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martedì 30 agosto 2016

Inps: ultime novità aumentare le pensioni minime



Sono quattro le ipotesi, attualmente oggetto di valutazione, per sostenere i pensionati minimi. Mentre i tecnici del Governo continuano a lavorare sull’APE, l’assegno pensionistico per la pensione anticipata delle classi 1951-52-53, resta aperto il dibattito sulle pensioni minime.

Attualmente sono quattro le ipotesi sul tavolo, ognuna con platea più o meno ristretta di beneficiari e costi diversi da valutare. Si va dall'allargamento della 14esima, alla modifica della no tax area, a cui si aggiungono le più recenti ipotesi di innalzamento della pensione minima e bonus 80 euro da erogare anche ai pensionati.

Se si vuole davvero dare un aiuto ai pensionati più poveri è bene guardare al loro reddito famigliare non solo a quello pensionistico individuale, come fa la 14esima che, in 7 casi su 10, va a persone che povere non sono. È uno dei messaggio che il presidente dell'Inps, Tito Boeri, lancia al Governo in quest'intervista al Sole 24 Ore. L'Istituto sta dando il suo supporto tecnico alla definizione delle norme e all'ingegnerizzazione dei processi per il lancio dell'anticipo pensionistico assicurato e finanziato dal sistema bancario (Ape) mentre prosegue il piano di riorganizzazione, che punterà su commissioni esterne per la selezione dei dirigenti in linea con la riforma della Pa.

Per Inps si preannuncia un ruolo nuovo con l'Ape, l'anticipo pensionistico cui sta lavorando il Governo. E' annunciato un decreto in settembre per l'attivazione delle procedure che l'Istituto dovrà garantire. Cosa si può dire in questa fase?

Molti aspetti dell'Ape devono ancora essere definiti al tavolo fra governo e sindacati. Quel che è certo è che l'Inps avrà un ruolo chiave in questa operazione. E stiamo già oggi offrendo supporto tecnico alle decisioni.

State valutando l'impatto finanziario dei vari interventi?

Non solo. Stiamo anche dando supporto nella scrittura delle norme e nell'ingegnerizzazione di processi che si annunciano molto complessi perché coinvolgono lavoratori, imprese, banche, assicurazioni e l'Inps. Riguardo alle valutazioni vorrei rimarcare che i numeri sui costi delle diverse misure dati dai giornali questa estate sono fuorvianti anche perché le diverse misure hanno ovvie interazioni e vanno valutate congiuntamente. Per lo stesso motivo è fondamentale che il confronto in atto mantenga una visione integrata delle diverse misure di cui si discute, a cavallo fra assistenza e previdenza. L'Ape non può non tenere conto di cosa si fa sugli ammortizzatori sociali e viceversa. Le scelte sulle platee di lavoratori cui fiscalizzare le rate di ammortamento non possono prescindere dagli orientamenti sulle platee di pensionati da sostenere. Altrimenti si buttano via soldi e si hanno misure inefficaci.

Che ruolo svolgerete concretamente nella gestione dell'Ape?

L'Inps sarà al centro di molti flussi finanziari e di praticamente tutti i flussi informativi fra lavoratori, imprese, banche e assicurazioni. Il compito più importante e gravoso sarà proprio quello di informare adeguatamente i lavoratori sulle implicazioni della eventuale scelta di un anticipo pensionistico. Ci baseremo sull'esperienza de “la mia pensione” e delle buste arancioni e avremo un ruolo consulenziale ancor prima che di erogatore di pensioni o rate di ammortamento dei prestiti pensionistici. Per questo la riorganizzazione in atto all'Inps è così importante: ci serve a rafforzare la nostra presenza sul territorio e a trattare i problemi di chi si rivolge a noi in modo integrato, guardando alle singole persone anziché alle singole prestazioni.

Ecco quanto costerà la riforma d’autunno delle pensioni. Parliamo dopo della riorganizzazione. Tornando all'Ape, è d'accordo nel rendere possibile un anticipo di 3 anni e 7 mesi rispetto al requisito della Legge Fornero oppure pensa che la flessibilità dovrebbe essere maggiore?

Più che per quanti anni consentire l'anticipo conta come lo si fa. Penso sia giusto consentire a lavoratori una certa libertà di scelta su quando andare in pensione, se questa scelta non grava sulle generazioni future, cioè non fa aumentare il debito pensionistico. Gli anticipi concessi in passato hanno fatto esplodere il debito. Purtroppo la stessa Ape, coi bonus fiscali previsti per cancellare per alcune categorie di lavoratori le rate di ammortamento, finirà per creare debito aggiuntivo. Per questo bene che le categorie cui concedere il bonus siano circoscritte e scelte con molta cura.

Per esempio?

Se il bonus venisse concesso solo a chi ha redditi famigliari bassi, l'Ape diventerebbe una specie di reddito minimo per quella fascia critica di lavoratori che faticano a rimanere a lungo sul mercato del lavoro e che sono a rischio di povertà. Insomma il bonus sarebbe un primo tassello di quel Sostegno di Inclusione Attiva (SIA) universale che il governo ha dichiarato di voler costruire.

Ma anche l'aumento delle pensioni minime redistribuisce dai lavoratori ai pensionati. Lei pensa che sia ancora possibile immaginare in futuro un ricalcolo dei trattamenti privilegiati in chiave contributiva o quanto meno il ricorso a un contributo di solidarietà?

Non mi sembra che quella del ricalcolo sia una ipotesi sul tavolo. Continuo a pensare che sarebbe il modo migliore per finanziare interventi per pensionati e pensionandi poveri, non gravando per l'appunto su chi lavora. Tra l'altro, alla luce della sentenza della Consulta, si potrebbe coinvolgere in questa operazione anche i vitalizi dei politici. Ma, ripeto, non mi risulta affatto che queste misure siano all'ordine del giorno.

Non ci sono soluzioni semplici al problema delle nostre pensioni

I vostri ultimi dati di monitoraggio sulle salvaguardie indicano un minor tiraggio complessivo, con circa 42 mila domande accolte in meno del previsto. C'è la possibilità che si realizzi qualche risparmio su questo fronte? In Parlamento c'è chi mira a una ottava salvaguardia, che ne pensa?
C'è un equivoco ricorrente. Le salvaguardie non vengono finanziate da un fondo su cui si fanno risparmi, ma tolgono sempre risorse ad altri interventi. E l'ottava salvaguardia vuole rendere possibile prolungare il periodo in cui si può esercitare l'opzione di prendersi la pensione coi criteri ante-Fornero. Quindi molti di coloro che non sono usciti con le salvaguardie (che in non pochi casi garantiscono pensioni di più di 3mila euro), potrebbero farlo a breve. E poi ricordiamoci che le salvaguardie sono già costate più di 11 miliardi, erodendo circa il 30% dei risparmi di spesa attesi dalla riforma del 2011. Con quei soldi si poteva finanziare per 10 anni un reddito minimo per chi perde il lavoro fra i 55 e i 65 anni di età.

Cosa ne pensate delle altre misure annunciate?

Siamo felici di sapere che si sta seriamente pensando di superare le ricongiunzioni onerose che, oltre ad essere inique, penalizzavano proprio quelle carriere lavorative mobili, di cui il paese ha un grande bisogno per tornare a crescere. Era uno dei punti centrali delle nostre proposte in “Non per cassa, ma per equità”. “I redditi da lavoro sono al palo, se ci sono risorse è necessario ridurre le tasse anche per i lavoratori”

Anche se è in vigore solo da giugno, come sta andando il part time agevolato introdotto con l'ultima Stabilità?

Al 20 agosto erano state accolte 150 domande.

In Inps è stata lanciata una nuova fase di riorganizzazione. Sono passati ormai diversi anni dalle incorporazioni degli altri istituti: Inpdap, Enpals, Ipost eccetera. Quali sono le novità più rilevanti sul piano operativo?

La fusione fra gli enti la stiamo facendo solo adesso. In primis, varando un piano di assunzioni (interamente finanziato coi risparmi nelle nostre spese di funzionamento) di circa 900 funzionari con lauree in Giurisprudenza, Economia e commercio, Ingegneria gestionale e Informatica. Inizieranno la loro carriera senza avere la targa Inpdap, Enpals, Ipost, etc. Saranno fin da subito Inps, grande Inps. Secondo, stiamo eliminando la sommatoria tra i dirigenti dei vari enti che aveva portato a 48 direzioni centrali, di cui ben 33 a Roma.

Le ridurremo a 36, di cui solo 14 saranno al centro, le altre verranno spostate sul territorio dove tra l'altro la fusione è andata molto più avanti. La terza novità riguarda le modalità di conferimento degli incarichi ai dirigenti apicali. Per la selezione gli organi dell'Istituto si avvarranno di una commissione esterna, che non li sceglierà certo in base alla loro provenienza da Inps, Inpdap, Enpals, etc. o alla loro tessera sindacale, ma pescando fra le ottime professionalità presenti nell'istituto o, se necessario, guardando all'esterno.

Che rapporto c'è tra la vostra riorganizzazione e la riforma della dirigenza varata giovedì dal governo?

Ci muoviamo sulla stessa linea. Anche il decreto del governo, ad esempio, prevede commissioni esterne per la selezione dei dirigenti. Noi siamo già partiti con la riorganizzazione, senza aspettare i tempi di attuazione della riforma che saranno inevitabilmente lunghi, convinti che l'Inps sia una istituzione nevralgica per il paese. Quando la riforma sarà in vigore ci sarà di grande aiuto nella gestione della nuova struttura.

A che punto siete con le procedure informatiche interne, il pagamento delle pensioni dei diversi enti confluiti in Inps?

Anche in questo campo la fusione non c'era stata. A distanza di 4 anni dalla fusione, ci siamo trovati con procedure informatiche diverse per dipendenti privati, pubblici, dello spettacolo, insomma per chi apparteneva a gestioni Inps, Inpdap o Enpals. Stiamo convergendo verso un sistema uguale per tutti.
A proposito, il Governo sembra intenzionato a garantire l'anticipo pensionistico anche ai dipendenti pubblici.

Cosa ne pensa?

Mi sembra che ci fossimo accordati per non parlare di Ape… Credo che sia giusto estendere questa possibilità anche ai dipendenti pubblici, sarebbe iniquo escluderli dagli anticipi solo perché hanno meno rischi di perdita del posto di lavoro. E poi non dimentichiamoci che nella pubblica amministrazione c'è un problema serio di blocco del turnover che potrebbe essere in parte ridotto grazie all'Ape.

Pensioni, Ape «light» per i disoccupati già. Lei ha affermato che il personale Inps è molto al di sotto del fabbisogno operativo: quali sono i numeri attuali?

A fine luglio 2016 l'Inps aveva 28.750 mila dipendenti, mentre nel 2012, appena dopo la fusione fra Inps, Inpdap ed Enpals erano circa 32.800. Stiamo perdendo circa 1000 persone all'anno e siamo già scesi al di sotto del livelli del solo Inps pre-fusione pur avendo acquisito 3 milioni e mezzo di nuovi utenti e nuove competenze. Abbiamo forti carenze di personale soprattutto in Emilia Romagna, Veneto e in molte sedi non capoluogo di regione del Nord. L'età media dei dipendenti è di 54 anni e in crescita. Un'amministrazione fortemente digitalizzata come la nostra ha bisogno di alimentare un costante ricambio generazionale.

Inps potrebbe assicurare un piano di dimissioni immobiliari capace di concorrere al raggiungimento degli obiettivi che il Governo si è posto sul fronte delle privatizzazioni? In che termini e con quali risultati economici?

Vogliamo nel nostro piccolo contribuire ad abbassare il livello del debito pubblico, che purtroppo continua a crescere. Non è il nostro mestiere gestire immobili. Il nostro patrimonio immobiliare vale circa 2 miliardi e mezzo, meno di quanto noi eroghiamo mediamente ogni due giorni. Quindi le case non valgono certo come garanzie reali delle prestazioni. Ma perché noi si possa procedere con le dismissioni serve una modifica normativa, che abbiamo da tempo richiesto invano. Speriamo che i prossimi mesi siano davvero la volta buona.

“Un ottava salvaguardia? Si ricordi che queste misure tolgono fondi ad altre iniziative ”

A proposito di richieste non esaudite, lei un anno e mezzo fa ha chiesto una nuova governance per l'Inps ma nessun ha risposto. Perché?

