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mercoledì 9 settembre 2015

Congedo parentale: le nuove procedure INPS e la domanda



Il genitore che intende fruire del congedo parentale sia ad ore che su base giornaliera o mensile deve presentare all’INPS due distinte domande telematiche. Dal 19 agosto 2015 è infatti attiva la procedura operativa per fruire delle nuove norme in materia di congedo parentale. La richiesta per il congedo parentale ad ore, in questa fase, può anche essere retroattiva.


Il decreto 80/2015 attuativo del Jobs Act contempla nuove misure di conciliazione casa-lavoro, ampliando il congedo parentale fino ai 12 anni di vita del figlio ed estendendone la copertura retribuita al 30% fino ai 6 anni di vita (prima erano 3). Il prolungamento vale anche nei casi di adozione e affidamento e per i genitori che hanno figli portatori di handicap in condizione di gravità.


Tuttavia, un altro provvedimento attuativo del Jobs Act e approvato in via definitiva il 4 settembre (quello sugli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro), estende queste misure (insieme alle altre contenute nel decreto di conciliazione lavoro famiglia) agli anni successivi, facendole diventare strutturali. Questo prolungamento è contenuto nel comma 2 dell’articolo 42, che individua le coperture finanziarie per rendere definitive le nuove regole sul congedo parentale (la cui formulazione non prevede alcun successivo decreto attuativo). Quindi, par di capire, quando il decreto sarà in vigore (pubblicato in Gazzetta Ufficiale) l’INPS procederà con l’adeguamento delle procedure. Fino a quel momento, le domande di congedo parentale fino a 12 anni di vita del figlio possono riguardare solo il 2015.


Se il genitore di un figlio di 8 anni vuole utilizzare il congedo tra dicembre 2015 e gennaio 2016, per ora può chiedere solo le settimane fino al 31 dicembre; quando invece il nuovo decreto applicativo del Jobs Act sugli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto sarà in vigore e l’INPS avrà nuovamente aggiornato le procedure, potrà chiedere anche le altre due settimane (sempre che l’Istituto provveda in tempi brevi).


Un’altra precisazione riguarda le domande per fruire di congedi a cavallo del 25 giugno (cioè con inizio del periodo prima del 25 giugno e termine invece successivo). In estrema sintesi, fino al 25 giugno si applicano le vecchie regole, per i periodi successivi valgono le novità inserite nel Jobs Act.


Questo non è un problema che riguarda il lavoratore: sarà l’operatore INPS a lavorare la domanda suddividendo i due periodi e applicando le relative norme, sia in materia di fruibilità sia per quanto riguarda l’indennizzo.


Il lavoratore deve solo tener presente i seguenti termini: se ha fruito solo in parte del congedo parentale nei primi 8 anni di vita del figlio, può chiedere i giorni rimanenti a partire dal 25 giugno, non prima. Allo stesso modo, se intende fruire del congedo con l’indennità al 30% e il figlio è fra i tre e i sei anni, deve presentare domanda dopo il 25 giugno, per i periodi precedenti l’indennità è riconosciuta solo per i primi tre anni di vita del bambino.


Chi ha avuto la domanda respinta deve ripresentarne una nuova: l’INPS non riesamina automaticamente le vecchie domande adeguandosi alla nuova normativa; serve dunque rifare tutto da capo.


Ricordiamo che ogni genitore può chiedere 6 mesi di congedo parentale, elevabili a 7 nel caso in cui il padre ne prenda almeno 3. La somma dei congedi dei due genitori non può superare i 10 mesi, che possono diventare 11 se il padre fruisce di un congedo superiore a 3 mesi. Se c’è un solo genitore, può chiedere fino a 10 mesi di congedo parentale.


Nella domanda di congedo parentale ad ore il genitore deve dichiarare il numero di giornate di congedo parentale da fruire in modalità oraria stante che la procedura prevede che il totale delle ore di congedo richieste sia calcolato in giornate lavorative intere.


Deve essere altresì indicato il periodo all’interno del quale queste giornate intere di congedo parentale saranno fruite.


Nella fase iniziale le domande di congedo parentale ad ore sono. presentate in relazione a singolo
mese solare, pertanto se il genitore intende fruire della nuova modalità per due mesi dovrà presentare due distinte domande seppure utilizzando la procedura semplificata che consente l'acquisizione, a partire da una domanda già presentata, di una nuova domanda, indicando solamente il numero di giornate intere da fruire su base oraria all’interno di un nuovo periodo.


La trasmissione della relativa modulistica può avvenire attraverso i seguenti canali: web, il servizio è disponibile tra i servizi OnLine dedicati al Cittadino presenti sul sito dell’INPS, contact center integrato, e patronati, attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi. Riforma Lavoro e congedo parentale fino ai 12 anni del figlio (retribuito fino ai 6): domanda INPS e decreto che rende strutturali le novità del Jobs Act.


Significa che per i dieci mesi di permesso facoltativo (accordato ai genitori fino a quando il figlio compie 12 anni) si potrà scegliere tra la fruizione giornaliera e quella oraria,  un’opportunità che permette di occuparsi dei bambini senza però lasciare il lavoro. " Tale modalità di fruizione si aggiunge a quella mensile e giornaliera. Restano invariate le modalità di invio della domanda mediante uno dei seguenti canali:
• Web- Servizi telematici accessibili direttamente dal cittadino tramite Pin dispositivo attraverso il portale dell'Istituto (www.inps.it - Servizi on line);


• Contact Center Integrato - numero verde 803.164 (numero gratuito da rete fissa) o numero 06 164.164 (numero da rete mobile con tariffazione a carico dell’utenza chiamante);


• Patronati, attraverso i servizi offerti dagli stessi".


Lavoro occasionale accessorio cosa c’è da sapere


A seguito delle riforme introdotte nel 2012 e 2015 i lavoratori possono svolgere attività di lavoro occasionale, ridefinito rigorosamente accessorio dalla legge Fornero:

in generale fino ad un limite economico di 7.000 euro netti per la totalità dei committenti per cui lavorano, nell’anno solare;

per soggetti che percepiscono prestazioni integrative o di sostegno al reddito ( CIGS, maternità ecc...) il limite è di 3000 euro;

rispetto ad un unico datore di lavoro professionista o lavoratore autonomo la soglia massima di compensi è di 2000 euro.

Il lavoro occasionale di tipo accessorio trova applicazione per le prestazioni rese in tutti gli  ambiti lavorativi.

Solo per le imprese del settore agricolo, il lavoro accessorio è ammesso con queste limitazioni (D.Lgs 81/2015) per:

aziende con volume d’affari superiore a 7.000 euro esclusivamente tramite l’utilizzo di specifiche figure di prestatori (pensionati e giovani con meno di venticinque anni di età, se regolarmente iscritti ad un ciclo di studi presso un istituto scolastico di qualsiasi ordine e grado, compatibilmente con gli impegni scolastici, ovvero in qualunque periodo dell’anno se regolarmente iscritti ad un ciclo di studi presso l’università) per lo svolgimento di attività agricole di carattere stagionale;

aziende con volume d’affari inferiore a 7.000 euro che possono utilizzare qualsiasi soggetto in qualunque tipologia di lavoro agricolo, anche se non stagionale purché non sia stato iscritto l’anno precedente negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli.

Possono fruirne quindi:

imprese familiari;

enti pubblici (per tutte le categorie di prestatori e finalità delle prestazioni);

lavoratori autonomi e professionisti;

aziende ( con eccezione dei propri dipendenti).

Sul fronte delle modalità di acquisto dei buoni lavoro, è stato introdotto l’obbligo per i committenti imprenditori o liberi professionisti di acquistare esclusivamente con modalità telematiche “uno o più carnet di buoni orari, numerati progressivamente e datati, per prestazioni di lavoro accessorio il cui valore nominale è fissato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, tenendo conto della media delle retribuzioni rilevate per le diverse attività lavorative e delle risultanze istruttorie del confronto con le parti sociali”.

L’acquisto dei buoni-lavoro (voucher) cartacei può avvenire presentando la propria tessera sanitaria o di codice fiscale o carta di identità elettronica  presso i seguenti concessionari:

Uffici Postali del territorio nazionale, esclusivamente per i committenti non imprenditori né liberi professionisti ( ad es. privati) con una commissione di 2,5 euro + IVA per ogni emissione fino a 25 voucher ( ripetibile fino a 5mila euro giornalieri);

per tutti i committenti presso i rivenditori di generi di monopolio autorizzati (tabaccai) con un addebito di 1,70 euro per ogni acquisto fino a un massimo di mille euro per pagamenti in contanti ; fino a 5.000,00€ per pagamenti con carte di credito per singolo Codice Fiscale;

per tutti i committenti presso gli sportelli bancari abilitati con addebito di 1 euro di commissione, con un massimo di 5mila euro giornalieri.

