare Damiano, che ha lanciato una petizione online per chiedere il sostegno dei lavoratori nei confronti del disegno di legge sulla flessibilità in uscita, il ddl 857. Il gruppo Pd sostiene il ddl: “Le diverse riforme in materia di pensioni dal 1992 a oggi hanno messo in sicurezza i conti pubblici. Tuttavia hanno lasciato molti problemi aperti, sui quali è importante discutere e intervenire al più presto” si legge nella petizione per ottenere la riforma delle pensioni. “La manovra Fornero non ha previsto la fase di transizione e ha irrigidito il sistema, determinando tra l’altro il problema degli esodati, cui si è cercato di rispondere con le sette salvaguardie. L’allungamento dell’età pensionabile, inoltre, frena l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Sosteniamo quindi la proposta di legge A.C. 857/2013 “Damiano-Gnecchi ed altri” che introduce la flessibilità in uscita, consente di lasciare il lavoro con un anticipo fino a quattro anni rispetto ai requisiti previsti, con penalizzazioni accettabili”.

La proposta di Damiano per la flessibilità delle pensioni prevede un pensionamento flessibile a partire dai 62 anni e 7 mesi di età e 35 anni di contributi con una penalità del 2% per ogni anno di anticipo rispetto all’età di 66 anni e 7 mesi, mentre per i lavoratori precoci si garantirebbe un’uscita unica a 41 anni di contributi. Nella petizione, inoltre, c’è la volontà di ulteriori interventi per rendere più equa la previdenza italiana con: 1) l’ottava e ultima salvaguardia degli esodati; 2) il monitoraggio di opzione donna per l’inclusione di altre lavoratrici; 3) un meccanismo adeguato di indicizzazione per le pensioni medio basse. Intanto, i lavoratori precoci sono tornati a chiedere con forza l’introduzione di quota 41 senza penalizzazioni sia sui palchi delle organizzazioni sindacali che negli studi di programma, come Quinta Colonna, che da sempre si occupano di pensionati e della flessibilità in uscita.

Novità hanno registrato l’intervento di Elsa Fornero al programma di Lucia Annunziata, nel quale ha ribadito di non condividere il ragionamento di mandare in pensione le persone a un’età ancora giovane (66 e 67 anni) per fare posto a quelle che sono più giovani è un modo di ragionare sbagliato, ma di approvare invece l’idea di una tutela per le persone che hanno cominciato da giovanissime a lavorate, come i precoci.

Sul fronte pensioni, lavoro ed occupazione, in base a quanto riporta l’agenzia Italpress il segretario della Uil Milano e Lombardia Danilo Margaritella, ha così dichiarato pochi giorni fa: “Noi registriamo, ancora, una disoccupazione giovanile molto forte, difficoltà nel ricambio generazionale con un sistema di flessibilità vero“, perché “l’ipotesi del part-time in uscita è come dare un’aspirina a un malato grave”, continua Margaritella e racconta di una giovane delegata della RSU della sua azienda, che all’attivo confederale, ha posto una domanda precisa ai 3 segretari nazionali: “‘siamo ancora un Paese che vive sul lavoro, come recita l’articolo 1 della Costituzione? Perché intorno a me vedo solo grandi difficoltà’. È un ragionamento emblematico”, commenta. Per risolvere “la difficoltà occupazionale e il disagio economico basterebbe prendere le risorse dall’evasione fiscale, dagli 80 mld di euro accumulati con la riforma Fornero fino al 2020”, spiega Margaritella. “C’è necessità di chiudere i rinnovi contrattuali, come i metalmeccanici e la funzione pubblica, della riforma delle pensioni, ci vuole buona volontà politica”.

Sul capitolo pensioni e lavoro, ieri giornata di sciopero del pubblico impiego per il rinnovo dei contratti nazionali e l’aumento delle retribuzioni ferme da oltre sei anni, la valorizzazione dei contratti di settore, il rilancio della contrattazione decentrata, il superamento dei vincoli della legge Fornero sulle pensioni e lo sblocco del turnover. Sono alcune delle richieste dei sindacati toscani in vista dello sciopero. I tre sindacati, Fp-Cgil, Cisl-Fp e Uil-Fpl e Uil-Pa hanno chiesto ancora di rafforzare il confronto regionale e aziendale sugli effetti della riforma del sistema socio sanitario regionale per valorizzare il lavoro e migliorare la qualità dei servizi; di garantire il posto di lavoro nei cambi di appalto e nei processi di riorganizzazione e un piano di assunzioni per mantenere la qualità e quantità dei servizi erogati e ridurre le liste di attesa in sanità ed infine aprire un confronto con la Regione sull’assetto istituzionale e delle funzioni, per scongiurare le ricadute occupazionali e sui servizi ai cittadini e alle imprese prodotte dalla riforma della pubblica amministrazione.

