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giovedì 1 ottobre 2015

Nuovo Ccnl colf e badanti 2015 lavoro notturno



Innanzitutto è considerato notturno il lavoro prestato tra le ore 22.00 e le ore 6.00. Nel caso di lavoro ad ore, si considera lavoro notturno quello svolto per almeno 7 ore consecutive tra la mezzanotte e le 5.00 di mattina.

Il lavoro notturno viene compensato con la maggiorazione del 20% della retribuzione base oraria concordata. Il lavoro notturno prestato oltre il normale orario di lavoro e oltre il monte ore settimanale massimo consentito è da qualificarsi come lavoro straordinario notturno, con maggiorazione pari al 50% della retribuzione base oraria.
In generale, l'orario di lavoro dei lavoratori notturni non può superare le 8 ore in media nelle 24 ore.
Nel caso assistenza notturna da parte di lavoratori sono previsti diversi tipi di inquadramenti e specifiche retribuzioni in base al lavoro svolto.

Il testo del rinnovo del CCNL prevede in caso di:
• semplice presenza/attesa notturna in favore di soggetti autosufficienti il livello B super
• prestazioni assistenziali notturne in favore di soggetti autosufficienti il livello C super super per lavoratori non formati
• prestazioni assistenziali notturne in favore di soggetti autosufficienti il livello D super super per lavoratori formati

Il Lavoro notturno svolto tra le ore 22 e le ore 6, se ordinario- è compensato con il 20% .

Presenza notturna
I lavoratori assunti per garantire esclusivamente la presenza notturna (e non l’assistenza o cura) rappresentano una categoria a sé.

Le prestazioni di presenza notturna sono quelle effettuate in una fascia oraria notturna interamente ricompresa tra le ore 21.00 e le ore 8.00 e prevedono che il datore di lavoro metta a disposizione del lavoratore un alloggio idoneo per il completo riposo notturno.

Questo tipo di prestazioni vengono inquadrate in una categoria specifica di lavoro domestico, la "presenza notturna", che ha un parametro retributivo specifico.

Nel contratto di lavoro dovranno essere indicata la categoria di prestazioni ("prestazioni notturne") e l'ora d'inizio e quella di cessazione dell'assistenza.

Qualora venissero richieste al lavoratore prestazioni diverse dalla mera presenza, queste non saranno considerate lavoro straordinario, bensì retribuite aggiuntivamente sulla base delle retribuzioni previste per i lavoratori non conviventi con le eventuali maggiorazioni contrattuali e limitatamente al tempo effettivamente impiegato.

Assistenza notturna
È possibile assumere personale non infermieristico perché resti a disposizione durante la notte e presti assistenza in caso di bisogno.

Questo tipo di personale viene inquadrato in una categoria specifica di lavoro domestico, "assistenza notturna", che prevede come mansioni “discontinue prestazioni notturne di cura alla persona”.

La categoria di assistenza notturna viene retribuita secondo dei parametri specifici.
Per essere inquadrata come “discontinue prestazioni notturne di cura alla persona”, l’assistenza prestata deve avere carattere di discontinuità: prevede infatti attesa, ma non sempre assistenza. Il lavoratore si obbliga perciò a garantire al datore di lavoro la propria disponibilità allo svolgimento di prestazioni di assistenza in modo discontinuo o intermittente e in un arco di tempo predefinito: la fascia oraria notturna.

Diverso è invece il caso di prestazioni esclusivamente di attesa - e non di cura, nemmeno discontinua. In questo caso, la prestazione viene inquadrata in una categoria diversa, appunto di "presenza notturna".

Si qualifica come "assistenza notturna" il lavoro prestato in una fascia oraria notturna interamente ricompresa tra le ore 20.00 e le ore 8.00.
Il datore di lavoro dovrà a tal fine provvedere all’assistente un’idonea sistemazione per la notte, qualora non fosse convivente, oltre alla cena e alla colazione.

Al personale convivente dovranno essere in ogni caso garantite undici ore di riposo consecutivo ogni ventiquattro ore.

Nel contratto di lavoro dovranno essere indicate l’ora d’inizio e quella di cessazione dell’assistenza e il suo carattere di prestazione discontinua.

Le “discontinue prestazioni notturne di cura alla persona” hanno dei parametri specifici di remunerazione. Fanno infatti riferimento dei minimi retributivi previsti per legge.
In particolare, nel caso in cui l’assistenza notturna riguardi soggetti autosufficienti (bambini, anziani, portatori di handicap o ammalati), la badante verrà inquadrata nel livello B super.

Nel caso in cui l’assistenza riguardi soggetti non autosufficienti, la badante verrà inquadrata nel livello C super (se non formata) o D Super (se formata).
Massimo 10 ore non consecutive al giorno se convivente fino a 54 ore settimanali.-
Massimo 8 ore non consecutive al giorno se non convivente fino a 40 ore settimanali.

Nel caso in cui l’orario non rientrassi completamente nella fascia notturna prevista, la si applicheranno i parametri retributivi previsti per l’assistenza notturna soltanto alla frazione di orario ricompresa tra le 22 e le 8; le rimanenti ore dovranno essere retribuite secondo i parametri normali.

Rimane comunque ferma la prescrizione di una giornata lavorativa massima di 10 ore non
consecutive, se convivente e 8 ore non consecutive, se non convivente.

Presenza notturna livello unico euro 651,27.

Assistenza notturna
Livello BS Assistenza a persone autosufficienti euro 972,67.
Livello CS Assistenza a persone non autosufficienti (non formato) euro 1.102,36.- (7,20 x ora)
Livello DS Assistenza a persone non autosufficienti (formato) euro 1.361,75.- (869 x ora).


Nuovo Ccnl colf e badanti 2015 tredicesima mensilità, TFR e licenziamento o dimissioni



Ecco il nuovo contratto collettivo nazionale di lavoro sulla disciplina del rapporto di lavoro domestico (in vigore dal 1° luglio 2013 al 31 dicembre 2016).

Il rapporto tra il datore di lavoro e il collaboratore domestico può terminare:

• a seguito delle dimissioni del lavoratore: in questo caso il lavoratore deve rispettare il termine di preavviso indicato nel contratto collettivo nazionale;

• a seguito di un accordo tra il lavoratore e il datore di lavoro;

• nei rapporti a tempo determinato nel momento in cui il contratto viene a scadenza naturale;

• per licenziamento da parte del datore di lavoro che normalmente assume le forme del licenziamento disciplinare dal momento che è difficile ipotizzare casi di licenziamento per motivazione economica in casi di lavoro prestato in famiglia.

Tredicesima mensilità
Al lavoratore spetta una mensilità aggiuntiva, pari alla retribuzione maggiorata dell'indennità sostitutiva di vitto. Al lavoratore, in occasione del Natale e comunque entro il mese di dicembre, spetta una mensilità aggiuntiva, pari alla retribuzione maggiorata dell’indennità sostitutiva di vitto e alloggio. La mensilità matura in base ai mesi di lavoro per frazioni pari o superiori a 15 giorni, ed anche durante assenze retribuite per malattia, infortunio, maternità. Non matura per aspettative, assenze e permessi non retribuiti. Per colf e badanti conviventi la tredicesima mensilità è pari allo stipendio mensile + vitto e alloggio.

TFR (Trattamento di fine rapporto)
Deve essere liquidato al termine del rapporto di lavoro e indicativamente corrisponde ad una mensilità per ogni anno di servizio prestato.

Una volta stabilità qual è l'anzianità maturata dalla lavoratrice, si passa al calcolo vero e proprio.
1. Il primo passo consiste nel determinare la somma pagata nel corso dei singoli anni, comprensiva della tredicesima e delle indennità di vitto e alloggio per le colf conviventi o che consumano in casa uno o più pasti.
2. L'importo della retribuzione annuale, diviso per 13,5, rappresenta la quota annuale da accantonare per il trattamento di fine rapporto.
3. Le singole quote annuali vanno rivalutate con degli appositi coefficienti dati dalla somma di due indici di cui:
o il primo è pari al 75% dell'aumento del costo della vita accertato dall'Istat per gli operai e gli impiegati;
o il secondo è dato da una percentuale fissa pari all'1,50% all'anno (0,125% al mese).

Preavviso per licenziamento o dimissioni
Il rapporto di lavoro domestico può cessare per libera volontà del lavoratore e del datore di lavoro.

Non c'è necessità di motivare l'interruzione del rapporto di lavoro, ma deve essere concesso un termine di preavviso, che varia a seconda che il rapporto di lavoro sia superiore od inferiore a 24 ore settimanali, ed all'anzianità di servizio presso il datore di lavoro. Le parti possono regolare tra di loro questi termini, che però non possono comunque essere inferiori a quelli stabiliti per legge.

In caso di licenziamento, se il lavoratore è impegnato per oltre 24 ore settimanali e ha maturato fino a cinque anni di anzianità presso lo stesso datore di lavoro, il termine di preavviso deve essere almeno di 15 giorni di calendario. Il termine deve essere di almeno 30 giorni se gli anni di anzianità sono oltre i cinque.

Se invece il rapporto di lavoro è fino a 24 ore settimanali il preavviso dovrà essere pari ad 8 giorni di calendario, fino a due anni di anzianità e 15 giorni di calendario, oltre i due anni di anzianità.
Nel caso di dimissioni da parte del lavoratore i termini sono ridotti del 50%.


Nuovo Ccnl colf e badanti 2015 orario di lavoro, riposi, ferie e malattia


Ecco il nuovo contratto collettivo nazionale di lavoro sulla disciplina del rapporto di lavoro domestico (in vigore dal 1° luglio 2013 al 31 dicembre 2016).

Il lavoratori domestici (anche conosciuti come collaboratori domestici) sono quei lavoratori che svolgono la loro prestazione lavorativa per soddisfare le necessità della vita familiare del loro datore di lavoro.

All’interno di questa grande categoria rientrano le colf (ovverosia i lavoratori che svolgono le attività di gestione della casa in senso ampio curandone l’igiene e l’ordine), le badanti (ovverosia quei soggetti che svolgono assistenza continuativa presso l’abitazione di una persona non totalmente autosufficiente), le baby sitter, i cuochi, le governanti, i camerieri e in generale appunto tutti quei soggetti che operano all’interno della vita di una famiglia svolgendo dei servizi per la gestione delle esigenze di vita dei suoi componenti.

La retribuzione di un lavoratore domestico è composta da: retribuzione mensile o paga oraria pattuita, comprensiva per i livelli D e D super di uno specifico elemento denominato indennità di funzione; eventuali scatti di anzianità; eventuale indennità sostitutivo di vitto e alloggio; eventuale superminimo ; eventuali ore di lavoro straordinario; eventuali ore di lavoro straordinario notturno; eventuali ore di lavoro durante le festività e tredicesima.

La durata normale dell’orario di lavoro viene concordata fra le parti con un massimo di 10 ore giornaliere non consecutive, per un totale di 54 ore settimanali, per i lavoratori conviventi e 8 ore giornaliere non consecutive, per un totale di 40 ore settimanali distribuite su 5 o 6 giorni, per i lavoratori non conviventi.

Orario di lavoro
Nel lavoro a tempo pieno l'attuale durata normale dell'orario di lavoro è concordata tra le parti e comunque con un massimo di:

10 ore giornaliere non consecutive, per un totale di 54 ore settimanali per i lavoratori conviventi.

8 ore giornaliere non consecutive, per un totale di 44 ore settimanali per i lavoratori non conviventi.

Il lavoratore ha diritto ad un riposo di almeno 8 ore consecutive nella giornata e ad un ulteriore riposo intermedio di almeno 2 ore da fruirsi nelle ore pomeridiane.