E' bene ricordare che dal 31 agosto 2015 non è più possibile acquistare i voucher cartacei presso le Sedi INPS ma rimane possibile, unicamente, il ritiro dei voucher erogati come contributo per il servizio di baby sitting.

I prestatori di lavoro che hanno ricevuto i buoni dal datore di lavoro li possono riscuotere presso lo stesso intermediario che li ha erogati .

Se si scelgono invece i Buoni telematici, per il pagamento è necessaria anzitutto la registrazione presso l’Inps.

L’importo dei  voucher  acquistati deve essere pagato prima dell’inizio della prestazione:
tramite modello F24;

con versamento su conto corrente postale 89778229 intestato a INPS DG LAVORO OCCASIONALE ACC;

direttamente on line sul sito www.inps.it, nella sezione Servizi Online/Per il cittadino/Lavoro occasionale accessorio. In questo caso l’addebito avviene su conto corrente postale, su Postepay o su carta di credito del circuito VISA_Mastercard.

Il prestatore riceve gli importi guadagnati direttamente con accredito sulla carta magnetica Inpscard, che gli viene fornita al momento della registrazione o tramite bonifico domiciliato.

Al termine del lavoro il committente deve dichiarare l’entità della prestazione svolta.

I buoni lavoro (o voucher) rappresentano un sistema di pagamento del lavoro occasionale accessorio, cioè di quelle prestazioni di lavoro svolte al di fuori di un normale contratto di lavoro in modo discontinuo e saltuario, che tuttavia garantiscono oltre alla retribuzione anche la copertura previdenziale presso l’Inps e quella assicurativa presso l’Inail. Il limite massimo di compenso che ogni lavoratore  può percepire con questa modalità  per il 2015 è di 7000 euro totali.

I prestatori che possono accedere al lavoro accessorio sono:

pensionati

studenti nei periodi di vacanza

percettori di prestazioni integrative del salario o sostegno al reddito (cassintegrati, titolari di indennità di disoccupazione ASpI, disoccupazione speciale per l'edilizia e i lavoratori in mobilità;

lavoratori autonomi, lavoratori dipendenti pubblici e privati.

Per i lavoratori dipendenti il ricorso all’istituto del lavoro accessorio non è  permesso  presso lo stesso datore di lavoro titolare del contratto di lavoro dipendente (Circolare INPS n. 49/2013).

Altra importante novità in merito al lavoro di tipo accessorio, concerne la preventiva comunicazione telematica che dovrà essere resa alla direzione territoriale del lavoro competente (DTL), attraverso modalità telematiche, ivi compresi sms o posta elettronica. Con una nota il Ministero del lavoro ha però precisato che:

in attesa dei necessari approfondimenti e attivazione delle relative procedure telematiche - a nuova modalità di comunicazione preventiva è sospesa e i committenti potranno continuare ad assolvere a tale obbligo presso gli Istituti previdenziali secondo le attuali procedure.

Le prestazioni di lavoro accessorio sono le attività lavorative di natura occasionale che danno complessivamente luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi non superiori a 7.000 euro nel corso di un anno solare (annualmente rivalutati).


lunedì 7 settembre 2015

NASpI: calcolo durata indennità e a chi spetta



La Naspi è l'indennità di disoccupazione che entrerà in vigore a partire dal 1° maggio 2015. L'importo dell'assegno mensile è calcolato in relazione alla retribuzione imponibile ai fini previdenziali negli ultimi quattro anni di lavoro, divisa per il numero di settimane di contribuzione e moltiplicata per il numero 4,33.

Ma come si calcola esattamente questa nuova tipologia di assegno mensile a sostegno del reddito e quanto spetta a un lavoratore che perde il lavoro o che si ritrova con il proprio contratto di lavoro scaduto?

Ecco i requisiti per fare domanda per la Naspi, quanto spetta e come si calcola. Si ricorda a tal fine che l'assegno massimo percepibile è di 1.300 euro mensili e di importo differente in relazione alla differenti tipologie di contratto di lavoro, se co.co.co, co.co.pro, a progetto. Come si calcola la Naspi 2015 e quanto spetta? L'importo dell'assegno Naspi 2015 è calcolato in base allo stipendio percepito negli ultimi quattro anni di servizio, e erogato in percentuale in relazione a tali parametri e come espresso nella tabella sottostante: (Es: se si aveva una retribuzione di 1.000 euro, si avrà un assegno mensile Naspi di 750 euro; se si aveva uno stipendio di 1.500 euro, si dovrà calcolare il 75% di quella somma e l'ulteriore 25% della differenza dal tetto massimo per ricevere l'assegno mensile di sostegno al reddito, pari a 1.195 euro).

Di seguito sono espresse anche le riduzioni nell'importo dell'assegno di disoccupazione in relazione
al piano previsto dal provvedimento, al momento applicato in via del tutto sperimentale.

Chiarimenti INPS sulle modalità di calcolo della durata dell'indennità NASpI: la guida per il sussidio di disoccupazione.

Con la Circolare n. 142/2015 l’INPS ha fornito nuovi chiarimenti in tema di NASpI, l’assicurazione sociale per l’impiego introdotta dalla Riforma ammortizzatori sociali del Jobs Act che viene corrisposta a coloro che perdono il lavoro a partire dallo scorso 1° maggio.

Calcolo durata NASpI
A fronte delle segnalazioni pervenute da diversi canali di utenza, l’INPS, fornisce una guida passo per passo al calcolo della durata della NASpI. Per determinare la durata della prestazione NASpI vanno effettuati i seguenti calcoli:

vanno considerate le prestazioni di Disoccupazione ordinaria (DSO) e ASpI il cui biennio di osservazione (eventualmente ampliato in caso di presenza di periodi neutri) risulti a cavallo dell’inizio del quadriennio di osservazione per la determinazione della durata dell’indennità NASpI.

L’INPS illustra nel dettaglio come procedere al calcolo sia per la prima prestazione DSO o ASpI, ovvero per quella con la data di cessazione più vecchia, che per quelle successive;
effettuato tale calcolo, vanno considerate tutte le domande di prestazione DSO, ASpI, miniASpI,

NASpI, DS Requisiti ridotti e miniASpI 2012 del lavoratore già percepite con data cessazione nel quadriennio ad esclusione di quelle già esaminate al punto 1, e cioè delle prestazioni di Disoccupazione ordinaria (DSO) e ASpI il cui biennio di osservazione (eventualmente ampliato) risulti a cavallo dell’inizio del quadriennio di osservazione per la determinazione della durata dell’indennità NASpI;

si considerano i contributi del lavoratore nel quadriennio di osservazione (eventualmente ampliato) prima della data cessazione attività a seguito della quale viene richiesta la NASpI;

si sommano i contributi nel quadriennio calcolati al punto 3 e si riducono del numero delle settimane di contributi utilizzate (quelle calcolate ai punti precedenti), facendo comunque salvi i contributi derivati dai rapporti di lavoro successivi alla data cessazione che ha dato luogo all’ultima indennità di disoccupazione percepita dal lavoratore;


si divide per 2 il risultato.


Effettuati tutti i passaggi si ottiene la durata della prestazione NASpI.

L’Inps precisa quindi che:

“Per tutte le prestazioni di disoccupazione ordinaria con requisiti normali (DSO) o di ASpI le cui ultime 52 settimane di contribuzione che vi hanno dato luogo siano a cavallo dell’inizio del quadriennio, la valutazione della contribuzione utilizzata – calcolata così come indicato al punto 1) dello stesso paragrafo 2.5 – deve essere ricondotta prioritariamente ai periodi contributivi più risalenti delle ultime 52 settimane di contribuzione che hanno dato luogo a prestazioni di DSO o ASpI, anche se detta contribuzione si colloca al di fuori del quadriennio di riferimento”.

Si ha diritto alla Naspi 2015 per un numero di settimane pari alla metà di quelle di contribuzione negli ultimi quattro anni di lavoro. Si ricorda che tale tipologia di assegno di disoccupazione sarà applicata dal 01 maggio 2015 in via del tutto sperimentale e dal 2017, non potrà essere percepita per più di 78 settimane, e fino a quando, comunque, permane lo status di disoccupazione. Nel caso in cui il lavoratore con diritto alla Naspi stipuli un nuovo contratto di lavoro della durata inferiore ai sei mesi, può interromperlo per un periodo massimo di sei mesi; se si instaura un nuovo rapporto di lavoro con retribuzione annuale inferiore al minimo consentito per fare la dichiarazione dei redditi, è possibile continuare a percepire l'assegno Naspi in percentuale ridotta. Nel caso di avvio di un’attività autonoma, il lavoratore è tenuto a informare l'Inps entro trenta giorni, dichiarare il reddito annuo previsto, e si avrà ancora diritto a percepire l'assegno Naspi per un importo pari all’80% di tale somma prevista.

venerdì 17 luglio 2015

Congedo parentale: i limiti per il 2015



Il Jobs Act contiene disposizioni su varie materie socio - economiche tra le quali il congedo parentale retribuito, per l'anno 2015, assegnato ai genitori di un figlio sino al compimento del sesto anno.