Sul fronte pensioni, novità importante quella introdotta grazie Miowelfare, start up innovativa, guidata da Angelo Raffaele Marmo, giornalista, esperto di welfare, già direttore generale della comunicazione del Ministero del Lavoro. Miowelfare, infatti, dopo una fase di test, rende ora operativa una nuova versione del pensionometro, uno strumento che stima quando si potrà andare in pensione e con quanto. Secondo quanto riportato da Adnkronos, il comparatore di Miowelfare si basa su algoritmi che permettono di stimare l’andamento futuro dei Piani. Pensionometro e comparatore, utilizzati insieme, consentono di determinare una stima della pensione pubblica, del momento in cui potrebbe essere percepita e della cifra di cui si compone, verificando il gap tra la prestazione e l’ultimo stipendio o reddito, e la possibilità di stabilire come colmare la differenza attraverso la previdenza complementare e, in particolare, attraverso i Pip.

Va fatta una premessa: attualmente per il 2017  l'età per andare in pensione e ricevere la pensione di vecchiaia è fissata a :

66 anni e sette mesi  per gli uomini ( sia autonomi che dipendenti , pubblici e privati) e le donne che lavorano nel settore pubblico;

65 anni e 7 mesi per le donne dipendenti del settore privato;

66 anni e 1 mese per le donne lavoratrici autonome.

Dal 2018,  per tutti , l'età è stata unificata dalla riforma Fornero e sarà  a 66 anni e 7 mesi

Da ricordare che alla pensione di vecchiaia hanno diritto tutti i lavoratori assicurati con la previdenza obbligatoria  e che all'età stabilita abbiano un anzianità contributiva di almeno 20 anni.

Per la pensione di anzianità , invece, cui si accedeva a prescindere dall'età  ma avendo un requisito contributivo più alto,  la riforma Monti- Fornero ha alzato i paletti e, definendola " pensione anticipata" a partire dal 2012  sono necessari almeno:

41 anni e 10 mesi di contributi  per le donne e

42 anni e 10 mesi per gli uomini sia nel pubblico che nel privato  con almeno 35 anni di  contribuzione effettiva.





Pensioni: flessibilità in uscita, ecco le possibilità previste



Sono previsti dei percorsi alternativi, anche se non sempre facilmente attuabili, alla pensione di vecchiaia ordinaria, i cui requisiti anagrafici per il 2016 sono di 66 anni e 7 mesi per gli uomini indipendentemente dal settore lavorativo e per le donne dipendenti della pubblica amministrazione, di 65 anni e 7 mesi per le dipendenti del settore privato e di 66 anni e 1 mese per le autonome e le iscritte alla gestione separata dell'Inps. La riforma previdenziale di fine 2011 oltre alla vecchiaia ha regolato la pensione anticipata, che si raggiunge quest'anno con 42 anni e 10 mesi di contributi (un anno in meno per le donne) indipendentemente dall'età. Garantisce un vantaggio, rispetto alla “vecchiaia” a chi ha iniziato a lavorare non troppo dopo i venti anni di età e non ha “buchi” contributivi.

Sempre legata all'ultima riforma c'è la pensione anticipata con il sistema contributivo, a cui può accedere solo chi ha iniziato a versare dal 1996 e quindi è soggetto al calcolo della pensione interamente con il sistema contributivo. Sono necessari 20 anni di contributi (quindi proprio quest'anno diventa effettivamente fruibile), 63 anni e 7 mesi di età e l'importo dell'assegno previdenziale deve essere almeno 2,8 volte il valore di quello sociale, quindi deve essere pari almeno a 1.254,60 euro lordi.

Sono ancora in vigore le agevolazioni per i lavoratori soggetti ad attività usuranti o svolte di notte, a cui si applica ancora il sistema delle “quote” (somma di età e anni di contributi) ma aggiornato all'aspettativa di vita. I requisiti minimi per i dipendenti sono quota 97,6 con un minimo di 61 anni e 7 mesi di età e 35 anni di contributi e, per gli autonomi, quota 98,6 con un minimo di 62 anni e 7 mesi di età e 35 anni di contributi (per i notturnisti si possono aggiungere 1-2 anni in relazione al numero di notti lavorate).