Riposo settimanale
Il riposo settimanale è di 36 ore e deve essere goduto per:

24 ore di domenica (o altra giornata stabilita nel contratto di assunzione). Questo riposo è irrinunciabile. In caso di richiesta di prestazione lavorative per esigenze imprevedibili le ore vanno retribuite con la maggiorazione del 60% sia per i lavoratori non conviventi che per i lavoratori conviventi.

12 ore in qualsiasi altro giorno della settimana. Qualora fossero richieste prestazioni lavorative nel giorno fissato, il riposo può essere goduto in altro giorno della settimana (in assenza di recupero le ore lavorate vanno retribuite con la maggiorazione del 40% sia per i lavoratori non conviventi che per i lavoratori conviventi).

Lavoro straordinario
Personale non convivente è compensato con una maggiorazione del:

10% per le ore di lavoro prestate dalle ore 6,00 alle ore 22,00 (straordinario diurno compreso tra le 40 e le 44 ore settimanali.

25% per le ore di lavoro prestate dalle ore 6,00 alle ore 22,00 (straordinario diurno).

50% per le ore di lavoro prestate dalle ore 22,00 alle ore 6,00 (straordinario notturno).

60% per le ore di lavoro prestate nel giorno di riposo o in giorno festivo infrasettimanale.

Personale convivente è compensato con una maggiorazione del:

25% per le ore di lavoro prestate dalle ore 6,00 alle ore 22,00 (straordinario diurno).

50% per le ore di lavoro prestate dalle ore 22,00 alle ore 6,00 (straordinario notturno).

60% per le ore di lavoro prestate nel giorno di riposo stabilito e nelle festività infrasettimanali.

40% per le ore di lavoro prestate nella mezza giornata di riposo (mancato riposo).

Scatti di anzianità
Per ogni biennio di servizio presso lo stesso datore di lavoro spetta al lavoratore un aumento pari al 4% sulla retribuzione minima contrattuale, per un massimo di 7 scatti.

Ogni lavoratore ha il diritto irrinunciabile di godere di ferie annuali. Per ferie si intende un periodo di riposo, libero da attività lavorativa, che permetta al lavoratore il recupero delle energie fisiche e psichiche, sia nell’interesse del dipendente che del datore di lavoro.

I giorni di ferie devono dunque essere continuativi - non spezzati da giorni lavorativi - e devono avere una periodicità almeno annuale. Il periodo in cui è possibile utilizzare le ferie maturate nell’anno è fissato dal datore di lavoro, nel rispetto delle esigenze del dipendente. Le ferie vanno fissate generalmente da giugno a settembre, salvo diversi accordi tra le parti. Le ferie devono essere godute nell’arco dell’anno. I lavoratori di cittadinanza straniera possono però, con il consenso del datore di lavoro, accumulare le ferie in un biennio, se hanno necessità di godere di un periodo di ferie più lungo per tornare in patria in modo non definitivo.

Festività
1° gennaio - 6 gennaio – lunedì di Pasqua – 25 aprile – 1° maggio – 2 giugno – 15 agosto – 1° novembre – 8 dicembre – 25 dicembre – 26 dicembre – S. Patrono. In queste giornate il lavoratore ha diritto al completo riposo e alla retribuzione normale. Se una delle festività sopra elencate coincide con la domenica o nel giorno di riposo stabilito, il lavoratore ha diritto al recupero del riposo in altra giornata o, in alternativa, al pagamento di 1/26 della retribuzione. Se invece è lavorata è dovuto, oltre alla normale retribuzione giornaliera il pagamento delle ore lavorate maggiorate del 60%.

Ferie
Indipendentemente dalla durata dell'orario di lavoro, per ogni anno di servizio il lavoratore ha diritto a 26 giorni lavorativi di ferie se la distribuzione dell'orario di lavoro settimanale è su 6 giorni (occorre proporzionare se i giorni lavorativi sono inferiori a sei). La retribuzione dei giorni di ferie è maggiorata dell'indennità sostitutiva di vitto se dovuto. Le ferie non possono essere monetizzate (salvo i giorni non goduti che residuano alla cessazione del rapporto di lavoro).

Malattia
In caso di malattia il lavoratore deve avvisare tempestivamente il datore di lavoro ed è necessario il certificato medico (non obbligatorio per i conviventi salvo non sia espressamente richiesto dal datore di lavoro).

Come primo dovere, il datore di lavoro, una volta ricevuto il certificato medico entro 2 giorni dall'inizio della malattia fatto emettere dal lavoratore entro il giorno successivo al verificarsi dell'evento, avrà l'obbligo di mantenere il posto di lavoro per un periodo di tempo variabile in base all'anzianità di servizio della colf e /o badante, sia questa convivente che non convivente. Il periodo di conservazione del posto di lavoro è pari a:

• 10 giorni di calendario (incluse le domeniche) in caso di contratto di collaborazione domestica (sia convivente che non convivente) con anzianità inferiore a 6 mesi;

• 45 giorni di calendario (incluse le domeniche) in caso di contratto di collaborazione domestica con anzianità di servizio compreso tra i 6 mesi ed i 2 anni;

• 180 giorni di calendario (incluse le domeniche) se l'anzianità di servizio della colf è superiore a 2 anni.

Oltre l'obbligo di mantenimento del posto di lavoro, il datore di lavoro è poi obbligato a remunerare la malattia garantendo un salario coincidente al 50% della retribuzione globale di fatto per i primi 3 giorni di calendario e pari al 100% della retribuzione globale di fatto per un numero di giorni pari a:

• 8 giorni complessivi nell'anno per anzianità di servizio inferiore a 6 mesi;

• 10 giorni complessivi di calendario nell'anno per anzianità di servizio compresa tra 6 mesi e 2 anni;

• 15 giorni complessivi di calendario nell'anno per contratti di lavoro con anzianità di servizio superiore a 2 anni.

Permessi retribuiti
Per lavoratori a tempo pieno e indeterminato Con anzianità superiore a 24 mesi: 40 ore retribuite per la formazione e corsi professionali. Per lavoratori con orario superiore a 30 ore settimanali, per l’effettuazione di visite mediche documentate, purché coincidenti con l’orario di lavoro,16 ore annue;
Per i lavoratori conviventi dei LIV.C –B – e B super e per lavoratori studenti di età tra 16 e 40 anni per la frequenza di corsi per l’acquisizione di titoli di studio: 12 ore l’anno; 3 giorni lavorativi per lutto familiare ( per congiunti sino al 2° grado) 2 giorni al lavoratore padre per nascita di un figlio ore corrispondenti agli esami annuali da documentare (diritto allo studio).

Nuovo Ccnl colf e badanti 2015 assunzione ed inquadramento


Ecco il nuovo contratto collettivo nazionale di lavoro sulla disciplina del rapporto di lavoro domestico (in vigore dal 1° luglio 2013 al 31 dicembre 2016).

Il contratto si applica ai lavoratori, anche di nazionalità non italiana o apolidi, comunque retribuiti, addetti al funzionamento della vita familiare e delle convivenze familiarmente strutturate, tenuto conto di alcune fondamentali caratteristiche del rapporto di lavoro.

All'atto dell’assunzione il lavoratore dovrà consegnare al datore di lavoro i documenti necessari e presentare in visione i documenti assicurativi e previdenziali, nonché ogni altro documento sanitario aggiornato con tutte le attestazioni previste dalla legge, un documento di identità personale non scaduto ed eventuali diplomi o attestati professionali specifici. In caso di pluralità di rapporti, i documenti di cui sopra saranno trattenuti da uno dei datori di lavoro con conseguente rilascio di ricevuta.

Il lavoratore extracomunitario potrà essere assunto se in possesso del permesso di soggiorno valido per lo svolgimento di lavoro subordinato.

Nella lettera di assunzione, devono essere indicati, oltre ad eventuali clausole specifiche:

data dell’inizio del rapporto di lavoro;

livello di appartenenza, nonché, per i collaboratori familiari con meno di 12 mesi di esperienza professionale, non addetti all'assistenza di persone, l’anzianità di servizio nel livello A o, se maturata prima del 1 marzo 2007, nella ex terza categoria;

durata del periodo di prova;

esistenza o meno della convivenza;

la residenza del lavoratore, nonché l’eventuale diverso domicilio, valido agli effetti del rapporto di lavoro; per i rapporti di convivenza, il lavoratore dovrà indicare l’eventuale proprio domicilio diverso da quello della convivenza, a valere in caso di sua assenza da quest’ultimo, ovvero validare a tutti gli effetti lo stesso indirizzo della convivenza, anche in caso di sua assenza purché in costanza di rapporto di lavoro;

durata dell’orario di lavoro e sua distribuzione;

eventuale tenuta di lavoro, che dovrà essere fornita dal datore di lavoro;

collocazione della mezza giornata di riposo settimanale in aggiunta alla domenica;

retribuzione pattuita;

luogo di effettuazione della prestazione lavorativa nonché la previsione di eventuali temporanei spostamenti per villeggiatura o per altri motivi familiari (trasferte);

periodo concordato di godimento delle ferie annuali;

indicazione dell’adeguato spazio dove il lavoratore abbia diritto di riporre e custodire i propri effetti personali.

La lettera di assunzione, firmata dal lavoratore e dal datore di lavoro, dovrà essere scambiata tra le parti.

L’assunzione può effettuarsi a tempo determinato, nel rispetto della normativa vigente, obbligatoriamente in forma scritta, con scambio tra le parti della relativa lettera, nella quale devono essere specificate le fattispecie giustificatrici.

La forma scritta non è necessaria quando la durata del rapporto di lavoro, puramente occasionale, non sia superiore a dodici giorni di calendario.

Il termine del contratto a tempo determinato può essere, con il consenso del lavoratore, prorogato solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a tre anni. In questo caso la proroga è ammessa una sola volta e a condizione che sia richiesta da ragioni oggettive e si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato; la durata complessiva del rapporto a termine non potrà essere comunque superiore, compresa la eventuale proroga, ai tre anni.

E’ consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro nei seguenti casi:
per l’esecuzione di un servizio definito o predeterminato nel tempo, anche se ripetitivo;

per sostituire anche parzialmente lavoratori che abbiano ottenuto la sospensione del rapporto per motivi familiari, compresa la necessità di raggiungere la propria famiglia residente all’estero;

per sostituire lavoratori malati, infortunati, in maternità o fruenti dei diritti istituiti dalle norme di legge sulla tutela dei minori e dei portatori di handicap, anche oltre i periodi di conservazione obbligatoria del posto;

per sostituire lavoratori in ferie;

per l’assistenza extradomiciliare a persone non autosufficienti ricoverate in ospedali, case di cura, residenze sanitarie assistenziali e case di riposo.

Inquadramento dei lavoratori  Badanti e Colf

Livello A
Collaboratori familiari generici, non addetti all'assistenza di persone, con esperienza professionale (maturata anche presso datori di lavoro diversi) non superiore a 12 mesi.

Livello A Super
Addetto alla compagnia, baby sitter (mansioni occasionali e/o saltuarie).

Livello B
Collaboratori familiari che, in possesso della necessaria esperienza svolgono con specifica competenza le proprie mansioni, ancorché a livello esecutivo.

Livello B Super
Assistente a persone autosufficienti

Livello C
Collaboratori familiari che, in possesso di specifiche conoscenze di base, sia teoriche che tecniche, relative allo svolgimento dei compiti assegnati, operano con totale autonomia e responsabilità.

Livello C Super
Assistente a persone non autosufficienti (non formato).