La domanda andrebbe posta non a me, ma a chi deve varare la riforma. Le resistenze sono forti. Con la nuova governance si azzereranno tutte le posizioni degli organi di vertice e si ridurrà il numero di incarichi. I componenti del Consiglio di Indirizzo e Vigilanza scenderanno da 22 a 15 e i membri del collegio sindacale da 9 a 5. Sarebbe davvero importante varare la riforma della governance contestualmente con la riorganizzazione dell'istituto.

A queste due ipotesi, negli ultimi giorni, se ne sarebbero aggiunte altre due: estensione del bonus 80 euro ai pensionati e l’aumento delle pensioni minime attualmente intorno ai 500 euro. Il problema resta sempre il costo dell’operazione. Ad oggi la pensione minima va a circa 3,5 milioni di italiani e ogni aumento anche se contenuto sarebbe un bel costo per le casse dello Stato, mentre l’estensione degli 80 euro ai pensionati costerebbe circa 3,5 miliardi di euro l’anno. Il tema dovrebbe essere affrontato nei prossimi incontri in programma con i sindacati.
APE: si lavora sulle penalizzazioni

Ancora da sciogliere anche il nodo dell’assegno pensionistico per la pensione anticipata. L’APE dovrebbe entrare in vigore nel 2017 ed essere destinato ai lavoratori del 1951-53 sia privati che statali. Le categorie di lavoratori che potranno andare in pensione anticipata sono tre su cui si modellano diverse forme di intervento: i disoccupati di lungo corso, coloro che sono oggetto di una ristrutturazione aziendale e i lavoratori che vogliono andare in pensione anticipata per scelta personale.

Secondo le ultime indiscrezioni, i tecnici di Palazzo Chigi starebbero pensando ad una penalizzazione tralo 0 e il 2,9% l’anno per chi è rimasto senza lavoro oppure ha qualche disabilità; e tra il 4,5% e il 6,9%, per chi sceglie volontariamente di lasciare il lavoro in anticipo.

Per l’appuntamento con la legge di stabilità il Governo dovrà trovare la quadra tra risorse disponibili e misure da introdurre e approvare un decreto ministeriale per per attivare gli accordi con le banche e le assicurazioni che dovranno finanziare le pensione anticipata.

domenica 29 maggio 2016

Pensioni, tutte le regole taglia-assegni e la novità del riscatto della laurea



Trovato l’acronimo, l’anticipo pensionistico cosiddetto Ape, è allo studio del gruppo di esperti coordinato dal sottosegretario Tommaso Nannicini, dell’Ape finora sono state fissate solo le coordinate principali. L’anticipo rispetto al pensionamento di vecchiaia sarà al massimo di tre anni sull’età fissata dalla riforma Fornero.

Dunque il meccanismo, se approvato con la prossima legge di Stabilità, dovrebbe interessare, per primi, i nati nel 1951 (da maggio in poi), nel 1952 e nel 1953. Si tratta dei lavoratori che, alla vigilia della pensione, hanno subito - per la riforma Fornero - un rinvio dell’assegno anche di quattro/cinque anni. Per questi lavoratori non ha operato neppure la salvaguardia introdotta dai decreti correttivi del Dl 201/11, cioè la possibilità di andare in pensione anticipata a 64 anni (cui va aggiunta l’aspettativa di vita) per quanti entro il 31 dicembre 2012 avessero maturato quota 96, con almeno 60 anni di età e 35 anni di contributi oltre ai resti. Residuale, finora, la possibilità di andare in pensione di vecchiaia a 63 anni (oltre all'aspettativa di vita) con la pensione totalmente contributiva (con almeno 20 anni di contributi versati tutti dal 1996).

Per quanto riguarda le donne del privato (lavoratrici subordinate) l’Ape potrebbe - all'inizio - avere un impatto limitato. Le nate nel 1951, dipendenti del settore privato, infatti, hanno potuto andare in pensione con 20 anni di contributi e 60 anni di età alla fine del 2011. Inoltre, fino allo scorso anno era aperta l’opzione per la pensione di anzianità con l’assegno contributivo, a patto che le lavoratrici dipendenti maturassero 57 anni di età e 35 di contributi, oltre alla speranza di vita (58 e 35 per le autonome).

Il meccanismo di anticipo dell’Ape è strutturale e, in base allo sconto massimo di tre anni rispetto al‎ pensionamento ordinario di vecchiaia, interesserà a scorrere gli anni successivi rispetto al triennio di prima applicazione.

Come anticipato la penalizzazione percentuale per ogni anno di anticipo della pensione dovrebbe interessare la quota retributiva dell’assegno, quella, cioè, relativa ai contributi versati fino al 1995 (per quanti al 31 dicembre 1995 avevano meno di 18 anni di contributi) o fino al 2011 (per coloro che al 31 dicembre 1995 avevano almeno 18 anni di contributi). Il taglio percentuale potrebbe essere più alto per gli assegni oltre tre volte il trattamento minimo (superiori, nel 2016, a 1.505 euro mensili): fino a questo limite la penalità potrebbe essere del 2-3% per ogni anno di anticipo, oltre potrebbe arrivare al 5-8 per cento. Si tratta naturalmente di ipotesi che andranno vagliate alla luce dei costi e della compatibilità dei conti pubblici.

Per quanto riguarda la quota contributiva della pensione non dovrebbero esserci penalizzazioni, ma occorrerà stabilire se il coefficiente di trasformazione della dote di contributi sarà quello dell’età anticipata di pensionamento o quello dell’età da legge. Nel primo caso occorrerà prevedere una copertura figurativa che, come ipotizza Pier Paolo Baretta, sottosegretario all’Economia, potrebbe essere offerta dalla banche o dalle assicurazioni. L’intervento di banche e assicurazioni, in questo caso, avrà una doppia valenza, in quanto dovrà assicurare anche il finanziamento per l’anticipo della pensione, così da non caricare l’operazione sulle finanze statali e non incidere sul fabbisogno. Il conto di banche e assicurazioni, in questo modo, rincarerà.

Una prima stima dei costi, ma solo per quanto riguarda l’anticipo della pensione (e non in relazione all’utilizzo del coefficiente di trasformazione più vantaggioso) è stato fatto dalla Uil. Con un tasso di interesse del 3,5% - pari a quello applicato dall’Inps per i prestiti pluriennali ai dipendenti pubblici - per una pensione lorda di 1.500 euro mensili l’anticipo di un anno potrebbe costare al pensionato 1.700 euro; con una pensione di 3mila euro lordi il conto salirebbe a oltre 3.400 euro. La restituzione avverrà una volta raggiunta l’età della vecchiaia e potrà essere dilazionata in più anni. Occorrerà comunque prevedere una garanzia statale a favore di banche e assicurazioni in caso di mancata restituzione del prestito.

Uno degli aspetti fondamentali da chiarire è quello se l’Ape interesserà anche i pubblici dipendenti, finora non toccati dagli ammorbidimenti della legge Fornero.

Allo studio c’è anche il riscatto della laurea, cioè il versamento dei contributi per gli anni passati all’università in modo da avvicinare il momento della pensione. L’idea è rendere flessibile anche il riscatto: potendo scegliere non solo il numero degli anni da recuperare, cosa possibile già oggi. Ma anche la somma da versare e quindi l’effetto sull’assegno futuro. Perché una mossa del genere? Chi oggi è vicino dalla pensione e chiede il riscatto della laurea di solito si vede presentare un conto parecchio salato. E questo perché il calcolo viene fatto sulla base del suo stipendio attuale che, a fine carriera, tende a essere più alto. Chi chiede il conteggio, quindi, spesso rinuncia all’operazione e resta al lavoro fino alla scadenza naturale. Rendere flessibile il riscatto significa slegare la somma da pagare dallo stipendio attuale, considerarla un versamento volontario di contributi.



Pensioni novità: quando andare in pensione? Le proposte




Sono previsti dei percorsi alternativi, anche se non sempre facilmente attuabili, alla pensione di vecchiaia ordinaria, i cui requisiti anagrafici per il 2016 sono di 66 anni e 7 mesi per gli uomini indipendentemente dal settore lavorativo e per le donne dipendenti della pubblica amministrazione, di 65 anni e 7 mesi per le dipendenti del settore privato e di 66 anni e 1 mese per le autonome e le iscritte alla gestione separata dell'Inps. La riforma previdenziale di fine 2011 oltre alla vecchiaia ha regolato la pensione anticipata, che si raggiunge quest'anno con 42 anni e 10 mesi di contributi (un anno in meno per le donne) indipendentemente dall'età. Garantisce un vantaggio, rispetto alla “vecchiaia” a chi ha iniziato a lavorare non troppo dopo i venti anni di età e non ha buchi contributivi.

Sempre legata all'ultima riforma c'è la pensione anticipata con il sistema contributivo, a cui può accedere solo chi ha iniziato a versare dal 1996 e quindi è soggetto al calcolo della pensione interamente con il sistema contributivo. Sono necessari 20 anni di contributi (quindi proprio quest'anno diventa effettivamente fruibile), 63 anni e 7 mesi di età e l'importo dell'assegno previdenziale deve essere almeno 2,8 volte il valore di quello sociale, quindi deve essere pari almeno a 1.254,60 euro lordi.

Sono ancora in vigore le agevolazioni per i lavoratori soggetti ad attività usuranti o svolte di notte, a cui si applica ancora il sistema delle “quote” (somma di età e anni di contributi) ma aggiornato all'aspettativa di vita. I requisiti minimi per i dipendenti sono quota 97,6 con un minimo di 61 anni e 7 mesi di età e 35 anni di contributi e, per gli autonomi, quota 98,6 con un minimo di 62 anni e 7 mesi di età e 35 anni di contributi (per i notturnisti si possono aggiungere 1-2 anni in relazione al numero di notti lavorate).

Per le donne dipendenti che hanno maturato 57 anni e 3 mesi di età e 35 di contributi (58 anni e 3 mesi per le autonome) entro il 2015, è ancora aperta l'opzione donna, cioè la possibilità di andare in pensione trascorsi la finestra mobile o anche successivamente a fronte però del calcolo dell'assegno con il metodo contributivo che comporta in media una penalizzazione del 25-30% rispetto al sistema misto a cui avrebbero diritto.

Ci sono poi delle alternative che prevedono il coinvolgimento del datore di lavoro e non si basano quindi sulla sola scelta del lavoratore. Sempre con la riforma del 2011 è stata introdotta la possibilità di gestire i dipendenti in esubero a cui manchino non più di 4 anni alla pensione erogando una sorta di pre pensione interamente a carico dell'azienda. Una volta raggiunti i requisiti minimi, scatterà la pensione vera e propria.

Fa convivere la pensione con il lavoro il part time introdotto con la legge di Stabilità 2016, destinato a chi, dipendente a tempo indeterminato, ha già almeno 20 anni di contributi ed entro il 2018 raggiungerà i requisiti per la pensione di vecchiaia. In accordo con l'azienda possono ridurre l'orario dal 40 al 60% e incassare oltre a quanto dovuto, la parte di contributi a carico dell'azienda per le ore non lavorate.

Infine c'è il mix di part time e pensione di più complessa attuazione. Previsto dal Jobs act attende ancora le indicazioni operative, ma può scattare solo nell'ambito di contratti di solidarietà espansivi (riduzione generalizzata di orario a fronte di nuove assunzioni): in questa situazione i dipendenti a cui mancano non più di 2 anni alla pensione si possono ridurre l'orario almeno per oltre la metà e percepire in anticipo una parte della pensione fino a incassare complessivamente quanto avrebbero preso continuando a lavorare a tempo pieno. Ulteriori misure ad hoc sono riservate ai lavoratori coinvolti nelle bonifiche dell'amianto e per i nati nel 1952.