L'articolo 7 del decreto legge, di recente pubblicazione, prevede che il congedo parentale possa essere chiesto sino al compito del 12 anno di età del figlio, piuttosto che l'ottavo, come è stato fino ad ora.

Stesso limite di età vale nel caso di ingresso di un minore nel nucleo familiare a seguito di adozione o affidamento.

Il congedo, come dispone l'art. 9 del Decreto Legge, è retribuito con la corresponsione di un indennizzo di ammontare pari al 30% della retribuzione media giornaliera del lavoratore. Questa misura percentuale prescinde le condizioni economiche ed il reddito del lavoratore, e viene corrisposto sino al compimento del sesto anno del bambino (oppure dall'introduzione nella famiglia di un minore adottato o affidato). Il jobs act ha, di fatto, portato al doppio il precedente limite di 3 anni d'età.

Attenzione tali nuovi limiti sono circoscritti ai periodi di congedo fruiti dal 25 giugno 2015 sino al 31 dicembre 2015.

Come chiedere il congedo nel periodo transitorio?
Il mese di luglio corrente anno, viene considerato dal decreto legge, "periodo transitorio", ovvero tempo fisiologicamente necessario all'adeguamento del sistema informatico. Sino allo spirare del mese sarà consentita la presentazione della domanda cartacea attraverso l'utilizzo del classico modello SR23.

Dove trovare la modulistica per presentare la domanda?
Reperire il suddetto modello è facile: basta navigare sul sito internet dell'INPS all'interno della sezione appositamente dedicata al download della modulistica.

Una volta effettuato l'accesso alla detta sezione, basterà digitare, nel campo "ricerca modulo" il codice "SR23" che distingue il modello per presentare domanda di congedo parentale.

Chi può presentare domanda cartacea e chi no?
Per i genitori di figli di età compresa tra gli otto ed i dodici anni, sarà possibile presentare domanda cartacea ma solo fino a quando non sia aggiornato il sistema informatico dell' INPS. Per tutti gli altri aventi diritto ma con figli di età inferiore agli 8 anni, dovrà tassativamente essere utilizzato il modello telematico.
Infine, il decreto legge non fa alcun riferimento al congedo ad ore previsto dal D.L n°80 ma mai introdotto in assenza del relativo decreto attuativo.

La fruizione del congedo parentale è stata estesa e facilitata dal decreto 81/2015 attuativo del Jobs Act, ma solo per il 2015. L'INPS fornisce nuove istruzioni sulla domanda per i figli disabili-

Le disposizioni danno attuazione ai criteri direttivi di cui alle lettere g) e h) dell’articolo 1, comma 9, della legge delega, che prevedono, tra l’altro:

una maggiore flessibilità dei congedi obbligatori e parentali, favorendo le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, anche tenuto conto della funzionalità organizzativa all'interno delle imprese;

il riconoscimento della possibilità di fruizione dei congedi parentali in modo frazionato e il rafforzamento degli strumenti di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

In particolare:
il periodo massimo di fruibilità viene esteso dall’ottavo al dodicesimo anno di vita del bambino (articolo 7, comma 1, lett. a)). Lo stesso termine si applica anche in caso di adozione e affidamento (articolo 10, comma 1, lett. a)) e di prolungamento del congedo parentale in presenza di figlio minore portatore di handicap ;

viene esteso, anche nei casi di adozione e affidamento, dal terzo al sesto anno di vita del bambino (o entro i sei anni dall’ingresso del minore in famiglia) il periodo di indennizzo previsto, nella misura del 30%, per l’utilizzo del congedo parentale (articolo 9, comma 1, lett.

a) e articolo 10, comma 1, lett. b)). Viene inoltre specificato che la suddetta indennità possa essere percepita per periodi ulteriori (a condizione che il reddito individuale dell'interessato sia inferiore a 2,5 volte l'importo del trattamento minimo di pensione a carico dell'assicurazione generale obbligatoria), ma non oltre l’ottavo anno di vita del bambino;

in caso di mancata regolamentazione della modalità di fruizione su base oraria da parte dei contratti collettivi (anche aziendali), viene prevista la possibilità per ciascun genitore di scegliere tra la fruizione giornaliera o oraria; la fruizione su base oraria è consentita in misura pari alla metà dell’orario medio giornaliero del periodo di paga quadrisettimanale o mensile immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha inizio il congedo parentale. È esclusa la cumulabilità della fruizione oraria del congedo parentale con permessi o riposi previsti dal decreto;

viene ridotto il termine di preavviso per la richiesta del congedo: da 15 giorni si passa a 5 per il congedo giornaliero e a 2 per quello su base oraria.

Nel messaggio di del  16 luglio l'INPS fornisce ulteriori  indicazioni sull' elevazione dei limiti temporali di fruibilità del congedo parentale da 8 a 12 anni per figli con disabilità in situazione di gravità e fa riferimento  anche al precedente messaggio n. 4576 del 6 luglio 2015.

In particolare nel nuovo messaggio si specifica che :

" per l’anno 2015, il prolungamento del congedo parentale può essere fruito dai genitori adottivi e affidatari, qualunque sia l’età del minore, entro 12 anni (e non più 8 anni) dall'ingresso del minore in famiglia. Rimane fermo che il prolungamento del congedo parentale non può essere fruito oltre il raggiungimento della maggiore età del minore.

Rimane salvo, altresì, che il prolungamento del congedo parentale decorre a partire dalla conclusione del periodo di normale congedo parentale teoricamente fruibile dal genitore richiedente (circolare n. 32 del 6 marzo 2012).

Alla luce del nuovo quadro normativo, si rileva che i giorni fruiti fino al dodicesimo anno di vita del bambino – o fino al dodicesimo anno dall’ingresso in famiglia del minore in caso di adozione o affidamento - a titolo di congedo parentale ordinario e di prolungamento del congedo parentale non possono superare in totale i tre anni, con diritto per tutto il periodo alla indennità economica pari al 30% della retribuzione.

Si riepilogano di seguito, in base al vigente disposto normativo, i benefici previsti in favore dei genitori lavoratori per l’assistenza a figli con disabilità in situazione di gravità in alternativa al prolungamento del congedo parentale di cui all’art. 33 del Decreto Legislativo n. 151/2001.
tre giorni di permesso mensile, oppure le ore di riposo giornaliere per bambini, anche adottivi o affidati, fino a 3 anni di età;

tre giorni di permesso mensile per bambini tra i 3 e i 12 anni di vita, oppure tra i 3 anni di vita e fino a 12 anni dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento.

Si ricorda che a partire dal compimento del dodicesimo anno di età del figlio biologico, e dal dodicesimo anno dall’ingresso in famiglia del minore adottato o affidato, si ricorda che i genitori possono fruire esclusivamente dei tre giorni di permesso mensile.

Si precisa che, a seguito dell’immediata entrata in vigore della riforma (dal  25 .6.2015) , nelle more dell’adeguamento degli applicativi informatici utilizzati per la presentazione della domanda on line, è consentita la presentazione della domanda in modalità cartacea utilizzando il modello rinvenibile sul sito internet dell’Istituto seguendo il seguente percorso: www.inps.it > modulistica > digitare nel campo “ricerca modulo” il seguente codice: SR08.

Si chiarisce che la domanda cartacea va utilizzata solo dai genitori lavoratori dipendenti che fruiscono di periodi di prolungamento di congedo parentale dal 25 giugno 2015 al 31 dicembre 2015, per figli in età compresa tra gli 8 ed i 12 anni, oppure per minori in adozione o affidamento che si trovano tra l’8° ed il 12° anno di ingresso in famiglia.

Per tutti gli altri genitori lavoratori dipendenti aventi diritto al prolungamento del congedo parentale per figli di età inferiore agli 8 anni, la domanda continua ad essere presentata in via telematica."



lunedì 29 giugno 2015

Jobs Act: novità e nuove regole per il contratto a tempo parziale



Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto legislativo n. 81 del 15 giugno 2015, cambiano le regole per i contratti di lavoro a tempo parziale.

La riforma ha introdotto un limite allo svolgimento del lavoro supplementare nonché la possibilità per le parti di concordare clausole flessibili ed elastiche nel caso di mancata previsione di una disciplina da parte del contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro. E’ stato poi introdotto il diritto o la preferenza nella trasformazione dal full-time in part-time in ipotesi di patologie che toccano il lavoratore o i familiari e la possibilità di chiedere tale trasformazione in luogo del congedo parentale.