Livello D
Collaboratori familiari che, in possesso dei necessari requisiti professionali, ricoprono specifiche posizioni di lavoro caratterizzato da responsabilità, autonomia decisionale e/o coordinamento.

Livello D Super
assistente a persone non autosufficienti (formato). Svolge mansioni di assistenza a persone non autosufficienti, ivi comprese, se richieste, le attività connesse alle esigenze del vitto e della pulizia della casa ove vivono gli assistiti.

domenica 3 maggio 2015

Indennità di disoccupazione Naspi e rapporto di lavoro



Se un lavoratore, in corso di fruizione della Naspi, instauri un rapporto di lavoro subordinato o intraprenda un’attività di lavoro autonomo o di impresa individuale.

Con riferimento ai rapporti di lavoro subordinati, se il reddito annuale risulti essere superiore al reddito minimo escluso da imposizione fiscale, non riceve più la prestazione, salvo il caso in cui la durata del rapporto di lavoro non sia superiore a sei mesi poiché, in tal caso, la prestazione viene sospesa d’ufficio e riprende una volta cessato il rapporto di lavoro. Qualora invece il reddito annuale sia inferiore al reddito minimo escluso da imposizione, la Naspi viene ugualmente erogata, a condizione che il lavoratore comunichi all’Inps entro 30 giorni dall’inizio dell’attività, il reddito annuo previsto oltre che la non coincidenza del datore di lavoro attuale con il datore di lavoro per il quale il lavoratore è stato impiegato per il periodo che ha determinato il diritto al riconoscimento dell’indennità.

Da ultimo, se il lavoratore è impiegato con due o più rapporti di lavoro subordinato a tempo parziale e cessi da uno dei rapporti il cui reddito sia inferiore al limite utile ai fini della conservazione dello stato disoccupazione, ha diritto, ricorrendo tutti gli altri requisiti previsti, a percepire la Naspi, ridotta di un importo pari all’80% del reddito previsto (rapportato al periodo di tempo intercorrente tra la data di inizio dell’attività e la data in cui termina il periodo di godimento dell’indennità o, se antecedente, la fine dell’anno). Ad ogni modo, il soggetto beneficiario ha l’obbligo di comunicare all’Inps, entro un mese dall’inoltro dalla domanda di prestazione, il reddito annuo previsto.

Diversamente da quanto sopra visto, il lavoratore che intraprenda un’attività di lavoro autonomo o di impresa individuale, che generi un reddito inferiore al limite utile ai fini della conservazione dello stato di disoccupazione, deve darne tempestiva comunicazione all’Inps (entro un mese dall’inizio dell’attività), dichiarando il reddito annuo che prevede di perseguire.

La prestazione è ridotta di un importo pari all’80% del reddito previsto, rapportato al periodo di tempo intercorrente tra la data di inizio dell’attività e la data in cui termina i l periodo di godimento dell’indennità o, se antecedente, la fine dell’anno; detta riduzione è ricalcolata d’ufficio al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi.

I lavoratori non obbligati alla presentazione della dichiarazione dei redditi, in alternativa, devono presentare all’Inps un’apposita autodichiarazione del reddito ricavato dall’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale, entro il 31 marzo dell’anno successivo; in ipotesi contraria, occorrerà restituire la Naspi percepita dall’inizio dell’attività autonoma.

Autoimprenditorialità
Il Decreto offre la possibilità al lavoratore di chiedere la liquidazione anticipata, in un’unica soluzione, dell’importo del trattamento spettante residuo, allo scopo di intraprendere un’attività di lavoro autonomo in forma di impresa individuale o per la sottoscrizione di una quota di capitale sociale di una cooperativa nella quale il rapporto mutualistico ha ad oggetto la prestazione di attività lavorative da parte del socio. Tale ipotesi non dà diritto alla contribuzione figurativa e agli assegni familiari.
Ad ogni modo, entro 30 giorni dalla data di inizio dell’attività autonoma o di impresa individuale o alla data di sottoscrizione di una quota di capitale sociale della cooperativa, deve essere fatta esplicita richiesta all’Inps.
Tuttavia, l’anticipazione ottenuta, deve essere restituita qualora, prima della scadenza del termine di fruizione della Naspi, il lavoratore instauri un rapporto di lavoro subordinato; fanno eccezione i rapporti di lavoro subordinato instaurati con la cooperativa con la quale il lavoratore ha sottoscritto una quota di capitale sociale.

Compatibilità e cumulabilità
Di seguito vediamo cosa accade se un lavoratore, in corso di fruizione della Naspi, instauri un rapporto di lavoro subordinato o intraprenda un’attività di lavoro autonomo o di impresa individuale.

Con riferimento ai rapporti di lavoro subordinati, se il reddito annuale risulti essere superiore al reddito minimo escluso da imposizione fiscale, non riceve più la prestazione, salvo il caso in cui la durata del rapporto di lavoro non sia superiore a sei mesi poiché, in tal caso, la prestazione viene sospesa d’ufficio e riprende una volta cessato il rapporto di lavoro. Qualora invece il reddito annuale sia inferiore al reddito minimo escluso da imposizione, la Naspi viene ugualmente erogata, a condizione che il lavoratore comunichi all’Inps entro 30 giorni dall’inizio dell’attività, il reddito annuo previsto oltre che la non coincidenza del datore di lavoro attuale con il datore di lavoro per il quale il lavoratore è stato impiegato per il periodo che ha determinato il diritto al riconoscimento dell’indennità. Da ultimo, se il lavoratore è impiegato con due o più rapporti di lavoro subordinato a tempo parziale e cessi da uno dei rapporti il cui reddito sia inferiore al limite utile ai fini della conservazione dello stato disoccupazione, ha diritto, ricorrendo tutti gli altri requisiti previsti, a percepire la Naspi, ridotta di un importo pari all’80% del reddito previsto (rapportato al periodo di tempo intercorrente tra la data di inizio dell’attività e la data in cui termina il periodo di godimento dell’indennità o, se antecedente, la fine dell’anno). Ad ogni modo, il soggetto beneficiario ha l’obbligo di comunicare all’Inps, entro un mese dall’inoltro dalla domanda di prestazione, il reddito annuo previsto.

Diversamente da quanto sopra visto, il lavoratore che intraprenda un’attività di lavoro autonomo o di impresa individuale, che generi un reddito inferiore al limite utile ai fini della conservazione dello stato di disoccupazione, deve darne tempestiva comunicazione all’Inps (entro un mese dall’inizio dell’attività), dichiarando il reddito annuo che prevede di perseguire.

La prestazione è ridotta di un importo pari all’80% del reddito previsto, rapportato al periodo di tempo intercorrente tra la data di inizio dell’attività e la data in cui termina i l periodo di godimento dell’indennità o, se antecedente, la fine dell’anno; detta riduzione è ricalcolata d’ufficio al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi.

I lavoratori non obbligati alla presentazione della dichiarazione dei redditi, in alternativa, devono presentare all’Inps un’apposita auto dichiarazione del reddito ricavato dall'attività lavorativa autonoma o di impresa individuale, entro il 31 marzo dell’anno successivo; in ipotesi contraria, occorrerà restituire la Naspi percepita dall'inizio dell’attività autonoma.

Decadenza
Il lavoratore perde il diritto di fruire della prestazione a causa:
• della perdita dello status di disoccupato;
• dell’inizio di un’attività di lavoro subordinato o autonomo senza effettuare le comunicazioni di cui sopra;
• del raggiungimento dei requisiti per il pensionamento;
• dell’acquisizione del diritto all'assegno ordinario di invalidità (salvo optare per la NASPI).

Contribuzione figurativa
La contribuzione figurativa equivale alla retribuzione imponibile previdenziale degli ultimi 4 anni, entro un limite di retribuzione pari a 1,4 volte l’importo massimo mensile della prestazione.

Le retribuzioni non sono conteggiate ai fini della determinazione della retribuzione pensionabile laddove siano di importo inferiore alla retribuzione media ottenuta senza tener conto di tali retribuzioni.



lunedì 8 dicembre 2014

Certificazione nei contratti di lavoro



La certificazione è una speciale procedura finalizzata ad attestare che il contratto che si vuole sottoscrivere abbia i requisiti di forma e contenuto richiesti dalla legge. È una procedura a carattere volontario, può essere eseguita solo su richiesta di entrambe le parti (futuro lavoratore e datore di lavoro) e ha lo scopo di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione di alcuni contratti di lavoro.

Possono essere oggetto di certificazione solo i contratti di:
lavoro intermittente
lavoro ripartito
lavoro a tempo parziale
lavoro a progetto
associazione in partecipazione
appalto

La procedura di certificazione è attivata a seguito di una richiesta scritta e congiunta del datore di lavoro e del lavoratore. L'inizio del procedimento deve essere comunicato alla DTL competente per territorio e deve concludersi entro 30 giorni dalla ricezione dell'istanza. Nella valutazione la commissione deve tener presente i codici di buone pratiche.

La procedura si conclude con un atto di certificazione motivato che indica l'autorità presso cui è possibile presentare ricorso, il termine per presentarlo e gli effetti della certificazione. L'atto di certificazione può essere impugnato dal datore di lavoro e dal lavoratore, oltre che dai terzi interessati, davanti al giudice del lavoro e in alcuni casi al TAR (Tribunale amministrativo regionale). La pratica di certificazione e i contratti certificati devono essere conservati presso le sedi di certificazione per almeno 5 anni dal momento della loro scadenza.

Le sedi di certificazione svolgono attività di consulenza e assistenza al datore e al lavoratore sia in relazione alla stipulazione, sia in relazione alle modifiche del programma negoziale.

Il recente D. Lgs. 276/03 ha introdotto la certificazione che è finalizzata a ridurre il contenzioso in materia di rapporti di lavoro attraverso un'esatta qualificazione del rapporto stesso. Infatti, chi abbia stipulato un contratto di lavoro atipico, può certificare la genuinità di quel contratto e del proprio rapporto di lavoro, rivolgendosi ad apposite Commissioni, giurando che il proprio rapporto di lavoro si svolge davvero coerentemente con la tipologia contrattuale prescelta e non nasconde, invece, un ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Più precisamente, alla certificazione possono ricorrere i titolari di un contratto di lavoro intermittente, di lavoro ripartito, di lavoro a tempo parziale, di lavoro a progetto e di associazione in partecipazione. Inoltre, è ammessa la procedura di certificazione per i contratti di appalto anche ai fini della concreta distinzione dalla somministrazione di lavoro. L'autorità dotata del potere certificatorio può essere un ente bilaterale, la Direzione provinciale del lavoro, una Provincia e le Università. La procedura deve concludersi entro il termine di trenta giorni dalla presentazione dell'istanza.

L'atto di certificazione deve essere motivato e contenere, tra l'altro, il termine e l'autorità cui è possibile ricorrere nei confronti della certificazione stessa. Infatti, nei confronti della certificazione può essere impugnata avanti il Giudice del Lavoro, ad opera delle stesse parti o di un terzo, nella cui sfera giuridica l'atto impugnato produca effetti. Tuttavia, l'impugnazione giudiziale è ammessa solo per alcuni motivi, indicati dal legislatore delegato: ciò infatti può accadere per il caso in cui il rapporto si svolga, di fatto, in maniera diversa da come è stato certificato, o per erronea qualificazione del contratto, o per un vizio del consenso (quindi quando qualcuno sia stato indotto alla certificazione per violenza, errore, dolo). In questo caso, il preventivo tentativo obbligatorio di conciliazione deve essere effettuato davanti alla commissione di certificazione che ha adottato l'atto di certificazione. L'atto di certificazione può essere impugnato anche davanti al Tribunale Amministrativo Regionale per violazione del procedimento o per eccesso di potere.

