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martedì 5 dicembre 2017

Contratto di apprendistato: licenziamento e preavviso come funziona




Il contratto di apprendistato presenta tra le proprie peculiarità, rispetto al rapporto di lavoro a tempo indeterminato, la possibilità per il datore di lavoro di recedere una sola volta, alla conclusione del periodo formativo. Il recesso è quindi esercitabile soltanto al termine del periodo formativo, esattamente nel giorno coincidente con il termine del periodo di apprendistato, con preavviso ma senza obbligo di motivazione. Le parti possono dunque recedere liberamente dal contratto, ma nel rispetto del preavviso e solo se a decorrere dal termine del periodo di formazione (art 2118 c.c.). Se questo non avviene, il rapporto prosegue come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

L'apprendistato è lo strumento più diffuso per l'inserimento nel mercato del lavoro. Si tratta di un particolare rapporto all'interno del quale il lavoratore acquisisce delle competenze professionali attraverso l'inserimento all'interno dell'organizzazione produttiva del datore di lavoro presso il quale svolge le proprie mansioni. Si dice, infatti, che si tratta di un contratto di lavoro a causa mista: da un lato, infatti, il lavoratore svolge una vera e propria prestazione lavorativa ricevendo in cambio, oltre alla retribuzione, una formazione specifica.

Se il licenziamento al termine dell’apprendistato non è legittimo si trasforma automaticamente in tempo indeterminato. Questo perchè, anche alla luce della disciplina sui contratti di lavoro in apprendistato, quando il licenziamento dell’apprendista risulta nullo (ad esempio per procedura irregolare) ed il rapporto si considera non interrotto – in manca di un regolare preavviso di licenziamento – ciò dà origine a un rapporto subordinato a tempo indeterminato.

Di norma, al termine del contratto, le parti possono recedere. Diversamente il rapporto di lavoro prosegue trasformandosi in tempo indeterminato. La risoluzione unilaterale da parte del datore di lavoro al termine dell’apprendistato richiede dunque formale disdetta, con l’osservanza del periodo di preavviso.

In tal senso, la previsione della disdetta ai sensi dell’art. 2118 c.c., cioè con preavviso, è propria di un rapporto indeterminato. Il mancato esercizio del diritto di recesso da parte del datore di lavoro e la nullità del licenziamento comportano dunque la trasformazione automatica del contratto di apprendistato a contratto di assunzione a tempo indeterminato. In sintesi, al contratto di apprendistato si applicano le norme sul licenziamento previste per gli altri contratti di lavoro dipendente.
Tuttavia, diversamente dagli altri, il mancato raggiungimento degli obiettivi formativi può ad esempio giustificare il licenziamento.

Diversamente, nel periodo di preavviso continua a trovare applicazione la disciplina del contratto di apprendistato (art. 2, co. 1, D. Lgs. n. 167/2011 come modificato dall’art. 1, co. 16, lett. b), L. 28 giugno 2012, n. 92). In questo contesto nulla è cambiato con il decreto legislativo di riordino dei contratti di lavoro attuativo del Jobs Act (art 42 del D.lgs 81/2015).

Per determinare i giorni di preavviso, nel rispetto del giusto livello di inquadramento, bisogna fare riferimento al periodo di preavviso previsto per il livello con cui si era inquadrati da apprendista e non a quello che si raggiunge al termine del periodo formativo. Il preavviso decorre dal momento in cui è conosciuta dall’altra parte e la decorrenza è interrotta nel caso in cui sopraggiungano le ferie.

Il licenziamento dell’apprendista è ammissibile ed è considerato giustificato (motivo oggettivo) se non implica una semplice sostituzione con addetti alle medesime mansioni. È però a carico del datore di lavoro l’onere di dimostrare il motivo. Quindi, se la causa è un riassetto aziendale, vanno comprovate le ragioni che la motivano oltre a quelle del licenziamento in questione.
Per quanto riguarda invece il licenziamento nel periodo di formazione, si applica la disciplina comune del recesso giustificato dai contratti di lavoro a tempo.

Per determinare i giorni di preavviso, nel rispetto del giusto livello di inquadramento, bisogna fare riferimento al periodo di preavviso previsto per il livello con cui si era inquadrati da apprendista e non a quello che si raggiunge al termine del periodo formativo. Il preavviso decorre dal momento in cui è conosciuta dall’altra parte e la decorrenza è interrotta nel caso in cui sopraggiungano le ferie.

Il datore di lavoro può risolvere il contratto di apprendistato alla fine del periodo di formazione. E’, infatti, prevista espressamente la possibilità per le parti di recedere dal contratto con preavviso decorrente dal termine del periodo di formazione.

Al termine del periodo formativo la decisione di risolvere il contratto, quindi, lasciata alle parti che potranno decidere di farlo senza giustificazioni. In questo caso, tuttavia, pur non essendo richieste motivazioni, sarà necessario comunicare in forma scritta la volontà di recedere all’altra parte e calcolando il preavviso, tenendo conto della data di conclusione del contratto. Se, invece, nessuna delle parti esercita la facoltà di recesso al termine del periodo di formazione, il rapporto prosegue come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.


martedì 28 novembre 2017

Lavoro: categorie protette, assunzioni obbligatorie e nominative per i disabili



La legge obbliga i datori di lavoro ad assumere una determinata quota di lavoratori iscritti alle categorie protette. Con questa legge lo Stato italiano ha voluto promuovere l'inserimento nel mondo lavorativo delle persone disabili e delle altre persone a cui la legge riconosce una condizione di svantaggio (es. cechi e sordi, invalidi di guerra, orfani ecc.).

La definizione “categorie protette” si riferisce in particolar modo a soggetti svantaggiati quali orfani, vedove e profughi. Quando invece ci si riferisce alle assunzioni obbligatorie, non è corretto fare riferimento esclusivamente alle categorie protette, poiché a queste si somma la categoria degli invalidi che, chiaramente, riguarda la maggior parte dei destinatari delle leggi a sostegno del lavoro dei disabili.

Quindi, alla luce della normativa vigente, i soggetti beneficiari delle disposizioni relative alle assunzioni obbligatorie sono le persone disoccupate e:

affette da minorazioni fisiche, psichiche e portatori di handicap intellettivo con una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45%;

invalide del lavoro con grado di invalidità superiore al 33%;

cechi assoluti o con residuo visivo non superiore ad un decimo ad entrambi gli occhi, con even-tuale correzione (vedi la scheda su cecità e sordità civile);

sorde (vedi la scheda su cecità e sordità civile);

invalide di guerra, invalide civili di guerra e di servizio;

vedove/i di deceduti per causa di lavoro, di guerra o di servizio, orfani, profughi e vittime del terrorismo e della criminalità organizzata.

Le aziende potranno assumere tramite richiesta nominativa o convenzione. Vi è maggiore libertà nella scelta delle persone da avviare al collocamento obbligatorio.

Per i disabili esistono le assunzioni nominative. L'obiettivo legislativo è razionalizzare e semplificare la normativa sul collocamento dei disabili e di potenziare l'accompagnamento e il supporto della persona con disabilità al fine di facilitarne l'inserimento lavorativo.

I datori di lavoro potranno assolvere l'obbligo di avviamento al lavoro scegliendo tra la chiamata nominativa o la stipula di apposite convenzioni con i centri per l'impiego aventi ad oggetto la determinazione di un programma mirante al conseguimento degli obiettivi occupazionali.

Al datore viene anche riconosciuta la possibilità di far precedere la richiesta nominativa dalla richiesta agli uffici competenti di effettuare la preselezione delle persone con disabilità iscritte negli speciali elenchi tenuti dai centri per l’impiego che aderiscano alla specifica occasione di lavoro (sulla base delle qualifiche e secondo le modalità concordate dagli uffici con il datore di lavoro).

Oltre alla chiamata nominativa o per convenzione i datori potranno effettuare l'assunzione diretta di lavoratori in specifiche condizioni di difficoltà, riconoscendo altresì per tali datori di lavoro il diritto a fruire degli incentivi previsti. Nello specifico la chiamata diretta potrà essere effettuata nei confronti di persone con disabilità che abbiano una riduzione della capacità lavorativa superiore al 79% o minorazioni annoverate dalla prima alla terza categoria di cui alle tabelle annesse al D.P.R. 915/1978 o che abbiano una riduzione della capacità lavorativa compresa tra il 67% ed il 79% o minorazioni elencate dalla quarta alla sesta categoria di cui alle tabelle citate, oppure lavoratori con disabilità intellettiva e psicofisica e con riduzione della capacità lavorativa superiore al 45% per un periodo di 60 mesi.

Solo in caso di mancata assunzione secondo le richiamate modalità entro 60 giorni dal momento in cui sorge l’obbligo di assunzione, scatta l’obbligo, per gli uffici competenti, di avviare o i lavoratori secondo l'ordine di graduatoria per la qualifica richiesta o altra specificamente concordata con il datore di lavoro sulla base delle qualifiche disponibili. Gli uffici possono altresì procedere anche previa chiamata con avviso pubblico e con graduatoria limitata a coloro che aderiscono alla specifica occasione di lavoro).

Lo scopo del legge è quello di semplificare la normativa che regola il collocamento dei disabili per facilitarne l’inserimento lavorativo. Il decreto, dal punto di vista delle aziende, lascia una maggior libertà ai datori di lavoro nella scelta dei dipendenti da avviare all’attività. Essi potranno, infatti, scegliere tra la chiamata nominativa e la stipula di convenzioni con i centri dell’impiego mirate al raggiungimento degli obiettivi occupazionali.

Alla richiesta nominativa il datore di lavoro può far precedere la richiesta agli uffici competenti di effettuare la preselezione delle persone con disabilità che aderiscano a quella specifica richiesta di lavoro. Ai datori di lavoro resta anche la scelta dell’assunzione diretta dei lavoratori con disabilità usufruendo comunque degli incentivi previsti.

L’assunzione diretta si potrà effettuare nei confronti di persone con una disabilità fisica superiore al 79% o una ridotta capacità lavorativa compresa tra il 67 e il 79%, oppure, ancora, lavoratori con disabilità psicofisica superiore al 45%.

I datori di lavoro, sia pubblici e sia privati, sono tenuti ad avere alle loro dipendenze lavoratori appartenenti alle categorie descritte nel precedente paragrafo nella misura di:

sette per cento dei lavoratori occupati, se occupano più di 50 dipendenti;

due lavoratori, se occupano da 36 a 50 dipendenti;

un lavoratore, se occupano da 15 a 35 dipendenti.

Per la definizione della base di calcolo, bisogna includere nel computo tutti i lavoratori assunti con vincolo di subordinazione (tranne quelli già assunti con collocamento obbligatorio), i soci di cooperative di produzione e lavoro, i dirigenti, i contratti di inserimento, i lavoratori sommini-strati presso l’utilizzatore, i lavoratori assunti per attività all’estero, i lavoratori socialmente utili (LSU), i lavoratori a domicilio e gli apprendisti.  Bisogna conteggiare anche gli assunti con contratto a tempo determinato fino a 9 mesi.