Il Decreto di riordino delle tipologie contrattuali modifica in parte la normativa sul contratto di lavoro a tempo parziale, anche se ripropone sostanzialmente l’attuale disciplina del confermando il ruolo della contrattazione collettiva e prevedendo alcune nuove clausole elastiche (che consentono al datore di lavoro di variare la collocazione temporale della prestazione lavorativa) e flessibili (che consentono al datore di lavoro di variare in aumento la durata della prestazione lavorativa).

Il decreto legislativo ha lasciato invariata la previsione delle diverse tipologie di part-time:

a) Rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale: se la riduzione dell'orario di lavoro rispetto al tempo pieno è prevista in relazione all'orario normale giornaliero di lavoro;

b) Rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale: se l'attività lavorativa è svolta a tempo pieno, ma limitatamente a periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell'anno;

c) Rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo misto: se si svolge secondo una combinazione delle regole del part-time orizzontale con quello verticale.

Il contratto di lavoro a tempo parziale è stipulato in forma scritta ai fini della prova. Nel contratto di lavoro a tempo parziale è contenuta puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell'orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno.

Dunque il contratto a tempo parziale può prevedere tanto una riduzione dell’orario di lavoro nella giornata lavorativa o lo svolgimento di un orario di lavoro a tempo pieno ma limitatamente ad alcuni giorni della settimana, del mese o dell’anno.

Il datore di lavoro può richiedere lo svolgimento di prestazioni di lavoro supplementare, oltre l’orario di lavoro concordato fra le parti, purché entro il limite del tempo pieno (orario normale di lavoro, o eventuale minor orario normale fissato dai contratti collettivi applicati) e non superiore al 25% delle ore di lavoro settimanali concordate. La nuova disciplina è intervenuta a regolare l’ipotesi di mancata previsione della disciplina del lavoro supplementare da parte dei contratti collettivi. Nel caso in cui il contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro non contenga una specifica disciplina del lavoro supplementare, nei rapporti di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale il datore di lavoro può richiedere al lavoratore lo svolgimento di prestazioni di lavoro supplementare in misura non superiore al 15 per cento delle ore di lavoro settimanali concordate. In tale ipotesi il lavoro supplementare è retribuito con una percentuale di maggiorazione sull'importo della retribuzione oraria globale di fatto pari al 15 per cento, comprensiva dell'incidenza della retribuzione delle ore supplementari sugli istituti retributivi indiretti e differiti.

Il lavoratore può rifiutare lo svolgimento del lavoro supplementare ove giustificato da comprovate esigenze lavorative, di salute, familiari o di formazione professionale.

Si precisa che il lavoratore a tempo parziale ha i medesimi diritti di un lavoratore a tempo pieno, il decreto stabilisce che egli non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno di pari inquadramento e che il suo trattamento economico e normativo è riproporzionato in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa.

Interessante la novità che prevede la possibilità per la lavoratrice madre o il lavoratore padre di chiedere la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale al posto del congedo parentale ancora spettante, purché lo faccia una sola volta e con una riduzione d’orario non superiore al 50%. Il datore di lavoro è tenuto a dar corso alla trasformazione entro quindici giorni dalla richiesta.

Le clausole flessibili sono quelle che consentono al datore di variare la collocazione temporale della prestazione lavorativa; le clausole elastiche, invece, consentono un aumento della durata della prestazione lavorativa.

I contratti collettivi possono determinare le condizioni e le modalità per l'esercizio del potere di variazione della collocazione temporale della prestazione rispetto a quella concordata inizialmente con il lavoratore, introducendo una clausola di tipo flessibile o di tipo elastico.

La contrattazione collettiva stabilisce:
- le condizioni e le modalità in relazione alle quali il datore di lavoro può modificare la collocazione temporale della prestazione lavorativa;

- le condizioni e le modalità in relazioni alle quali il datore di lavoro può variare in aumento la durata della prestazione lavorativa;

- i limiti massimi di variabilità in aumento della durata della prestazione lavorativa.

Altro intervento della nuova disciplina riguarda l’attribuzione del diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale verticale od orizzontale a soggetti che si trovano in delicate condizioni di salute.

Tale diritto spetta:

1) Ai lavoratori del settore pubblico e del settore privato affetti da patologie oncologiche nonché da gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti, per le quali residui una ridotta capacità lavorativa, eventualmente anche a causa degli effetti invalidanti di terapie salvavita, accertata da una commissione medica istituita presso l'azienda sanitaria locale territorialmente competente. A richiesta del lavoratore il rapporto di lavoro a tempo parziale è trasformato nuovamente in rapporto di lavoro a tempo pieno.

E’ poi riconosciuta la priorità nella trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale:

1) In caso di patologie oncologiche o gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti riguardanti il coniuge, i figli o i genitori del lavoratore o della lavoratrice, nonché nel caso in cui il lavoratore o la lavoratrice assista una persona convivente con totale e permanente inabilità lavorativa, alla quale è stata riconosciuta una percentuale d’invalidità̀ pari al 100 per cento, con necessità di assistenza continua in quanto non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita.

2) Nel caso di richiesta del lavoratore o della lavoratrice, con figlio convivente di età non superiore a tredici anni o con figlio convivente portatore di handicap.



martedì 23 giugno 2015

Lavoro: Garante Privacy no a forme invasive di controllo verso i dipendenti



"Un più profondo monitoraggio di impianti e strumenti non deve tradursi in una indebita profilazione delle persone che lavorano". È chiara l'opinione del Garante per la Privacy sui cambiamenti che il Jobs Act sta introducendo in tema di controllo dei dipendenti nelle aziende pubbliche e private. E' il monito del Garante privacy, Antonello Soro, nella Relazione annuale esposta a Montecitorio. "È auspicabile che il decreto legislativo all'esame delle Camere - ha sottolineato Soro - sappia ordinare i cambiamenti resi possibili dalle innovazioni in una cornice di garanzie che impediscano forme ingiustificate e invasive di controllo, nel rispetto della delega e dei vincoli della legislazione europea. Un più profondo monitoraggio di impianti e strumenti non deve tradursi in una indebita profilazione delle persone che lavorano". Occorre sempre di più coniugare l'esigenza di efficienza delle imprese con la tutela dei diritti", ha insistito il Garante.

Sul tema è intervenuto anche Laura Boldrini. "Mi auguro che nelle prossime settimane di dibattito parlamentare si possa davvero aprire un confronto che faccia chiarezza sui dubbi emersi in questi giorni", afferma la presidente della Camera Boldrini alla presentazione della relazione alle Camere dell'Autorithy della privacy in relazione ai decreti attuativi del Jobs Act. Le parole di Soro vengono immediatamente riprese da Sel. "Ora che anche il Garante della privacy Antonello Soro si è espresso in maniera molto netta contro il controllo a distanza dei lavoratori contenuto in uno dei decreti attuativi del Jobs Act all'esame delle Camere il parlamento sani una scelta sbagliata del governo che rischia di mettere in discussione un diritto fondamentale. Ecco cosa succede quando si indeboliscono i diritti e si smantella pezzo dopo pezzo lo Statuto dei Lavoratori", ha attaccato il capogruppo di Sel a Montecitorio Arturo Scotto.

Mettere paletti alle novità sul controllo a distanza del dipendente da parte del datore di lavoro previste dal Jobs Act. A chiederlo, dopo le proteste dei sindacati, le precisazioni del ministero e i dubbi dei giuslavoristi che paventano il rischio Grande Fratello, ora è lo stesso Garante per la privacy, Antonello Soro. Che presentando la sua relazione annuale al Parlamento ha auspicato che il decreto legislativo che consente all’azienda di controllare gli strumenti elettronici del dipendente anche senza accordo sindacale “sappia ordinare i cambiamenti resi possibili dalle innovazioni in una cornice di garanzie che impediscano forme ingiustificate e invasive di controllo, nel rispetto della delega e dei vincoli della legislazione europea”.

“Un più profondo monitoraggio di impianti e strumenti non deve tradursi in una indebita profilazione delle persone che lavorano”, ha aggiunto Soro. Anche perché “nei rapporti di lavoro il crescente ricorso alle tecnologie nell’organizzazione aziendale, i diffusi sistemi di geolocalizzazione e telecamere intelligenti hanno sfumato la linea – un tempo netta – tra vita privata e lavorativa”.

A ben vedere, sottolinea Soro nella relazione, è questo il tema fondamentale nel rapporto tra i cittadini e quella che battezza "Infosfera" e cioè il web. Perché "tutto ruota intorno a una raccolta onnivora di dati, ma nella società digitale noi siamo i nostri dati". E molto spesso questi dati si traducono in soldi, che vanno principalmente ai grandi player internazionali come Google e le altre piattaforme - basti pensare a Facebook, che però il Garante non nomina.