Nonostante le finalità dichiarate dal legislatore delegato si deve ritenere che, in realtà, la certificazione avrà la sola conseguenza di aumentare i ricatti ai danni del lavoratore. Infatti, si può scommettere che, d'ora in poi, il datore di lavoro subordinerà l'assunzione di un lavoratore atipico, o la stipulazione di un contratto a progetto, alla contestuale certificazione e, ovviamente, se il lavoratore rifiuterà, non si darà corso al rapporto di lavoro.

La certificazione presenta notevoli vantaggi per i lavoratori e per le aziende in quanto la Commissione, costituita da soggetti altamente qualificati, assiste attivamente le parti nella redazione del contratto e ne verifica e convalida la regolarità formale e sostanziale, qualunque sia il modello contrattuale prescelto dalle parti (lavoro autonomo, subordinato, coordinato, ecc.). Con la certificazione, quindi, le parti sono sicure della “qualità” dei contratti stipulati.

Gli effetti della certificazione sono importanti, oltre che sul piano della certezza del diritto, anche su quello della resistenza del contratto in caso di controversia, in quanto la certificazione dispiega i propri effetti verso i terzi (enti previdenziali compresi) e previene il contenzioso giudiziale in materia di qualificazione del rapporto.

Come tutte le forme di certificazione, anche la certificazione dei contratti di lavoro e di appalto ha un’importante valenza in termini di responsabilità sociale d’impresa e presenta indubbi riflessi positivi nei rapporti dell’azienda sia con i propri lavoratori sia con i propri interlocutori (clienti, fornitori, istituzioni, istituti di credito, ecc.).

Le Commissioni di certificazione hanno il potere di svolgere:
a. attività di consulenza e assistenza alle parti contrattuali sia al momento della stipulazione del contratto di lavoro sia, successivamente, per eventuali modifiche concordate in sede di attuazione del rapporto;
b. attività di certificazione di tutti i contratti in cui sia dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro.
c. attività di conciliazione delle controversie ai sensi dell'articolo 410 c.p.c.

Gli effetti del provvedimento di certificazione permangono, anche nei confronti dei terzi, fino al momento in cui sia stato accolto, con sentenza di merito, un eventuale ricorso giurisdizionale. Nei confronti dell’atto di certificazione, sia le parti che i terzi che ne abbiano interesse possono proporre ricorso giurisdizionale soltanto per vizi del consenso, per erronea qualificazione del rapporto o per difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione. Il ricorso al giudice ordinario deve obbligatoriamente essere preceduto da un tentativo di conciliazione da svolgersi avanti alla commissione che ha certificato l’atto.



lunedì 24 novembre 2014

Forma scritta del contratto di lavoro



Per principio generale la forma del contratto di lavoro è libera, non essendo previste particolari modalità di manifestazione del consenso. In particolari ipotesi, però, la legge richiede la forma scritta del contratto di lavoro o di alcune clausole dello stesso.

E’ richiesta la forma scritti a fini effettivi per:
a) l’apposizione di un termine finale al rapporto di lavoro: la mancanza determina la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato;

b) il contratto di lavoro con un’agenzia di somministrazione: la mancanza determina l’instaurazione di un ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con l’impresa utilizzatrice;

c) il contratto di apprendistato: la mancanza determina la conversione del rapporto in un ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato;

d) il contratto di inserimento: la mancanza determina la conversione del rapporto in un ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato;

e) la determinazione del periodo di prova: la mancanza determina la non sussistenza del periodo di prova.

Al contratto di lavoro, in linea di massima, si applicano le disposizioni dettate per i contratti in generale, nell’apposito titolo del libro quarto del codice civile; da ciò deriva che, non essendo, di regola, prevista una particolare forma, il contratto può essere anche stipulato in forma orale o per atti concludenti, anche se la sottoscrizione di un documento scritto è assai diffusa nella prassi.

Per alcuni tipi di contratto, tuttavia, l’ordinamento italiano ha introdotto nel tempo delle normative di settore che impongono la forma scritta ai fini della validità del contratto: tra queste meritano di essere menzionati i contratti di lavoro subordinato sportivo, di arruolamento del personale navigante, di formazione e lavoro e di lavoro temporaneo. Sono soggette a tale rigoroso requisito formale anche alcune clausole accessorie che, tendenzialmente, risultano peggiorative delle condizioni del lavoratore; in proposito, si pensi, a titolo esemplificativo, al periodo di prova, al patto di non concorrenza e, come stiamo per vedere, all’apposizione di un termine di durata.

E’ invece richiesta la forma scritta a fini probatori:

a) per tutte le tipologie di lavoro flessibile, quali il lavoro ripartito, il lavoro intermittente ed il lavoro a progetto;

b) per il lavoro a tempo parziale.

La mancanza della forma scritta a fini probatori, non determina automaticamente la conversione del rapporto in un ordinario rapporto di lavoro subordinato; la reale natura del rapporto potrà essere dimostrata con altri mezzi di prova ad esclusione della prova testimoniale, che potrà essere richiesta solo se l’interessato dimostri che il documento scritto sia andato perduto non per propria colpa.

Obbligatorietà: l'apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono altresì specificate le ragioni, salvi i casi eccezionali in cui tale specificazione non è richiesta. Dal 21.3.2014, è invece stato abolito l’obbligo di specificare le ragioni che giustificavano il ricorso al contratto a termine (art. 1, co. 1 e 2, D.Lgs. 6.9.2001, n. 368). L’obbligo della forma scritta per la stipulazione del contratto (firmato, primo, al più tardi, contestualmente all'inizio dell'attività lavorativa), dal quale deve emergere l'apposizione del termine è un obbligo previsto ai fini della sostanza dell’atto.

Mancanza della forma scritta: fatto salvo quanto appena sopra, la violazione di tali obblighi comporta l'inesistenza del termine, con la conseguenza che le parti, mancando la forma scritta, avranno stipulato un contratto a tempo indeterminato, con quel che ne deriva in tema di insussistenza del termine finale, disciplina del recesso, computo nell'organico aziendale, maturazione degli scatti di anzianità, percorsi automatici di carriera eventualmente previsti dal CCNL. Ne consegue che la forma scritta è sempre obbligatoria, per contro l'indicazione (specifica) delle ragioni non lo è più a partire dal 21.3.2014.

La Corte di Cassazione, con sentenza del 14 luglio 2011, n. 1549, ha affermato che “l'apposizione del termine al contratto di lavoro postula, a pena di nullità, un patto di forma scritta essenziale, che deve essere anteriore o, quanto meno, contestuale all'inizio del rapporto e non può essere surrogato, in ipotesi di assunzione attraverso l'ufficio di collocamento, dagli atti costituiti dalla richiesta del datore di lavoro o dal provvedimento di avviamento del lavoratore da parte dell'ufficio predetto”.

Presenza di più documenti: sempre secondo la Cassazione, “l'apposizione del termine al contratto di lavoro, oltre che risultare da atto scritto, deve essere coeva o anteriore all'inizio del rapporto lavorativo, anche se non è richiesto che la dichiarazione di volontà e l'apposizione del termine siano contenuti in un unico documento, in quanto il requisito della forma scritta deve ritenersi osservato anche allorquando la sottoscrizione del lavoratore sia contenuta in un documento a sé, costituente accettazione di una proposta, anch'essa scritta, di contratto a termine formulata dal datore di lavoro e il contratto sia concluso, ai sensi dell'art. 1326 del codice civile, prima o contemporaneamente all'inizio della prestazione. Nella specie, la Suprema Corte ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto illegittima l'apposizione del termine contenuto in una lettera di assunzione non sottoscritta dal lavoratore, il quale ne aveva solo preso conoscenza a seguito di consegna effettuata per conto del datore di lavoro.

Consegna del contratto al lavoratore: sfornita di specifica sanzione appare, invece, la previsione secondo la quale una copia del contratto deve essere consegnata al lavoratore entro 5 giorni lavorativi dall'inizio della prestazione (art. 1, comma 3, D.Lgs. 368/2001). Tale interpretazione, pur in vigenza della più restrittiva legge n. 230/1962, aveva già ricevuto l'avallo della Suprema Corte, la quale ha affermato che “il mancato rispetto della norma, posta dall'art. 1, comma 4, legge n. 230/1962, che prescrive la consegna al lavoratore di una copia dell'atto scritto in caso di assunzione con contratto a termine, non determina la nullità dell'apposizione del termine, perché tale sanzione non è prevista dalla legge (diversamente che per la mancata redazione dell'atto scritto) e, d'altra parte, tale adempimento costituisce un elemento del tutto estrinseco ai requisiti essenziali del contratto”. A tal proposito è bene notare che i 5 giorni decorrono non già dalla sottoscrizione del contratto ma dall'effettivo inizio della prestazione e che si computano unicamente i giorni lavorativi.



Lavoro: la lettera di assunzione cosa deve contenere



La lettera di assunzione è il documento che consente di individuare con certezza gli elementi essenziali che caratterizzano il rapporto di lavoro.

Tale lettera, che ai sensi dell’art. 4bis comma 2 D.Lgs. n. 181/00 deve essere consegnata al lavoratore al momento dell’assunzione, deve contenere le condizioni di lavoro applicate al rapporto, di cui all’art. 1 comma 1 D.Lgs. n. 152/97, ovvero:

a) l’identità delle parti;

b) il luogo di lavoro;

c) la data di inizio del rapporto di lavoro;

d) la durata del rapporto di lavoro, precisando se si tratta di rapporto di lavoro a tempo determinato o indeterminato;

e) la durata del periodo di prova se previsto;

f) l’inquadramento, il livello e la qualifica attribuiti al lavoratore, oppure le caratteristiche o la descrizione sommaria del lavoro;

g) l’importo iniziale della retribuzione e i relativi elementi costitutivi, con l’indicazione del periodo di pagamento;

h) la durata delle ferie retribuite cui ha diritto il lavoratore o le modalità dei determinazione e di fruizione delle ferie;

i) l’orario di lavoro;

l) i termini di preavviso in caso di recesso.

L’informazione circa le indicazioni di cui alle lettere e), g), h), i) ed l) può essere effettuata mediante il rinvio alle norme del contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro.

La lettera di assunzione in quanto tale non è un documento obbligatorio per l’instaurazione di un rapporto di lavoro dipendente, il cui contratto che ne sta alla base, può essere concluso anche oralmente o per atti concludenti.

La lettera di assunzione ha solo una funzione probatoria e la sua assenza non inficia la validità del contratto stipulato tra le parti. Ora, posto che la lettera di assunzione non è un elemento fondamentale per l’instaurazione di un rapporto di lavoro dipendente, la sua obbligatorietà può essere prevista in determinati specifici casi dalla lette (personale marittimo personale dell’aria, contratto a tempo determinato, eccetera) o dalla contrattazione collettiva.

La prassi comune vuole che sempre venga redatta, sia al fine di rendere valide particolari clausole come - ad esempio - il patto di prova, sia al fine di ottemperare ad altri obblighi di legge quali quelli previsti dal decreto legislativo 152/1997, articolo 4bis, comma 2, decreto legislativo 181/2000, articolo 40, comma 2 del decreto legge 112/2008 convertito in legge 133/2008, i quali stabiliscono che all’atto dell’instaurazione di un rapporto di lavoro dipendente, e prima dell’inizio dell’attività, i datori di lavoro sono tenuti ad informare i dipendenti in merito al contenuto del loro contratto individuale.