I datori di lavoro privati che hanno diverse unità produttive sul territorio, possono essere autorizzati dal Servizio provinciale del lavoro (della provincia in cui si ha la sede legale), ad assumere in una unità un numero di lavoratori aventi diritto al collocamento obbligatorio superiore a quello prescritto, portando le eccedenze a compenso del minor numero di lavoratori assunti in altre unità. La richiesta deve essere motivata, e se le unità sono ubicate in regioni diverse, l’autorizzazione deve essere rilasciata dal Ministero del Lavoro.


lunedì 27 novembre 2017

Bonus assunzioni 2018: incentivi per assumere gli under 32



Vediamo in dettaglio le diverse misure.

Sgravio contributivo quinquennale per imprenditori agricoli under 40 che si iscrivano per la prima volta alla gestione IVS.


La decontribuzione è totale per 36 mesi, ferma restando l'aliquota di calcolo ai fini pensionistici. Lo sgravio scende poi al 66%  nel 4° anno e al 50% nel 5° anno. La misura è soggetta alla normativa comunitaria  "de minimi"sugli aiuti di stato.

Sgravi contributivi per assunzioni nel settore privato

Allo sgravio contributivo dei lavoratori autonomi in agricoltura,  nel ddl bilancio 2018, si aggiungono le altre misure di incentivo  per  i datori di lavoro privati in caso di assunzioni di giovani :
sgravio contributivo del 50% per i primi tre anni di contratto a tutele crescenti, con un tetto massimo annuale Nel 2018 sono compresi i soggetti  under 35 anni ;  nel 2019 e 2010 la soglia si abbassa a 30 anni (non compiuti)

L’incentivo si applica per:
• assunzioni ex novo
• prosecuzione di contratti di apprendistato un periodo massimo di 12 mesi
• conversione di contratto a termine con durata di 36 mesi

n.b. E' prevista la portabilità dello sgravio , nel senso che se il contratto si interrompe prima che siano stati fruiti tutti  i 36 mesi con decontribuzione al 50% , le mensilità residue possono esserre utilizzate anche da un altro datore di lavoro che assuma  nuovamente lo stesso lavoratore. In questo caso non è nemmeno piu richiesto il requisito anagrafico.


Sgravio del 100% per le stesse categorie  e anche per gli over 35  (se disoccupati da piu di sei mesi)  nelle otto regioni meridionali (Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna) per una durata di 12 mesi.

Sgravio del 100%  alle aziende che assumono  i ragazzi che hanno ospitato per alternanza scuola lavoro per almeno il 30% del totale delle ore previste, o  per periodi di apprendistato di primo o di terzo livello .


Questi esoneri dal versamento dei contributi previdenziali  non sono applicabili ai rapporti di lavoro domestico e non sono cumulabili con altri  sgravi contributivi, limitatamente al periodo di applicazione degli stessi. Va specificato anche che in tutti i casi sopracitati lo sgravio non riguarda i versamenti per assicurazione INAIL.

La relazione tecnica del Governo stima  che le misure potranno portare un miglioramento dell'occupazione giovanile , in particolare :

350 mila nuovi contratti a tempo indeterminato nel 2018 per giovani sotto i 35 anni
trasformazione di 53mila contratti di apprendistato  e assunzione di 18.900  giovani post alternanza scuola lavoro

COS’E’ IL BONUS LAVORO?
L’Incentivo Occupazione Giovani è una misura introdotta in Italia per favorire l’inserimento lavorativodei giovani, nell’ambito di Garanzia Giovani, ovvero il piano europeo per combattere la disoccupazione giovanile. Si tratta di una agevolazione rivolta alle aziende che assumono ragazzi iscritti al programma, mediante una diminuzione del costo del lavoro.
Cosa significa? Che i datori di lavoro possono usufruire di una riduzione dei contributi previdenzialiche, per legge, devono versare a favore dei lavoratori assunti. L’agevolazione viene erogata in 12 rate mensili e può essere concessa fino ad un massimo di 8.060 Euro l’anno.
Attualmente è in vigore il Bonus 2017, la cui attuazione è disciplinata dal Decreto Direttoriale n. 394 del 2 dicembre 2016 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, rettificato dal Decreto Direttoriale n. 454 del 19 dicembre 2016. L’ente incaricato della gestione degli incentivi per il lavoro giovanile è l’Inps.

A CHI E’ RIVOLTO?
Il Bonus Lavoro Giovani può essere richiesto da tutti i datori di lavoro privati che assumono giovani che si registrano al ‘Programma Operativo Nazionale Iniziativa Occupazione Giovani’.

Dunque le aziende possono beneficiare degli aiuti solo se assumono i cosiddetti NEET – Not (engaged in) Education, Employment or Training, ovvero ragazzi disoccupati che non sono inseriti in percorsi di studio o formazione. I nuovi assunti, inoltre, devono avere una età compresa tra i 16 e i 29 anni.

QUALI RAPPORTI DI LAVORO POSSONO ESSERE INCENTIVATI?
Le agevolazioni attualmente in vigore possono essere concesse per le assunzioni effettuate mediante una delle seguenti forme contrattuali:

contratto a tempo determinato, anche di somministrazione lavoro, di durata pari o superiore a 6 mesi;

contratto a tempo indeterminato, anche a scopo di somministrazione;

contratto di apprendistato professionalizzante o di mestiere, ad eccezione di quello per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore, e per quello di alta formazione e di ricerca.

Non sono ammessi alle agevolazioni i contratti di lavoro domestico, accessorio e intermittente. Gli aiuti possono essere riconosciuti, invece, anche per i rapporti di lavoro subordinato instaurati in attuazione del vincolo associativo con una cooperativa di lavoro.

QUALI SONO GLI AIUTI PREVISTI?
L’Incentivo Occupazione Giovani 2017 prevede una riduzione dei contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro per i seguenti importi, a seconda del tipo di assunzione effettuato:

50% della contribuzione previdenziale a carico del datore di lavoro, fino ad un massimo di 4.030 Euro annui, per ciascun lavoratore assunto con contratto a tempo determinato, ad esclusione di premi e contributi dovuti all’INAIL;

intera contribuzione previdenziale a carico dei datori di lavoro, fino ad un massimo di 8.060 Euro annui, per ciascun lavoratore assunto con contratto a tempo indeterminato o di apprendistato, esclusi i premi e contributi dovuti all’INAIL.

COSA CAMBIERA’ NEL 2018?
A partire dal prossimo anno il pacchetto di incentivi per l’occupazione giovanile sarà sostituito dal nuovo Bonus Lavoro Giovani 2018 si prevede, tra le varie misure, uno sgravio fiscale per i datori di lavoro privati che assumono giovani con contratti a tutele crescenti.

Lavoro e giovani, appuntamento tra un mese. Entro il 20 settembre sarà infatti presentato il documento di Economia e Finanza nel quale ci sarà un'attenzione particolare agli incentivi per l'assunzione di under 32.

ONERI CONTRIBUTIVI - "La mia idea - ha detto il viceministro a fine luglio - è che per ogni giovane che viene assunto occorre prevedere per i primi due anni una fiscalizzazione degli oneri contributivi dell'ordine del 50%. Passati i due anni, in capo a quel giovane deve rimanere una riduzione strutturale dei contributi di 4 punti percentuali da dividere al 50% tra impresa e lavoratore".

ASSUNZIONI GIOVANI - Anche il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, commentando lo scorso 16 agosto i dati preliminari del Pil diffusi dall'Istat, ha evidenziato che la strategia del governo per la manovra sarà concentrare le risorse sui giovani e confermare le agevolazioni agli investimenti.

AGEVOLAZIONI - Le risorse di cui si dispone, ha spiegato, "dovremmo concentrarle su misure per incentivare le assunzioni dei giovani che cercano lavoro, per confermare le agevolazioni a sostegno degli investimenti privati, per proseguire nel sostegno agli investimenti pubblici e per potenziare gli strumenti contro la povertà".

BENEFICI IMPRESE - Pochi giorni fa il presidente della Commissione Lavoro alla Camera, Cesare Damiano, ha fatto sapere che la misura degli incentivi in arrivo, "entro il 20 settembre", con "una attenzione particolare" per "l'assunzione di giovani under 32" è una misura che "ci trova d'accordo, ma a due condizioni: che i benefici vadano esclusivamente alle imprese che assumono a tempo indeterminato e non a termine; che si tratti di una misura strutturale".

SGRAVI MA... - Per il segretario di Scelta Civica, Enrico Zanetti, "se dall'anno prossimo verranno introdotti sgravi contributivi a favore dei giovani, sarà importante prevedere una norma che escluda la spettanza di questo beneficio per i datori di lavoro che, parallelamente alle nuove assunzioni agevolate, procedessero a cessazioni di contratti già in essere con altri lavoratori assunti con le vecchie agevolazioni che terminano quest'anno".

giovedì 23 novembre 2017

Stipendio in contanti forse un ricordo


Il datore di lavoro non potrà più pagare in contanti dipendenti e collaboratori, lo stipendio deve essere sempre tracciabile tramite bonifico, assegno o sportello bancario o postale.

Divieto di pagare lo stipendio in contanti per qualsiasi tipologia di rapporto (dipendente, collaboratori) e datore di lavoro: se l’impresa vuole versare la retribuzione in moneta sonante dovrà al massimo agire al massimo per il tramite di uno sportello bancario o postale; sono previste alcune esclusioni come il lavoro domestico, ma per tutte le altre formule di lavoro privato dovrà essere garantita la tracciabilità del pagamento.

Lo stipendio potrà essere accreditato unicamente secondo le seguenti modalità:

bonifico sul conto identificato dal codice IBAN indicato dal lavoratore;

pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale indicato dal datore di lavoro;

emissione di assegno consegnato direttamente al lavoratore o, in caso di suo comprovato impedimento, a un suo delegato. L’impedimento s’intende comprovato quando il delegato a ricevere il pagamento è il coniuge, il convivente o un familiare, purché di età non inferiore a sedici anni.

La legge è pensata per evitare comportamenti scorretti, come il pagamento di stipendi inferiori a quelli previsti dai contratti nazionali o da quelli indicati in busta paga. Con il pagamento tracciabile, il datore di lavoro non potrà più versare una somma diversa da quella dichiarata.

In base alla legge (che per ora non è ancora stata approvata definitivamente), il pagamento della retribuzione potrà avvenire esclusivamente tramite bonifico, con assegno, o in contanti ma soltanto attraverso uno sportello bancario o postale. In quest’ultimo caso, il datore di lavoro deve comunicare al centro per l’impiego gli estremi della banca o dell’ufficio postale attraverso il quale vengono effettuati i pagamenti di stipendio, dandone notifica qualora si cambi lo sportello di riferimento.

In tutto questo, la firma della busta paga da parte del lavoratore non costituirà più prova del pagamento ella retribuzione.

La legge è molto chiara nel definire in modo chiaro le modalità di pagamento dello stipendio: "I datori di lavoro o committenti corrispondono la retribuzione ai lavoratori, nonché ogni anticipo di essa, attraverso un istituto bancario o un ufficio postale con uno dei seguenti mezzi

a) accredito diretto sul conto corrente del lavoratore;

b) pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale;

c) emissione di un assegno da parte dell’istituto bancario o dell’ufficio postale consegnato direttamente al lavoratore o, in caso di suo comprovato impedimento, a un suo delegato", si legge nella norma.

Le norme non si applicano ai datori di lavoro non titolari di partita Iva e ai rapporti di lavoro domestico.