Per le donne dipendenti che hanno maturato 57 anni e 3 mesi di età e 35 di contributi (58 anni e 3 mesi per le autonome) entro il 2015, è ancora aperta l'opzione donna, cioè la possibilità di andare in pensione trascorsi la finestra mobile o anche successivamente a fronte però del calcolo dell'assegno con il metodo contributivo che comporta in media una penalizzazione del 25-30% rispetto al sistema misto a cui avrebbero diritto.

Ci sono poi delle alternative che prevedono il coinvolgimento del datore di lavoro e non si basano quindi sulla sola scelta del lavoratore. Sempre con la riforma del 2011 è stata introdotta la possibilità di gestire i dipendenti in esubero a cui manchino non più di 4 anni alla pensione erogando una sorta di prepensione interamente a carico dell'azienda. Una volta raggiunti i requisiti minimi, scatterà la pensione vera e propria.

Fa convivere la pensione con il lavoro il part time introdotto con la legge di Stabilità 2016, destinato a chi, dipendente a tempo indeterminato, ha già almeno 20 anni di contributi ed entro il 2018 raggiungerà i requisiti per la pensione di vecchiaia. In accordo con l'azienda possono ridurre l'orario dal 40 al 60% e incassare oltre a quanto dovuto, la parte di contributi a carico dell'azienda per le ore non lavorate.

Infine c'è il mix di part time e pensione di più complessa attuazione. Previsto dal Jobs act attende ancora le indicazioni operative, ma può scattare solo nell'ambito di contratti di solidarietà espansivi (riduzione generalizzata di orario a fronte di nuove assunzioni): in questa situazione i dipendenti a cui mancano non più di 2 anni alla pensione si possono ridurre l'orario almeno per oltre la metà e percepire in anticipo una parte della pensione fino a incassare complessivamente quanto avrebbero preso continuando a lavorare a tempo pieno. Ulteriori misure ad hoc sono riservate ai lavoratori coinvolti nelle bonifiche dell'amianto e per i nati nel 1952.


lunedì 8 maggio 2017

Bonus mamma: certificati medici online




Il certificato medico di gravidanza per le prestazioni di maternità come il bonus mamma può essere solo telematico. Lo ha disposto la circolare INPS 82 2017.

L'INPS ha spiegato che nella circolare 82 -2017 che è stata messa a punto la procedura per la gestione telematica dei certificati di gravidanza o interruzione di gravidanza, che i medici devono emettere, per permettere appunto alle gestanti di ottenere le prestazioni di assistenza alla maternità. Nella circolare viene specificato che il medico dovrà utilizzare la procedura di invio esclusivamente online, anche se per i prossimi tre mesi è previsto un regime transitorio nel quale sono ancora utilizzabili i certificati cartacei.

Il medico dopo aver inviato il certificato all'INPS, comunicherà un codice identificativo all'interessata,  che potrà cosi  visualizzare il certificato nel sito INPS , cosi come potrà fare  il datore di lavoro . Potrà anche essere rilasciata una copia cartacea. La novità è un ulteriore passo nell'attuazione del Codice per  l'amministrazione digitale previsto dal decreto legislativo 179/2016.

La trasmissione del certificato telematico comporta che la donna non sia più tenuta a presentare all’Istituto il certificato di gravidanza o di interruzione della gravidanza in formato cartaceo per accedere alle prestazioni economiche per la tutela della maternità (es. indennità di maternità, premio alla nascita eccetera) con un evidente effetto di semplificazione per l'utenza. I certificati telematici ricevuti dall’Inps vengono quindi messi a disposizione della lavoratrice sul sito Internet dell’Istituto, previa identificazione con PIN o CNS. Lo stesso vale per i datori di lavoro, che dovranno inserire il codice fiscale della lavoratrice e il numero di protocollo del certificato fornito dalla stessa, per la consultazione degli attestati.

Nella trasmissione telematica dei certificati, i medici dovranno inserire obbligatoriamente le generalità della lavoratrice; la settimana di gestazione alla data della visita; la data presunta del parto o quella di interruzione della gravidanza. Inoltre, dovrà rilasciare alla donna il numero univoco di certificato assegnato dal sistema, potendo eventualmente fornirle anche una copia cartacea del certificato medico di gravidanza o di interruzione della gravidanza e delle rispettive attestazioni, prive della settimana di gestazione.