Sebbene tale obbligo si può dar seguito mediante la consegna al lavoratore della copia della comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro effettuata al centro per l’impiego, tuttavia è sempre consigliabile la consegna di copia del contratto al lavoratore in quanto strumento più completo a garanzia delle parti.

Con l’esplicitazione del contratto collettivo applicato al lavoratore non sarà necessario specificate altri elementi nel contratto individuale, quali - ad esempio - durata delle ferie oppure ore di riduzione orario di lavoro, in quanto avrà valore quanto previsto dal contratto collettivo nazionale, fatte salve condizioni di miglior favore contrattate dalle parti.



sabato 3 maggio 2014

Modifiche al decreto lavoro 2014



Sono otto gli emendamenti presentati dal governo al dl Poletti all'esame della commissione lavoro in Senato, che state presentate dal Governo alla Commissione Lavoro del Senato. Otto modifiche che daranno una sterzata al testo discusso alla Camera.

In particolare, tra le principali novità la sanzione per lo sforamento della quota del 20% per i contratti a termine, che passa dalla "stabilizzazione" prevista dal provvedimento approvato nel passaggio alla Camera a una multa che l'impresa dovrà versare al fisco: sarà del 20% della retribuzione per il 21mo lavoratore e del 50% dal 22mo in poi. Quanto alla formazione pubblica, si precisa che la Regione nei 45 giorni di tempo che ha per comunicare all'azienda le modalità di svolgimento dell'offerta formativa pubblica dovrà anche indicare le «sedi» e il «calendario» e potrà avvalersi «delle imprese e delle loro associazioni che si siano dichiarate disponibili».

Ecco quali sono:
Le proposte di modifica partono dal preambolo del decreto in cui dovrà essere inserita la dicitura secondo la quale tutti i provvedimenti puntano "alla previsione in via sperimentale del contratto a tempo indeterminato a protezione crescente".

Contratti a  tempo determinato
La principale novità è la sanzione per lo sforamento della quota del 20% dei contratti a tempo determinato presenti in azienda rispetto a quelli a tempo indeterminato. Prima era prevista la "stabilizzazione" della situazione, ora una multa che l'impresa dovrà versare al fisco e che sarà pari al 20% della retribuzione per il 21mo lavoratore e al 50% dal 22mo in poi.

La misura non si applica però ai contratti stipulati da istituti pubblici ed enti privati di ricerca, e dalle aziende con meno di 5 dipendenti. Viene riformulato il regime 
transitorio per i contratti a termine, con la specifica 
che le imprese entro il 31 dicembre devono adeguarsi al tetto del 20% a meno che 
il contratto collettivo applicabile sia più favorevole.

Apprendistato
È stata elevata da 30 a 50 dipendenti la soglia delle dimensioni delle aziende al di sopra della quale vale il vincolo di trasformazione del 20% dei contratti di apprendistato.

È prevista la possibilità dell'utilizzo dell'apprendistato a tempo determinato per le attività stagionali. Le Regioni devono però definire un sistema di alternanza scuola-lavoro e la possibilità dovrà essere prevista nei contratti di lavoro collettivi.

Donne in gravidanza
Viene previsto che il diritto di precedenza all'adeguamento per le 
donne in gravidanza sia previsto nel contratto.

Offerta formazione pubblica
L'organizzazione dell'offerta formativa pubblica spetta alle Regioni che dovranno comunicare entro 45 giorni le modalità di svolgimento "e non se ne potrà far carico né esimere l'impresa". La singola Regione dovrà poi indicare "sedi e calendario" della formazione e potrà anche avvalersi "delle imprese e delle loro associazioni che si siano dichiarate disponibili".

Gli emendamenti al decreto lavoro andranno letti attentamente, ma dalle prime notizie sembra che «le correzioni sostanziali che erano state apportate alla Camera rimangono tutte», ha affermato Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro della Camera, commentando gli emendamenti: «Le correzioni sostanziali della Camera rimangono tutte: la diminuzione delle proroghe a 5, la sanzione per chi supera il 20%, il diritto di precedenza, l'introduzione di una formazione pubblica e "on the job" in forma scritta, la stabilizzazione del 20% degli apprendisti».


domenica 27 aprile 2014

Clausola penale nel contratto di agenzia?



Alla cessazione del rapporto di agenzia competono a favore dell’agente alcuni diritti.
Innanzitutto, si evidenzia che l’art. 1750 c.c. stabilisce che se il contratto di agenzia è a tempo indeterminato, ciascuna delle parti può recedere dal contratto stesso dandone preavviso all'altra entro un termine stabilito.

In tal caso, se il recesso è posto in essere dal preponente, il termine di preavviso non può comunque essere inferiore ad un mese per il primo anno di durata del contratto, a due mesi per il secondo anno iniziato, a tre mesi per il terzo anno iniziato, a quattro mesi per il quarto anno, a cinque mesi per il quinto anno e a sei mesi per il sesto anno e per tutti gli anni successivi.

E’ previsto inoltre che le parti possano concordare termini di preavviso di maggiore durata, ma il preponente non può osservare un termine inferiore a quello posto a carico dell'agente.
Anche gli accordi collettivi prevedono termini e forme di preavviso specifici e distinte, a seconda che si tratti di agente monomandatario o plurimandatario.

In ogni caso, nell’ipotesi in cui il preponente non voglia rispettare tali termini, potrà corrispondere all'agente un'indennità commisurata ai mesi di preavviso spettanti che quindi rappresenta il primo diritto in favore dell’agente al termine del rapporto.

In secondo luogo, l’agente ha diritto di ricevere alla cessazione del rapporto da parte del preponente un’indennità per la cessazione del rapporto medesimo.

Tale istituto è regolamentato dall’art. 1751 c.c. il quale è stato da ultimo modificato dai D.Lgs. n. 303/1991 e n. 65/1999 che hanno recepito la direttiva 86/653/CEE.

La clausola penale é una specifica pattuizione contrattuale collegata ed accessoria rispetto ad una o più obbligazioni principali con la quale si conviene che, in caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento, il debitore sarà tenuto ad una certa prestazione, di norma consistente nella dazione di una somma di denaro.

 Essa svolge la funzione di rafforzare il vincolo contrattuale e di stabilire, in via preventiva, la prestazione dovuta per il caso di inadempimento o ritardo, con l’effetto di determinare e limitare a tale prestazione (sempreché non sia stata pattuita la risarcibilità del danno ulteriore) la misura del risarcimento dovuto, indipendentemente dalla prova della concreta esistenza del danno effettivamente sofferto (Cass. 6 novembre 1998, n. 11204). Tale patto accessorio trova la sua compiuta disciplina negli artt. 1382-1384 c.c.

Nell’ambito del contratto di agenzia, dunque, è molto diffuso dar luogo all’inserzione di tali clausole collegate all’adempimento di obblighi di non concorrenza specie dopo la cessazione del contratto. Peraltro, la domanda di applicazione di tale clausola che può essere azionata in giudizio da qualsiasi soggetto contraente va opportunamente distinta da quella di risoluzione del contratto per inadempimento giacché «la clausola penale si configura causalmente e negozialmente autonoma sia rispetto all’inadempimento, sia rispetto al danno».


Recessione contratto di lavoro per giusta causa in caso di cessione dell’azienda preponente




La cessione dell’azienda preponente può costituire per l’agente giusta causa di recesso dal contratto di agenzia quando il cessionario non offra una sufficiente sicurezza di solidità finanziaria e quindi non garantisca all’agente l’adempimento delle obbligazioni derivanti dalla prosecuzione del rapporto. Lo ha deciso il Tribunale di Roma nella sentenza n.6322 del 5 aprile 2011.

È molto interessante comprendere cosa avvenga qualora nell’ambito di un trasferimento d’azienda tra due società preponenti si inserisca un recesso per giusta causa dell’agente ceduto: ciò infatti comporta una responsabilità solidale del cedente per debiti in corso di maturazione alla data della cessione.

A tal proposito, si rammenta, innanzitutto, che costituisce principio assolutamente costante in giurisprudenza che, in materia di rapporto di agenzia, gli effetti del «trasferimento dell’azienda preponente ... sono disciplinati dalla normativa generale dell’art. 2558 c.c. e non dall’art. 2112 c.c. relativo al lavoro subordinato» (Cass. 16 novembre 2004, n. 21678 in Agenti & Rappresentanti, 2005, n. 1, pagg. 24-25).

Si ricordi a tal proposito che l’art. 2558 c.c. stabilisce che «se non é pattuito diversamente, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale. Il terzo contraente può tuttavia recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, se sussiste una giusta causa, salvo in questo caso la responsabilità dell’alienante». Tale norma considera effetto naturale della cessione d’azienda l’automatica successione in tutti i contratti, a prescindere dalla conoscenza che il cessionario ne abbia, salvo diversa pattuizione. La successione nei rapporti contrattuali riguarda quindi i contratti a prestazioni corrispettive in fase di esecuzione e deroga alla regola generale stabilita dall’art. 1406  c.c., secondo cui la cessione dei contratti necessita del consenso della controparte; infatti in caso di trasferimento d’azienda tale consenso non é necessario, salvo il diritto di recesso previsto dall’art. 2558, comma 2, c.c.

In tema di cessione d’azienda, tale disposizione riconosce il subingresso  del cessionario in tutti i contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda medesima che non abbiano carattere personale, salvo patto contrario. A tal proposito, risulta assolutamente prevalente in giurisprudenza l’indirizzo che identifica i contratti a carattere personale in quelli nei quali l’identità e le qualità personali dell’imprenditore alienante siano state in concreto determinanti per il consenso del terzo contraente, ossia nei quali, in considerazione dell’oggetto e della natura del negozio, la persona dell’alienante rivesta importanza tale da determinare la sua insostituibilità (Cass. 12 aprile 2001, n. 5495; Cass. 26  febbraio 1994, 1975 in motivazione). Si tratta di una categoria alla quale appartengono sia i contratti a prestazione oggettivamente infungibile (ad es. i contratti d’opera intellettuale o artistica), sia i contratti a prestazione soggettivamente infungibile, cioè considerata in concreto tale dalle parti. Per quanto ivi interessa, comunque, la  giurisprudenza maggioritarie ha escluso il contratto di agenzia dalla categoria dei contratti a carattere personale, ricomprendendo tale tipologia negoziale nell’ambito di applicazione dell’art. 2558 c.c. (Cass. 16 maggio 2000, n. 6351; Cass. 26 febbraio 1994, n. 1975).

Si osservi peraltro che la medesima giurisprudenza ha rilevato che «l’acquirente subentra nei contratti di agenzia stipulati dall’alienante per l’esercizio della azienda, ai sensi dell’art. 2558 cod. civ., solo se fra le parti del contratto di cessione non siano intervenuti patti diversi intesi alla novazione dei precedenti contratti» (Cass. 16 maggio 2000, n. 6351).

Alla luce di tali principi la società che cede un contratto di agenzia deve  rispondere dei debiti esistenti, maturati ed esigibili, nei confronti dell’agente solo fino alla data della cessione escludendo di converso la responsabilità in solido con la società cessionaria per i debiti futuri e non esistenti al momento dell’intervenuta cessione.



Patto di non concorrenza nell’ambito dei rapporti di agenzia



La Corte di Cassazione con sentenza della sez. lav. 5 giugno 2000, n.7481, ha confermato il precedente indirizzo secondo il qual qualora un contratto di agenzia preveda sin dall’inizio il conferimento conferisca all’agente anche di un incarico alla riscossione, deve presumersi – attesa la natura corrispettiva del rapporto – che il compenso per tale attività sia già stato compreso nella provvigione pattuita, che deve intendersi determinata in relazione al complesso dei compiti affidati all’agente. La medesima attività andrà separatamente compensata nel caso in cui il relativo incarico sia stato conferito all’agente nel corso del rapporto e costituisca una prestazione accessoria ulteriore rispetto a quella originariamente prevista nel contratto.