Sempre connessi, regaliamo al web i nostri dati sensibili e dunque anche noi stessi, profilati in base ad "algoritmi che orientano non solo settori rilevanti dell'economia, della politica, della finanza, ma sempre di più le nostre scelte quotidiane". Per questo l'Autorità rivendica di essere stato il primo Garante europeo a dare prescrizioni a Google per rendere la sua privacy policy "conforme alle norme italiane" con tanto di visita speciale a Mountain View per un primo monitoraggio. E, sempre su Google, la concretizzazione anche in Italia del diritto all'oblio su Internet (ma il 73% delle richieste di cancellare articoli o pagine web è stato respinto, dice la relazione).

L'obiettivo è dare "un freno reale al dilagare senza condizioni del potere delle piattaforme" e "rimuovere l'asimmetria informativa e l'opacità" di queste. Il riferimento è ancora una volta a Google, contro la quale pesa una procedura di infrazione della Commissione europea per abuso di posizione dominante.



sabato 20 giugno 2015

Il datore di lavoro potrà cambiare le mansioni del lavoratore



Il datore di lavoro potrà variare in modo parziale le mansioni del lavoratore in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali (che incide sulla posizione del lavoratore). In questa ipotesi, si potrà assegnare la persona a una nuova mansione riconducibile al livello di inquadramento contrattuale immediatamente inferiore, fermo restando il livello retributivo in godimento, con la sola eccezione delle voci stipendiali legate a particolari modalità della precedente prestazione che non sono più presenti nella nuova mansione (ad esempio, lavoro notturno e trasferte). L’assegnazione a una mansione inferiore potrà essere fatta «soltanto nell’ambito della categoria legale (operaio, impiegato, quadro) di inquadramento del dipendente (si tratta di un limite che prescinde dall’inquadramento unico).

Nella versione ancora (per poco) in vigore, la norma prevede tra l’altro che: “Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione.” In buona sostanza le mansioni devono essere quelle previste nel contratto di lavoro ovvero quelle superiori conseguite nel corso del tempo.

Era prevista altresì la possibilità, per il datore di lavoro, di variare le mansioni del proprio dipendente, tuttavia, senza possibilità alcuna di diminuzione della retribuzione e fermo restando l’equivalenza delle stesse, vale a dire il mantenimento del medesimo livello di inquadramento.

Oggi il datore può assegnare al lavoratore diverse mansioni, purché equivalenti alle ultime effettivamente svolte. Evidenzia il giuslavorista Riccardo Del Punta: “per stabilire se una mansione è equivalente ad un’altra, il giudice guarda di solito a due circostanze: il fatto che la nuova mansione sia ricompresa nello stesso livello di inquadramento contrattuale attribuito al lavoratore, e il fatto che non sia penalizzante in rapporto alla personale carriera dello stesso. Il primo profilo di giudizio è abbastanza prevedibile e gestibile, ma il secondo assai meno. Può succedere, insomma, che le nuove mansioni siano ritenute non equivalenti pur rientrando nel medesimo livello». Invece, sulla base del Jobs act, per stabilire se a un lavoratore possono essere assegnate determinate mansioni, «è sufficiente che esse siano riconducibili al precedente livello di appartenenza come disegnato dai contratti collettivi».

Un’altra novità, come detto, è la possibilità di modificare in pejus le mansioni in caso di modifiche organizzative o in altre ipotesi che possono essere previste dai contratti collettivi, quindi anche a livello aziendale.

Inoltre, è ufficializzata per legge la possibilità di un mutamento consensuale delle mansioni e qui anche del livello e della retribuzione, purché, ha sottolineato Del Punta, «il patto sia giustificato da un rilevante interesse del lavoratore (come quando il demansionamento è concordato in alternativa a un licenziamento economico), e purché sia concluso in sede assistita. Anche questo aspetto, che vede un’apertura all’autonomia individuale assistita, costituisce una significativa novità». E poi, mentre oggi, in caso di assegnazione di fatto di mansioni superiori, il lavoratore acquisisce il livello superiore dopo tre mesi, con l’entrata in vigore delle nuove norme il termine sarà quello fissato dai contratti collettivi, o in mancanza sarà di sei mesi. Per le imprese la nuova disciplina sulle mansioni «è molto positiva – commenta Arturo Maresca, ordinario di diritto del Lavoro alla Sapienza di Roma -. Si garantisce un’ampia flessibilità professionale e ci sarà una forte riduzione delle cause da demansionamento, che solitamente sono fonte di risarcimenti del danno anche cospicui»

Il decreto attuativo (Jobs act) separa le carte e ridisegna profondamente la norma. Viene previsto, infatti, che il lavoratore possa essere assegnato a qualunque mansione inerente il medesimo livello di inquadramento, analogamente a quanto già avviene nel pubblico impiego, tanto è vero che il decreto attuativo richiama espressamente l’art. 52 del D.Lgs. n. 165/2011 “Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Disciplina delle mansioni”.

Sostanzialmente viene eliminato il principio dell’equivalenza delle mansioni, pertanto, sparisce il riferimento alla competenza professionale specifica acquisita dal dipendente e al suo accrescimento.

L’unico limite rimasto è quello per cui le nuove mansioni dovranno rientrare nella medesima categoria di inquadramento.




lunedì 15 giugno 2015

Contratti di collaborazione coordinata dal 2016 si cambia



Dal 1° gennaio 2016 saranno considerate “lavoro subordinato” le collaborazioni caratterizzate come prestazioni esclusivamente personali, continuative, con modalità di esecuzione organizzate dal committente anche con riferimento a tempi e luoghi di lavoro. Alle eccezioni già previste si aggiunge un'altra fattispecie: quelle certificate dagli organismi deputati, dove il lavoratore può farsi assistere dal sindacato, da un avvocato o da un consulente del lavoro.

Dal  2016 si potranno stipulare solo contratti di collaborazione coordinata nei seguenti casi:
con professionisti iscritti ad Albi;

con partecipanti di organi di amministrazione e controllo delle società;

nei casi rientranti nella disciplina delle contrattazioni collettive;

nei casi di prestazioni per associazioni sportive dilettantiche;

in caso di certificazione dell’assenza dei requisiti dalle Commissioni lavoro dove il lavoratore può farsi assistere dal un consulente.

Per tutti gli altri collaboratori che offrono "prestazioni di lavoro personali ,continuative e con modalità organizzate dal committente" rispetto al luogo e ai tempi il contratto che fosse ancora in corso nel 2016 dovrà applicare la disciplina del lavoro subordinato . Lo  sgravio per le trasformazioni in contratti di lavoro subordinato, previsto dalla Legge di stabilità 2015, è però nel mirino della Ragioneria dello Stato  per  la copertura finanziaria e potrebbe essere garantito solo alle trasformazioni che partono dal 2016 e non al momento di entrata in vigore del decreto .

Quindi i contratti di collaborazione a progetto, che a partire dal primo gennaio 2016 si trasformeranno in contratti a tempo indeterminato, restano alcuni tipi di collaborazione coordinata e continuativa, legati a particolari settori (ad esempio i call center) o tipologie professionali (i professionisti iscritti agli Ordini). In estrema sintesi, la regola è la seguente: quando il decreto entrerà definitivamente in vigore (fra un paio di mesi), le imprese non potranno più stipulare nuovi contratti di collaborazione a progetto, mentre quelli in essere proseguiranno fino alla loro scadenza. Poi, dall’1 gennaio 2016, i contratti di collaborazione «con contenuto ripetitivo ed etero-organizzati dal datore di lavoro» dovranno diventare rapporti a tempo indeterminato ai quali si applicheranno quindi le nuove tutele crescenti.

Con l'entrata in vigore del decreto continueranno ad essere applicati ai soli contratti in corso a tale data. Peraltro, nel rendere superate le norme che hanno istituito e regolato dal 2003 ad oggi le collaborazioni a progetto.

I committenti che vogliono evitare problemi relativamente a rapporti pregressi di collaborazione coordinata e continuativa privi dei requisiti potranno, dal 1° gennaio 2016, “stabilizzare” detti rapporti assumendo il collaboratore con un contratto a tempo indeterminato (che non potrà essere risolto per almeno 12 mesi). In questo modo il committente non rischierà alcuna sanzione afferente l'errata qualificazione della natura del contratto, a condizione però che il lavoratore sottoscriva davanti ad una commissione di conciliazione o di certificazione un accordo con il quale rinuncia a qualsivoglia pretesa per il pregresso rapporto di lavoro. Restano però fermi gli effetti di eventuali verifiche o ispezioni effettuate prima della suddetta data.

A favore dei collaboratori coordinati e continuativi opera anche una disposizione contenuta nel decreto legislativo, di attuazione della delega legislativa, sui tempi di lavoro e di vita. Viene finalmente riconosciuto il principio dell’automaticità della prestazione per quanto attiene l’indennità di maternità che potrà essere erogata anche se il committente non ha versato i contributi.




sabato 30 maggio 2015

Contratto a tutele crescenti: dal 1 giugno offerta di conciliazione online



Con nota del 27 maggio 2015 il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha reso operativa la comunicazione obbligatoria in caso di intervenuta conciliazione a posteriore di un licenziamento comminato ad un lavoratore assunto con contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti.