In caso di errata trasmissione di un certificato, il medico potrà procedere al suo annullamento attraverso la stessa applicazione utilizzata per la trasmissione, ma potrà farlo esclusivamente entro la mezzanotte del giorno seguente alla data di trasmissione. In tale intervallo di tempo il certificato telematico è pertanto da considerarsi in stato “non consolidato” e non potrà dare origine ad effetti di carattere amministrativo.

Decorso il predetto termine, la cancellazione dei certificati acquisiti dall’Istituto sarà possibile esclusivamente previa presentazione alla sede territoriale INPS di competenza di una richiesta scritta di annullamento da parte del medico certificatore o da una persona di sua fiducia munita di delega, oppure dalla donna alla quale è stato rilasciato il certificato.

L’annullamento è ammesso ed accettato dall’Istituto solo quando gli errori del certificato si riferiscano alle generalità della gestante o al suo codice fiscale. L’Inps precisa, infatti, che non è possibile accettare richieste di annullamento di certificati che il medesimo o altro medico intenda poi nuovamente emettere con una diversa data presunta di parto (art. 21 co.1 del D. Lgs. 26 marzo 2001, n. 151).

I certificati di gravidanza e di interruzione della gravidanza possono essere trasmessi telematicamente esclusivamente da un medico del Servizio Sanitario Nazionale o con esso convenzionato, collegandosi all’apposito servizio presente sul sito dell’Istituto nella sezione riservata ai “Medici certificatori”. E’ previsto un periodo transitorio di tre mesi, dalla data di pubblicazione della Circolare, durante il quale è riconosciuta la possibilità per il medico di procedere al rilascio cartaceo dei certificati di gravidanza e di interruzione della gravidanza.

I datori di lavoro, previa autenticazione con PIN o CNS, ed esclusivamente previo inserimento del codice fiscale della lavoratrice e del numero di protocollo del certificato fornito dalla stessa, potranno accedere in consultazione agli attestati attraverso un’apposita applicazione esposta sul sito dell’INPS.

La trasmissione telematica dei predetti certificati medici prevede obbligatoriamente l’inserimento, da parte del medico stesso, dei seguenti dati: le generalità della lavoratrice; la settimana di  alla data della visita; la data presunta del parto; la data di interruzione della gravidanza (nel certificato di interruzione gravidanza). Il medico certificatore deve rilasciare alla donna il numero univoco di certificato assegnato dal sistema, potendo eventualmente fornire alla stessa anche una copia cartacea: del certificato medico di gravidanza o di interruzione della gravidanza e delle rispettive attestazioni, prive della settimana di gestazione.

Decorso il predetto termine, la cancellazione logica dei certificati acquisiti dall’Istituto sarà possibile esclusivamente previa presentazione alla sede territoriale INPS di competenza di una richiesta di annullamento. La richiesta, necessariamente in forma scritta, deve essere adeguatamente motivata e sottoscritta dal medico certificatore. Potrà essere presentata dal medico stesso o da persona di sua fiducia munita di delega espressa, ovvero dalla donna alla quale è stato rilasciato il certificato.

L’Inps fornisce assistenza ai datori di lavoro e alle donne tramite gli operatori del Contact Center Integrato Inps-Inail, raggiungibile attraverso il numero verde gratuito da rete fissa 803164 o il numero a pagamento 06164164 da rete mobile.


giovedì 4 maggio 2017

Rientro anticipato dalla malattia: il certificato va rettificato



Precisazioni dall’Inps in tema di certificato di malattia che va obbligatoriamente rettificato in caso di rientro anticipato al lavoro prima della data di fine prognosi.

Poiché questa disposizione viene spesso disattesa, d’ora in poi qualora l’INPS verifichi il mancato rispetto di questo adempimento, il lavoratore sarà sanzionato.

La rettifica della data di fine prognosi è un adempimento obbligatorio per il lavoratore, sia nei confronti del datore di lavoro, che nei confronti dell’Inps – scrive nella circolare. L’Istituto, infatti, con la presentazione del certificato di malattia, avvia l’istruttoria per il riconoscimento della prestazione previdenziale, senza necessità di presentare alcuna specifica domanda. Il certificato medico, pertanto, per i lavoratori cui è garantita la tutela della malattia, assume di fatto il valore di domanda di prestazione.