Il patto di non concorrenza stipulato tra agenti di assicurazione è valido solo nell'ambito della medesima zona e clientela, mentre deve ritenersi nullo per le parti eccedenti, con esclusione di ogni derogabilità da parte degli usi e dalla contrattazione collettiva attesa la natura indisponibile alle parti della previsione di cui all'art. 1751 bis, primo comma, cod. civ.

Innanzitutto, occorre rammentare che in origine ad esso si applicava il regime previsto dall’art. 2596 c.c. secondo cui «il patto che limita la concorrenza deve essere provato per iscritto. Esso é valido se circoscritto ad una determinata zona o ad una determinata attività, e non può eccedere la durata di cinque anni», non prevedendosi all’epoca alcun compenso in favore dell’agente.

La giurisprudenza sul punto ha riconosciuto univocamente che «l’art. 2125 c.c., che disciplina il patto con il quale si limita lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro per il tempo successivo alla cessazione del contratto, riguarda esclusivamente il rapporto di lavoro subordinato e, pertanto, non può applicarsi ad ipotesi diverse, come quella del rapporto di agenzia, dato che l’agente non è un lavoratore subordinato, ma (di norma) un imprenditore, essendo in tali ipotesi applicabile, invece, l’art. 2596 c.c., secondo cui il patto che limita la concorrenza deve essere provato per iscritto, deve essere circoscritto ad una determinata zona e non può eccedere la durata di cinque anni» (Cass. 24 agosto 1991, n. 9118; Cass. 6 novembre 2000, n. 14454). Con l’introduzione dell’art. 1751 bis cod. civ., ad opera del D.Lgs. 10 settembre 1991, n. 303 (attuativo della Direttiva CEE n. 86 del 1986), il legislatore italiano é poi intervenuto a disciplinare il patto di non concorrenza nel contratto di agenzia. Ai fini della validità del patto in questione, la norma citata richiede la forma scritta, una durata massima di due anni e che il patto riguardi la medesima zona, clientela e genere di beni o servizi oggetto del contratto di agenzia.

Recentemente la disposizione è stata ulteriormente rinnovata dall’art. 23, Legge Comunitaria 29 dicembre 2000, n. 422 che ha  modificato l’art. 1751 bis c.c., riconoscendo espressamente il diritto dell’agente ad un’indennità, di natura non provvigionale, a titolo di corrispettivo dell’obbligo di non concorrenza. Inoltre, la medesima disposizione prevede una serie di criteri per la determinazione del corrispettivo del patto di non concorrenza affidandola prima alle parti, che dovranno tener conto della durata del patto, della natura del rapporto nonché, qualora applicabili al caso specifico, di quanto previsto dagli AEC. La norma novellata, inoltre, rimette all’equità del giudice la determinazione del corrispettivo in assenza di accordo tra le parti. Tali disposizioni, tuttavia, soffrono di alcune limitazioni: innanzitutto si applicano esclusivamente agli agenti che esercitino in forma individuale, di società di persone o di società di capitali con un solo socio, nonché, ove previsto da accordi economici nazionali di categoria, a società di capitali costituite esclusivamente o prevalentemente da agenti commerciali. E, in secondo luogo, tale disciplina vale esclusivamente per i patti di non concorrenza stipulati dopo l’entrata in vigore di tale norma, vale a dire dal 1° giugno 2001.

Ogni condotta di concorrenza è tenuta dall'imprenditore nella piena consapevolezza del danno che essa può arrecare al proprio concorrente ed è, anzi, finalizzata a questo obiettivo e solo una malintesa concezione dell'attività imprenditoriale può arrivare ad immaginare una concorrenza non finalizzata alla eliminazione del concorrente dal mercato.

Con particolare riguardo allo storno di dipendenti, va affermato il pieno diritto di ogni imprenditore di sottrarre dipendenti al concorrente, purché ciò avvenga con mezzi leciti, quale ad esempio la promessa di un trattamento retributivo migliore o di una sistemazione professionale più soddisfacente.

Agente di commercio e il concetto di giusta causa



L’agente promuove la conclusione di contratti per conto del preponente svolgendo attività di ricerca della potenziale clientela, di descrizione e di pubblicizzazione dei prodotti per portare il cliente a poter formulare una determinata proposta, conforme alle aspettative del preponente. Se munito del potere di rappresentanza, l’agente conclude i contratti per conto del preponente.

Il concetto di giusta causa trae il suo fondamento giuridico dall’art. 2119 c.c. Al riguardo, l’orientamento è ormai pacifico nel considerare che anche il rapporto di agenzia possa essere risolto appunto per giusta causa in virtù dell’applicazione analogica al contratto di agenzia proprio del menzionato art. 2119 c.c. (tra le tante v. Cass. 12 dicembre 2001, n. 15661; Cass. 12 giugno 2000, n. 7986; Cass. 28 marzo 2000, n. 3738; nel merito, la recentissima Trib. Siracusa 3 febbraio 2004 in Agenti & Rappresentanti, 2004, n. 5, pag. 33 e 34).

La sentenza n. 4817, pronunciata dalla Corte di cassazione in data 18/5/99, si è occupata di questo problema, enunciando principi rilevanti - oltre che nel caso di specie - in ordine ai rapporti tra legislazione nazionale e legislazione comunitaria.

Infatti, con riferimento agli agenti e alla obbligatorietà o meno dell'agente di essere iscritto ad un apposito albo, vi è una contraddizione tra le due discipline normative. Più precisamente, la L. 12/3/68 n. 316 dispone, per i soggetti che svolgano attività di agente, l'obbligo di iscrizione in un apposito albo; la successiva L. 9/5/85 n. 204 ribadisce il divieto di svolgimento dell'attività di agente per i soggetti non iscritti al ruolo. Al contrario, la direttiva comunitaria 86/653 del 18/12/86 sancisce il diritto degli agenti di commercio di svolgere la loro attività indipendentemente dall'iscrizione in appositi albi.

Sulla scorta di questa normativa di riferimento, nel caso specifico un soggetto aveva di fatto svolto attività di agente di commercio per una società, senza essere iscritto al corrispondente ruolo. Non avendo ricevuto tutti i compensi dovuti, l'agente di fatto si era rivolto al giudice del lavoro per ottenerne il pagamento. Tuttavia, il Tribunale di Roma rigettava la domanda, richiamando la normativa italiana sopra citata e, conseguentemente, ritenendo nullo il contratto di agenzia di fatto stipulato da un soggetto non iscritto all'albo.

La sentenza del Tribunale è stata però riformata dalla Corte di cassazione. Con la pronuncia prima indicata, la suprema Corte ha infatti ritenuto inapplicabile le leggi 316/68 e 204/85, in quanto contrastanti con la direttiva comunitaria. La Corte ha anche fatto riferimento alla sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee in data 30/4/98, secondo cui la citata direttiva osta ad una normativa nazionale che subordini la validità di un contratto di agenzia alla iscrizione dell'agente di commercio in un apposito albo.

La Corte di cassazione ha ritenuto che tanto la sentenza della Corte di Giustizia, quanto la direttiva comunitaria devono ritenersi produttive di effetti nel nostro ordinamento. E' vero infatti che solo attraverso un regolamento la Comunità è in grado di dettare norme uniformi e capaci di inserirsi immediatamente negli ordinamenti nazionali. Tuttavia, prosegue la Corte, anche alle direttive comunitarie deve essere riconosciuta un'efficacia diretta, qualora esse presentino un contenuto sufficientemente preciso e non condizionato. Questa condizione si verifica allorquando la direttiva sancisca un obbligo in termini chiari e non soggetto ad alcuna condizione, né subordinato - in relazione alla sua osservanza o ai suoi effetti - all'emanazione di alcun atto da parte degli Stati membri o delle istituzioni della Comunità.

Pertanto, conclude la Corte, il giudice italiano deve disapplicare la norma nazionale in conflitto con la direttiva comunitaria, ove questa riguardi un rapporto fra Stato e privati. Poiché la normativa italiana sopra richiamata riguarda evidentemente il rapporto tra lo Stato e gli agenti, quindi un soggetto privato, deve ritenersi che rispetto a questa norma la direttiva comunitaria abbia efficacia diretta, con conseguente obbligo per il giudice nazionale di disapplicare la disposizione interna incompatibile.


Agente di commercio e contratto di agenzia



Vediamo quali sono i diritti dell'agente al termine del rapporto di lavoro e alla cessazione del rapporto di agenzia competono a favore dell’agente alcuni diritti.

Il contratto di agenzia è un contratto tipico, disciplinato dalla contrattazione collettiva (oggi attraverso gli Accordi economici collettivi, cd. a.e.c. di diritto comune) e dal codice civile. Si instaura quando “una parte assume stabilmente l’incarico di promuovere, per conto dell’altra, verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata” (art. 1742 c.c.).

Si evidenzia che l’art. 1750 c.c. stabilisce che se il contratto di agenzia è a tempo indeterminato, ciascuna delle parti può recedere dal contratto stesso dandone preavviso all'altra entro un termine stabilito.

In tal caso, se il recesso è posto in essere dal preponente, il termine di preavviso non può comunque essere inferiore ad un mese per il primo anno di durata del contratto, a due mesi per il secondo anno iniziato, a tre mesi per il terzo anno iniziato, a quattro mesi per il quarto anno, a cinque mesi per il quinto anno e a sei mesi per il sesto anno e per tutti gli anni successivi.

E’ previsto inoltre che le parti possano concordare termini di preavviso di maggiore durata, ma il preponente non può osservare un termine inferiore a quello posto a carico dell'agente.

Anche gli accordi collettivi prevedono termini e forme di preavviso specifici e distinte, a seconda che si tratti di agente monomandatario o plurimandatario.

In ogni caso, nell’ipotesi in cui il preponente non voglia rispettare tali termini, potrà corrispondere all'agente un'indennità commisurata ai mesi di preavviso spettanti che quindi rappresenta il primo diritto in favore dell’agente al termine del rapporto.

In secondo luogo, l’agente ha diritto di ricevere alla cessazione del rapporto da parte del preponente un’indennità per la cessazione del rapporto medesimo.

Tale istituto è regolamentato dall’art. 1751 c.c. il quale è stato da ultimo modificato dai D.Lgs. n. 303/1991 e n. 65/1999 che hanno recepito la direttiva 86/653/CEE.

Ad integrare l’articolo in esame intervengono gli accordi economici collettivi di settore. Questi disciplinano l’indennità di cessazione del rapporto prevedendo due distinte voci che, sino all’ultimo rinnovo (avvenuto nel febbraio 2002 per il settore commercio e nel marzo dello stesso anno per l’industria), erano del tutto svincolate da ogni valutazione meritocratica circa l’attività prestata dall’agente, vale a dire il il (fondo indennità risoluzione rapporto) o indennità di scioglimento del rapporto, da corrispondere sempre e comunque all’agente alla cessazione dello stesso, con liquidazione a carico dell’Enasarco presso cui il preponente – durante il contratto, anno per anno – deve accantonare le relative somme da determinarsi in percentuale sulle provvigioni, e la c.d. indennità suppletiva di clientela, in aggiunta al f.i.r.r.,da corrispondere solo se il contratto si scioglie su iniziativa del preponente per fatto non imputabile all’agente con liquidazione a carico del preponente e non dell’Enasarco.