Sarà possibile inviare con Unilav-conciliazione la comunicazione obbligatoria integrativa prevista dal nuovo contratto a tutele crescenti del Jobs Act per la risoluzione stragiudiziale dei licenziamenti.

Con la nuova procedura digitale  i datori di lavoro   potranno comunicare le informazioni necessarie relative al procedimento di conciliazione per la risoluzione stragiudiziale delle controversie sui licenziamenti illegittimi. La nota ricorda che " Tale conciliazione prevede che il datore di lavoro possa offrire una somma predeterminata al lavoratore in cambio della rinuncia all'impugnazione del licenziamento , somma che non rientra nel reddito imponibile ai fini fiscali. La norma si applica ai lavoratori assunti con il nuovo contratto a tempo indeterminato a partire dal 7 marzo 2015"

Ad integrazione della comunicazione telematica di cessazione, il datore di lavoro dovrà comunicare i dati relativi all'offerta di conciliazione entro 65 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro, come previsto dal decreto legislativo sul contratto a tutele crescenti attuativo del Jobs Act. Dal 1° giugno 2015, nella sezione "Adempimenti" del portale cliclavoro, sarà disponibile un' applicazione "UNILAV_Conciliazione" utilizzabile dai datori di lavoro - previa registrazione al portale - per comunicare le informazioni relative al procedimento di conciliazione. i datori di lavoro potranno inviare gli esiti dell'offerta di conciliazione intervenuta con il lavoratore. La mancata comunicazione integrativa è punita con l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 100 a euro 500 per ogni lavoratore interessato.

Il Jobs Act introduce un nuovo istituto di conciliazione per la risoluzione stragiudiziale delle controversie sui licenziamenti illegittimi, che consente al datore di lavoro di offrire una somma predeterminata e certa al lavoratore in cambio della rinuncia alla impugnazione del licenziamento, somma che per il lavoratore non rientra nel reddito imponibile ai fini fiscali.

La legge ha disposto che:
la comunicazione telematica di cessazione del rapporto di lavoro dev'essere integrata da una ulteriore comunicazione, da effettuarsi, da parte del datore di lavoro, entro sessantacinque giorni dalla cessazione del rapporto, nella quale dev'essere indicata l’avvenuta ovvero la non avvenuta conciliazione, di cui alla norma in commento.

Per effettuare tale comunicazione i datori di lavoro dovranno registrarsi al portale cliclavoro e accedere all'applicazione inserendo il codice di comunicazione rilasciato al momento della comunicazione di cessazione. Questo dato serve ad collegare l’offerta di conciliazione al rapporto di lavoro cessato.

Sanzioni
Sempre il terzo comma dell’art.6 in questione prevede che l’omissione di detta comunicazione integrativa sia assoggettata alla stessa sanzione prevista per l’omissione della comunicazione, di cui al predetto art.4-bis, ovverosia con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 100,00 ad euro 500,00 per ogni lavoratore interessato.



martedì 19 maggio 2015

Lavoro intermittente e accessorio le novità 2015



Con il contratto di lavoro intermittente il lavoratore si mette a disposizione del datore di lavoro per l'esecuzione di attività che hanno la caratteristica di non essere continuative. L'imprenditore si rivolge infatti al lavoratore soltanto nel momento in cui ha bisogno che quella data attività venga svolta. Per questo motivo il lavoro intermittente viene anche definito lavoro a chiamata o job on call.

Sale a 7mila euro il tetto per il lavoro accessorio, poche modifiche al lavoro intermittente: guida alle novità della Riforma dei Contratti del Jobs Act.

Lavoro intermittente

Il lavoro intermittente prevede un contratto (che può essere anche a tempo determinato), attraverso il quale il lavoratore si mette a disposizione dell’azienda per determinate esigenze, che devono essere precisamente normate dai contratti collettivi di lavoro. Le prestazioni sono di carattere discontinuo o intermittente. Il contratto è sempre applicabile a persone con più di 55 anni o fino a 24 anni (per la precisione, entro il compimento del 25esimo anno di età). Il lavoro intermittente ha un limite massimo di 400 giornate nell’arco di tre anni, se questo limite viene superato scatta la trasformazione a tempo indeterminato. Non si può ricorrere al lavoro intermittente per sostituire lavoratori in sciopero o presso unità produttive in cui nei sei mesi precedenti siano stati applicati ammortizzatori o riduzioni di orario, o effettuati licenziamenti, relativi a personale con le stesse mansioni.

Il contratto di lavoro intermittente va stipulato in forma scritta, deve contenere una serie precisa di informazioni (durata modalità della disponibilità, trattamento economico, luogo di lavoro). E’ garantita un’indennità mensile di disponibilità, la cui misura è prevista dai contratti collettivi o da apposito decreto ministeriale. Se il lavoratore nel periodo di disponibilità rifiuta di rispondere alla chiamata del datore di lavoro in modo ingiustificato, sussiste motivo di licenziamento, con la restituzione della quota di indennità di disponibilità eventualmente incassata. Il trattamento economico del lavoratore intermittente non può essere inferiore a quello dei colleghi di pari livello, a parità di mansioni svolte.

Il lavoro accessorio è una forma speciale di lavoro occasionale che serve a dare una risposta alle esigenze del datore di lavoro che si trova ad affrontare esigenze professionali e produttive di carattere saltuario. Questo tipo di rapporto viene consentito in presenza di una serie di limiti retributivi. Il pagamento dell'attività lavorativa avviene tramite degli appositi voucher, buoni cartacei di un determinato valore determinato dal Ministero del Lavoro.

Il numero massimo dei dipendenti assoggettabili a contratto a termine in un’azienda è pari al 20% delle risorse aziendali. Se il datore di lavoro supera tale soglia è soggetto a una sanzione amministrativa ma non ha l’obbligo di trasformare i contratti a termine in sovrannumero in contratti a tempo indeterminato.

Lavoro accessorio

Le norme relative al lavoro accessorio sono contenute negli articoli da 51 a 54 del decreto di riordino delle tipologie contrattuali. Innanzitutto, viene alzata a 7mila euro (dagli attuali 5mila) la soglia sopra la quale non è possibile applicare questi contratti. Questo tetto riguarda la totalità dei committenti nel corso dell’anno, mentre per ogni singolo datore di lavoro il limite massimo è pari a 2mila euro. Le prestazioni di lavoro accessorio possono essere di natura autonoma o subordinata. Chi percepisce prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito, come gli ammortizzatori sociali, può avere contratti di lavoro accessorio fino a una soglia massima di 3mila euro annui. Sarà l’INPS a sottrarre dalla contribuzione figurativa relativa alla prestazione erogata gli accrediti relativi alle prestazioni di lavoro accessorio.

Il lavoro accessorio è invece vietato in caso di appalti, le eventuali eccezioni vanno stabilite con apposito decreto ministeriale. Infine, ci sono regole particolari per l’agricoltura: in questo settore, il lavoro accessorio è consentito per le attività di carattere stagionale effettuate da pensionati o giovani sotto i 25 anni iscritti a scuola, oppure in qualsiasi periodo dell’anno per gli iscritti all'università, o ancora per attività rese nei confronti di produttori con volume d’affari sotto i 7mila euro.

Il lavoro accessorio è retribuito attraverso i voucher, che il committente acquista in modalità telematica presso il sito INPS. Se il datore di lavoro non è un imprenditore o un professionista, può acquistare i voucher anche presso le rivenditore autorizzate. Ogni buono ha un valore nominale di 10 euro, riferito alla retribuzione oraria (per eventuali variazioni, è necessario un apposito decreto ministeriale).

Se il committente è un’impresa o un professionista, deve comunicare alla Direzione Territoriale del Lavoro competente dati anagrafici e luogo della prestazione di lavoro nei trenta giorni successivi.

I compensi da lavoro accessorio sono esenti da imposizione fiscale, e non incidono sullo status di disoccupato o inoccupato. Il datore di lavoro versa i contributi INPS alla gestione separata, pari al 13% del valore nominale del buono, e quelli all’INAIl contro gli infortuni sul lavoro, pari al 7%.

Vengono confermati i voucher, o buoni lavoro, come strumenti di pagamento del lavoro accessorio e viene prevista la comunicazione obbligatoria alla Direzione Territoriale del Lavoro entro 30 giorni dall’inizio dell’attività. Il lavoro accessorio viene vietato nell’ambito dell’esecuzione degli appalti.




domenica 3 maggio 2015

Indennità di disoccupazione Naspi e rapporto di lavoro



Se un lavoratore, in corso di fruizione della Naspi, instauri un rapporto di lavoro subordinato o intraprenda un’attività di lavoro autonomo o di impresa individuale.