La proposta di Damiano per la flessibilità delle pensioni prevede un pensionamento flessibile a partire dai 62 anni e 7 mesi di età e 35 anni di contributi con una penalità del 2% per ogni anno di anticipo rispetto all’età di 66 anni e 7 mesi, mentre per i lavoratori precoci si garantirebbe un’uscita unica a 41 anni di contributi. Nella petizione, inoltre, c’è la volontà di ulteriori interventi per rendere più equa la previdenza italiana con:

1) l’ottava e ultima salvaguardia degli esodati;

2) il monitoraggio di opzione donna per l’inclusione di altre lavoratrici;

3) un meccanismo adeguato di indicizzazione per le pensioni medio basse. Intanto, i lavoratori precoci sono tornati a chiedere con forza l’introduzione di quota 41 senza penalizzazioni sia sui palchi delle organizzazioni sindacali che negli studi di programma che da sempre si occupano di pensionati e della flessibilità in uscita.


lunedì 23 maggio 2016

Ministero del lavoro: incentivi al part time e pensione



Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, prevede incentivi al passaggio al lavoro part-time in prossimità del pensionamento di vecchiaia (c.d. legge di stabilità 2016). In particolare, stabilisce che i  lavoratori dipendenti del settore privato iscritti all'assicurazione generale obbligatoria che hanno in corso un rapporto di   lavoro   a tempo pieno e indeterminato, che maturano entro il 31  dicembre   2018 il   requisito   anagrafico   per   il   conseguimento   del     diritto     al trattamento pensionistico di vecchiaia di cui all'art. 24, comma   6, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201  e   che   hanno   maturato  i requisiti   minimi   di   contribuzione   per   il   diritto   al     predetto trattamento pensionistico di   vecchiaia   possono,   d'accordo   con   il datore di lavoro, trasformare il rapporto di lavoro da tempo pieno   a   tempo parziale con riduzione dell'orario di lavoro in misura compresa tra il 40 per cento ed il 60 per cento con corresponsione mensile, da parte del datore di lavoro, di   una   somma   pari   alla   contribuzione previdenziale ai fini pensionistici a carico   del   datore   di   lavoro relativa   alla   prestazione lavorativa  non  effettuata e  con riconoscimento   della   contribuzione   figurativa     commisurata     alla retribuzione  corrispondente alla prestazione lavorativa non effettuata in ragione   del   contratto di   lavoro a   tempo parziale agevolato.  Ai fini dell'accesso   al   beneficio,   il lavoratore e il datore stipulano un contratto di riduzione dell'orario di lavoro, di seguito denominato "contratto di   lavoro   a tempo parziale agevolato", di durata pari al   periodo   intercorrente tra la data di accesso al beneficio e   la   data   di   maturazione,   da parte del lavoratore, del requisito anagrafico per   il   diritto   alla pensione   di   vecchiaia,   nel   quale   è  indicata   la   misura   della riduzione. Il beneficio di cui al comma 1 cessa,   in   ogni   caso,   al momento della maturazione, da parte   del   lavoratore,   del   requisito anagrafico   per   il   conseguimento   del   diritto   alla   pensione     di vecchiaia e qualora siano modificati i termini dell'accordo.

A questa misura potranno ricorrere i lavoratori del settore privato con contratto a tempo indeterminato ed orario pieno, che possiedono il requisito contributivo minimo per la pensione di vecchiaia (20 anni di contributi) e che maturano il requisito anagrafico entro il 31 dicembre 2018. Per loro sarà possibile concordare col datore di lavoro il passaggio al part-time, con una riduzione dell'orario tra il 40 ed il 60%, ricevendo ogni mese in busta paga, in aggiunta alla retribuzione per il part-time, una somma esentasse corrispondente ai contributi previdenziali a carico del datore di lavoro sulla retribuzione per l'orario non lavorato. Inoltre, per il periodo di riduzione della prestazione lavorativa, lo Stato riconosce al lavoratore la contribuzione figurativa corrispondente alla prestazione non effettuata, in modo che alla maturazione dell'età pensionabile il lavoratore percepirà l'intero importo della pensione, senza alcuna penalizzazione.  


domenica 24 aprile 2016

Pensioni, ecco la nuova flessibilità


Un combinazione tra prestito previdenziale e opzione donna. Con un sistema di “garanzie a catena” per rendere più leggero l'impatto sui conti pubblici nel breve periodo, che prevede il coinvolgimento degli istituti di credito, dell'Inps e, direttamente o indirettamente, anche dei fondi pensione, che in ogni caso, con una distinta operazione, beneficeranno di una riduzione dell'aliquota fiscale sui rendimenti (attualmente al 20%) di almeno 4-5 punti e un incremento della deducibilità dei versamenti.

È questa una delle 2-3 opzioni per rendere più flessibili le uscite verso la pensione. Che si ridurrebbe per ogni anno di anticipo soprattutto per effetto del calcolo con il contributivo per il periodo tra l'uscita e il raggiungimento della soglia di vecchiaia. La penalizzazione (3-4% l'anno) verrebbe attutita con un dispositivo imperniato sul concetto del “prestito”, garantito, almeno in parte, da intermediari finanziari cui verrebbero a loro volta assicurati particolari incentivi. Anche l'Inps avrebbe un ruolo di ulteriore garanzia nei confronti degli istituti di credito.

Tommaso Nannicini, ha annunciato che il ricorso al secondo pilastro (previdenza complementare) sarà rafforzato non solo con interventi sul versante dalla tassazione (il ritorno all'aliquota dell'11,5% da quella attuale del 30% costerebbe circa 800 milioni) ma anche della governance (compreso il ruolo della Covip), della concentrazione dei fondi e «anche del rapporto tra risparmio obbligatorio tra primo e secondo pilastro». Una vera e propria riforma che punterebbe a rendere quasi obbligatoria una parte della “copertura previdenziale” attraverso forme integrative e che in questa chiave potrebbe vedere anche nuove misure sulla destinazione del Tfr (anche obbligatoria).

Una delle altre due opzioni tecniche sul tavolo degli esperti si rifarebbero maggiormente alla proposta del presidente dell'Inps, Tito Boeri: calcolo dell'assegno, a prescindere dall'età di uscita, quasi interamente vincolato agli anni di versamenti effettuati. L'anticipo avrebbe anche l'obiettivo di favorire la “staffetta generazionale”. Un'ulteriore opzione si rifarebbe al potenziamento della previdenza integrativa anche attraverso una spinta più specifica in questa direzione da parte degli accordi aziendali e, più in generale, di una destinazione più vincolante di contributi da parte del lavoratore e del datore di lavoro. Il tutto dovrebbe essere accompagnato da un contributo sempre di natura “generazionale” (quindi all'interno del sistema previdenziale) sugli assegni più elevati e versati con condizioni molto più vantaggiose rispetto a quelle del sistema attuale.

Quindi le aspettative di nuovi interventi sulle regole per andare in pensione sono molto alte. Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, si è sempre detto favorevole alla cosiddetta «flessibilità in uscita», che significa appunto correggere la riforma Fornero per permettere il pensionamento qualche anno prima, ma con un assegno un po’ più basso.

Oggi per andare in pensione di vecchiaia servono 66 anni e 7 mesi, che dal 2019 verranno adeguati ogni due anni alla speranza di vita, arrivando a 70 anni, si prevede, nel 2049. Ma i giovani nati dopo il 1980 e con carriera discontinua rischiano di dover aspettare fino a 75 anni, dice il presidente dell’Inps, Tito Boeri. Per la pensione anticipata occorrono 42 anni e 10 mesi di contributi, che si stima saliranno a 46 anni e 3 mesi nel 2049.

I sindacati parlano di requisiti insostenibili mentre le aziende, soprattutto le grandi, sono disposte a pagare di tasca propria il pensionamento anticipato pur di mandare a casa i lavoratori anziani. A frenare le aspettative è stato finora, come ovvio, il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, e con lui la Ragioneria generale, allarmati per l’aumento della spesa pubblica e soprattutto per la perdita di credibilità presso la commissione Ue che deriverebbe da un intervento che suonasse come uno smobilizzo della riforma Fornero. Tuttavia nel Piano di riforme appena inviato a Bruxelles c’è scritto che il governo valuterà, «la fattibilità di una maggiore flessibilità nelle scelte individuali, salvaguardando la sostenibilità finanziaria.
La Camera dei Deputati ha dato la disponibilità a discutere del coinvolgimento di banche e assicurazioni nella «flessibilità in uscita» lo ha fatto rispondendo a una domanda di Maino Marchi (Pd) che alludeva al ruolo che questi soggetti possono giocare nell’ambito dell’ipotesi del «prestito pensionistico». Funzionerebbe così: il lavoratore a 2-3 anni dai requisiti di vecchiaia potrebbe chiedere un mini anticipo sulla pensione, tipo 700 euro al mese, che poi restituirebbe in piccolissime rate trattenute dal momento in cui decorre la pensione piena. Per limitare al massimo i costi, l’Inps potrebbe stipulare convenzioni con il sistema bancario e assicurativo, che fornirebbero l’anticipo sotto forma di prestito. Lo Stato si accollerebbe solo il costo degli interessi.

La proposta classica di flessibilità in uscita è quella Baretta-Boeri, che prevede la possibilità di andare in pensione fino a 4 anni di anticipo rispetto ai requisiti previsti dalla riforma Fornero per la pensione di vecchiaia ma con una penalizzazione pari al 2% per ogni anno, quindi fino a un massimo dell’8%. Stime informali dell’Inps hanno calcolato in 3,6 miliardi la maggior spesa nel 2017 che diventerebbero 7,5 miliardi nel 2026. Una variante calcolata ipotizzando una penalizzazione maggiore (3% per ogni anno di anticipo) e che solo il 70% degli interessati acceda al prepensionamento costerebbe 1,5 miliardi l’anno prossimo che salirebbero a 3,7 nel giro di dieci anni. Ieri il sottosegretario alla presidenza, Tommaso Nannicini, ha detto che le proposte che prevedono flessibilità generalizzata costano troppo, fra i 5 e i 7 miliardi l’anno.

Un’ipotesi che periodicamente ricorre è l’estensione agli uomini dell’«opzione donna»: la possibilità prorogata per quest’anno per le donne di andare in pensione con almeno 57 anni d’età e 35 di contributi ma con l’assegno interamente calcolato col contributivo. Ci si perde in genere almeno il 25-30%. Nonostante ciò la spesa per lo Stato salirebbe nei prossimi anni, per via dei pensionamenti in più, e quindi anche questa proposta ha poche possibilità.

domenica 3 aprile 2016

Pensioni: serve contributo da importi elevati per i giovani


Sono quasi 475mila le pensioni liquidate prima del 1980, e quindi elargite da più di 36 anni. Lo dice l'Inps. Il dato è estrapolato dalle tabelle sugli anni di decorrenza delle pensioni riguardo assegni di vecchiaia (comprese le anzianità) e superstiti del settore privato. Per le pensioni di vecchiaia l'età media alla decorrenza era di 54,9 anni, per quella ai superstiti di 41,3. I dati non riguardano i baby pensionati del pubblico impiego, usciti dal lavoro prima del 1992 con almeno 14 anni di contributi.

«Poichè sono state fatte concessioni eccessive in passato - ha spiegato il presidente dell'Inps Tito Boeri ai microfoni di SkyTg24 - e queste concessioni pesano oggi sulle spalle dei contribuenti, credo sarebbe opportuno andare per importi elevati e chiedere un contributo di solidarietà dalle pensioni più alte, per i giovani e anche rendere più facile a livello europeo questa uscita flessibile».

Il presidente dell'Inps Tito Boeri sottolinea l'importanza di intervenire «in tempi ragionevolmente stretti» con una riforma per avere maggior flessibilità nelle pensioni. Interpellato in particolare sulla richiesta giunta ieri al Governo dai sindacati di intervenire già prima del Def spiega: «È importante che si intervenga - ha detto -, non è qualcosa che si può rimandare a lungo. Soprattutto gli aspetti più importanti sul mercato del lavoro sono qualcosa su cui bisogna intervenire adesso, perché il blocco morde e in qualche modo ostruisce l'ingresso dei giovani nel mercato del lavoro adesso, non fra tre anni. Penso che sia opportuno intervenire in tempi ragionevolmente stretti».