Tuttavia, la corretta e tempestiva rettifica del certificato non costituisce a tutt’oggi una prassi seguita dalla generalità dei lavoratori, conclude la nota dell’Inps. A tal proposito, si ricorda che l’assenza a visita medica di controllo domiciliare disposta dall'Istituto comporta specifiche sanzioni (in termini di mancato indennizzo di periodi di malattia), prosegue l’ente previdenziale.

Con la circolare 79/2017 si chiarisce che l’assenza alla visita medica di controllo sarà sanzionata allo stesso modo anche quando sia dovuta a un rientro anticipato al lavoro in assenza di tempestiva rettifica del certificato contenente la prognosi. Anche in questo specifico caso, infatti, il lavoratore risulta assente a in un giorno in cui è ancora da considerare inabile al lavoro, in base alla certificazione medica inviata all’Inps e sulla base della quale è stata disposta la visita domiciliare, conclude l’Inps. Ovvero in caso di guarigione anticipata rispetto alla data della prognosi riportata nel certificato,  il lavoratore, per rientrare al lavoro, deve chiedere una rettifica del certificato di malattia in corso. La circolare ricorda che in presenza di un certificato con prognosi ancora in corso, il datore di lavoro non può consentire al lavoratore la ripresa dell’attività lavorativa; inoltre va rispettato l’obbligo di correttezza nei confronti dell’Inps che , in  caso di mancata rettifica, liquiderebbe prestazioni di malattia non necessarie.

La rettifica va effettuata con richiesta allo stesso medico che ha stilato il primo certificato,  prima del rientro anticipato al lavoro del soggetto, "anche se il medico si trovi nella condizione di dover utilizzare il servizio alternativo di Contact Center per la presentazione dei certificati di malattia on line", specifica l'INPS.

La rettifica del certificato medico per rientro anticipato dalla malattia ha ovviamente 2 scopi fondamentali, il primo di ragione tecnica, cioè per la mera gestione pratica della malattia, .il lavoratore è tenuto a garantire la massima collaborazione e correttezza in quanto con la presentazione del certificato di malattia ha inteso instaurare uno specifico rapporto di natura previdenziale.

Il secondo riguarda la salute del lavoratore e dei suoi colleghi, serve ad evitare che per questioni di produzione il lavoratore rientri prima a lavoro ancora non completamente guarito mettendo a rischio la propria salute e quella degli altri lavoratori.

In caso di prolungamento della malattia il lavoratore, come normalmente avviene di prassi, provvede a farsi rilasciare dal medico uno o più certificati di continuazione, con i quali avviene il riconoscimento, per l’ulteriore periodo di incapacità temporanea al lavoro, della tutela per malattia.

Allo stesso modo, in caso di una guarigione anticipata, il lavoratore è tenuto a richiedere una rettifica del certificato in corso, al fine di documentare correttamente l’assenza dal lavoro per malattia.

Tuttavia l’INPS comunica che a tutt’oggi questo non avviene nella generalità dei casi, per cui con questa circolare si forniscono alcune indicazioni sugli obblighi del lavoratore e del datore di lavoro e sugli specifici provvedimenti sanzionatori.

La rettifica della data di fine malattia, a fronte di una guarigione anticipata, è un adempimento obbligatorio da parte del lavoratore:

nei confronti del datore di lavoro, perchè sancisce la ripresa anticipata dell’attività lavorativa;

nei confronti dell’Inps, in quanto mediante la presentazione del certificato di malattia, viene avviata l’istruttoria per il riconoscimento della prestazione previdenziale; il certificato, quindi, ha valore di domanda di prestazione.

Il datore di lavoro pertanto non può consentire il rientro a lavoro del lavoratore, sapendo che lo stesso è ancora in malattia, ai sensi della normativa sulla salute e sicurezza dei posti di lavoro.

Nei casi di lavoratori aventi diritto al pagamento diretto della prestazione, inoltre vi è il rischio di erogazione di prestazioni non dovute.

Per i suddetti motivi l’INPS conclude che, a seguito di assenza a visita di controllo domiciliare e/o ambulatoriale, per la mancata o tardiva comunicazione della ripresa anticipata dell’attività lavorativa, verranno applicate, nei confronti del lavoratore, le sanzioni già previste per i casi di assenza ingiustificata a visita di controllo, nella misura normale.

La sanzione sarà comminata al massimo fino al giorno precedente la ripresa dell’attività lavorativa, considerando tale ripresa come una dichiarazione “di fatto” della fine prognosi.