Con riferimento ai rapporti di lavoro subordinati, se il reddito annuale risulti essere superiore al reddito minimo escluso da imposizione fiscale, non riceve più la prestazione, salvo il caso in cui la durata del rapporto di lavoro non sia superiore a sei mesi poiché, in tal caso, la prestazione viene sospesa d’ufficio e riprende una volta cessato il rapporto di lavoro. Qualora invece il reddito annuale sia inferiore al reddito minimo escluso da imposizione, la Naspi viene ugualmente erogata, a condizione che il lavoratore comunichi all’Inps entro 30 giorni dall’inizio dell’attività, il reddito annuo previsto oltre che la non coincidenza del datore di lavoro attuale con il datore di lavoro per il quale il lavoratore è stato impiegato per il periodo che ha determinato il diritto al riconoscimento dell’indennità.

Da ultimo, se il lavoratore è impiegato con due o più rapporti di lavoro subordinato a tempo parziale e cessi da uno dei rapporti il cui reddito sia inferiore al limite utile ai fini della conservazione dello stato disoccupazione, ha diritto, ricorrendo tutti gli altri requisiti previsti, a percepire la Naspi, ridotta di un importo pari all’80% del reddito previsto (rapportato al periodo di tempo intercorrente tra la data di inizio dell’attività e la data in cui termina il periodo di godimento dell’indennità o, se antecedente, la fine dell’anno). Ad ogni modo, il soggetto beneficiario ha l’obbligo di comunicare all’Inps, entro un mese dall’inoltro dalla domanda di prestazione, il reddito annuo previsto.

Diversamente da quanto sopra visto, il lavoratore che intraprenda un’attività di lavoro autonomo o di impresa individuale, che generi un reddito inferiore al limite utile ai fini della conservazione dello stato di disoccupazione, deve darne tempestiva comunicazione all’Inps (entro un mese dall’inizio dell’attività), dichiarando il reddito annuo che prevede di perseguire.

La prestazione è ridotta di un importo pari all’80% del reddito previsto, rapportato al periodo di tempo intercorrente tra la data di inizio dell’attività e la data in cui termina i l periodo di godimento dell’indennità o, se antecedente, la fine dell’anno; detta riduzione è ricalcolata d’ufficio al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi.

I lavoratori non obbligati alla presentazione della dichiarazione dei redditi, in alternativa, devono presentare all’Inps un’apposita autodichiarazione del reddito ricavato dall’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale, entro il 31 marzo dell’anno successivo; in ipotesi contraria, occorrerà restituire la Naspi percepita dall’inizio dell’attività autonoma.

Autoimprenditorialità
Il Decreto offre la possibilità al lavoratore di chiedere la liquidazione anticipata, in un’unica soluzione, dell’importo del trattamento spettante residuo, allo scopo di intraprendere un’attività di lavoro autonomo in forma di impresa individuale o per la sottoscrizione di una quota di capitale sociale di una cooperativa nella quale il rapporto mutualistico ha ad oggetto la prestazione di attività lavorative da parte del socio. Tale ipotesi non dà diritto alla contribuzione figurativa e agli assegni familiari.
Ad ogni modo, entro 30 giorni dalla data di inizio dell’attività autonoma o di impresa individuale o alla data di sottoscrizione di una quota di capitale sociale della cooperativa, deve essere fatta esplicita richiesta all’Inps.
Tuttavia, l’anticipazione ottenuta, deve essere restituita qualora, prima della scadenza del termine di fruizione della Naspi, il lavoratore instauri un rapporto di lavoro subordinato; fanno eccezione i rapporti di lavoro subordinato instaurati con la cooperativa con la quale il lavoratore ha sottoscritto una quota di capitale sociale.

Compatibilità e cumulabilità
Di seguito vediamo cosa accade se un lavoratore, in corso di fruizione della Naspi, instauri un rapporto di lavoro subordinato o intraprenda un’attività di lavoro autonomo o di impresa individuale.

Con riferimento ai rapporti di lavoro subordinati, se il reddito annuale risulti essere superiore al reddito minimo escluso da imposizione fiscale, non riceve più la prestazione, salvo il caso in cui la durata del rapporto di lavoro non sia superiore a sei mesi poiché, in tal caso, la prestazione viene sospesa d’ufficio e riprende una volta cessato il rapporto di lavoro. Qualora invece il reddito annuale sia inferiore al reddito minimo escluso da imposizione, la Naspi viene ugualmente erogata, a condizione che il lavoratore comunichi all’Inps entro 30 giorni dall’inizio dell’attività, il reddito annuo previsto oltre che la non coincidenza del datore di lavoro attuale con il datore di lavoro per il quale il lavoratore è stato impiegato per il periodo che ha determinato il diritto al riconoscimento dell’indennità. Da ultimo, se il lavoratore è impiegato con due o più rapporti di lavoro subordinato a tempo parziale e cessi da uno dei rapporti il cui reddito sia inferiore al limite utile ai fini della conservazione dello stato disoccupazione, ha diritto, ricorrendo tutti gli altri requisiti previsti, a percepire la Naspi, ridotta di un importo pari all’80% del reddito previsto (rapportato al periodo di tempo intercorrente tra la data di inizio dell’attività e la data in cui termina il periodo di godimento dell’indennità o, se antecedente, la fine dell’anno). Ad ogni modo, il soggetto beneficiario ha l’obbligo di comunicare all’Inps, entro un mese dall’inoltro dalla domanda di prestazione, il reddito annuo previsto.

Diversamente da quanto sopra visto, il lavoratore che intraprenda un’attività di lavoro autonomo o di impresa individuale, che generi un reddito inferiore al limite utile ai fini della conservazione dello stato di disoccupazione, deve darne tempestiva comunicazione all’Inps (entro un mese dall’inizio dell’attività), dichiarando il reddito annuo che prevede di perseguire.

La prestazione è ridotta di un importo pari all’80% del reddito previsto, rapportato al periodo di tempo intercorrente tra la data di inizio dell’attività e la data in cui termina i l periodo di godimento dell’indennità o, se antecedente, la fine dell’anno; detta riduzione è ricalcolata d’ufficio al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi.

I lavoratori non obbligati alla presentazione della dichiarazione dei redditi, in alternativa, devono presentare all’Inps un’apposita auto dichiarazione del reddito ricavato dall'attività lavorativa autonoma o di impresa individuale, entro il 31 marzo dell’anno successivo; in ipotesi contraria, occorrerà restituire la Naspi percepita dall'inizio dell’attività autonoma.

Decadenza
Il lavoratore perde il diritto di fruire della prestazione a causa:
• della perdita dello status di disoccupato;
• dell’inizio di un’attività di lavoro subordinato o autonomo senza effettuare le comunicazioni di cui sopra;
• del raggiungimento dei requisiti per il pensionamento;
• dell’acquisizione del diritto all'assegno ordinario di invalidità (salvo optare per la NASPI).

Contribuzione figurativa
La contribuzione figurativa equivale alla retribuzione imponibile previdenziale degli ultimi 4 anni, entro un limite di retribuzione pari a 1,4 volte l’importo massimo mensile della prestazione.

Le retribuzioni non sono conteggiate ai fini della determinazione della retribuzione pensionabile laddove siano di importo inferiore alla retribuzione media ottenuta senza tener conto di tali retribuzioni.



Tutele per il lavoro dal 1° maggio 2015



Per ammortizzatori sociali si intende il complesso di misure adottate dagli organi governativi che hanno lo scopo di sostenere economicamente tutti coloro che vivono una situazione di disoccupazione. In questa sezione del sito trovi tutte le notizie relativi agli interventi di sostegno al reddito adottati sia a livello nazionale che a livello regionale, come accedere e le novità 2015.

Quindi diventano operativi i nuovi ammortizzatori sociali per chi perde il lavoro. Aspi e mini Aspi lasciano il posto a una nuova prestazione di sostegno al reddito chiamata Naspi che interessa tutti coloro che, avendone i requisiti, perdono involontariamente il lavoro. La cassa integrazione sarà sottoposta a nuove regole che ne escludono il ricorso in caso di cessazione definitiva di attività aziendale o di un ramo di essa.

Una profonda rivisitazione è affidato  al capitolo dedicato alle tutele contro la disoccupazione involontaria. Ci saranno tre nuove tutele per chi resta senza lavoro.

La Nuova Aspi - Dall'Aspi, targata Fornero, si passerà alla Naspi, acronimo che sta per Nuova prestazione di assicurazione sociale per l'impiego, che prevede una indennità mensile di disoccupazione per tutti i lavoratori dipendenti, esclusi quelli della pubblica amministrazione (qui i dettagli sui lavoratori beneficiari). Sarà riconosciuto ai lavoratori che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione e che siano in stato di disoccupazione e che possano far valere, nei quattro anni precedenti l'inizio del periodo di disoccupazione, almeno tredici settimane di contribuzione, nonché possano far valere diciotto giornate di lavoro effettivo o equivalenti, a prescindere dal minimale contributivo, nei dodici mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione.