Come detto, tale sistema è stato modificato innanzitutto dal D.Lgs. n. 303/1991 e successivamente dal D.Lgs. n. 65/1999 i quali hanno dato attuazione alla direttiva comunitaria n.653 del 1986. Attualmente, l’art. 1751 c.c. stabilisce che il preponente, all’atto della cessazione del rapporto, è tenuto a corrispondere all’agente medesimo un’indennità se:

a) l’agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti;

b) il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l’agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti.

In sostanza, si richiede la persistenza - al momento della cessazione del rapporto - di un portafoglio clienti procurato dall’agente, dal quale trae indubbio vantaggio la casa mandante. In quest’ottica, la prima condizione considera il vantaggio che il preponente ricava dalla disponibilità di questo portafoglio; la seconda considera la perdita, in termini di provvigioni, che l’agente subisce dalla cessazione del rapporto.

Peraltro, il diritto all’indennità in questione è subordinato alla sussistenza di entrambe le predette condizioni (ossia, l’apporto di clientela e l’equità), considerato che la modifica dell’art. 1751 c.c., introdotta dal D.Lgs n. 65/99, ha ancorato il menzionato diritto a criteri prettamente meritocratici (cfr. in tal senso Cass. 5467/00).

L’ aggiornato art. 1751 c.c., inoltre, stabilisce che:

l’indennità non è dovuta quando il preponente risolve il contratto per grave inadempienza dell’agente che, per la sua gravità, non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto oppure quando l’agente recede dal contratto, a meno che il recesso sia giustificato da circostanze per le quali non può essergli chiesta ragionevolmente la prosecuzione dell’attività (ad es. infermità o malattia);

il relativo importo non può superare una cifra pari ad una indennità annua calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni riscosse dall’agente negli ultimi 5 anni e, se il contratto risale a meno di 5 anni, sulla media del periodo in questione;

le disposizioni in esso contemplate non possono essere derogate a svantaggio dell’agente.

La giurisprudenza ha stabilito che la riformata disciplina dell’indennità di fine rapporto può essere derogata dalla contrattazione individuale e collettiva, purché ovviamente non a svantaggio dell’agente (Cass. 10659/00). Può quindi essere consentita alla contrattazione collettiva una deroga pattizia dei criteri di cui all’art. 1751 poiché l’inderogabilità ivi prevista è solo in peius (Cass.11402/00).

Peraltro, neppure a seguito dell’ultimo rinnovo dei principali A.E.C., che pure hanno cercato di recepire in parte le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza, è venuto meno il dibattito circa il carattere migliorativo o meno delle disposizioni pattizie in materia rispetto alla previsione legale.

Per quanto riguarda, infine, l’ipotesi di un recesso per giusta causa imputabile al preponente, l’agente può invocare tale fattispecie per escludere ogni suo obbligo nei confronti del preponente, in particolare quello di corrispondere l’indennità sostitutiva del preavviso.

Al riguardo, si ricordi che essa si verifica allorché venga posto in essere da parte di un contraente un inadempimento di gravità tale da non consentire neanche in via provvisoria la prosecuzione del rapporto in essere.


martedì 25 febbraio 2014

CUD 2014: le novità principali



Il CUD 2014 recepisce le principali disposizioni normative introdotte nel corso del 2013: al debutto la nuova annotazione con la quale il sostituto d'imposta potrà comunicare al dipendente, in caso di rapporto di lavoro inferiore all'anno solare, di aver applicato le detrazioni per carichi di famiglia limitatamente al periodo nel quale si è svolto il rapporto di lavoro.

La novità principale introdotta quest’anno riguarda la casistica che potrà trovare posto nell’annotazione AU, correlata al punto 132 del modello. "Se detti contributi hanno concorso a formare il reddito di lavoro dipendente, per qualsiasi importo, l’annotazione deve essere la seguente: Le spese sanitarie rimborsate per effetto di tali contributi sono deducibili o detraibili in sede di dichiarazione dei redditi; l’ammontare dei contributi non dedotti è pari a euro ...".

L’annotazione è stata introdotta al fine di gestire i versamenti effettuati a favore di casse sanitarie che non hanno ottenuto, per l’anno 2013, l’attestazione di iscrizione all’anagrafe dei Fondi sanitari. Lo stesso importo confluisce anche nel campo 1 del modello poiché il predetto versamento, non avendo le caratteristiche per rientrare nell’esclusione dal reddito di lavoro dipendente nei limiti di euro 3.615,20 di cui all’art. 51, comma 2, lett. a) T.U.I.R., sarà stato assimilato ad un qualsiasi fringe benefit, concorrendo alla formazione del reddito imponibile. Di conseguenza le spese mediche (anche se rimborsate dalla cassa) sostenute dal dipendente a fronte del versamento alla cassa sanitaria potranno essere portate in deduzione/detrazione in sede di dichiarazione dei redditi.

La certificazione di cui all’art. 4, commi 6-ter e quater, D.P.R. n. 322/1998, come di consueto, dovrà essere rilasciata ai dipendenti entro il 28 febbraio per certificare i redditi da lavoro dipendente, equiparati e assimilati, corrisposti nel 2013, per comunicare i dati previdenziali e assistenziali e segnalare quelli relativi alle ritenute operate.Nella certificazione riferita all’anno corrente continuano a trovare spazio alcune agevolazioni, tra cui gli incentivi fiscali previsti per il rimpatrio di lavoratori e ricercatori – consistenti in una riduzione della base imponibile IRPEF pari all’80% per le lavoratrici e al 70% per i lavoratori – che, in possesso dei requisiti previsti dalla legge n. 238/2010, facciano rientro in Italia dopo aver maturato un periodo lavorativo all’estero.

Confermato inoltre il regime agevolato di tassazione sulle componenti accessorie della retribuzione corrisposte a titolo di incremento della produttività. L’agevolazione, in questo caso, consiste nell’applicazione – nel limite complessivo di 2.500 euro lordi – di un’imposta sostitutiva dell’IRPEF e delle addizionali pari al 10%, a condizione che i suddetti importi siano erogati in attuazione di accordi o contratti collettivi territoriali o aziendali.

Il beneficio per il 2013 spetta ai lavoratori che abbiano percepito nello scorso anno redditi di lavoro dipendente di ammontare non superiore a 40.000 euro. Resta salva per i contribuenti la facoltà di optare per la tassazione ordinaria. Tale facoltà non è tuttavia prevista per le somme erogate a titolo di sgravio contributivo, da assoggettare esclusivamente all’imposta sostitutiva.

Scompaiono, invece, dalla certificazione le caselle previste nel CUD 2013 (punti 118 e 119) dedicate alla quantificazione delle soppresse agevolazioni riconosciute sul trattamento economico accessorio del personale appartenente al comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico.

Rispetto allo scorso anno spariscono anche i vecchi campi 136 e 137, dedicati al “contributo di perequazione” sui trattamenti pensionistici di importo superiore a 90.000 euro lordi annui (introdotto dall’art. 18, comma 22-bis, D.L. n. 98/2011), in seguito alla declaratoria di illegittimità da parte della Corte Costituzionale. I suddetti campi sono ora destinati all’informativa relativa al contributo di solidarietà del 3% applicabile sulla parte di reddito eccedente 300.000 euro lordi annui.

Venendo ai principali elementi di novità contenuti nel CUD 2014, si segnala il debutto di una nuova annotazione con la quale il sostituto d’imposta potrà comunicare al dipendente, in caso di rapporto di lavoro inferiore all’anno solare, di aver applicato le detrazioni per carichi di famiglia limitatamente al periodo nel quale si è svolto il rapporto di lavoro (utilizzando il codice AC).

Le istruzioni allegate alla certificazione menzionano, inoltre, la sospensione dei versamenti e degli adempimenti tributari scadenti nel periodo compreso tra il 18 novembre e il 20 dicembre 2013 per i contribuenti residenti nei comuni della Sardegna colpiti dall’alluvione del novembre scorso. Tale circostanza dovrà essere evidenziata nella parte A, destinata ai dati generali, con l’indicazione del codice 2 al punto 11 “Eventi eccezionali”.

Altra novità per quanto concerne la parte del modello dedicata alla previdenza complementare (punti da 120 a 127), con l’introduzione di una serie di informazioni aggiuntive utili ai lavoratori i cui dati previdenziali siano riportati in più CUD, al fine di minimizzare la possibilità di errore in sede di dichiarazione. Le istruzioni, in particolare, precisano che, in caso di contributi per previdenza complementare certificati in più CUD non conguagliati, il sostituto dovrà sempre compilare le annotazioni (utilizzando il codice CA), riportando le indicazioni utili alla verifica che non sia superato il limite di deduzione fissato in 5.164,57 euro annui.

Nelle annotazioni, con il codice BA, deve inoltre essere indicato l’ammontare della seconda o unica rata dell’acconto IRPEF dovuto per il 2013, rideterminata dal sostituto d’imposta per adeguarsi alle modifiche introdotte dall’art. 11, commi 18 e 19, D.L. n. 76/2013, che ne ha disposto l’aumento dal 99% al 100%.

Fanno inoltre il loro ingresso nel CUD 2014 le nuove detrazioni maggiorate (nella misura del 24%) previste per le erogazioni liberali in favore di ONLUS (in precedenza pari al 19%) e di partiti e movimenti politici. I relativi oneri sostenuti devono essere analiticamente descritti, nelle annotazioni, utilizzando il codice AZ. In arrivo anche una nuova detrazione del 19% per le erogazioni liberali al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato.

Le novità previste per il 2014 incidono, infine, sulla scheda riservata alla scelta per la destinazione dell’8 per mille dell’IRPEF, con l’introduzione nel novero dei soggetti potenzialmente destinatari del beneficio, delle Unioni Buddhiste e Induiste Italiane.

Con riferimento ai punti 120 e 121, le istruzioni per la compilazione del modello CUD 2014 chiariscono che, in caso di contributi per previdenza complementare certificati in più CUD non conguagliati, è necessario verificare che non sia stato superato il limite di deduzione fissato in 5.164,57 euro annui. La novità va interpretata – a detta della Circolare n. 3/2014 - nel senso di dover fornire una segnalazione al sostituito che sia interessato da versamenti a previdenza complementare della necessità di verificare la presenza di ulteriori CUD non conguagliati che potrebbero modificare i presupposti dell’imposizione fiscale.

Sbirciando tra i diversi campi della certificazione, che i sostituti d'imposta dovranno rilasciare entro il prossimo 28 febbraio per attestare i redditi di lavoro dipendente, assimilati e di pensione corrisposti nel 2013, le ritenute d'acconto operate, le detrazioni effettuate, i dati previdenziali e assistenziali relativi alla contribuzione versata e/o dovuta all'Inps e all'ex Inpdap nonché l'importo dei contributi previdenziali a carico del lavoratore, si può appunto notare come trovino spazio informazioni ormai consuete accanto ad alcuni dati "new entry". Tra questi ultimi si possono segnalare: nella scheda riservata alla scelta dell'8 per mille dell'Irpef, l'inserimento di due nuove istituzioni religiose; altra novità concerne la modalità di consegna della certificazione da parte degli enti previdenziali, che lo scorso anno aveva creato non pochi problemi. Con riferimento al Cud 2014, questa avverrà solo in via telematica, salvo facoltà del cittadino di richiedere la trasmissione del modello in forma cartacea.