Dopo le polemiche sull'alto numero di pensionati sotto i 750 euro al mese, quasi 6 su 10, il presidente Boeri invita a «guardare al dato medio per pensionato, e non alla pensione media», perché spiega «la situazione è meno grave di quel che si possa pensare». D a Vicenza spiega: «C’ stata una informazione errata, bisogna guardare al dato medio per pensionato, non alla pensione media - ha spiegato -. In Italia sono molti i pensionati che percepiscono più di un trattamento, questo non vuol dire che le pensioni non siano basse in Italia, ma la situazione è meno grave di quel che si possa pensare prendendo il dato per pensione singola». Boeri ha poi aggiunto che «i dati medi per pensionati per il 2014 cominceranno ad essere disponibili a partire da luglio» e il quadro sarà più chiaro con quei dati.

A Boeri era stato chiesto nel dettaglio se la presenza di una così vasta platea di pensionati di lunga data, non sia il caso anche di andare a rivedere i diritti acquisiti, anche per rendere più sostenibile il sistema pensionistico. «Abbiamo formulato delle proposte molto articolate, che guardano all’età, alla decorrenza della prima pensione — ha risposto Boeri —. Perché quando si guarda anche agli importi pensionistici bisognerebbe sempre guardare da quanto tempo vengono percepiti questi importi.

Possono essere anche importi limitati ma se uno li ha percepiti da quando aveva meno di 40 anni, chiaramente cumulandosi nel tempo vengono a stabilire un trasferimento di ricchezza pensionistica considerevole».

Quanto alla richiesta di intervenire sulle pensioni già prima del Def rivolta sabato al governo dai sindacati, il presidente dell’Inps ha spiegato che è importante intervenire «in tempi ragionevolmente stretti» con una riforma del sistema previdenziale per avere maggior flessibilità nelle pensioni. «È importante che si intervenga — ha detto —, non è qualcosa che si può rimandare a lungo. Soprattutto gli aspetti più importanti sul mercato del lavoro sono qualcosa su cui bisogna intervenire adesso, perché il blocco morde e in qualche modo ostruisce l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro adesso, non fra tre anni». «Dopo di che ci sono delle compatibilità a livello europeo — ha precisato —, ci sono delle priorità che non spetta a me stabilire nell’azione di governo, se si vuole intervenire è opportuno farlo adesso».

Per Boeri è «importante» introdurre la flessibilità in uscita perché «migliorerebbe le condizioni del mercato del lavoro, soprattutto per l’ingresso dei giovani»: «Abbiamo messo in luce come questa brusca impennata nei requisiti anagrafici e contributivi che è stata posta in essere con la riforma del 2011 abbia penalizzato i giovani — ha spiegato —: le imprese in cui c’erano più lavoratori bloccati da quelle riforme sono quelle che hanno assunto meno giovani».

Ma c’è anche un secondo motivo: «È un fatto di libertà. Ci sono delle persone che hanno dei piani individuali, per cui pensano a un certo punto di uscire dal mercato del lavoro verso il pensionamento. Se questa uscita è possibile concepirla in modo che sia sostenibile e non gravi sul futuro dei giovani, e non faccia aumentare il debito pensionistico, il che vuol dire fare delle riduzioni dell’importo delle pensioni per impedire che queste persone si avvantaggino rispetto a quanti lavorano più a lungo, se è possibile fare un intervento di questo tipo, è bene farlo. Però bisogna farlo con queste caratteristiche».

martedì 23 febbraio 2016

Pensioni cosa cambia dal 2016



Aumentano dal 2016 i requisiti per andare in pensione, in attuazione dell’adeguamento alle speranze di vita, con quattro mesi in più di età e un adeguamento di 0,3 punti per chi ancora si ritira con il sistema delle quote: la circolare INPS 63 del 20 marzo 2015 spiega nel dettaglio tutti i requisiti per le pensioni delle varie categorie di lavoratori (uomini o donne, dipendenti o autonomi). Vediamo con precisione come si alza dal primo gennaio 2016 l’età pensionabile per le pensioni di vecchiaia, di anzianità, e per la pensione anticipata.

Quattro mesi in più per una «aspettativa di vita» che si va naturalmente allungando. E che fa salire di quattro mesi, appunto, il tempo per andare in pensione: non più i 66 anni e tre mesi di età fissati fino al 2015, ma 66 anni e sette mesi che saranno invece necessari dal primo gennaio prossimo per lasciare il lavoro. Prolungamento imposto più che consigliato dalla crescita della cosiddetta «aspettativa media di vita», che è diventata parametro fondamentale del sistema previdenziale Inps. Attenzione, i quattro mesi in più si sommano sia al minimo di età richiesto per l'assegno di vecchiaia che al minimo di anni di contributi per la pensione anticipata.

Comunque il risultato finale, come spiega una circolare dell'Inps, è che tra il 2016 e il 2018 gli uomini andranno in pensione di vecchiaia a 66 anni e sette mesi (minimo venti anni di contributi). Le donne del settore privato dovranno avere 65 anni e sette mesi (66 anni e sette mesi nel 2018), mentre le lavoratrici autonome dovranno aver raggiunto un'età di 66 anni e un mese (66 anni e sette mesi nel 2018). Per le dipendenti pubbliche l'assegno di vecchiaia è fissato con i tempi degli uomini: 66 anni e sette mesi. Cresce sempre di fatidici quattro mesi anche il massimo di età in base al quale il lavoratore dipendente può chiedere di restare sul posto di lavoro: a partire dal 2016 sarà di 70 anni e sette mesi. Serviranno ancora quattro mesi in più per acquisire la pensione di vecchiaia prevista per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1995, cioè con l'avvio del sistema contributivo. Si va da 63 anni e tre mesi a 63 anni e sette mesi. Comunque e sempre in presenza di almeno 20 anni di contributi già versati.

Un sistema che fissa anche altri principi. Per esempio, quello riguardante le regole della pensione anticipata. Per lasciare il lavoro, rispetto all'assegno di vecchiaia, gli uomini devono avere attualmente almeno 42 anni e sei mesi di contributi mentre per le donne sono sufficienti 41 anni e sei mesi. Regole che resteranno sino alla fine di quest'anno. Poi, dall'anno prossimo, il requisito sarà innalzato a 42 anni e dieci mesi per gli uomini e 41 anni e dieci mesi per le donne. Cioè queste ultime potranno contare su uno sconto di un anno.La riforma Fornero oltre a fissare una serie di penalizzazioni rispetto alla pensione anticipata, è alla base delle tabelle elaborate dalla Ragioneria generale dello Stato che fotografano il progressivo status del sistema fino al 2050 tenendo conto naturalmente dell'ormai imprescindibile parametro della «speranza di vita». In base a queste stime l'età per la pensione di vecchiaia salirà progressivamente fino a 70 anni nel 2050, quando gli anni di contributi necessari per raggiungere la pensione anticipata saranno arrivati a quota 46 e tre mesi. Intanto ieri il presidente dell'Inps Tito Boeri ha annunciato entro giugno una proposta di riforma per introdurre più flessibilità nell'età.

Ciò significa che dal 1° gennaio 2016 verranno rivisti i requisiti per il conseguimento della pensione di anzianità, quello per la maturazione della pensione di vecchiaia (ovvero 65 anni per gli uomini e per le donne del pubblico impiego e 60 anni per le donne del privato), il requisito anagrafico dei 65 anni per la pensione con il sistema contributivo e il requisito dei 40 anni di contributi ai fini della maturazione del diritto all'accesso al pensionamento indipendentemente dall'età anagrafica.

In pratica età e anzianità contributiva sono aggiornate in funzione dell’incremento della speranza di vita – 65 anni – in rifermento alla media della popolazione residente in Italia, accertata dall’Istat in relazione al triennio di riferimento. L’emendamento prevede che, nella prima applicazione, l’aggiornamento non può essere in ogni caso superiore a tre mesi e che lo stesso non viene effettuato nel caso di diminuzione della speranza di vita.


mercoledì 17 febbraio 2016

Pensioni, ecco quando gli ex hanno diritto alla pensione di reversibilità


Critiche trasversali al giro di vite sulle pensioni di reversibilità, inserito nel Disegno di Legge di contrasto alla povertà approdato alla Camera, mentre il Governo difende la norma chiarendo che l’intenzione è di evitare sprechi. Il provvedimento, approvato dal Consiglio dei Ministri del 28 gennaio, modifica il metodo di calcolo per le pensioni ai superstiti, legandole al reddito più che al numero di parenti aventi diritto.

Nel caso in cui il titolare di una pensione di reversibilità sia anche in possesso di altri redditi, vengono applicate delle riduzioni all’importo spettante, ma questo solo se si superano determinate soglie. Per il 2016 il limite di reddito annuo entro il quale la pensione al coniuge superstite non viene ridotta è pari a 19.573,71 euro.

Nel caso di decesso di un lavoratore pensionato, al coniuge spetta la c.d. pensione di reversibilità, ovverosia una prestazione economica calcolata sulla pensione del defunto in una percentuale variabile a seconda che il coniuge superstite ne goda da solo oppure con uno o più figli (qualora questi ultimi siano in possesso dei requisiti a tal fine necessari) e a seconda che goda o meno di altri redditi e, eventualmente, in quale ammontare.

Ricordiamo che se all'atto del divorzio il coniuge superstite aveva ottenuto dal giudice il diritto a ricevere una somma di denaro periodica a titolo di assegno divorzile, egli, in caso di decesso dell'ex coniuge, avrà diritto anche alla pensione di reversibilità. In ogni caso sono necessari due ulteriori, direi ovvi, requisiti, ovverosia che il rapporto di lavoro per il quale il defunto aveva maturato il diritto al trattamento pensionistico sia stato avviato antecedentemente alla sentenza divorzile e che il coniuge superstite non si sia risposato.

Quindi il rapporto di lavoro dev'essere antecedente al divorzio. Il divorziato – che non si sia risposato e percepisca un assegno divorzile periodico (non liquidato, dunque, in unica soluzione) – può ancora reclamare, in caso di decesso dell'ex, la pensione di reversibilità da questi maturata. Sempre che, sia chiaro, il rapporto di lavoro da cui derivi il trattamento pensionistico, sia anteriore alla sentenza divorzile. A prevederlo è l'articolo 9 della legge sul divorzio (la 898/1070) nella quale si fa riferimento ai tre requisiti – percezione di assegno divorzile, stato civile libero e rapporto di lavoro del defunto anteriore alla sentenza di divorzio - necessari affinché possa accertarsi il diritto dell'ex a godere del trattamento di reversibilità. Ma il diritto in questione, ha sottolineato la Corte di Cassazione, presuppone la titolarità, in capo al divorziato, di un assegno di divorzio giudizialmente riconosciuto «non essendo sufficiente che egli versi nelle condizioni per ottenerlo, e neppure che in via di fatto, o per effetto di private convenzioni intercorse fra le parti, abbia ricevuto regolari elargizioni economiche dall'ex coniuge».

Secondo la norma, nella ripartizione delle quote, occorrerà tener conto della durata del vincolo matrimoniale. Criterio cardine, dunque, ma non esclusivo. È la Corte costituzionale con la sentenza 419/1999 ad averlo rimarcato. La Consulta, infatti – chiamata a decidere sulla questione di legittimità dell'articolo 9 della legge sul divorzio – ha chiarito come la disposizione, pur imponendo al giudice il vaglio del dato temporale inerente la durata dei vincoli coniugali, la cui valutazione non può mancare, non prevede che la ripartizione del trattamento di reversibilità tra gli aventi diritto sia effettuata unicamente sulla base di tale criterio, dovendosi vagliare anche altri fattori, quali le condizioni personali, economiche e reddituali delle parti o l'ammontare dell'assegno divorzile. Così – ha puntualizzato la sentenza 5136/2014 della Cassazione – ferma la discrezionalità del giudice, se questi si discosta dal parametro base, per dare priorità ad altre circostanze, deve «rendere una motivazione esaustiva e logica delle ragioni che lo hanno portato a tale decisione». Ciò, soprattutto quando il criterio della durata del matrimonio viene ad assumere, come nel caso allora deciso, un rilievo «del tutto marginale».

A incidere sul calcolo della reversibilità tra “ex” vedovo e coniuge superstite, pesano poi anche la data di separazione, l'eventuale presenza di figli, o l'assistenza fino alla morte prestata al defunto (sentenza Cassazione 6019/2014). Indici che, ben lo dimostra la giurisprudenza, potranno perfino prevalere su quello della lunghezza dei vincoli matrimoniali.