Poi vengono definite regole precise per i datori di lavoro: "Non possono corrispondere la retribuzione per mezzo di assegni o di somme contanti di denaro, qualunque sia la tipologia del rapporto di lavoro instaurato". Le sanzioni di fatto ammontano da 5mila a 50 mila euro.. Se invece l’impresa effettua i pagamenti attraverso uno sportello bancario o postale ma non ne comunica gli estremi ai centri per l’impiego, scatta una sanzione di 500 euro.

Una volta approvata in via definita la legge entrerà in vigore dopo 180 giorni dalla pubblicazione in gazzetta ufficiale.

È giusto combattere evasione fiscale e corruzione, ma sorgono dubbi sulle modalità; resta infatti da capire se sia eticamente corretto che lo Stato obblighi per legge i propri cittadini ad avere un conto corrente presso istituti privati, senza prevedere tutele come l’azzeramento delle commissioni bancarie per determinate operazioni ed ancor più la garanzia dei soldi dei correntisti in caso di fallimento della banca.




venerdì 3 novembre 2017

Retribuzione imponibile e minimali: come si determinano i contributi





La busta paga è il documento necessario per tutti i dipendenti, che attesta la retribuzione netta e lorda del lavoratore e serve per verificare lo stipendio percepito e la sua congruità con quanto stabilito nel CCNL. Sulla busta paga si possono inoltre verificare i contributi pensionistici versati dal datore di lavoro a vantaggio del dipendente.

Con effetto dal 1° gennaio 2017, il minimale di retribuzione giornaliera per il tempo pieno, valido per la generalità dei lavoratori, è fissato in € 47,68. La retribuzione minima giornaliera per il calcolo dei contributi non deve essere inferiore al minimo contrattuale e al minimo legale. In particolare, il minimale contrattuale giornaliero è determinato sulla base delle tabelle retributive del contratto collettivo di settore e deve essere applicato anche dai datori di lavoro non aderenti, neppure di fatto, al CCNL. Il minimale legale rappresenta il “minimo dei minimi”, ovvero la soglia al di sotto della quale la retribuzione minima giornaliera non può comunque scendere.

Come calcolare i contributi?

La retribuzione imponibile utile al fine del calcolo della contribuzione previdenziale non può essere inferiore all'importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi o individuali.

L’importo giornaliero della retribuzione imponibile, inoltre è soggetto al vincolo del controllo del minimale previsto dall’art 7 della legge 11 novembre 1983 n. 638, ovvero alla soglia minima pari al 9,5% del trattamento minimo di pensione in vigore al primo di gennaio.

La retribuzione minima giornaliera per il calcolo dei contributi, quindi deve essere non inferiore al maggiore dei due importi minimi, sia quello contrattuale che quello legale, se la retribuzione è superiore ad entrambi, andrà utilizzata quella effettiva.

I contributi entro il minimale sono i contributi previdenziali calcolati sul minimale di retribuzione imponibile: questo è il valore minimo che per legge deve essere rispettato per permettere l’accredito dei contributi, cioè il “reddito minimo” sul quale deve essere applicata l’aliquota contributiva, dunque su cui vanno calcolati i contributi. Normalmente i contributi previdenziali sono calcolati applicando un’aliquota alla retribuzione, o al reddito imponibile: quando, però, la retribuzione o il reddito sono inferiori a un determinato ammontare, detto minimale, i contributi sono calcolati applicando l’aliquota prevista al minimale e non al reddito effettivo.

Un esempio:

Tizio, che ha un negozio ed è iscritto alla Gestione Inps commercianti, guadagna, nell’anno, 5.000 euro;

l’aliquota previdenziale della Gestione commercianti è pari al 23,19% (salvo alcune eccezioni);

i suoi contributi dovrebbero quindi ammontare a 159,50 euro (il 23,19% di 5.000);

la Gestione commercianti, però, prevede un reddito minimale annuo pari a 548 euro: significa che chi ha un reddito inferiore a tale soglia, anche se non ha guadagnato nulla, deve comunque pagare i contributi sul minimale, come se avesse guadagnato, nell’anno, 15.548 euro;

Tizio, quindi, anziché pagare 1.159,59 euro, deve pagare 3.613,02 euro di contributi (3.605,58 contributo Ivs più 7,44 contributo maternità, calcolati sul minimale);

naturalmente, se il reddito è superiore, è a questo che deve essere applicata l’aliquota contributiva.

Per i lavoratori dipendenti è previsto un reddito, o stipendio minimale: se l’imponibile, di fatto, risulta inferiore al valore minimale determinato dall’Inps, i contributi si calcolano su quest’ultimo valore e gli accrediti sono diminuiti in proporzione.

Nel dettaglio, il minimale settimanale per l’accredito dei contributi obbligatori e figurativi per i lavoratori dipendenti ammonta al 40% del trattamento minimo di pensione in vigore al 1° gennaio di ogni anno.

Ciò vuol dire che poiché il trattamento minimo è pari a 501,86 euro, il minimale settimanale su cui calcolare i contributi è pari a 200,74 euro.

Quello annuale è invece pari a 10.438,48 euro (200,74 moltiplicato per 52 settimane).

I contributi settimanali calcolati sul minimale, per i dipendenti del settore privato, risultano così pari a 66,24 euro (200,74 per 33%, cioè l’aliquota complessiva Ivs a carico di dipendente e datore di lavoro), mentre quelli annuali devono risultare almeno pari a 3.444,48 euro (cioè 66,24 per 52).

Se è stato versato nell’anno un ammontare almeno corrispondente a tale cifra, il dipendente risulta assicurato per tutte e 52 le settimane. Se, invece, il lavoratore non raggiunge la retribuzione imponibile minima di 10.438,48 euro, i periodi coperti sono ridotti: la diminuzione è calcolata in proporzione a quanto versato, dividendo lo stipendio per il minimale settimanale.

Un esempio per comprendere meglio: se X, nell’anno, ha un imponibile di 8.500 euro, non si vedrà accreditate 52 settimane di contributi, ma soltanto 42 (ottenute dividendo 8.500 per il minimale settimanale di retribuzione, ossia per 200,74).

In pratica, anche se X ha lavorato tutto l’anno, ai fini della pensione si vedrà accreditate 10 settimane in meno, come se non avesse lavorato per oltre 2 mesi. Questo succede perché non è previsto un numero minimo di ore di lavoro su cui versare i contributi. Di conseguenza, la contribuzione va calcolata tenendo conto dell’orario pattuito tra le parti nel contratto di lavoro, anche se inferiore a un eventuale orario minimo stabilito dal contratto collettivo.

Lo stesso minimale valido per gli artigiani e i commercianti è valido anche per i liberi professionisti e i lavoratori parasubordinati (co.co.co.) iscritti alla Gestione separata: tuttavia, per loro, i versamenti calcolati sul minimale non sono obbligatori, ma il minimale serve unicamente per rapportare, su base mensile e annuale, i contributi versati.

Un esempio:

Caio, lavoratore parasubordinato, lavora per tutto l’anno come co.co.co., da gennaio a dicembre, ricevendo una retribuzione pari a 12.000 euro, liquidata mensilmente dal committente;

i contributi su 12.000 euro di reddito ammontano a 3.806,40 euro, di cui 1/3 sono a carico del lavoratore e 2/3 a carico del committente, che li versa all’Inps, Gestione separata (assieme a quelli a carico del collaboratore, che gli sono trattenuti dalla retribuzione) entro il 16 del mese successivo a quello in cui è erogato il compenso: il committente di Caio, dunque, ha versato 317,20 euro per 12 mesi;

tuttavia, nonostante Caio abbia lavorato per 12 mesi e il committente abbia versato i contributi ogni mese, alla fine dell’anno il lavoratore si vede accreditati soltanto 9 mesi di contribuzione: questo perché il suo reddito imponibile è sotto il minimale da assoggettare a contribuzione, dunque gli vengono accreditati soltanto i mesi di contributi corrispondenti ai contributi versati;
548 per 31,72% (l’aliquota contributiva valida per i co.co.co., nella Gestione separata) è pari, difatti, a 4.931,83 euro circa: questi sono i contributi annui calcolati sul minimale;

rapportando al mese i contributi minimali, abbiamo un ammontare di 410,99 euro circa: vuol dire che, perché sia accreditato almeno un mese di contributi, devono essere versati, nell’anno, almeno 410,99 euro;

poiché il committente di Caio ha versato 3.806,40 euro, Caio si vede accreditati, dunque, 9 mesi di contributi (3.806,40 euro/410,99): il risultato deve essere arrotondato solo per difetto e non per eccesso (quindi non si possono accreditare 10 mesi di contributi se i versamenti non sono almeno pari a 4109,90 euro).

Lo stesso procedimento di calcolo vale anche per i versamenti effettuati nel fondo delle casalinghe: in questo caso, il minimale è pari a 310 euro annui ed il minimale mensile a 25,82 euro.

In pratica, l’Inps accredita per ogni anno tanti mesi di contributi, quanti ne risultano dividendo l’importo complessivo versato nell’anno per 25,82 euro, sino a un massimo di 12 mesi. In questo modo:
se in un anno risultano versati 110 euro, ad esempio, i mesi accreditati sono 4;

perché risulti accreditata un’annualità intera, bisogna versare all’Inps 310 euro;

se in un anno sono versati più di 310 euro, i contributi non possono essere “spalmati” nelle annualità non interamente coperte, ma servono soltanto ad aumentare la misura dell’assegno di pensione.

In alcuni casi particolari i contributi non sono calcolati sulla retribuzione effettivamente erogata ma su retribuzioni stabilite convenzionalmente.

Per i lavoratori domestici l’importo del contributo orario è stabilito annualmente, sempre da una circolare dell’Inps. Tali importi sono stabiliti in relazione a retribuzioni convenzionali commisurate a fasce di retribuzione effettiva. L’Inps ha pubblicato la circolare per l’anno 2014 nella quale è confermato che per i lavoratori che prestano attività presso lo stesso datore di lavoro per più di 24 ore settimanali l’importo dei contributi da versare è fisso (nel 2014 pari a 1,01 euro ad ora, importo che si eleva a 1,08 euro all'ora in caso di contratto a termine) ed è indipendente dall’entità della retribuzione effettiva percepita. Per maggiori informazioni vediamo i contributi 2014 per lavoratori domestici.

Sulla base di retribuzioni convenzionali sono calcolati anche i contributi per i lavoratori italiani operanti all'estero, in Paesi extracomunitari con i quali non sono in vigore accordi di sicurezza sociale. Tali retribuzioni sono fissate con decreto ministeriale.





mercoledì 25 ottobre 2017

Stress da lavoro correlato: valutazione dei rischi



A partire dal gennaio 2011 è obbligatorio per le aziende italiane effettuare la valutazione dello stress da lavoro correlato. Esiste un obbligo di valutazione dei rischi da stress da lavoro correlato sancito dal Testo Unico in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.

La valutazione dei rischi stress lavoro-correlato deve essere effettuata dal datore di lavoro, che non può delegare l’adempimento neanche ad un soggetto in possesso di specifiche competenze in materia.

Prima di entrare nel dettaglio della valutazione del rischio stress da lavoro correlato, richiamiamo alcune definizioni per meglio comprendere l’argomento.