Nella parte A, al punto 11 "Eventi eccezionali", figura il codice 2 per i contribuenti della Sardegna nei cui confronti opera la sospensione del versamento dei tributi tra il 18 novembre e il 20 dicembre 2013, per effetto degli eventi alluvionali. Nella parte B (dati fiscali) nel caso in cui – sui compensi per lavori socialmente utili – non trovi applicazione il particolare regime agevolato, ne va data indicazione nelle annotazioni utilizzando il codice Ag. Per quanto riguarda le detrazioni fiscali per carichi di famiglia, si precisa che, laddove il rapporto di lavoro abbia avuto una durata inferiore all'anno solare, il sostituto calcola la riduzione in relazione al periodo di lavoro (e ne da evidenza nella Annotazioni con il codice Ac), a meno che il dipendente – qualora ricorrano i presupposti – abbia chiesto di poterne usufruire per tutto il periodo di imposta. Sempre nella parte B il sostituto che ha rideterminato l'importo del secondo o unico acconto Irpef come stabilito dal Dl 76/2013, nelle Annotazioni (cod. BA), deve indicare l'ammontare della rata ricalcolata. Tra i dati "tradizionali", in merito alla "detassazione", ovvero l'agevolazione sulle somme erogate ai lavoratori per l'incremento della produttività (imposta sostitutiva del 10%), la normativa per l'anno in corso prevede che la riduzione fiscale sia applicata ai dipendenti del settore privato che nel periodo d'imposta 2012 avessero conseguito redditi di lavoro dipendente non superiori a euro 40mila, al lordo delle somme detassate nello stesso anno, per un massimale di euro 2.500 lordi: il sostituto compila, nella parte B, i punti da 251 a 256.

domenica 11 agosto 2013

Decreto lavoro 2013: assunzioni e occupazione giovanile



Il Decreto lavoro introduce una serie di misure a favore dell'occupazione dei giovani. In particolare, viene previsto un incentivo temporaneo fino ad un massimo di 650 euro al mese per l'assunzione di lavoratori tra i 18 e i 29 anni a tempo indeterminato.

Per i giovani ci sono 800 milioni in 4 anni per assunzioni a tempo indeterminato, con quota riservata al Mezzogiorno; gli incentivi fiscali saranno erogati dall’INPS in base all’ordine cronologico di presentazione delle domande, fino a esaurimento delle risorse disponibili. Apprendistato professionalizzante e contratti di mestieri applicabili in maniera strutturale.

Il pacchetto occupazione, che tra l’altro prevede anche il rinvio a ottobre dell’aumento dell’IVA, contiene una serie di importantissimi punti:

per le aziende che assumono a tempo indeterminato lavoratori beneficiari di Aspi scatta un contributo del 50% del sussidio mensile residuo;

le pause per il rinnovo dei tornano a 10 e 20 giorni, dopo che la Fornero le aveva precedentemente allungate a 60 e 90;

entro settembre 2013 la conferenza Stato Regione dovrà adottare nuove linee guida che disciplinino il contratto d’apprendistato. L’obiettivo è a avere una unica disciplina in tutta Italia.

Quindi si allungano di un anno gli incentivi per le start up. Per quanto riguarda le modifiche introdotte dal decreto alla riforma Fornero, si prevede che la pausa tra un contratto a termine e l'altro torni a dieci giorni per contratti fino a sei mesi e venti giorni per contratti di durata superiore. Sarà inoltre possibile per un contratto a tempo determinato non superiore ai 12 mesi non indicare la 'causale’. Il Senato ha chiarito che i 12 mesi possono essere comprensivi della proroga. Inoltre, con altri emendamenti approvati dall'Aula del Senato è stata cancellata l'esclusione dalla sanzione in caso di inadempimenti per la comunicazione del lavoro intermittente o a chiamata che era prevista dal testo originario del Governo nel caso in cui «dagli adempimenti di carattere contributivo precedentemente assolti, si evidenzi la volontà di non occultare la prestazione di lavoro». Infine è stato approvato un emendamento che chiarisce che il tetto di 400 giorni per singolo lavoratore, sempre per il contratto a chiamata, deve riguardare lo stesso datore di lavoro; infine per i settori di turismo, pubblici esercizi e spettacoli, non si applica questo tetto. Approvato anche un articolo aggiuntivo sulla stabilizzazione di soggetti già parti di contratti di associazione in partecipazione. Resta invece al 50% (non é stato approvato un emendamento che la alzava al 70%) la dote Aspi per le aziende che assumono disoccupati in regime Aspi.

Altro aspetto essenziale del decreto ha a che vedere con l'alternanza studio-lavoro: è previsto infatti un sostegno ai giovani studenti universitari durante i tirocini curriculari. La somma predisposta è di 3 milioni per il 2013  e 7,6 per il 2014.

Si interviene anche al Sud. Sono stati stanziati infatti ben 328 milioni, dal 2013 al 2015 dedicati al Mezzogiorno. Per l’esattezza si interviene nel finanziamento dell’autoimprenditorialià e dell’autoimpiego e per progetti relativi all’infrastruttura sociale e alla valorizzazione dei beni pubblici. Non solo. Parte della cifra succitata è destinata per l’appunto ai giovani , in particolare a quelli che non lavorano e non studiano  e per i quali  verrà attivata una borsa di tirocinio formativo.

Si allenta la stretta sul lavoro a progetto; e sull’associazione in partecipazione si prevede una stabilizzazione degli associati con apporto di lavoro, attraverso una loro assunzione entro tre mesi. Il lavoratore dovrà firmare un atto di conciliazione (che vale come sanatoria di eventuali contenziosi pregressi), mentre il datore dovrà versare (alla gestione separata Inps) un contributo straordinario integrativo pari al 5% della quota di contribuzione a carico degli associati, per un periodo massimo di sei mesi.

Presso il ministero del Lavoro nasce la Struttura di missione con il compito di attuare la Youth Guarantee (la Garanzia giovani) e favorire la ricollocazione dei cassintegrati (in particolare dei beneficiari di sussidi in deroga); ed entro il 30 settembre la conferenza Stato-Regioni dovrà adottare le linee guida per disciplinare il contratto d’apprendistato professionalizzante, con l’obiettivo di avere una disciplina uniforme da Milano a Palermo (con modifiche che avranno carattere permanente e si applicheranno a tutte le aziende; in Senato è saltata la limitazione alle sole piccole e medie imprese).

Decontribuzione totale per le nuove assunzioni. Uno sgravio contributivo fino a 650 euro mensili per i datori di lavoro che entro il 30 giugno 2015 assumeranno con contratto a tempo indeterminato giovani tra i 18 ed i 29 anni. A condizione che non abbiano un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi e siano privi di un diploma di scuola media superiore o professionale. Nell’esame al Senato è stato soppresso il criterio che i giovani vivessero soli con una o più persone a carico. L’incentivo ha una durata di 18 mesi e viene concesso a condizione che le assunzioni comportino un incremento occupazionale netto. Lo sgravio contributivo scatta, ma per un periodo più breve (12 mesi), nel caso di trasformazione con contratto a tempo indeterminato. Alla trasformazione, però, deve corrispondere l’assunzione, entro un mese, di un altro lavoratore. L’incentivo è finanziato per 794 milioni, in particolare 500 milioni sono destinati alle regioni del Mezzogiorno e 294 milioni per le restanti regioni.

sabato 18 maggio 2013

Fondo di solidarietà a sostegno del reddito 27 dal aprile 2013

Torna ad essere operativo il Fondo di Solidarietà per i mutui sulla prima casa, rifinanziato con 20 milioni di euro dal decreto "Salva Italia". A partire dal 27 aprile è possibile fare richiesta per la sospensione del pagamento delle rate del proprio mutuo, per un massimo di 18 mesi di interruzione. Possono ottenere questo sostegno coloro che si trovano ad aver perso il lavoro, che subiscono la morte di un familiare o il riconoscimento di una grave invalidità successivamente alla stipula del contratto di mutuo e nei 3 anni antecedenti la richiesta di accesso al beneficio e in presenza di alcuni requisiti legati al reddito.

Il Fondo di solidarietà per i mutui per l'acquisto della prima casa è stato istituito, presso il Ministero dell'Economia e delle Finanze, con la Legge n. 244 del 24/12/2007 che all'art. 2, commi 475 e ss. ha previsto la possibilità per i titolari di un mutuo contratto per l'acquisto della prima casa, di beneficiare della sospensione del pagamento delle rate al verificarsi di situazioni di temporanea difficoltà, destinate ad incidere negativamente sul reddito complessivo del nucleo familiare.

La legge n. 92 del 2012, entrata in vigore in data 18/07/2012 e recante "disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita", ha modificato in modo sostanziale la preesistente normativa incidendo sui requisiti previsti per l'accesso al Fondo e consentendo nello specifico l'ammissione al beneficio nei soli casi di:
cessazione del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato;
cessazione del rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato;
cessazione dei rapporti di lavoro parasubordinato, o di rappresentanza commerciale o di agenzia (art. 409 n. 3 del c.p.c.);
morte o riconoscimento di grave handicap ovvero di invalidità civile non inferiore all'80%

In Gazzetta le modifiche al decreto 21 giugno 2010, n. 132 concernente norme di attuazione del Fondo di solidarietà per i mutui per l'acquisto della prima casa.

Analizzando i casi dell'ammissione al beneficio dobbiamo sottolineare che è subordinata esclusivamente all'accadimento di almeno uno dei seguenti eventi riferiti alla persona del beneficiario, intervenuti successivamente alla stipula del contratto di mutuo e verificatisi nei tre anni antecedenti alla richiesta di ammissione al beneficio:

cessazione del rapporto di lavoro subordinato ad eccezione delle ipotesi di risoluzione consensuale, di risoluzione per limiti di età con diritto a pensione di vecchiaia o di anzianità, di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, di dimissioni del lavoratore non per giusta causa, con attualità  dello stato di disoccupazione;

cessazione dei rapporti di lavoro di cui all'articolo 409,  n. 3) del codice di procedura civile, ad eccezione delle ipotesi di risoluzione consensuale, di recesso datoriale per giusta causa, di recesso del lavoratore non per giusta causa, con attualità dello stato di disoccupazione;

morte o riconoscimento di handicap grave, ai sensi dell'articolo 3, comma 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero di invalidità civile non inferiore all'80%.

La sospensione del pagamento delle rate di mutuo si applica anche ai mutui:
oggetto di operazioni di emissione di obbligazioni bancarie garantite ovvero di cartolarizzazione ai sensi della legge 30  aprile 1999, n. 130;

erogati per portabilità tramite surroga ai sensi dell'articolo 120-quater del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, che costituiscono mutui di nuova erogazione alla data di perfezionamento dell'operazione di surroga;

che hanno già fruito di altre misure di sospensione del pagamento delle rate purché tali misure non determinino complessivamente una sospensione dell'ammortamento superiore a 18 mesi.

Per beneficiare del fondo di solidarietà per i mutui prima casa i mutuatari, tramite gli istituti di credito o gli intermediari finanziari, devono ottenere il nulla osta da parte della Consap, la Concessionaria servizi assicurativi pubblici nonché la società del Mef che gestisce il fondo. La richiesta si inoltra telematicamente, attraverso la moduliststica disponibile sul sito del Ministero del Tesoro e della Consap.

Accanto al rifinanziamento sono stati introdotti nuovi criteri per accedere al provvedimento sospensorio delle rate. I nuovi criteri stabiliscono che le banche possono accettare la richiesta di sospensione in caso di licenziamento da lavoro di tipo subordinato nei tre anni precedenti la richiesta stessa, ad esclusione dei casi di licenziamento per giusta causa. Rientrano nei criteri stabiliti, oltre ai casi di licenziamento, la morte e il riconoscimento di handicap o invalidità superiore all'ottanta percento.
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