L'INPS ricorda infine che se  a seguito di visite fiscali si registra l' assenza del lavoratore per ripresa dell'attività lavorativa  senza la rettifica del certificato, verranno applicate, nei confronti del lavoratore, le stesse sanzioni già previste per ogni altro caso di casi di assenza ingiustificata,  fino al giorno precedente la ripresa dell’attività lavorativa.


lunedì 1 maggio 2017

CU 2017 INPS: come ottenere la Certificazione Unica



Nella circolare n. 76 del 27 aprile 2017 l’INPS fornisce le istruzioni sulle modalità di rilascio della Certificazione Unica 2017- La certificazione si può ottenere  sia in modalità telematica che con modalità alternative.

 Anche quest’anno la certificazione unica 2017 potrà essere scaricata attraverso il sito internet dell’Inps. Per scaricare e stampare la certificazione dal sito INPS è necessario autenticarsi con il proprio codice fiscale e PIN  ( non c'è bisogno del PIN dispositivo ma è sufficiente quello ordinario ) e  il percorso è il seguente :  www.inps.it / Prestazioni e servizi > Tutti i servizi > Certificazione unica 2017 (Cittadino) > (codice fiscale e PIN). Se si indica un indirizzo di posta elettronica  si riceve  un avviso di disponibilità  della CU da parte dell'Inps

Gli utenti possono accedere al servizio anche tramite credenziali SPID di livello 2 o superiore,  da richiedere agli Identity Provider accreditati dall’AGID.  Sarà inoltre possibile visualizzare la certificazione unica anche tramite l’APP istituzionale “INPS servizi mobile”, scaricabile dagli store Android e Apple.

Le altre modalità per ottenere  la Certificazione Unica 2017 sono le seguenti:

 Presso gli uffici INPS: in tutte le strutture territoriali dell’Istituto è disponibile almeno uno sportello a disposizione degli utenti  e  postazioni informatiche self service -
Posta Elettronica Certificata : a disposizione dei cittadini titolari di indirizzo di posta elettronica certificata il seguente indirizzo: CertificazioneUnica@postacert.inps.gov.it al quale far pervenire la relativa  richiesta.

Patronati, Centri di assistenza fiscale, professionisti abilitati   all’assistenza fiscale -  l’accesso da parte degli intermediari sopra indicati potrà avveniretramite il sistema SPID  con delega contenente : dati anagrafici dell’interessato e suo codice fiscale; anno d’imposta cui si riferisce la Certificazione Unica da prelevare; data di conferimento della delega.

 Comuni ed altre pubbliche amministrazioni - con le stesse procedure  del punto precedente
Servizio di “Sportello mobile”-il  servizio è riservato a particolari categorie di utenti :  ultraottantenni titolari di indennità di accompagnamento, utenti titolari di indennità speciale (Categoria: Ciechi civili) indipendentemente dall’età, utenti ultraottantenni delle provincie autonome e della Valle d’Aosta che devono contattare le sedi INPS territoriali.

Pensionati residenti all’estero - E' a disposizione un numero ai seguenti numeri telefonici dedicati: 0039- 06.59058000 – 0039-06.59053132, con orario 8–19.

Spedizione della Certificazione Unica 2017 al domicilio : in caso di impossibilità di utilizzare altre modalità gli utenti possono richiedere l'invio  postale contattando i i seguenti numeri verdi: 800 434320 (con risponditore automatico); 803 164 solo da rete fissa; 06 164164 solo da rete mobile.
Rilascio della Certificazione Unica 2017 a chi non è titolare:la richiesta può essere presentata sia da persona delegata, sia da parte degli eredi del soggetto titolare deceduto .

La CU può essere rilasciata anche a persone diverse dal titolare munite di delega con la quale si autorizza l’INPS al rilascio della certificazione richiesta e da copia del documento di riconoscimento.
La Certificazione Unica può essere rilasciata anche a persona diversa dal titolare. In questo caso la richiesta può essere presentata sia da persona delegata, sia da parte degli eredi del soggetto titolare deceduto. Nel primo caso, la richiesta deve essere corredata dalla delega, con la quale si autorizza esplicitamente l’INPS al rilascio della certificazione richiesta, e da copia del documento di riconoscimento dell’interessato e del delegato. Il delegato potrà presentarsi agli sportelli con massimo due deleghe. Nel secondo caso, così come già chiarito con il messaggio n. 7107/2013, l’utente deve presentare una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, ai sensi dell’art. 47 del DPR 445/2000, con la quale attesti la propria qualità di erede, unitamente alla fotocopia del proprio documento di riconoscimento.

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