Lo stress da lavoro può essere definito quale condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale e può essere una conseguenza del fatto che dei lavoratori non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o aspettative riposte in loro. In termini generici quindi è importante sottolineare come lo Stress non sia di per se una malattia, bensì una condizione innescata nell'organismo umano da parte di una fonte o sollecitazione esterna che comporta una serie di adattamenti che, se protratti nel tempo, possono assumere carattere di patologia.

Quando può esserci squilibrio?
Diciamo che si può verificare quando il lavoratore non si sente in grado di corrispondere alle richieste lavorative. Tuttavia non tutte le manifestazioni di stress da lavoro possono essere considerate come stress lavoro-correlato. Lo stress lavoro-correlato è quello causato in modo particolare da vari fattori propri del contesto e del contenuto del lavoro.

Le caratteristiche dello stress da lavoro possono riassumersi in due aspetti. Uno quello che si riferisce al ambiente lavorativo ossia scarsa comunicazione, mancanza di definizione di obiettivi, conflitti di ruolo, insicurezza dell’impiego, partecipazione ridotta al processo decisionale; mentre il secondo aspetto è quello che si riferisce al contenuto del lavoro ossia problemi di affidabilità, disponibilità o idoneità, carico di lavoro eccesivo o ridotto, carenza di ritmo sul lavoro, orari di lavoro poco flessibili e incapacità di creare reali turni di lavoro.

Il datore di lavoro è tenuto ad effettuare la valutazione del rischio, avvalendosi del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP), con il coinvolgimento del medico competente, ove nominato, affiancato preferibilmente da uno psicologo del lavoro e previa consultazione del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS/RLST). La valutazione si articola in due fasi: una necessaria e l’altra eventuale, da attivare nel caso in cui, nel corso della prima fase, si siano individuati elementi di rischio.

Importante sottolineare e distinguere il concetto di Stress da Lavoro Correlato, da quello di Mobbing  inteso come una persecuzione sistematica messa in atto da una o più persone allo scopo di danneggiare chi ne è vittima fino alla perdita del lavoro. Se dunque i possibili rischi soprattutto a livello psicologico, evidenziati dagli indicatori sintomatici possono risultare analoghi, nello Stress manca la componente di intenzionalità che è invece presente nel mobbing.

Si chiama stress da lavoro correlato ed è una delle più comuni cause di malattia professionale tra i lavoratori, un “rischio psicosociale” assieme a sindrome da burnout e a forme estreme di mobbing e violenza sul lavoro. I rischi psicosociali sono definiti quali aspetti di organizzazione e gestione del lavoro che possono arrecare danni fisici o psicologici.

La sindrome da burnout rappresenta una vera e propria forma di esaurimento o logorio derivante dalla natura di alcune mansioni professionali. Più precisamente si tratta di una esperienza soggettiva di cattivo rapporto con il lavoro, che viene vissuta generalmente in una fase successiva ad uno stato di tradizionale stress lavorativo e con una forma grave che ha delle sue caratteristiche specifiche e delle conseguenze negative in termini di salute, di produttività e di soddisfazione lavorativa. Ove l’esito patologico colpisce le persone che esercitano professioni d’aiuto, qualora queste non rispondano in maniera adeguata ai carichi eccessivi di stress che il loro lavoro li porta ad assumere. Questo fenomeno quindi, conosciuto già dagli anni ’70, è il risultato patologico di una componente di fattori di stress e di reazioni soggettive che colpisce solo quelle professioni rivolte ad aiutare altre persone (medici, infermieri, avvocati, sacerdoti…) e che porta il soggetto a “bruciarsi” attraverso un meccanismo di eccessiva immedesimazione nei confronti degli individui oggetto della attività professionale, facendosi carico in prima persona dei loro problemi e non riuscendo quindi più a discernere tra la loro vita e quella propria.


lunedì 23 ottobre 2017

Benessere aziendale, cosa si intende?



Il benessere aziendale può essere definito come un pacchetto di servizi, beni e opere che l'azienda mette a disposizione dei propri dipendenti e dei loro familiari. Si tratta certamente di uno dei temi caldi del momento nel settore lavoro. Andiamo quindi a vedere di cosa si tratta.

Si definisce Welfare Aziendale l’insieme delle iniziative volte ad incrementare il benessere del lavoratore e della sua famiglia. Questo nuovo sistema di retribuzione sta diventando sempre più punto fondamentale di ogni realtà lavorativa, indipendentemente dal settore di riferimento.  Il bisogno di  Welfare si può dunque definire universale: un piano ben strutturato è in grado di soddisfare i bisogni e le esigenze dei lavoratori.

Sapere cos’è il Welfare è solo il primo passo per comprendere pienamente i vantaggi che derivano dall’attivazione di un piano, i benefici sono molteplici e bilaterali.  Il Welfare Aziendale  consente di introdurre un sistema di servizi a sostegno del collaboratore, con vantaggi fiscali per l’azienda e il dipendente.

Quali sono i vantaggi? Andiamo ad analizzarli nel dettaglio

Aumento del potere d’acquisto:

Contributi aziendali, sconti, promozioni, convenzioni per accedere a beni e servizi con condizioni esclusive

Incremento della produttività aziendale

Il miglioramento del clima aziendale porterà alla diminuzione del turnover e dell’assenteismo

Risparmio sul costo del personale

Ottimizzazione del vantaggio fiscale, servizi in ottemperanza alla norma vigente del TUIR art.51 – art.100

Miglioramento del clima all’interno dell’azienda

Aumento considerevole del benessere del lavoratore

Miglior conciliazione tra vita privata e professionale

Cominciamo col dire che non esiste una normativa uniforme ed organica in materia di Welfare aziendale. Pertanto tutto ciò che viene riconosciuto dal datore di lavoro e che è volto al miglioramento della qualità della vita dei lavoratori rientra nel concetto di Welfare aziendale. Il Welfare aziendale infatti altro non è che il sistema che garantisce il benessere dei dipendenti.

Il Welfare viene già da tempo, riconosciuto, almeno in parte, dai contratti collettivi nazionali di lavoro. Sono molteplici ad esempio, i CCNL che prevedono  dei versamenti obbligatori da parte del datore di lavoro, nell'ambito dell'assistenza sanitaria integrativa. Ma anche nell'ambito della previdenza complementare: quasi la totalità dei CCNL prevede che nel caso in cui il lavoratore decida di destinare il proprio TFR ai fondi di previdenza il datore di lavoro debba effettuare il versamento di un ulteriore contributo al fondo.

Rientra sempre nel concetto di Welfare anche lo Smart Working di recente istituzione. Previsto dalla l. n. 81/2017 e definito “lavoro agile”, lo Smart Working già di uso comune in molti paesi, si affaccia nel nostro ordinamento come una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato che certamente può ampiamente facilitare la conciliazione vita-lavoro.


Tuttavia il luogo dove il Welfare può trovare la propria massima applicazione è quello aziendale: le singole imprese sono infatti i soggetti che meglio possono individuare i bisogni dei dipendenti. Per scendere al livello pratico, di seguito vengono illustrate le fasi per l'istituzione del Welfare in azienda.

Analisi dei bisogni dei dipendenti
Il primo passo per attuare il Welfare in azienda sarà pertanto quello di effettuare un'indagine circa le misure più utili ai dipendenti. Qualora esse non fossero già conosciute dall'Ufficio del personale, pensiamo ad esempio alle aziende di notevoli dimensioni, si potrà procedere con la consegna di un questionario in forma anonima ai dipendenti che dovranno restituirlo compilato. Il questionario può essere articolato attraverso domande a risposta multipla e può lasciare spazio anche a suggerimenti da parte dei lavoratori

Analisi di fattibilità
L'azienda passa al vaglio le preferenze espresse dai dipendenti e individua le misure in concreto attuabili. Oggetto delle analisi aziendali saranno quindi sia l'organizzazione in concreto di tali misure che , e soprattutto, il budget da predisporre a tal fine. A questo punto l'azienda può procedere con l'elaborazione concreta del Welfare aziendale.

L'istituzione del Welfare può seguire due strade: l'accordo collettivo di secondo livello oppure il regolamento aziendale.

La stipula di un accordo sindacale aziendale è certamente la scelta più vantaggiosa per quelle aziende in cui esiste già un consolidato sistema di relazioni sindacali. Il Welfare può infatti rivelarsi come uno dei migliori strumenti per migliorare i rapporti con i sindacati.

In alternativa è sempre possibile procedere con la stesura di un regolamento aziendale. In questo caso la fonte del Welfare non avrà natura negoziale ma costituirà un atto unilaterale del datore di lavoro. Nell'elaborazione del Welfare si dovrà sempre fare attenzione a riconoscere misure omogenee per la totalità o per categorie di dipendenti individuabili attraverso criteri oggettivi. È infatti fondamentale non trasformare il Welfare in bonus ad personam. Conclusa la fase di elaborazione del piano, i dipendenti potranno iniziare a godere delle misure offerte dall'azienda. Una delle modalità più semplici è l'utilizzo delle piattaforme online, alle quali i dipendenti accedono avendo a disposizione una certa somma da "spendere".

Welfare aziendale: il nuovo incentivo
Come noto le misure di welfare, come anche i premi di produttività,  sono stati oggetto di agevolazioni fiscali , rafforzate notevolmente dalle leggi di stabilità 2016 e  2017 e rientrano anche in  un nuovo provvedimento.

È attualmente  in attesa di registrazione dalla Corte dei Conti il decreto interministeriale  che prevede l'istituzione di particolari agevolazioni nel caso la contrattazione aziendale preveda  misure di Welfare aziendale , volte  alla migliore conciliazione tra vita professionale e vita privata dei lavoratori. L'agevolazione consiste in un sgravio il cui ammontare verrà determinato in base alla disponibilità delle risorse ma non potrà essere superiore al 5% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali dichiarata nell'anno.

Condizione essenziale per accedere allo sgravio è quella di aver depositato il contratto collettivo aziendale presso l'Ispettorato territoriale del lavoro.

L'accordo aziendale deve prevedere delle misure rientranti nelle seguenti aree di intervento:

Area di intervento genitorialità;

Area di intervento flessibilità organizzativa (smart working);

Welfare aziendale.

Il contratto collettivo aziendale deve riguardare almeno il 70% dei lavoratori occupati. Il termine di presentazione della domanda per il 2017 è al momento fissata al 15 novembre 2017 per i contratti depositati entro il 31 ottobre. Per la piena operatività si attendono tuttavia la pubblicazione in Gazzetta del decreto e le istruzioni operative da parte dell'INPS.

Confermate anche per il 2017 le agevolazioni fiscali per i premi di produttività e per le somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa.

Cosa è cambiato nel 2017. Sono stati elevati i limiti reddituali di accesso con conseguente ampliamento della platea dei lavoratori beneficiari. In particolare, si prevede un innalzamento, da 50.000 a 80.000 euro, del tetto massimo di reddito di lavoro dipendente, relativo al periodo d’imposta precedente, che consente l’accesso alla tassazione agevolata.

Gli importi dei premi erogabili aumentano da 2.000 a 3.000 euro nella generalità dei casi e da 2.500 a 4.000 per le aziende che coinvolgono pariteticamente i lavoratori nell’organizzazione del lavoro.