A pesare sulle decisioni giuridiche sarà anche la convivenza prematrimoniale del coniuge superstite con il defunto. Lo ha precisato il Tribunale di Roma, con la recente sentenza 58/2015, la ripartizione del trattamento di reversibilità tra superstite e vedovo, non può ridursi al mero computo matematico operato alla luce della durata dei due matrimoni, dovendosi considerare, tra gli altri correttivi, anche l'effettiva «comunione di vita» tra il defunto ed il secondo consorte, stante l'ormai indiscussa equiparazione tra convivenza more uxorio e famiglia legittima. Detto ciò si afferma, a evitare che «il primo coniuge sia privato dei mezzi indispensabili per il mantenimento del tenore di vita che gli avrebbe dovuto assicurare nel tempo l'assegno di divorzio» e che «il secondo sia privato di quanto necessario per la conservazione del tenore di vita che il l’ex coniuge gli aveva assicurato in vita». Se la convivenza prematrimoniale conserva una sua rilevanza nel computo delle quote da attribuire a coniuge divorziato e superstite, l'unione di fatto che non sia stata “regolarizzata” da un successivo matrimonio non fa scattare alcun diritto del convivente a fruire della pensione maturata dal defunto.

Ma la tutela in questione è solo una delle forme di assistenza previste a favore del divorziato, quali l'assegno divorzile, quello successorio e parte del trattamento di fine rapporto.

venerdì 1 gennaio 2016

Lavoro: le novità per il 2016. Pensioni, part-time, assegno previdenziale e bonus per le assunzioni


Il 2016, nell’ambito del lavoro, è all'insegna delle novità: grazie agli ultimi decreti attuativi del Jobs Act ed alla legge di Stabilità sono state messe in campo diverse disposizioni che cambiano profondamente la disciplina attualmente vigente in materia.

Vediamo che cos’è cambiato.

In pensione più tardi e con meno soldi. Non butta bene per chi è già in pensione, né tanto meno per i prossimi pensionati, chi si ritira dal lavoro nel 2016. I primi devono fare i conti con assegni di importo inferiore a quelli riscossi nel 2015. Gli altri, con l’innalzamento dei requisiti per ottenere la rendita dall’Inps.

Quindi per quanto riguarda la pensione nel 2016 i parametri saliranno di 4 mesi.

Vediamo nel dettaglio: per i lavoratori dipendenti dei settori privato e pubblico, per le lavoratrici del pubblico e per gli autonomi, saranno necessari 66 anni e 7 mesi di età. Per le lavoratrici dipendenti del privato, ci vorranno 65 anni e 7 mesi; per le autonome 66 anni e 1 mese), quasi due anni in più rispetto al 2015. Mentre il requisito contributivo, è di 20 anni per tutti. Discorso simile per l’ex pensione di anzianità. Dal prossimo anno, infatti, aumentano anche i requisiti per accedere alla pensione anticipata. Per i lavoratori dipendenti del settore privato e del settore pubblico, per i lavoratori autonomi, sarà necessario essere in possesso di 42 anni e 10 mesi di contribuzione. Per le donne - tanto nel pubblico quanto privato e per le autonome - serviranno 41 anni e 10 mesi di contribuzione.

L’adeguamento alla speranza di vita interesserà anche le pensioni anticipate (l’ex anzianità): nel 2016 saranno richiesti 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne, a prescindere dall’età.

L’ età minima di vecchiaia delle donne salirà fino a raggiungere quella degli uomini (66 anni) nel 2018. Per l’uscita anticipata dal lavoro non resta quindi che una strada: quella che la legge riserva fino a tutto il 2015 alle lavoratrici con 35 anni di contributi e almeno 57 anni di età (autonome almeno 58), disposte a optare per il meno vantaggioso calcolo contributivo del trattamento. Per questa formula, però, occorre mettere nel conto la vecchia “finestra mobile” (il tempo di attesa tra la maturazione dei requisiti e l’effettivo pensionamento) e, dunque, bisogna essere a posto ben 12 mesi prima (18 mesi prima le autonome). L’opzione donna, con la legge di Stabilità, sarà possibile anche per coloro che maturano i requisiti entro il 2015 .

L’ indice Istat dell’inflazione 2015 è negativo: da gennaio non ci sarà alcun aumento delle pensioni.

Ma come se non fosse sufficiente, l’indice provvisorio del 2015, che era stato stabilito nello 0,3%, è stato definitivamente fissato in 0,2%, per cui da gennaio 2016 gli assegni saranno lievemente ridotti, con la prospettiva della restituzione di quanto corrisposto in più nel 2015. Una rivalutazione «negativa» non si era mai verificata. Si è resa quindi opportuna una sanatoria. A gennaio saranno messi in pagamento gli importo «corretti» (in negativo) sulla base dell’inflazione definitiva 2014, ma non ci sarà alcuna trattenuta riferita al 2015.Indici, zero aumenti.

L’ indice Istat dell’inflazione 2015 è negativo: da gennaio non ci sarà alcun aumento delle pensioni. Ma come se non bastasse, l’indice provvisorio dello scorso anno, che era stato stabilito nello 0,3%, è stato definitivamente fissato in 0,2%, per cui dal prossimo mese gli assegni saranno lievemente ridotti, con la prospettiva della restituzione di quanto corrisposto in più nel 2015. Una rivalutazione «negativa» non si era mai verificata. Si è resa quindi opportuna una sanatoria. A gennaio saranno messi in pagamento gli importo «corretti» (in negativo) sulla base dell’inflazione definitiva 2014, ma non ci sarà alcuna trattenuta riferita al 2015.

La misura dell’assegno previdenziale nel 2016 sarà ridotto a causa dei nuovi coefficienti di trasformazione del montante contributivo, fissati, per il triennio 2016-2019, tenendo conto di alcuni parametri statistici. Se è vero che il taglio nella maggior parte dei casi si aggira intorno al 2%, ci sono anche decurtazioni che arrivano fino all’8%. Un meccanismo che negli ultimi anni ha falcidiato le rendite dei neopensionati: un lavoratore andato in pensione a 65 anni nel 1996 ha applicato un coefficiente di trasformazione del montante accumulato pari a 6,136%. Per chi andrà in pensione dal 2016 lo stesso coefficiente sarà del 5,326%. Un assegno del 13% in meno.

I dipendenti a tempo pieno del settore privato che maturano entro il 31 dicembre 2018 il diritto al trattamento di vecchiaia (66 e 7 mesi nel 2016), possono, d’intesa con l’azienda, per un periodo non superiore a 3 anni (devono quindi aver compiuto 63 anni e 7 mesi), ridurre l’orario del rapporto in misura compresa tra il 40 e il 60%. Guadagnando mensilmente una somma pari alla contribuzione previdenziale (23,81% della retribuzione) relativa alla prestazione non effettuata, somma esente da tasse e contributi. Per i periodi di riduzione della prestazione lavorativa è riconosciuta la contribuzione figurativa commisurata alla retribuzione corrispondente al lavoro non effettuato.

Niente penalizzazione per chi va in pensione entro il 2017. Dall’anno prossimo ciò vale per tutti, anche per chi ha subìto la decurtazione nel triennio 2012-2014. Per scoraggiare le pensioni anticipate, la riforma Fornero ha penalizzato chi decide di lasciare prima dei 62 anni, con una riduzione della quota “retributiva” maturata al 2011, di un punto % per ogni anno di anticipo rispetto ai 62 anni di età minima e di due punti per gli anni di anticipo rispetto ai 60 anni di età. La nuova legge di Stabilità ha ripescato anche coloro ai quali, tra il 2012 ed il 2014, era già stata effettuata la trattenuta. Senza diritto però a quanto già perso. La depenalizzazione, che ha come conseguenza il ripristino del trattamento pensionistico “intero”, parte dal 2016.

Prorogato per tutti i contratti stipulati sino al 31 dicembre 2016, ma diminuito, il bonus per l’assunzione di disoccupati da oltre 6 mesi. Ai datori di lavoro che assumono tali soggetti a tempo indeterminato, difatti, sarà riconosciuto uno sgravio contributivo pari al 40% della contribuzione dovuta all’Inps, per 24 mesi, sino ad un tetto massimo annuo di 3.250 Euro. Il Bonus, probabilmente, sarà esteso anche a 2017, ai datori di lavoro privati operanti nelle regioni Abruzzo, Molise,
Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna.

Ai datori di lavoro che nel 2016 assumeranno disabili, con invalidità superiore al 67%, spetterà un incentivo dal 35% al 70% dell’imponibile lordo Inps (in pratica, della retribuzione lorda imponibile del lavoratore), a seconda del grado di riduzione della capacità lavorativa. Bonus pari al 70%, invece, per l’assunzione di disabili psichici con invalidità superiore al 45%.

Restano in vigore, nel 2016, le collaborazioni coordinate e continuative genuine, cioè quelle non etero-organizzate. Le altre fattispecie, dette Co.co.pe (collaborazioni coordinate personali), saranno ricondotte al lavoro subordinato: restano in piedi alcune eccezioni, come esplicite previsioni da parte del contratto collettivo applicato, nonché i contratti precedenti al 25 giugno 2015. È possibile, mediante una conciliazione, effettuare una sanatoria del contratto che metta al riparo da sanzioni per l’errata qualificazione, convertendolo in lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Prorogata a tutto il 2016 la Dis-Coll, l’indennità di disoccupazione prevista per i parasubordinati, che potrà avere una durata massima di 6 mesi ed un ammontare generalmente pari al 75% dell’imponibile contributivo. Aumenta di un punto percentuale l’aliquota contributiva per i parasubordinati iscritti alla Gestione Separata, mentre resta al 27% quella prevista per i professionisti senza cassa.

Congedo di paternità. Viene prorogata al 2016 la nuova disciplina del congedo di paternità, elevando da uno a due giorni quello obbligatorio.

martedì 29 dicembre 2015

Legge di Stabilità 2016: cosa cambia per lavoro e pensioni


Misure per l’occupazione e norme sull'adeguamento delle pensioni e sugli ammortizzatori sociali in arrivo, dal 1° gennaio 2016, ad opera della legge di Stabilità 2016. Prorogato lo sgravio contributivo per le nuove assunzioni con contratti di lavoro a tempo indeterminato effettuate nel 2016. Elevata, dal 2016, la misura delle detrazioni dall'imposta lorda IRPEF spettanti con riferimento ai redditi da pensione, cd. no tax area per i pensionati. Ripristinate, infine, le agevolazioni fiscali sulle somme corrisposte ai dipendenti dai datori di lavoro privati per premi di produttività. Queste, in sintesi, alcune delle novità della manovra finanziaria per il 2016.

Vediamo le novità.
Per il settore del lavoro, viene innanzitutto prevista la proroga dello sgravio contributivo per le nuove assunzioni con contratti di lavoro a tempo indeterminato effettuate nel 2016.

Per le pensioni si prevede un ulteriore intervento in favore dei soggetti salvaguardati, garantendo l'accesso al trattamento previdenziale con i vecchi requisiti ad un massimo di ulteriori 26.300 soggetti. Prorogata la sperimentazione della cosiddetta opzione donna. Dal 2016 viene elevata la misura delle detrazioni dall'imposta lorda IRPEF spettanti con riferimento ai redditi da pensione (cd. no tax area per i pensionati).

Assunzioni per le imprese del Mezzogiorno
Si estende alle assunzioni a tempo indeterminato dell'anno 2017 l'esonero contributivo – introdotto per il 2016 – in favore ai datori di lavoro privati operanti nelle regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna.

L’estensione non sarà automatica, così come previsto per misura base, ma occorrerà attendere un apposito Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. La spettanza del beneficio è condizionata all'autorizzazione della Commissione europea.

Proroga dell’esonero contributivo per le assunzioni a tempo indeterminato
Si prevede, per il settore privato, uno sgravio contributivo per i contratti di lavoro dipendente a tempo indeterminato relativi ad assunzioni decorrenti dal 1° gennaio 2016 e stipulati entro il 31 dicembre 2016.

Lo sgravio contributivo consiste nell'esonero dal versamento del 40% dei complessivi contributi previdenziali a carico del datore di lavoro (con esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), nel limite di 3.250 euro su base annua e per un periodo massimo di 24 mesi.

Detassazione premi di produttività
Si ripristina la disciplina tributaria specifica per gli emolumenti retributivi dei lavoratori dipendenti privati di ammontare variabile e la cui corresponsione sia legata ad incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione, misurabili e verificabili, nonché per le somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa.