In tema di welfare aziendale, le agevolazioni si applicano anche nel caso di erogazione dei benefits sulla base delle previsioni dei contratti collettivi nazionali di lavoro, degli accordi interconfederali o di contratti collettivi territoriali.



lunedì 24 luglio 2017

Lavoro intermittente: legittimo licenziare il lavoratore che compie 25 anni



La disciplina italiana sul lavoro intermittente non viola la disciplina europea in materia di divieti di discriminazioni dei lavoratori in ragione della loro età.

La Corte di Giustizia Europea, con la sentenza 19 luglio 2017, C‐143/16, ritiene che il datore di lavoro può essere autorizzato a concludere un contratto di lavoro intermittente con un lavoratore che abbia meno di 25 anni, qualunque sia la natura delle prestazioni da eseguire, e a licenziare detto lavoratore al compimento del venticinquesimo anno, quando tale disposizione persegue una finalità legittima di politica del lavoro e del mercato del lavoro e i mezzi per conseguire tale finalità sono appropriati e necessari.

Il caso dei giovani commessi di Abercrombie & Fitch è arrivato davanti alla Corte Ue. A portarcelo era stato un giovane assunto nel 2010 e poi licenziato al compimento dei 25 anni. Il lavoratore era stato assunto nel 2010 con contratto di lavoro intermittente a tempo determinato, poi convertito a tempo indeterminato il 1° gennaio 2012. Il 26 luglio di quell'anno, però, era stato licenziato perché compiva 25 anni.

Il lavoratore si era opposto a tale decisione e la Corte di appello di Milano gli aveva dato ragione ritenendo discriminatorio il licenziamento e imponendo all'azienda di riassumere il ragazzo.

La Cassazione aveva successivamente deciso di sollevare davanti alla Corte di giustizia una questione pregiudiziale, chiedendo se fosse compatibile con il diritto dell’Unione la normativa italiana (Dlgs 276/2003) secondo cui il contratto di lavoro intermittente può riguardare soltanto lavoratori di età inferiore a 25 anni o superiore a 45.

I giudici europei hanno deciso che la legge italiana non contrasta con il diritto dell’Unione e, in particolare, con la Carta dei diritti fondamentali e con la direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000. Secondo i giudici «la facoltà di concludere un contratto di lavoro intermittente con un lavoratore che abbia meno di 25 anni, qualunque sia la natura delle prestazioni da eseguire, e di licenziare detto lavoratore al compimento del venticinquesimo anno, persegue una finalità legittima di politica del lavoro e del mercato del lavoro e costituisce un mezzo appropriato e necessario per conseguire tale finalità».

La Corte non nega che la licenziabilità del lavoratore intermittente al compimento del venticinquesimo anno introduca una differenza di trattamento fondata sull’età. «Tuttavia - spiegano i giudici Ue - tale differenza di trattamento è giustificata dalla finalità di favorire l’occupazione giovanile. Infatti, i giovani sotto i 25 anni sono normalmente penalizzati sul mercato del lavoro dall'assenza di esperienza professionale. Per controbilanciare tale situazione, il contratto intermittente riservato agli infraventicinquenni consente agli stessi non tanto di ottenere un lavoro stabile quanto piuttosto di avere una prima esperienza lavorativa funzionale al successivo accesso al mercato del lavoro».

I giudici europei, insomma, alla luce di quanto sopra ritengono ragionevole la scelta del legislatore italiano di prevedere una simile tipologia contrattuale, compiuta in ragione dell'ampio margine discrezionale riconosciuto agli Stati membri nel perseguire uno scopo determinato in materia di politica sociale e dell'occupazione e nel definire le misure atte a realizzarlo. La direttiva 2000/78 è rispettata.

Secondo i magistrati europei la previsione, per il datore di lavoro, della facoltà di concludere un contratto di lavoro intermittente con un lavoratore che abbia meno di 25 anni, qualunque sia la natura delle prestazioni da eseguire, e di licenziare il lavoratore al compimento del venticinquesimo anno, “persegue una finalità legittima di politica del lavoro e del mercato del lavoro e costituisce un mezzo appropriato e necessario per conseguire tale finalità”.

I magistrati sostengono anche che ai lavoratori intermittenti, nei periodi di lavoro, è garantito un trattamento complessivamente “non meno favorevole” rispetto a quello di un lavoratore stabile con mansioni equivalenti. Dunque, in sintesi “nella la misura in cui il limite di venticinque anni di età sia da considerarsi uno strumento appropriato e necessario a raggiungere i richiamati obiettivi di politica occupazionale, deve considerarsi legittimo nel quadro nell'ordinamento dell’Unione”.


lunedì 19 giugno 2017

Imprenditoria femminile: i finanziamenti agevolabili



Le donne rappresentano un traguardo importante per lo sviluppo di nuova imprenditorialità. In Italia, vuoi per la crisi economica che per le reali difficoltà nel trovare un posto di lavoro, cresce sempre di più la voglia di mettersi in proprio e trasformare un'idea di impresa in una start up di successo. Ed è a questo target che oggi vogliamo dedicare una guida facile e pratica ai finanziamenti agevolati per le donne, ai requisiti di accesso richiesti, ai tipi di incentivi riservati all'imprenditoria femminile e dove e a chi rivolgersi per presentare la domanda.

La legge 215 del 1992 è lo strumento principale di agevolazione attraverso il quale il Ministero dello sviluppo economico mette a disposizione dell’imprenditoria femminile erogazioni, sotto forma di contributi in conto capitale, distribuiti a fronte di investimenti.

L’imprenditoria femminile si rivolge a:

società cooperative o di persone costituite per almeno il 60% da donne;

società di capitali le cui quote di partecipazione siano, per almeno 2/3, in possesso di donne;
imprese individuali gestite da donne;

imprese, consorzi, associazioni, enti di formazione e ordini professionali promotori di corsi di formazione imprenditoriale, servizi di consulenza e assistenza, la cui quote siano possedute per almeno il 70% da donne.

I soggetti beneficiari devono inoltre rientrare nella definizione di “piccola impresa”, determinata in base ai seguenti parametri:

meno di 50 dipendenti;

fatturato inferiore a 7 milioni di Euro o totale di bilancio inferiore a 5 milioni di Euro;

indipendenza da imprese “partecipanti”.

I finanziamenti per l’imprenditoria femminile possono essere concessi nei settori industria, artigianato, agricoltura, commercio, servizi e turismo, per i seguenti motivi:

avvio di nuove attività;

acquisizione di attività preesistenti;

progetti aziendali innovativi;

acquisizione di servizi reali.

Le spese ammesse dalla legge possono essere acquisite tramite acquisto diretto o tramite il sistema della locazione finanziaria e sono inerenti a:

studi di fattibilità e piani d’impresa (2% dell’investimento ammesso);

progettazione e direzione dei lavori (5% dell’importo per opere murarie);

macchinari ed attrezzature;

impianti generali;

opere murarie (25% dei macchinari ed impianti);

beni usati (solo per acquisto di attività preesistenti);

software;

brevetti;

attività preesistenti;

servizi reali.

L’imprenditoria femminile non ammette le seguenti tipologie di spese:

acquisto di minuterie ed utensili di uso manuale comune;

spese per manutenzione ordinaria;

acquisto di beni di uso promiscuo (ad es. personal computer portatili, autovetture, cellulari, ecc);

scorte di materie prime, semilavorati e materiali di consumo; acquisto di terreni e fabbricati;
beni usati (ad eccezione del caso di acquisto di attività preesistente; avviamento; mezzi targati di trasporto merci.

I tipi di agevolazioni che spettano alle donne che costituiscono imprese femminili, ossia, che rientrano nei requisiti sopra elencati, a seconda del bando a cui partecipano e al tipo di Ente a cui si rivolgono spettano:

Contributi a fondo perduto: sono incentivi che servono ad avviare l'impresa femminile, per cui sono costituiti da una parte di capitale che non deve essere restituito, generalmente il 50% dei fondi sono a fondo perduto e il resto è rimborsato in rate mensili a tasso agevolato.

Agevolazioni per avviare l'attività imprenditoriale, realizzare nuovi progetti aziendali, acquistare nuovi prodotti e servizi ecc;

Fondo di Garanzia: non è un contributo economico, ma permette di richiedere un finanziamento garantito dallo Stato. Il Fondo non interviene nei rapporti tra il beneficiario e la banca né tantomeno sui tassi di interessi applicati ma sulle garanzie reali, assicurative e bancarie. Le domande per la concessione della Garanzia dello Stato possono essere presentate sia dalle imprese femminili che dalle professioniste, direttamente alla banca e al Fondo.

Microcredito: anche questo tipo di agevolazione prevede non un contributo economico ma la garanzia sull'eventuale prestito richiesto da imprese femminili già costituite o da professioniste con Partita IVA da almeno 5 anni.

Per accedere al microcredito le imprese e le professioniste non devono avere più di 5 dipendenti e 10 in caso di Società di persone, SRL semplificate e cooperative.

Come e dove si presenta la domanda? Le donne interessate ad accedere ai finanziamenti a fondo perduto e alle agevolazioni legge 205/1992 devono verificare l'uscita dei bandi sul sito del MISE o della propria regione. Tali bandi, sono infatti periodicamente pubblicati, di volta in volta, specificando le risorse disponibili, le modalità di finanziamento a fondo perduto e delle agevolazioni per l'Imprenditoria femminile.

Una volta uscito il bando, e verificato il possesso dei requisiti, è possibile poi presentare la domanda, utilizzando i moduli pubblicati sul sito del Ministero dello Sviluppo Economico. Successivamente all'invio della domanda, l'Ente gestore, provvede alla pubblicazione della graduatoria sulla base di criteri bene precisi quali: occupazione, fattibilità dell'idea di impresa, partecipazione femminile, business plan, certificazioni ambientali e di qualità.

Per vedere i bandi finanziamento aperti o di prossima apertura bisogna fa riferimento a:

IF imprenditorialità femminile UnionCamere;  

Imprenditoria femminile e lavoro autonomo bando ABI  

MISE finanziamenti giovani e donne 2017: è stato da poco pubblicato in GU il decreto che prevede la concessione di finanziamenti e agevolazioni per promuovere e sostenere la nuova imprenditorialità in Italia attraverso la creazioni di micro e piccole imprese costituite in prevalenza da donne e giovani.  



venerdì 16 giugno 2017

Professionisti del digitale, ecco le figure più richieste



Se la trasformazione digitale è sicuramente uno dei tormentoni del momento fra chi si occupa quotidianamente di nuove tecnologie, altrettanto importante il tema delle professioni legate al digitale.

Quali sono le professioni digitali più richieste oggi dal mercato del lavoro? Nella lista delle posizioni ricercate c’è, lo user experience director che gestisce l’esperienza-utente all'interno di spazi complessi (virtuali e fisici). Anche il director of analycs e data analyst è molto richiesto. Si tratta di esperti nella lettura e analisi dei dato. Così come pure lo chief technology officer, che seleziona le tecnologie da applicare a prodotto e servizi offerti dall’impresa. In ascesa sono anche lo sviluppatore mobile, che si occupa di applicazioni per smartphone e tablet, il big data architect, che gestisce l’analisi dell’architettura del sistema dei date il web analyst, che interpreta i dati e fornisce analisi dettagliate sulle attività sul web. Sempre più ricercato anche il digital copywriter, che gestisce contenuti pubblicitari su piattaforme digitali (si web, piattaforme e-commerce, ecc.), il community manager, addetto alla gestione di una comunità virtuale con i compi di progettarne la struttura e di coordinarne le attività, e il digital Pr, che si occupa delle pubbliche relazioni attraverso i canali online. Le aziende cercano anche digital adverser, per la gestione di campagne pubblicitarie sul web, e-reputaon manager per gestire la reputazione online e Seo e Sem specialist, esperti di tecniche che aiutano le aziende a ottimizzare il posizionamento sui motori di ricerca.