La norma riguarda i titolari di reddito da lavoro dipendente privato di importo non superiore, nell'anno precedente quello di percezione, a 50.000 euro.

Aliquota contributiva lavoratori autonomi
Viene confermata al 27%, anche per il 2016, l’aliquota contributiva dovuta dai lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata INPS, non iscritti ad altre gestioni di previdenza obbligatoria, né pensionati.

Congedo di paternità
Vengono prorogate, sperimentalmente per il 2016, alcune disposizioni, già previste in via sperimentale per gli anni 2013-2015, in materia di congedo obbligatorio e facoltativo del padre lavoratore dipendente, elevando altresì da uno a due giorni quello obbligatorio.

Opzione donna
Si ridefinisce l’ambito temporale di applicazione dell’istituto (transitorio e sperimentale) che permette alle lavoratrici l’accesso al trattamento anticipato di pensione in presenza di determinati requisiti anagrafici e contributivi e a condizione che tali soggetti optino per il sistema di calcolo contributivo integrale (c.d. opzione donna).

Inoltre, in merito dalla sperimentazione dell’opzione donna, si prevede la trasmissione, entro il 30 settembre di ogni anno, di una relazione alle Camere, da parte del Governo, sulla base dei dati rilevati dall’INPS nell’ambito della propria attività di monitoraggio sull’attuazione della sperimentazione, con particolare riferimento alle lavoratrici interessate e ai relativi oneri previdenziali.

Contributo per servizio di baby-sitting
Si prorogano per il 2016 le norme già stabilite, in via sperimentale, per gli anni 2013-2015, relative alla possibilità, per la madre lavoratrice dipendente o titolare di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, di richiedere, in sostituzione, anche parziale, del congedo parentale, un contributo economico da impiegare per il servizio di baby-sitting o per i servizi per l'infanzia.

Cure parentali per lavoratrici autonome
Si estende, in via sperimentale per il 2016 e nel limite di 2 milioni di euro, alle madri lavoratrici autonome o imprenditrici il beneficio la possibilità già prevista per la madre lavoratrice dipendente di richiedere, in sostituzione (anche parziale) del congedo parentale, un contributo economico da impiegare per il servizio di baby-sitting o per i servizi per l'infanzia (erogati da soggetti pubblici o da soggetti privati accreditati).

Trasformazione da tempo pieno a tempo parziale del rapporto di lavoro subordinato
Si introduce, per il settore privato, una specifica disciplina transitoria, relativa ad una fattispecie di trasformazione da tempo pieno a tempo parziale del rapporto di lavoro subordinato, con copertura pensionistica figurativa per la quota di retribuzione perduta e con la corresponsione al dipendente, da parte del datore di lavoro, di una somma pari alla contribuzione pensionistica che sarebbe stata a carico di quest'ultimo (relativa alla prestazione lavorativa non effettuata).

Norme sull’adeguamento delle pensioni e sugli ammortizzatori sociali
Si apportano numerose alle disposizioni in materia di adeguamento e rivalutazione degli importi pensionistici, nonché di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro e in caso di disoccupazione involontaria.

Tra le altre cose:
- si esclude l’applicazione di un’indicizzazione negativa delle prestazioni previdenziali ed assistenziali: si dispone, infatti, che la percentuale di adeguamento dei relativi importi, corrispondente alla variazione nei prezzi al consumo accertata dall’ISTAT, non può essere inferiore a zero;

- con riferimento alla percentuale di variazione per il calcolo della rivalutazione delle pensioni per il 2014 (determinata definitivamente con decorrenza dal 1° gennaio 2015), si prevede che le operazioni di conguaglio derivanti dagli scostamenti dei valori posti a base della perequazione automatica, limitatamente ai ratei corrisposti nel 2015, non vengano operate in sede di rivalutazione delle pensioni per il medesimo 2015, ma di quelle del 2016;

- si precisa l’ambito di applicazione della disposizione (art. 46, co. 3, D.Lgs. 148/2015) che prevede l’abrogazione, dal 1° luglio 2016, delle disposizioni concernenti i contratti di solidarietà stipulati dalle imprese che non rientrano nel campo di applicazione dell’art. 1 del D.L. n. 726/1984 (imprese industriali, aziende appaltatrici di servizi di mensa o ristorazione, aziende esercenti attività commerciale, giornalisti professionisti, pubblicisti e praticanti dipendenti da imprese editrici di giornali quotidiani, di periodici e di agenzie di stampa e, a determinate condizioni, imprese artigiane non rientranti nel campo di applicazione del trattamento straordinario di integrazione salariale);

- si prevede che il rispetto del requisito dell’anzianità lavorativa effettiva di almeno 90 giorni (richiesto per la concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale) è escluso per eventi oggettivamente non evitabili in tutti i settori, non più solo nel settore industriale, come attualmente previsto dall’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 148/2015;

- si precisa per via normativa l’ambito soggettivo di applicazione della nuova disciplina in materia di trattamenti di integrazione salariale, come delineata dal D.Lgs. 148/2015, specificando che rimangono escluse dall’applicazione di tale normativa determinate imprese elencate dall’art. 3 del D.Lgs. C.P.S. 869/1947, che torna dunque in vigore;

- si proroga l’istituto dell’indennità di disoccupazione per i titolari di contratto di collaborazione coordinata e continuativa (DIS-COLL), riconoscendolo anche agli eventi di disoccupazione che si verifichino dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2016.

Esclusione della penalizzazione dei trattamenti pensionistici anticipati

Si rende cumulabile (anche con riferimento a periodi antecedenti al 2016) il riscatto del periodo del corso legale di laurea con la facoltà, riconosciuta ai lavoratori dipendenti che possono far valere complessivamente almeno cinque anni di contribuzione, di riscattare i periodi corrispondenti al congedo parentale (astensione facoltativa per maternità) o per motivi familiari concernenti l'assistenza e cura di disabili purché non coperti da assicurazione.

Inoltre, si interviene sulla disposizione che ha escluso dalla penalizzazione dei trattamenti pensionistici i soggetti che maturano il previsto requisito di anzianità contributiva (pari, nel 2015, a 42 anni e 6 mesi per gli uomini e 41 anni e 6 mese per le donne) entro il 31 dicembre 2017. In pratica, si estende tale disposizione ai trattamenti pensionistici anticipati già liquidati negli anni 2012, 2013 e 2014, al fine di escludere (solo per i ratei di pensione corrisposti a decorrere dal 1° gennaio 2016) le sopra indicate penalizzazioni, applicate in attuazione della normativa vigente al momento del pensionamento.

Bonus al comparto sicurezza
Al personale non destinatario di un trattamento retributivo dirigenziale, appartenente ai Corpi di polizia, al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, alle Forze armate, compreso quello appartenente al Corpo delle Capitanerie di porto, quale riconoscimento dell'impegno profuso ai fini di fronteggiare le eccezionali esigenze di sicurezza nazionale per l'anno 2016, viene concesso un contributo straordinario pari a 960 euro su base annua, da corrispondere in quote di pari importo a partire dalla prima retribuzione utile e in relazione al periodo di servizio prestato nel corso del predetto anno.

Il contributo non ha natura retributiva, non concorre alla formazione del reddito complessivo ai fini IRPEF e IRAP e non è assoggettato a contribuzione previdenziale e assistenziale.


mercoledì 21 ottobre 2015

Lavoro: le nuove misure per l’occupazione per l’anno 2016


Ricordiamo che lo sgravio triennale sulle assunzioni previsto dal comma 118 dell’articolo 1 della legge 190/2014 riguarda le assunzioni effettuate fino al 31 dicembre 2015.

Dunque una agevolazione transitoria, per i contratti firmati nel 2016 la riduzione dei contributi al 40% avrà una durata massima di 24 mesi per una soglia di 3.250 euro;  ecco il motivo per il quale la Legge di Stabilità 2016 interviene nuovamente. Dimezzati gli sgravi contributivi per le imprese che assumono a tempo indeterminato rispetto all'attuale tetto dagli attuali 8.060 euro per 36 mesi di oggi.

Più in particolare:
dal 2017 la durata massima scende a 12 mesi, con una soglia di circa 1.600 euro.

Dal 2018 il meccanismo dovrebbe essere completamente azzerato. La misura porta, complessivamente, ad un alleggerimento pari a 834 milioni nel 2016 per salire a 1,5 miliardi nel 2017.

Bonus 80 euro trasformato in sgravio, dimezzati gli sgravi contributivi per le nuove assunzioni, ripristinata e ampliata la detassazione dei premi produttività: tutte le misure per l'occupazione della Legge di Stabilità 2016.

Diverse le misure contenute nella Legge di Stabilità 2016 a favore dell’occupazione in Italia, dal bonus di 80 euro in busta paga che cambia veste e viene trasformato in sgravio fiscale, al dimezzamento degli sgravi contributivi per le nuove assunzioni a tempo indeterminato, al ripristino e l’ampliamento della detassazione dei premi produttività.

Vediamoli nel dettaglio.
Cambia il bonus di 80 euro in busta paga per i dipendenti che guadagnano fino a 26mila euro annui: d’ora in poi non sarà più una “prestazione sociale” diventa uno sgravio fiscale che viene tolto dalla busta paga. Un modo per alleggerire la pressione fiscale perché in questo modo il bonus non figura più come maggior spesa per ben 10 miliardi l’anno e il peso del fisco scenderà il prossimo anno dall’attuale 43,1% al 42,6%. In parole povere il bonus non corrisponderà più ad un esborso di Stato ma ad un mancato introito per l’Erario. Cambia inoltre, seppur di pochi euro, l’ammontare della detrazione: lo sgravio sarà variabile a seconda del reddito.

Per il 2016 viene ripristinata la detassazione dei premi produttività, con uno stanziamento di 430 milioni nel 2016, che salgono a 589 milioni gli anni successivi. Tra le novità anche l’ampliamento della platea di beneficiari, includendo i redditi fino a 50mila euro lordi annui (non più i 30-40 mila euro ammessi finora): anche i quadri, oltre agli impiegati e agli operai, potranno godere dell’agevolazione fiscale. La Legge di Stabilità 2016 fissa l’asticella a 2.500 euro per l’importo del premio legato al raggiungimento di obiettivi legati a incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione, assoggettato alla tassazione del 10%. Le aziende potranno inoltre distribuire ai dipendenti gli utili fino a 2.500 euro sempre con tassazione al 10%. L’altra novità è che le somme incentivanti non concorrono alla formazione del reddito ai fine ISEE. In buona sostanza, le somme corrisposte ai lavoratori fini a 2.500 euro a seguito di accordi collettivi aziendali o territoriali sconteranno un’aliquota fiscale del 10% e sarà una imposta sostitutiva che non andrà a cumularsi con gli altri redditi del lavoratore.

Debutterà anche lo Statuto dei lavoratori autonomi finalizzato ad estendere nuove tutele e benefici fiscali sarà una misura organica su fisco e nuove tutele;

contrattazione decentrata, sulla quota di salario di produttività, di partecipazione agli utili dei
lavoratori o di welfare aziendale derivante dalla contrattazione aziendale si applica l’aliquota ridotta del 10% con uno sgravio fiscale complessivo di 430 milioni nel 2016 che sale a 589 negli anni successivi; il bonus avrà un tetto di 2.000 euro (estendibile a 2.500 se vengono contrattati anche istituti di partecipazione) e sarà utilizzabile per tutti i redditi fino a 50.000 euro;

pensionati, aumenta la “no tax area”, ossia la soglia di reddito entro la quale i pensionati non versano l’Irpef; per i soggetti sopra i 75 anni si passa dall'attuale soglia di 7.750 euro a 8.000 euro; per i pensionati di età inferiore ai 75 anni la “no tax area” aumenta da 7.500 euro a 7.750 euro;
previsto il part-time per gli over 63 che dal 2016 a fine 2018 maturano i requisiti per la pensione sulla base della Legge Fornero;

Opzione donna – il regime sperimentale per le donne che intendono lasciare il lavoro con 35 anni di contributi e 57-58 anni di età (e la pensione calcolata con il metodo contributivo) viene esteso al 2016, anno in cui devono essere maturati i requisiti.

Il decreto attuativo del Jobs Act tra le novità per il mondo del lavoro ha previsto una serie di incentivi volti a promuovere il ricorso ai contratti di apprendistato.

Così i datori di lavoro che concludano contratti di apprendistato per la qualifica, il diploma o la specializzazione tecnica superiore tra il 24 settembre 2015 e il 31 dicembre 2016 potranno contare su:

l’esenzione dal contributo di licenziamento di cui all'articolo 2, commi 31 e 32, della legge n. 92 del 2012;

la riduzione dell’aliquota contributiva del 10% di cui all'articolo 1, comma 773, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, al 5%;

lo sgravio totale dei contributi a carico del datore di lavoro di finanziamento dell’ASpI di cui dello 0,30 per cento, previsto dall’articolo 25 della legge n. 845 del 1978;

lo sgravio pari allo 0,30% delle aliquote contributive previste dall'articolo 25 della legge n. 845 del 1978, per favorire l’accesso al Fondo sociale europeo e al Fondo regionale europeo dei progetti realizzati dagli organismi dell’Unione Europea.

giovedì 15 ottobre 2015

Pensioni 2016: flessibilità in uscita part-time agevolato


Flessibilità in uscita nella Legge Stabilità 2016, dai 63 anni un part-time volontario al 50% per tre anni, con contribuzione piena ai fini della pensione.

Se per le pensioni flessibili bisognerà aspettare il 2016 in stabilità entrerà comunque una misura di «invecchiamento attivo» per consentire ai lavoratori di optare per un part-time volontario con contribuzione piena negli ultimi tre anni di contratto. Il sistema sarebbe basato su un'intesa tra datore e dipendente: quest'ultimo opta per un part-time volontario (almeno al 50%) con la garanzia del versamento in busta paga dei contributi netti che l'azienda avrebbe dovuto versare all'INPS, mentre la contribuzione figurativa al cento per cento viene fiscalizzata. I beneficiari saranno tutti i dipendenti over 63 del settore privato e per l'azienda non ci sarebbero vincoli per nuove assunzioni.

Quindi alla fine, una prima misura di flessibilità entra nella Legge di Stabilità 2016: un part-time agevolato, per gli ultimi tre anni di lavoro prima della maturazione del requisito per ritirarsi, che si può scegliere a partire dai 63 anni: l’impresa pagherà comunque i contributi pieni così che, al momento della pensione, avrà un assegno senza decurtazioni.

E’ una forma di prepensionamento attivo, opzione volontaria del lavoratore. E’ quindi necessario un accordo fra datore di lavoro e dipendente. Il part-time dev’essere almeno al 50% dell’orario. Il lavoratore riceve in busta paga i contributi che l’impresa avrebbe dovuto versare all’INPS con il tempo pieno, ma il periodo in part-time è coperto da contribuzione figurativa. La pensione, quindi, sarà piena.

Esiste già una norma simile, inserita nel decreto ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro del Jobs Ac, che prevede la possibilità di un part time in vista delle pensione per i dipendenti a cui mancano al massimo due anni, nelle imprese che applicano contratti di solidarietà espansiva in forza di clausole che prevedano nuove assunzioni. Anche in questo caso, part-time al 50%, è necessario l’accordo del lavoratore.

Prevista anche una misura di solidarietà espansiva, tramite accordi collettivi. Uno scivolo per i lavoratori a due anni dalla pensione che possono optare per il part-time condizionato a nuove assunzioni. Nel dettaglio, la misura proposta in manovra dai tecnici del ministero del Lavoro prevede un part-time almeno al 50%. Per la quota non lavorata, tali occupati cumulano la pensione. Le aziende che opteranno per questo regime avranno degli sgravi sulle assunzioni di giovani lavoratori.

La forma di pensionamento agevolato con part-time in Legge di Stabilità si differenzia da quella del Jobs Act in una serie di punti fondamentali:

è accessibile a tre anni dalla pensione;

non è condizionata da alcun accordo di nuove assunzioni;

è una scelta volontaria del dipendente, che può accedere alla pensione con gradualità, con un meccanismo che consente di non dimezzare lo stipendio pur scegliendo un part time al 50%, e con la garanzia di ricevere alla fine un assegno pieno.

Rammentiamo che la Legge di Stabilità contiene anche altri due interventi, questi attesi, sul prepensionamento: una nuova salvaguardia esodati (la settima e, nelle intenzioni dell’esecutivo, l’ultima), e un prolungamento per l’intero 2015 dell’Opzione Donna. Sempre sulle pensioni, c’è l’innalzamento della no tax area per i pensionati.

«Per noi è indispensabile che nella legge di Stabilità siano contenuti alcuni interventi sul tema della previdenza». Lo dichiara Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro della Camera. «Siamo disponibili a esaminare anche le ipotesi di part time per gli over 63, pur sapendo che si tratta di una misura che non può essere considerata sostitutiva di un intervento strutturale sulla flessibilità», conclude Damiano «Sulla settima salvaguardia degli esodati - continua l'esponente - la Commissione Lavoro della Camera ha definito un testo che prevede la tutela di altri 26mila lavoratori, con l'impiego dei risparmi delle precedenti salvaguardie. Va risolta la questione relativa alla Opzione Donna, attraverso la correzione della circolare restrittiva dell'Inps, che per noi non ha bisogno di coperture finanziarie come del resto confermato nelle audizioni informali dallo stesso ministero del Lavoro».

«Per quanto riguarda il tema della flessibilità - aggiunge Damiano - abbiamo già sottolineato come l'annuncio del premier, che rimanda la misura al 2016, sia un errore. Si renderà necessario trovare soluzioni che traccino un cammino giudicato ormai da tutti irreversibile: infatti, l'attuale sistema pensionistico è troppo rigido e consentire un'uscita flessibile, a partire dai 62 anni, può evitare di aumentare il numero dei nuovi poveri, cioè di coloro che avendo perso l'occupazione rimangono per anni senza alcun sostegno, e favorire l'ingresso dei giovani nel lavoro attraverso il turn over».

venerdì 18 settembre 2015

Pensioni guida alla ricongiunzione contributi


La ricongiunzione dei contributi è quell’istituto che permette, a chi ha posizioni assicurative in gestioni previdenziali diverse, di riunire, mediante trasferimento, tutti i periodi contributivi presso un’unica gestione, allo scopo di ottenere una sola pensione.

La ricongiunzione, avviene a domanda del diretto interessato o dei suoi superstiti e deve comprendere tutti i periodi di contribuzione (obbligatoria, volontaria, figurativa, riscattata) che il lavoratore ha maturato in almeno due diverse forme previdenziali fino al momento della richiesta e che non siano già stati utilizzati per liquidare una pensione.

I periodi ricongiunti sono utilizzati come se fossero sempre stati versati nel fondo in cui sono stati unificati e danno quindi diritto a pensione in base ai requisiti previsti dal fondo stesso. Si tratta però di un provvedimento che comporta solitamente degli oneri economici a carico del richiedente variabili a seconda della sua retribuzione, dell'età anagrafica, dell'anzianità contributiva complessiva e dell'importo del contributo che si intende trasferire da una gestione all'altra.

Ricongiunzione nel Fondo Pensioni Dipendenti, è possibile ricongiungere presso il Fondo pensioni lavoratori dipendenti, gestito dall’Inps, tutti i contributi esistenti nelle altre gestioni sostitutive, esclusive o esonerative dell’Assicurazione obbligatoria (cosiddette gestioni “alternative” quali INPDAP, Fondi speciali Ferrovie, Volo, Elettrici, Telefonici, eccetera) o nelle Gestioni speciali dei lavoratori autonomi (Artigiani, commercianti e coltivatori diretti).  Fino al 30 Giugno 2010 l'operazione era gratuita; dal 1° Luglio 2010, per effetto delle modifiche introdotte dalla legge 122/2010, l'istituto è diventato di regola oneroso.

La procedura di ricongiunzione effettuata prevede il pagamento, di regola, di un onere a carico del richiedente. Onere che è pari al 50% della somma risultante dalla differenza tra la riserva matematica, determinata in base a specifici criteri e tabelle, necessaria per la copertura assicurativa relativa al periodo utile considerato, e le somme versate dalla gestione o dalle gestioni assicurative interessate. Il pagamento può essere effettuato, su domanda, in un numero di rate mensili non superiore alla metà delle mensilità corrispondenti ai periodi ricongiunti, con la maggiorazione di interesse annuo composto pari al 4,50%. Infine, il debito residuo al momento della decorrenza della pensione può essere recuperato ratealmente sulla pensione stessa, fino al raggiungimento del numero di rate indicato in precedenza.

La ricongiunzione interessa anche i lavoratori autonomi; per tali lavoratori è tuttavia richiesto che possano far valere un periodo di contribuzione di almeno cinque anni immediatamente antecedente nell'Ago oppure in due o più gestioni previdenziali diverse dall'Ago. Si ricorda, peraltro, che i lavoratori autonomi hanno anche la facoltà di ricorrere al cumulo contributivo gratuito ed ottenere una prestazione derivante dai contributi accreditati nel fondo lavoratori dipendenti e da quelli accreditati in qualità di lavoratori autonomi. I contributi presenti nella gestione separata non possono essere invece ricongiunti.

Sono stati ammessi alla ricongiunzione solo nel 1990 anche i liberi professionisti, e possono pertanto attivare la ricongiunzione sia in uscita dalle Casse, sia in entrata verso le Casse. In tali casi tuttavia i lavoratori dovranno sostenere interamente l'onere del provvedimento.

La domanda di ricongiunzione va presentata dall'assicurato alla sede competente dell'istituto, ente, cassa, fondo o gestione previdenziale in cui si intente ricongiungere i diversi periodi contributivi. La facoltà di ricongiunzione normalmente può essere esercitato solo una volta; è ammessa una seconda possibilità di ricongiunzione soltanto se sono passati almeno 10 anni dalla prima richiesta, nonché al momento del pensionamento solo nella stessa gestione in cui è stata effettuata la prima ricongiunzione.

Lo strumento della ricongiunzione INPS è applicabile ai contributi obbligatori, volontari, figurativi e da riscatto. Per fare domanda di ricongiunzione il lavoratore deve aver maturato contributi in almeno due diverse forme previdenziali senza averli già utilizzati per liquidare la pensione. L’istanza si trasmette online alla sede competente dell’Istituto, ente, cassa, fondo o gestione presso cui si intende trasferire i periodi contributivi.

Di norma il pagamento avviene utilizzando i bollettini MAV da versare presso sportello bancario senza costi aggiuntivi o uffici postali pagando la commissione postale. I bollettini possono essere acquisiti: dall’INPS, che li invia insieme al provvedimento di accoglimento della domanda di ricongiunzione; online dal sito INPS (www.inps.it > Portale dei Pagamenti > riscatti ricongiunzioni e rendite) con codice PIN; dal contact center INPS al numero 803164 gratuito da rete fissa o 06164164 da rete mobile a pagamento. Indicando codice fiscale  e numero pratica, il pagamento può avvenire anche presso:
tabaccherie del circuito Reti Amiche;

sportelli bancari di Unicredit o il suo sito internet;

Sito INPS (www.inps.it > Portale dei Pagamenti > riscatti ricongiunzioni e rendite) con carta di credito o tramite contact center.

Si paga in unica soluzione, entro 60 giorni dalla ricezione del provvedimento di accoglimento dell’INPS o a rate, con maggiorazione degli interessi legali calcolati al tasso vigente. L’importo totale della ricongiunzione deve essere suddiviso in rate mensili consecutive, d’importo unitario non inferiore a 27 euro. Le prime tre da versare in un’unica soluzione entro 60 giorni dalla notifica del provvedimento di accoglimento della domanda di ricongiunzione da parte dell’INPS. Se i termini non vengono rispettati l’INPS considera l’omissione come rinuncia alla ricongiunzione.

In caso di versamento rateale, se non sono pagate due rate consecutive, in pendenza di rateazione, viene annullata l’operazione di ricongiunzione, con rimborso di quanto versato. Si potrà riproporre una nuova domanda dopo 10 anni o al momento del pensionamento.

mercoledì 26 agosto 2015

Stipendi dirigenti pubblici: circolare INPS agosto 2015



L'INPS interviene con la circolare 153 del 24 agosto 2015 con le istruzioni operative sulle pensioni dei dipendenti pubblici interessati dal limite degli stipendi.