Grazie alla crescente importanza dei big data, le figure più ricercate dalle aziende italiane si evidenziano data scientist, data architect e insight analyst. Una grande opportunità dal punto di vista occupazionale che, secondo i consulenti di Hays, una delle società leader nel recruiting specializzato, nei prossimi mesi si concretizzerà in un incremento della richiesta di professionisti capaci di analizzare e gestire grandi quantità di dati.

“Sono sempre di più - spiegano gli esperti di Hays Italia - le aziende in Italia che investono in tecnologie avanzate e personale qualificato per sfruttare al massimo il potenziale dei big data. Le professioni digitali saranno sempre più valorizzate e ricercate dalle imprese e, già nel 2017, la domanda di talenti digitali aumenterà notevolmente, crescendo esponenzialmente entro il 2020”. Infatti, la Commissione Europea calcola che entro il 2020 ci saranno 900.000 posti di lavoro non occupa per mancanza di competenze digitali, più del triplo rispetto ai 275mila nel 2012. E in Italia, secondo un recente studio di Modis, il 22% delle posizioni aperte in questo ambito non trova candida all’altezza.

Per coloro che desiderano intraprendere la carriera in ambito digital, gli esperti di Hays hanno stilato una classifica delle 10 figure professionali sui cui si concentreranno le attenzioni dei recruiter nel 2017.

Data Scientist negli Stati Uniti è già considerato il lavoro numero uno e ci sono varie scuole di pensiero su quale sia la vera definizione. Sicuramente è un professionista con un background accademico molto forte (master o dottorato di ricerca) in discipline quali Statistica, Matematica, Fisica o Economia e profonde conoscenze di Data Mining e Machine Learning. Un bravo data scientist è in grado di identificare e risolvere problemi altamente complessi legati al business, utilizzando tool di analisi avanzati tra cui programmi di statistica come Python, R o Spark. Quest’analisi gioca infatti un ruolo centrale nel processo decisionale fornendo alle aziende gli strumenti necessari per affrontare con successo sfide sempre più complesse.

Un'altra figura richiesta è il data architect, che è capace di dare vita a soluzioni di successo per affrontare al meglio lo scenario dei big data. C'è poi l'insight analyst che utilizza strumenti di analisi statistica per ricavare, da grandi quantità di dati, informazioni a supporto delle strategie di acquisizione e fidelizzazione dei clienti. Dal punto di vista tecnico, gli insight analyst hanno competenze su uno o più strumenti di analisi statistica come sql, sas e spss. Tuttavia, molte aziende sono sempre più interessate al contributo che i linguaggi di programmazione Phyton e R possono fornire in tema di profondità dell’analisi.

Altra figura richiesta è il data engineer, che possiede le competenze per raccogliere, archiviare e lavorare i dati di un’azienda per facilitarne l’analisi. Inizialmente questo prevedeva l’utilizzo di database relazionali per gestire dati archiviabili sotto forma di tabelle, ma, con l’avvento dei big data, le strutture tradizionali per la gestione dei dati non sono più sufficienti. Per questo la figura del big data engineer è chiamata a realizzare e amministrare strutture in grado di gestire quantità di dati ampie e complesse attraverso database NoSQL come MongoDB. Molte aziende utilizzano il framework Hadoop insieme a strumenti avanzati come Hive, Pig e Spark, ma le infrastrutture per la gestione dei Big Data sono davvero numerose.

Lo sviluppatore software ha buone possibilità sul mercato. Non nasce propriamente come professione digital, ma il boom dei big data ha portato a un considerevole aumento delle aziende che realizzano applicazioni web-based. Ormai, infatti, è prassi combinare i tradizionali tool per lo sviluppo di software come Javascript, C# e PHP con framework basati sul linguaggio Python come Django, Pyramid o Flask.

Con il boom delle dashboard e degli strumenti di visualizzazione dei dati, sono sempre più richiesti sviluppatori che abbiano competenze anche nell’utilizzo di piattaforme di analisi dati come Tableau, Qlikview/QlikSense, SiSense and Looker. Stanno ottenendo inoltre grande riconoscimento professionisti con esperienza nell’uso di tool quali d3.js per la creazione di visualizzazioni interattive e di browser web.

Lo sviluppatore Business Intelligence, nella sua forma più semplice, costruisce strutture di dati complesse, partendo dal data storage e arrivando a produrre report e dashboard. Un tempo prerogativa delle divisioni finance e commerciale, la business intelligence costituisce oggi un comparto a sé con sviluppatori che hanno come obiettivo principale proprio la realizzazione di dashboard pronte all’uso per facilitare il compito dei manager che, in questo modo, possono ottenere informazioni chiave sulle performance aziendali al fine di rivederle e migliorarle.

Nel mondo dei Big Data, per poter procedere con l’analisi, la priorità è sicuramente l’organizzazione del flusso di dati. La business intelligence e la data science non possono prescindere dall’avere a disposizione strutture di dati ben organizzate e pronte all’uso ottenute anche attraverso l’impiego di tool di gestione come SQL Server, Oracle e database SAP. Un professionista esperto nella gestione di dati e processi ETL (Estrazione, Trasformazione e Caricamento) rappresenta un must per molte aziende.

Programmi fedeltà, strumenti di web analytics, Internet of things hanno portato a un consistente flusso di dati sui comportamenti dei consumatori online che le aziende utilizzano sempre di più a sostegno delle loro strategie di crescita. Le divisioni marketing, in particolare, sono chiamate ad elaborare campagne sempre più mirate che tengano conto di questi dati. I campaign analysts sfruttano le loro competenze nell’utilizzo di Excel e di strumenti per l’analisi di dati come SQL per fornire una fotografia dettagliata dei consumatori, permettendo così alle campagne di digital marketing di raggiungere il corretto target audience.

Se a ciò si aggiunge poi l’utilizzo di software per la gestione delle campagne come Adobe Campaigns, le aziende possono assicurarsi che le loro strategie marketing colpiscano nel segno andando a soddisfare i bisogni reali del mercato di riferimento. Per tutte le società che mirano a ottenere il massimo rendimento dal potenziale dei big data, nominare un chief data officer è fondamentale. Il numero di questi professionisti è passato da soli 400 nel 2014 a oltre 1.000 nel 2015 e si stima che per il 2019 il 90% delle grandi aziende avrà un chief data officer.

Il ruolo del cdo Lavoro è variegato e complesso e comprende un ventaglio di competenze tra cui data infrastructure, data governance, data security, business intelligence, analisi degli insight e analisi avanzata. Questa figura professionale non solo deve essere tecnicamente competente, ma deve anche essere in grado di capire e guidare gli obiettivi aziendali e i processi di cambiamento a livello manageriale per allinearsi al business plan della compagnia.


lunedì 12 giugno 2017

Lavoro: nasce selezione HR su InfoJobs Talent Master


Un nuovo software targato InfoJobs (piattaforma di recruiting online) aiuta le aziende nella selezione e gestione delle risorse umane. Si tratta di un servizio a valore aggiunto sia per le aziende che per i candidati poiché consente la gestione integrata di tutti i processi di recruiting, a partire dalla pubblicazione dell’annuncio fino alla fase di selezione del personale. Con questo prodotto InfoJobs si trasforma da una semplice piattaforma in un vero e proprio abilitatore tecnologico, in grado di offrire servizi integrati ad alto valore aggiunto sia alle aziende che ai candidati e di rendere più immediato ed efficiente l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Le aziende possono pubblicare contemporaneamente sulla pagina 'Lavora con noi' del sito aziendale, su InfoJobs e su altre piattaforme di recruiting accedendo a un maggior numero di potenziali candidati.

“InfoJobs Talent Master - commenta Eva Maggioni, Head of Job di InfoJobs - è un prodotto unico nel panorama italiano e costituisce un’evoluzione molto importante del nostro ruolo di partner delle aziende. Con questo software, vogliamo diventare gli abilitatori tecnologici in grado di soddisfare tutte le esigenze delle funzioni Hr, dalla pubblicazione delle offerte di lavoro alla gestione del processo di ricerca e selezione delle risorse, con il valore aggiunto di avere un servizio completamente integrato nella piattaforma InfoJobs, che può già contare su 40.000 offerte attive mensili e oltre 7 milioni di candidati".

Il software consente alle aziende:

di pubblicare annunci di lavoro contemporaneamente sulla pagina “Lavora con Noi” del sito aziendale, InfoJobs e altre piattaforme di recruiting così da riuscire a raggiungere il maggior numero di potenziali candidati;

accedere a funzionalità di pre-screening sulla base di determinati parametri (es. distanza, ruolo, settore, RAL, anni di esperienza, lingue e istruzione);

disporre di un motore semantico in grado di tradurre 7 lingue che fornisce un indice di compatibilità dei candidati sulla base dei requisiti richiesti dall’azienda, utile in caso in cui si intenda selezionare figure da inserire in sedi estere;

valutare i candidati mediante test di lingua, video CV e video interviste;

contattare in modo più diretto i candidati sia nella fase iniziale di selezione, ad esempio mediante SMS, sia nella fase finale garantendo un feedback alle candidature.

Questa funzionalità si rivela particolarmente utile per le multinazionali che potranno gestire i processi di selezione per figure da inserire in sedi estere in modo più semplice, oltre ad essere utile sia per le aziende che si trovano a gestire grandi volumi di candidature in entrata sia per le aziende che devono ricercare figure altamente specializzate.

Anche per quanto riguarda il processo di selezione, InfoJobs Talent Master offre alle aziende tool evoluti per la valutazione dei candidati quali test di lingua, video cv e video interviste. Inoltre, funzionando in cloud, l’Ats permette alle aziende con punti vendita o stabilimenti dislocati sul territorio di gestire e valutare il processo di ricerca e selezione internamente in modo più immediato e veloce.

Infine, a conferma della volontà di InfoJobs di voler rendere sempre più semplice e trasparente il job-matching, InfoJobs Talent Master permette alle aziende di contattare in modo più diretto i candidati sia nella fase iniziale di selezione - ad esempio attraverso sms, uno strumento di comunicazione più funzionale soprattutto per alcuni settori - sia nella fase finale garantendo un feedback alle candidature.


giovedì 6 aprile 2017

Benefit aziendale si punta al benessere



Nuovo approccio aziendale ai fringe benefit: più attenzione all'equilibrio psicofisico dei dipendenti con servizi calibrati sulle singole esigenze.

I fringe benefits sono la principale risorsa dei datori di lavoro per creare welfare aziendale e incentivare la produttività, strettamente connessa al benessere dei lavoratori. Nel 2017 con l’approvazione della Legge di Bilancio 2016 entrano in vigore nuove regole di detassazione sulla busta paga dei lavoratori.

Asili, borse di studio, assistenza ai familiari anziani: sono esempi di welfare aziendale incentivato dalla Legge di Stabilità 2016 con nuove forme di fiscalizzazione, contribuzione e campo di applicazione. I Consulenti del Lavoro hanno messo a punto una circolare che riassume il nuovo quadro normativo utile come guida per imprese e lavoratori.

Il  benessere aziendale si fa sempre più strada nella cultura delle aziende italiane, che oggi offrono nuove tipologie di benefici accessori. A divulgarlo è una ricerca di Top Employers Institute, l’ente certificatore delle eccellenze aziendali in ambito HR che ha preso in considerazione non solo i fringe benefit più adottati dalle aziende, ma anche quelli maggiormente scelti e graditi dai dipendenti. Il mondo dei "fringe benefit" mostra secondo gli esperti "un'attenzione spiccata alle soluzioni antistress e alla sostenibilità.

Questi i risultati emersi:
il 76% delle aziende si preoccupa del benessere psicofisico, dello stato di stress e dei carichi di lavoro dei propri dipendenti, tramite questionari mirati e domande specifiche inserite nelle survey periodiche;

il 71% propone e attua un’ampia serie di programmi di benessere, accanto alle più tradizionali ma molto apprezzate polizze integrative di assicurazione sanitaria;

il 66% offre e attua corsi di gestione del tempo, per imparare a lavorare in maniera più efficace e con minore sforzo;

il 66% provvede a un parcheggio aziendale, e talune aziende mettono a disposizione un servizio di bike sharing per il tragitto casa-lavoro;

il 59% incentiva permessi speciali per attività di volontariato;

il 56% offre la possibilità di un intero anno sabbatico per motivi di studio, aggiornamento professionale, assistenza e cura parentale o anche per una pausa di riflessione personale, per “staccare la spina” e poi rientrare più motivati e proattivi sul posto di lavoro;

il 41% provvede a contributi economici per l’accudimento dei figli;

il 18% propone incontri e programmi per aiutare a smettere di fumare

In generale, sembra cambiato l’approccio delle aziende ai fringe benefit.

I datori di lavoro offrono sempre meno spesso benefici omologati e uguali per tutti e puntano sempre di più a servizi personalizzati e calibrati sulle esigenze dei singoli dipendenti pensati anche in chiave competitiva in un’ottica di attrazione e fidelizzazione dei talenti.

Per David Plink, CEO di Top Employers Institute, offrire un ambiente di lavoro ottimale, in grado di favorire la crescita non solo professionale, ma anche personale e umana delle persone si traduce, a sua volta, in potenzialità di sviluppo e crescita anche a livello aziendale.

«I fringe benefit giocano un ruolo sempre più competitivo nelle motivazioni di chi cerca o vuole cambiare posto di lavoro.
Il mercato è cambiato e la motivazione per cui si cambia lavoro non è più solo quella economica, ma entrano in gioco anche altri fattori, come l’ambiente di lavoro, le prospettive di carriera, la flessibilità e – perché no? – anche i fringe benefit “su misura”.

Motivo per cui le aziende più innovative, come le aziende certificate Top Employers, li utilizzano in chiave sempre più personalizzata e come strumento di attrazione e fidelizzazione dei talenti».

Oggi, infatti, sempre più aziende non si limitano più ad offrire solo a smartphone, laptop e auto in leasing, ma puntano diretti al benessere dei dipendenti in chiave antistress e alla sostenibilità offrendo palestre, nutrizionisti, counselling, contributi per l’asilo nido, corsi per la gestione del tempo, bonus volontariato, programmi per smettere di fumare, yoga, massaggi, consulenze nutrizionali e così via.

I fringe benefit, tradotto in italiano come “benefici accessori, marginali”, fanno parte di una particolare tipologia di retribuzione prevista dall’articolo 2099 comma 3 del codice civile secondo il quale “… il prestatore di lavoro può anche essere retribuito in tutto o in parte con partecipazione agli utili o ai prodotti, con provvigione o con prestazioni in natura”.

Fanno parte di questi benefici una serie di servizi dedicati al lavoratore, come buoni pasto, assistenza sanitaria, polizze assicurative, finanziamenti agevolati, acquisto di prodotti a prezzo scontato, acquisto di azione societarie e infine veri e propri beni mobili e immobili, come autovetture, ad uso esclusivamente aziendale, personale o promiscuo e alloggi per il singolo dipendente o per la famiglia.

Questo particolare tipo di reddito viene posto in busta paga del dipendente, con regole variabili per quanto riguarda la tassazione: alcuni fringe benefit sono esenti da tassazioni, come i contribuiti INPS e INAIL, assistenza sanitaria fino a 3.615,20 € all’anno e i buoni pasto commisurati in 5,29 € al giorno.

Con il nuovo anno, inoltre, ci sono nuovi privilegi per i dipendenti premiati: dal 2017, infatti,  l’importo del premio di produttività detassato è raddoppiato. Si passa dai 2000 € ai 4000 € , con un’ aliquota del 10% con un aumento del tetto di reddito di riferimento di 30.000 €: rispetto all'anno scorso si passa quindi da 50.000 € a 80.000 €. In più, i lavoratori potranno convertire la somma di denaro percepita in servizi di welfare aziendale, il tutto esente da tassazione.


lunedì 20 marzo 2017

Bonus famiglia: donne e lavoro tutti gli incentivi



Sono diversi gli incentivi pensati dal Governo per il mondo femminile e per le dipendenti del settore privato con l’obiettivo di agevolarne l’occupazione e la conciliazione lavoro-famiglia, sostenendo le donne, in parte, anche economicamente e magari cercando di contrastare il divario uomo-donna ancora oggi esistente su molti fronti (dal grado di occupazione, al livello retributivo, ai ruoli ricoperti, alle possibilità di carriera, agli impegni famigliari e così via).

Imprenditoria femminile

Per incentivare l’autoimprenditorialità e l’autoimpiego delle donne il decreto ministeriale dello Sviluppo Economico 140/2015 ha previsto un finanziamento agevolato, a tasso zero della durata massima di 8 anni, che copre il 75% delle spese, per investimenti fino a 1,5 milioni di euro. L’incentivo è riservato alla creazione di micro e piccole imprese competitive, a prevalente o totale partecipazione giovanile o femminile, e a sostenerne lo sviluppo attraverso migliori condizioni per l’accesso al credito. I progetti devono essere completati entro 24 mesi dal finanziamento e possono riguardare i seguenti settori:

produzione di beni nei settori dell’industria, dell’artigianato, della trasformazione dei prodotti agricoli;

fornitura di servizi in qualsiasi settore;

commercio e turismo;

attività riconducibili anche a più settori riguardanti la filiera turistico culturale e l’innovazione sociale: attività finalizzate a valorizzazione e fruizione del patrimonio culturale, ambientale e paesaggistico, o al miglioramento dei servizi per ricettività e accoglienza. Produzione di beni e fornitura di servizi che creano nuove relazioni sociali o soddisfano nuovi bisogni sociali, anche attraverso soluzioni innovative.

Sono ammissibili le spese relative all’acquisto di suolo aziendale, fabbricati (comprese le ristrutturazioni), macchinari, impianti e attrezzature nuovi di fabbrica, programmi informatici e servizi per le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, brevetti, licenze e marchi, formazione specialistica di soci e dipendenti, consulenze specialistiche. Le domande possono essere inviate attraverso il sito di Invitalia.

Una delle novità di maggiore rilievo della Legge di Bilancio 2017 (articolo 1, comma 353, della legge 232/2016) per le donne in attesa è l’istituzione di un premio per le nascite o per le adozioni: un assegno di 800 euro che può essere richiesto a partire dal settimo mese di gravidanza da tutte le donne che diventeranno, o sono diventate, mamme dopo il 1° gennaio 2017. Il Bonus non è vincolato all’ISEE, può essere speso per qualsiasi esigenza e viene erogato in un’unica soluzione dall’INPS e non concorre alla formazione del reddito. Tra la documentazione richiesta:

la certificazione sanitaria rilasciata dal medico specialista del Servizio sanitario nazionale, attestante la data presunta del parto;

autocertificazione della data del parto e le generalità del bambino se l’istanza viene presentata dopo il parto;

il provvedimento giudiziario in caso di adozione/o affidamento preadottivo;

permesso di soggiorno nel caso in cui la madre non sia cittadina comunitaria.

Bonus Nido
La Legge di Stabilità 2017 ha introdotto anche un nuovo Bonus Nido per figli nati dopo il primo gennaio 2016 (comma 355) e pari a mille euro annui (ripartito in 11 mensilità). Non è previsto alcun vincolo ISEE e può essere riconosciuto anche alle famiglie con figli sotto i tre anni affetti da gravi patologie croniche, per l’assistenza domiciliare.

Voucher baby sitter e asili nido
A pochi mesi dalla nascita del figlio, le mamme lavoratrici sono chiamate a tornare al lavoro, con un neonato da affidare a cure altrui. Per sostenere le donne che lavorano e che hanno famiglia, il Governo ha introdotto nel 2013 la possibilità di fruire, in alternativa al congedo parentale, di un voucher pari a 600 euro mensili per nido o baby sitter: per sei mesi alle dipendenti, tre mesi alle autonome. Il beneficio, confermato e prorogato dalla Legge di Bilancio 2017, spetta alle donne lavoratrici che al termine del congedo di maternità ed entro gli undici mesi successivi tornano al lavoro e rinunciano al congedo parentale.

Bonus bebè
Confermato e prorogato dall’ultima Legge di Bilancio anche il Bonus bebè, riservato alle famiglie con ISEE non superiore ai 25.000 euro annui. Si tratta di un assegno annuale erogato per un massimo di tre anni dall’INPS di importo variabile in base al reddito:

960 euro (80 euro al mese per 12 mesi), nel caso in cui il valore dell’ISEE non sia superiore a 25.000 euro annui;

1.920 euro (160 euro al mese per 12 mesi), nel caso in cui il valore dell’ISEE non sia superiore a 7.000 euro annui.
Welfare aziendale

Bonus bebe, che è un’agevolazione riservata ai neo genitori che hanno un nuovo figlio o che adottano, o prendono in affido, un minore, entro il 31 dicembre 2017.
A chi spetta il bonus bebè Inps? Possono fare richiesta del bonus bebè le Cittadine Italiane, le Cittadine di uno Stato membro dell'Unione Europea e le Cittadine Extracomunitarie munite di regolare permesso di soggiorno

Quanto spetta di bonus bebè? Per le famiglie che hanno un reddito ISEE entro i 25.000 euro annui, il contributo economico è pari a 80 euro a mese mentre per chi ha un reddito ISEE pari o inferiore a 7.000 euro, l’importo bonus bebè è di 160 euro al mese.
Durata bonus bebè: il bonus spetta dal giorno della nascita del bambino, o dal sua entrata in famiglia in caso di adozione o affidamento, fino a 3 anni.