L’art. 13, comma 1, del decreto legge 24 aprile 2014, n. 66 convertito con modificazioni dalla legge 23 luglio 2014, n. 89 “Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale” ha fissato in 240.000 euro annui il limite retributivo riferito al primo presidente della Corte di cassazione da far valere, a decorrere dal 1° maggio 2014, quale livello remunerativo massimo onnicomprensivo annuo per chiunque riceve emolumenti o retribuzioni a carico delle finanze pubbliche, secondo quanto previsto dagli articoli 23-bis e 23-ter del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201.

Nello stesso articolo 13 convertito con modificazioni dalla legge n. 89/2014 si dispone, inoltre, che la riduzione dei trattamenti economici, operata a seguito dell’applicazione del predetto limite, ha effetto, ai fini dei trattamenti previdenziali, con riferimento alle anzianità contributive maturate dal 1° maggio 2014.

Con la circolare n. 153 del 24 agosto 2015 l'INPS fornisce chiarimenti sugli effetti della norma sul calcolo dei trattamenti di quiescenza e di fine servizio e fine rapporto degli iscritti alla gestione dipendenti pubblici dell’Inps.

Il documento analizza innanzitutto la normativa vigente sul livello remunerativo massimo annuo dei dipendenti pubblici e  ne chiarisce poi gli effetti  del limite ai fini previdenziali.  Infine viene illustrato l'adeguamento delle procedure di liquidazione delle prestazioni.

Con riferimento ai Tfr si rileva che la salvaguardia introdotta non modifica i meccanismi di computo in quanto già insita nelle regole di calcolo della prestazione. La riduzione della retribuzione utile che interviene dal 1° maggio 2014 determina, infatti, una proporzionale riduzione solo degli accantonamenti di Tfr maturati a partire dalla stessa data i quali si aggiungono a quelli maturati precedentemente e commisurati alla retribuzione utile prima della riduzione stessa.

Diverso, invece, è l’effetto delle disposizioni suddette sui trattamenti di fine servizio, in quanto modificano, esclusivamente per le categorie di cui al punto 2.1, le regole di calcolo della prestazione, che risulta così determinata dalla somma di due importi parziali:

il primo importo, calcolato tenendo conto delle anzianità utili e della retribuzione contributiva utile (in ogni caso non superiore al precedente limite di € 311.658,53) alla data del 30 aprile 2014;

il secondo importo, calcolato tenendo conto della retribuzione contributiva utile alla cessazione del rapporto di lavoro (in ogni caso non superiore al limite di € 240.000 annui) e delle anzianità utili maturate a partire dal 1° maggio 2014.

Sempre con riferimento ai trattamenti di fine servizio si precisa che gli effetti dei benefici di legge (che determinano incrementi convenzionali della base di calcolo o delle anzianità utili) continuano ad operare  alla cessazione del rapporto di lavoro; si precisa altresì che gli incrementi convenzionali della base di calcolo non contribuiscono alla individuazione del limite retributivo.

Gli effetti degli incrementi dell’anzianità utile conseguenti al riscatto di periodi operano, invece, per quell'importo della prestazione nel cui arco temporale di riferimento è stata prodotta la domanda.

Pertanto, poiché la retribuzione utile presa a base del calcolo del contributo di riscatto è quella spettante all'atto della domanda, se quest’ultima è stata presentata entro il 30 aprile 2014 gli effetti dell’incremento dell’anzianità utile sono considerati con riferimento al primo importo; diversamente, l’effetto dell’incremento dell’anzianità utile opera sul secondo importo se la domanda di riscatto è stata presentata a partire dal 1° maggio 2014.

Qualora le amministrazioni dovessero rappresentare, in sede di comunicazione dei dati utili per il calcolo delle previste prestazioni, cifre superiori, gli operatori effettueranno la riduzione entro il limite delle voci che concorrono a determinare le basi di calcolo. Tenuto conto delle indicazioni contenute nella circolare del Dipartimento della funzione pubblica n. 8 del 3 agosto 2012, tale riduzione deve essere effettuata, nell'ordine, sugli emolumenti dovuti per lo svolgimento di incarichi aggiuntivi, sul trattamento accessorio variabile, trattamento accessorio fisso e continuativo, sul trattamento fondamentale.

sabato 1 agosto 2015

Pensioni, dal 3 agosto scattano i rimborsi. Vediamo chi riceverà gli arretrati



Dal tre agosto scatta il rimborso delle pensioni INPS. I pensionati coinvolti sono 3.7 milioni, e riceveranno 500 euro in più al mese. Ecco i dettagli della circolare INPS e le percentuali per fascia di reddito.

Con la circolare che rende reale il rimborso delle pensioni, sono state stabilite le percentuali relative alle diverse fasce di reddito.

Pensioni: gestione separata dei rimborsi per gli anni precedenti
Il rimborso per gli anni precedenti al 2012 e al 2013 verrà gestito separatamente per evitare che ci sia cumulo con il reddito complessivo di un determinato anno e quelli prodotti precedentemente, che non sono sottoposti a tassazione progressiva.

Per gli anni 2012 e 2013, i pensionati con importi fino a tre volte il minimo INPS riceveranno un rimborso pari al 100%.

Si abbassa fino al 40% nei casi di assegni superiori a tre volte, e fino a quattro volte, il minimo.

Per gli importi che vanno da quattro a cinque volte il minimo è previsto un rimborso del 20%, che si abbassa al 10% per le somme da cinque a sei volte superiori al minimo INPS. Chi ha pensioni superiori a sei volte il minimo non hanno diritto ad alcun rimborso.

Per gli anni 2014 e 2015, il rimborso sarà pari al 20% rispetto alle percentuali assegnate a ogni fascia per gli anni 2012 e 2013.


Arrivano gli arretrati, ma non per tutti. L'Inca, il patronato della Cgil, in una nota diffusa per fare chiarezza e rispondere così alle numerose richieste ricevute nelle ultime settimane, spiega che gli arretrati «saranno calcolati per fascia, e non saranno per tutti». In particolare, la nota del patronato spiega che «i pensionati italiani che nel 2011 e nel 2012 hanno percepito trattamenti pensionistici compresi fra 3 e 6 volte il minimo, riceveranno automaticamente dall’Inps i rimborsi per gli arretrati e otterranno la rivalutazione della loro pensione mensile a partire dalla rata in pagamento ad agosto 2015 e infine un’ulteriore rivalutazione dell'importo mensile a partire dal 1 gennaio 2016».

Chi riceverà l’aumento. «In sintesi -continua l'Inca- i destinatari sono coloro che hanno percepito nel 2011 pensioni comprese tra 1.405,05 euro e 2.810,10 euro lordi e nel 2012 tra 1.443,00 euro e 2.886,00 euro lordi; coloro che hanno avuto importi inferiori non hanno diritto a nulla perché le loro pensioni non hanno subito il blocco». Lo stesso vale, naturalmente, per gli importi superiori.

Esempio di calcolo per pensioni fino a 1.500 euro lordi Ecco un esempio di calcolo tratto da una circolare dell’Inps. Le pensioni superiori a 3 volte il minimo e pari o inferiori a 4 volte il minimo, fino dunque a 1500 euro, percepiranno dal 1 agosto una rivalutazione complessiva una tantum - calcolando gli arretrati 2012-2015 - di 796,27 euro. In particolare saranno restituiti 210,6 euro per il 2012 e 447,2 per il 2013. Per il 2014 e 2015, invece, la restituzione sarà pari rispettivamente a 89,96 euro e 48,51 euro.

Ecco come è stata definita la platea degli aventi diritto. Il governo ha deciso di attuare la sentenza della Corte Costituzionale «rivalutando parzialmente le pensioni comprese tra 3 e 6 volte il minimo ed escludendo tutte quelle di importo superiore, riducendo in maniera drastica l’onere finanziario a carico dello Stato che sarebbe derivato dall’applicazione integrale della sentenza, che era ipotizzato con importi superiori ai 20 miliardi di euro: l’onere reale risulterà invece inferiore ai 2 miliardi di euro», spiega sempre l'Inca.

Divisione in tre fasce per garantire i redditi più bassi. Il governo ha inoltre disposto che sia gli arretrati che le rivalutazioni dell'importo mensile vengano conteggiati in tre distinte fasce: fra 3 e 4 volte il minimo, fra 4 e 5 volte il minimo e tra 5 e 6 volte il minimo, con l'applicazione di percentuali di rivalutazione decrescenti al crescere della fascia, garantendo quindi in misura maggiore i redditi più bassi. In virtù di questo meccanismo, quindi, «per le pensioni che si avvicinano alle fasce più alta e cioè 6 volte il minimo, spesso l'importo della rivalutazione può essere considerato irrisorio», aggiunge il patronato.

Reintegro al 100% solo per pensioni fino a 3 volte il minimo Andando nel dettaglio di quanto previsto dal decreto, per il 2012 e 2013, percepiranno un reintegro del 100% tutti i trattamenti di importo complessivo fino a tre volte il minimo; il reintegro scende al 40% per gli assegni superiori a 3 volte il minimo e fino a 4 volte; del 20% per quelli tra 4 e 5 volte il minimo; del 10% per quelli tra 5 e 6 volte il minimo. Per il 2014 e il 2015 invece la rivalutazione sarà riconosciuta a partire dalle pensioni superiori a 3 volte il minimo e fino a 6 volte e sarà pari al 20% della percentuale assegnata per ogni fascia di reddito per gli anni 2012-2013.

Rimborsi anche agli eredi. Anche gli eredi avranno diritto ai rimborsi delle pensioni superiori a 3 volte il minimo. L’Inps precisa infatti che i pagamenti riguarderanno «anche le pensioni che al momento della lavorazione risulteranno eliminate». «Il pagamento delle spettanze agli aventi titolo - si legge - sarà effettuato a domanda nei limiti della prescrizione». In sostanza basterà presentare una domanda all'Inps prima che scatti la prescrizione.

La delusione degli “esclusi”. «Sappiamo che molti pensionati sono rimasti delusi per essere stati esclusi, altri invece si dichiarano insoddisfatti di quanto stanno per ricevere, soprattutto per la scarsa incidenza economica che la rivalutazione avrà a partire da gennaio 2016», sottolinea. «Il Patronato è disponibile in tutte le sue sedi per fornire tutte le informazioni del caso e approfondiremo, dopo la pausa estiva l'ipotesi di eventuali contenziosi a tutela del potere di acquisto delle pensioni, non dimenticando mai i criteri di solidarietà ed equità che hanno sempre guidato il nostro lavoro nella tutela dei diritti individuali», conclude la nota del patronato.

Lo stop alla rivalutazione delle pensioni è incostituzionale. La recente sentenza della Consulta ha annullato, bocciandolo, l'art. 24 del decreto legge 201/2011 in materia di perequazione delle pensioni, ossia la cosiddetta norma Fornero contenuta nel ''Salva Italia'' varato dal governo Monti. La norma, giudicata incostituzionale, prevedeva che, per il 2012 e 2013 «in considerazione della contingente situazione finanziaria», sui trattamenti pensionistici di importo superiore a tre volte il minimo Inps (circa 1.500 euro lordi) scattasse il blocco della perequazione, ossia il meccanismo che adegua le pensione al costo della vita.

Rimborso delle pensioni: le cifre Le pensioni superiori a tre volte e pari o inferiori a quattro volte il minimo INPS - fino a un massimo di 1.500 euro - avranno una rivalutazione complessiva di 796.27 euro: 210.6 euro per il 2012 e 447.2 per il 2013. Per gli anni 2014 e 2015, il rimborso ammonterà a 89.96 euro e 48.51 euro.

Proroga per la presentazione del 730: rimborso a scaglioni. Il pagamento delle pensioni avverrà ogni primo del mese, a prescindere dalla gestione previdenziale a cui si fa capo, Il rimborso però - dato che verrà calcolato anche in base alla dichiarazione dei redditi 2015 - verrà scaglionato a causa della proroga per la presentazione del 730. Solamente coloro i quali hanno inviato il modello 730 entro il 30 giugno scorso avranno diritto al rimborso ad agosto, i ritardatari lo riceveranno a settembre.



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