Alle donne che vogliano creare nuove imprese sono destinate le agevolazioni regolate con il decreto dei ministeri dello Sviluppo economico e dell’Economia dell’8 luglio 2015 n. 140, che fissa i criteri e le modalità di concessione degli incentivi a tasso zero dedicati alle neo imprenditrici. Si tratta di agevolazioni che puntano a sostenere, in tutta Italia, la nascita e lo sviluppo di micro e piccole imprese a prevalente o totale partecipazione giovanile o femminile: finanziamenti senza interessi, per progetti di investimento fino a 1,5 milioni di euro. Le agevolazioni consistono in un finanziamento a tasso zero della durata massima di 8 anni, che può coprire fino al 75% delle spese totali.I progetti possono riguardare la produzione di beni nei settori dell’industria, dell’artigianato e della trasformazione dei prodotti agricoli o servizi, in tutti i settori, compresi il commercio e il turismo. Le domande possono essere inviate attraverso il sito di Invitalia.

Per aiutare le donne che vogliono tornare al lavoro dopo la maternità è stato introdotto dal 2013 il voucher mensile di 600 euro spendibile per l’acquisto di servizi di baby sitting, o per il pagamento della retta del nido, per un massimo di sei mesi. Il beneficio viene concesso alle donne che al termine del congedo di maternità ed entro gli undici mesi successivi, rinunciano al congedo parentale per tornare al lavoro. Dal 2016 il voucher è concesso anche alle lavoratrici autonome.

Bonus bebè
Per le famiglie con Isee non superiore ai 25.000 euro annui è ancora attivo anche il bonus bebè concesso dall’Inps: si tratta di un assegno annuale di 960 euro (80 euro al mese per 12 mesi), nel caso in cui il valore dell’Isee non sia superiore a 25.000 euro annui; 1.920 euro (160 euro al mese per 12 mesi), nel caso in cui il valore dell’Isee non sia superiore a 7.000 euro annui.


domenica 5 febbraio 2017

Pubblica amministrazione, quando si rischia il licenziamento



Il “decalogo” dovrebbe fare chiarezza sulla questione, mettendo in fila le condizioni che determinano l'espulsione del dipendente: dalla falsa attestazione della presenza in servizio allo scarso rendimento. E la sanzione massima si attiverebbe anche, nei casi più gravi, per il responsabile gerarchico del dipendente assenteista che chiuda un occhio (o tutti e due) davanti agli illeciti. La casistica elencata nel “decalogo” si occuperà anche delle gravi e reiterate violazioni del Codice di comportamento. Per esempio, l'accettare regali costosi o l'abuso dell'auto di rappresentanza.


Ecco quando scatta il licenziamento disciplinare per gli statali. L'elenco precisa le situazioni 'a rischio', esplicitandole, tra cui le gravi e reiterate violazioni del codice di comportamento (accettare regali costosi, abusare dell'auto di rappresentanza). Nel decreto, previsto per metà febbraio, dovrebbe anche essere stabilito che in caso di procedura ordinaria entro tre mesi, non più quattro, l'azione deve essere conclusa. Resta fermo il licenziamento sprint, di 30 giorni, per il furbetto del cartellino, che dovrebbe essere esteso a tutte le forme illecite che portano a licenziamento accertate in flagranza. E la sanzione massima si attiverebbe anche, nei casi più gravi, per il responsabile che davanti agli illeciti «si volta dall’altra parte».

Il caso più classico di «bollino rosso» da assenteismo è quello del venerdì e del lunedì che permette a  chi lavora nella Pubblica amministrazione di allungare il week-end. Problema che si acuisce se il week-end lungo arriva in settimane più «a rischio» a causa della presenza della possibilità di «ponti».

Vi sono altre date sensibili, periodi «caldi» in cui un’amministrazione pubblica deve essere al 100% e non può permettersi intoppi a causa di assenze «anomale». Tra queste date quelle in cui è in programma un grande evento, per esempio un G7. Quest’anno è in calendario un G7 in Italia, il 26 e il 27 maggio a Taormina, preceduto dal G7 finanziario a Bari, dall’11 al 13 maggio.

Altre date a rischio sono quelle in cui scattano le iscrizioni alle scuole. Quest’anno il periodo valido per presentare le domande di iscrizione online alle scuole va dal 16 gennaio al 6 febbraio 2017. Ma chi per motivi validi non riuscirà a presentare domanda entro tale scadenza dovrà fare l’iscrizione in formato cartaceo. E anche per le scuole dell’infanzia si deve presentare domanda cartacea.

Tra i periodi monitorati dal ministero per evitare assenza di massa in grado di creare disservizi c’è anche quello del pagamento del modello  730 all’Agenzia delle Entrate, a luglio. Quest’anno la Dichiarazione dei Redditi 2017 va fatta entro il 23 luglio per il 730 precompilato inviato direttamente dai contribuenti e per i Caf, commercialisti e intermediari che entro il 7 luglio.

I provvedimenti disciplinari, inoltre, dovranno avere anche tempi più veloci. La procedura ordinaria, infatti, dovrà terminare entro 3 mesi e non più quattro mentre viene confermato il licenziamento sprint, di 30 giorni, per il “furbetto” del cartellino.

A parte il licenziamento, viene anche rivista tutta l’azione disciplinare. Con tutta probabilità si preciserà che per le infrazioni di minore gravità, per cui è previsto il solo richiamo verbale, le regole saranno stabilite dai contratti. I tecnici del ministero della Pubblica amministrazione stanno lavorando a una semplificazione dell’iter e si dovrebbe anche aprire a una gestione unificata per le sanzioni più gravi, per cui più amministrazioni possono fare capo a uno stesso ufficio. Anche qui ci sono dei chiarimenti, delle puntualizzazioni sul ruolo dell’ufficio per il procedimento disciplinare. Inoltre i vizi formali, i cavilli giuridici, non potranno fermare l’azione. Anche in questo caso, viene estesa una clausola anticipata con il decreto anti-furbetti. Quindi la violazione dei termini interni fissati per la procedura non potrà impedire di andare avanti, né potrà annullare la validità della sanzione inflitta, fatto salvo il diritto alla difesa. Inoltre se il giudice accerta una sproporzione con la sanzione disciplinare, il procedimento si ripete.



martedì 10 gennaio 2017

Lavoro: assenze e retribuzione causa neve e maltempo




Nei giorni di maltempo, con mezza Italia stretta nella morsa del gelo, sono molti gli Italiani bloccati in casa costretti ad assenze dal lavoro causa neve e maltempo. Ma come bisogna comportarsi in questi casi? Cosa dice la legge?

In linea generale nel caso in cui il lavoratore sia bloccato da eventi meteorologici straordinari, l’impossibilità sopravvenuta esonererebbe il lavoratore dall'obbligo di effettuare la prestazione e allo stesso tempo libererebbe il datore di lavoro dall'obbligo di pagare la retribuzione.

In linea di principio questa dovrebbe essere la conclusione, tuttavia i contratti collettivi di lavoro, generalmente disciplinano proprio questi casi specifici, evitando quindi che i lavoratori rimangano senza paga, andando quindi a prevedere un monte ore di congedi e/o di permessi straordinari, da cui attingere proprio in caso di eventi meteorologici eccezionali.

La paga non sarà dunque sospesa, a condizione comunque che il lavoratore comunichi tempestivamente all’azienda l’assenza dal lavoro e le motivazioni. Inoltre il lavoratore costretto all’assenza dal lavoro causa neve e maltempo, dovrà in qualche modo provare al proprio datore di lavoro che ad esempio è rimasto bloccato dalla neve o dal ghiaccio. E’ importante quindi che chi è rimasto intrappolato in casa in questi giorni presti massima attenzione a quanto prevede il proprio contratto collettivo di riferimento.

Il lavoratore deve comunicare tempestivamente al datore di lavoro che non riesce ad arrivare al lavoro causa maltempo, e può usare il monte permessi, o monte ore per scalare l’assenza improvvisa: sono le regole generali da applicare per le assenze da lavoro causate da eventi metereologici, come la neve e il freddo.

I riferimenti normativi per regolarsi in questi casi sono fondamentalmente due: il codice civile, e i CCNL. Tutti i contratti prevedono, oltre alla ferie, un monte ore per permessi.

A differenza delle ferie che devono essere concordate prima, si tratta di ore che il lavoratore può prendersi se ha l’esigenza di assentarsi dal lavoro, ma non obbligatoriamente (le ferie vanno smaltite entro fine anno, e nel caso contrarie vanno pagate, mentre i permessi se non vengono utilizzati si azzerano a fine anno). Un evento come il maltempo è motivo valido per chiedere un permesso. Il dipendente ha sempre l’obbligo di comunicare tempestivamente all’azienda il motivo dell’impossibilità a recarsi al lavoro, perché non presentarsi al lavoro senza motivazione può invece essere causa di licenziamento.

Come detto, si tratta in genere di regole disciplinate da contratti di lavoro, che devono sempre rappresentare in questi casi il primo riferimento a cui attenersi. I riferimenti del codice civile da tener presente sono invece gli articoli 1218 e 2104. Il primo stabilisce l’obbligo di motivare ritardi o danni derivanti da responsabilità contrattuale (riguarda quindi specificamente l’onere della prova, che in questo caso è del lavoratore, e consiste appunto nella comunicazione tempestiva dell’impossibilità di recarsi al lavoro), il secondo comporta l’obbligo da parte del lavoratore alla diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta.

Un interessante riferimento di prassi è rappresentato dal Ministero del Lavoro che riguarda proprio il mancato svolgimento della prestazione lavorativa causa neve. Innanzitutto, il ministero fa una distinzione fra settore pubblico e privato. Nel caso concreto esaminato (gennaio e febbraio 2012), le autorità pubbliche avevano emanato specifiche disposizioni contro il maltempo (chiusura uffici pubblici, obbligo catene per la circolazione dei mezzi private).

Ebbene, in questo caso, il dipendente pubblico non lavora per una causa che non è imputabile al lavoratore, visto che è disposta la chiusura degli uffici pubblici. Il datore di lavoro ha l’obbligo di retribuire comunque le giornate perse, utilizzando i permessi. nel settore privati, invece, l’obbligo di catene alle auto non è un impedimento, quindi per il lavoratore resta l’obbligo di recarsi in ufficio. Ma comunque, la mancata  esecuzione della prestazione contrattuale, in presenza di tempestiva comunicazione del lavoratore all'azienda, supportata da idonea motivazione non è qualificabile come inadempimento a lui imputabile.

La legge prevede i casi in cui sia il datore di lavoro a non adempiere alla prestazione lavorativa nonostante il lavoratore ha raggiunto il luogo di lavoro. Nel caso in cui la prestazione, pur offerta dal lavoratore, non può svolgersi per impossibilità del datore di lavora bisogna capire le cause effettive da cui scaturisce questa mancanza. Si potrà infatti parlare di impossibilità sopravvenuta solo quando la causa è in tutta evidenza estranea alla volontà del datore di lavoro ed è allo stesso tempo estranea a ragioni produttive e all'organizzazione del lavoro.

In questo caso la legislazione sociale prevede forme di ammortizzatori sociali quali, ad esempio, la cassa integrazione per eventi non evitabili. Sarà l’INPS quindi a pagare la giornata di lavoro e a corrispondere la contribuzione nei casi in cui a causa della neve ad esempio il cantiere edile dovrà rimanere fermo.

Non c’è quindi inadempimento da parte del datore di lavoro quando la prestazione è impossibile per un evento eccezionale, esterno, imprevedibile e indipendente dalla sua volontà, anche se il lavoratore ha messo a disposizione la propria prestazione.


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