Il sussidio verrà pagato mensilmente sino ad massimo di due anni, e sarà rapportato alla retribuzione degli ultimi quattro anni (nel 2015 non potrà comunque essere superiore a 1.300 euro) (vedi come si calcola l'importo della Naspi). La durata del sussidio è pari alla metà delle settimane lavorate negli ultimi quattro anni fino a 24 mesi, ovvero 6 in più rispetto ai 18 previsti a regime dall'Aspi Fornero.

L'Assegno di disoccupazione - La seconda novità introdotta col Jobs act è l'Asdi, una sigla che sta per Assegno di disoccupazione. Sarà concesso, in via sperimentale per il prossimo anno, a tutti coloro per cui il periodo coperto dalla Naspi è passato invano e si trovano in condizioni di particolare necessità. In pratica un'ulteriore forma di sostegno al reddito, elargita a lavoratori in «condizione economica di bisogno». E una via preferenziale verrà riservata ai lavoratori che hanno minorenni a carico o a coloro a cui manca poco al pensionamento. Infatti nel primo anno di attuazione, gli aiuti saranno prioritariamente riservati ai lavoratori in età vicina al pensionamento, ma che non hanno ancora maturato i requisiti necessari alla messa a riposo. Sei mesi la durata dell'assegno.

Il sostegno economico sarà condizionato all’adesione ad un progetto personalizzato redatto dai competenti servizi per l’impiego contenente specifici impegni in termini di ricerca attiva di lavoro, disponibilità a partecipare ad iniziative di orientamento e formazione, accettazione di adeguate proposte di lavoro. La partecipazione alle iniziative di attivazione proposte sarà obbligatoria, pena la perdita del beneficio.

L'indennità per i parasubordinati - Infine c'è la Dis-Coll, un ammortizzatore sociale di 6 mesi dedicato ai precari. Per il 2015 avranno una indennità mensile di disoccupazione anche i collaboratori, continuativi o a progetto (co.co.co. e co.co.pro.), grazie all'esordio della Dis-Coll. Questa indennità vale per gli iscritti alla Gestione separata Inps (esclusi pensionati e partite Iva) e quanti potranno far valere almeno 3 mesi di contribuzione nell'anno precedente, o 1 mese di contribuzione nell'anno in corso. L'importo del sussidio, la cui durata non potrà superare i 6 mesi, sarà rapportato al reddito e graduato con gli stessi meccanismi della Naspi, cioè fino a un massimo di 1.300 euro, con una riduzione del 3% mensile dal quarto mese. Inoltre l'erogazione è subordinata dalla frequenza di percorsi di riqualificazione.

Come viene calcolata e in che misura

La Naspi è rapportata alla retribuzione imponibile degli ultimi quattro anni, divisa per il numero di settimane di contribuzione e moltiplicata per il coefficiente 4,33. In ipotesi in cui la retribuzione mensile, per l’anno 2015 (l’importo è rivalutato annualmente sulla base dell’indice Istat) sia pari o inferiore a euro 1195/mensili, l’indennità mensile equivale al 75% della retribuzione; diversamente, qualora la retribuzione mensile sia superiore al suddetto importo, l’indennità equivale al 75% della retribuzione, incrementata di una somma pari al 25% del differenziale tra la retribuzione mensile e l’importo di euro 1195,00.

Ad ogni modo l’importo erogato non potrà superare i 1300,00 euro (rivalutabili annualmente in base all’indice Istat).

La Naspi viene erogata mensilmente per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi quattro anni. Tuttavia, si tenga presente che non rientrano nel computo dell’indennità i periodi che in precedenza hanno dato luogo all’erogazione di prestazioni.

A far data dal 1° gennaio 2017, la durata massima sarà di 78 settimane.

La domanda deve essere presentata all’Inps tramite i canali telematici, entro il termine perentorio di 68 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro; l’Inps provvederà poi ad erogare l’indennità a decorrere dall’ottavo giorno successivo alla cessazione del rapporto di lavoro o dal primo giorno successivo alla data di inoltro della domanda, qualora la stessa venga presentata oltre il predetto termine.

La norma subordina l’erogazione della prestazione al rispetto di alcune condizioni:

• regolare partecipazione alle iniziative di attivazione lavorativa e ai percorsi di riqualificazione professionale (articolo 1, comma 2, lettera g), Decreto Legislativo n. 181/2000, e successive modificazioni);

• ricerca attiva di un’occupazione e reinserimento nel tessuto produttivo (articolo 1, comma 3, Legge n. 183/2014).

Il Decreto offre la possibilità al lavoratore di chiedere la liquidazione anticipata, in un’unica soluzione, dell’importo del trattamento spettante residuo, allo scopo di intraprendere un’attività di lavoro autonomo in forma di impresa individuale o per la sottoscrizione di una quota di capitale sociale di una cooperativa nella quale il rapporto mutualistico ha ad oggetto la prestazione di attività lavorative da parte del socio. Tale ipotesi non dà diritto alla contribuzione figurativa e agli assegni familiari.

Ad ogni modo, entro 30 giorni dalla data di inizio dell’attività autonoma o di impresa individuale o alla data di sottoscrizione di una quota di capitale sociale della cooperativa, deve essere fatta esplicita richiesta all’Inps.

Tuttavia, l’anticipazione ottenuta, deve essere restituita qualora, prima della scadenza del termine di fruizione della Naspi, il lavoratore instauri un rapporto di lavoro subordinato; fanno eccezione i rapporti di lavoro subordinato instaurati con la cooperativa con la quale il lavoratore ha sottoscritto una quota di capitale sociale.



lunedì 13 aprile 2015

Jobs Act: le novità del mercato del lavoro per il 2015



Conciliazione delle esigenze di cura di vita e di lavoro, le novità più importanti riguardano l'allargamento dei diritti ad indennità economiche  e a permessi dal lavoro nei periodi di maternità /paternità.

Ad esempio:
in caso di parto anticipato i giorni di congedo non goduti possono essere fruiti successivamente anche oltre il limite complessivo di cinque mesi previsti dopo il parto dalla normativa attualmente in vigore;

Inoltre in caso di ricovero del neonato  in ospedale nel periodo di congedo della madre può chiedere la sospesone del congedo stesso per usufruirne al momento del a dimissione del bambino;

l'indennità di maternità è corrisposta anche in caso di risoluzione del rapporto di lavoro per colpa grave o cessazione di attività dell'azienda o scadenza del termine del contratto di lavoro (art. 54 Comma 3 Dlgs.151/2001;

il congedo di paternità può essere usufruito anche nel caso di madri lavoratrici autonome , imprenditrici agricole, coltivatrici con le stesse modalità ora previste  per le lavoratrici dipendenti e  da padri lavoratori autonomi, liberi professionisti;

il diritto di assentarsi  per congedo parentale previsto all'art 32 del dl 151 si amplia dagli attuali 8 ai primi 12 anni di vita del figlio. l'indennità del 30% della retribuzione è assicurata per i congedi entro i sei , non più tre anni di vita del figlio , che arrivano a 8 in caso delle retribuzioni più basse .

In materia di sostegno al telelavoro il decreto prevede che il numero di lavoratori ammessi al telelavoro in ragione di esigenze di cure parentali resti escluso dai limiti numerici cui è sottoposta l'azienda datrice di lavoro  per alcune normative particolari.

Viene anche introdotto un congedo  retribuito  fino a tre mesi,  e valido per il conteggio dell'anzianità e delle ferie, in caso di misure di protezione della donna  dalla violenza di genere.

I punti importantissimi per il riordino delle tipologie contrattuali.

A partire dall'entrata in vigore del decreto non potranno essere attivati nuovi contratti di collaborazione a progetto (quelli già in essere potranno proseguire fino alla loro scadenza). Comunque, a partire dal 1° gennaio 2016 ai rapporti di collaborazione personali con contenuto ripetitivo ed etero-organizzati dal datore di lavoro saranno applicate le norme del lavoro subordinato. Restano salve le collaborazioni regolamentate da accordi collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che prevedono discipline specifiche relative al trattamento economico e normativo in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore e poche altri tipi di collaborazioni.

Vengono superati: i contratti di associazione in partecipazione con apporto di lavoro ed il job sharing.

Vengono confermate le seguenti tipologie:

Contratto a tempo determinato cui non sono apportate modifiche sostanziali.

Contratto di somministrazione. Per il contratto di somministrazione a tempo indeterminato (staff leasing) si prevede un’estensione del campo di applicazione, eliminando le causali e fissando al contempo un limite percentuale all’utilizzo calcolato sul totale dei dipendenti a tempo indeterminato dell’impresa che vi fa ricorso (10%).

Contratto a chiamata. Viene confermata anche l’attuale modalità tecnologica, sms, di tracciabilità dell’attivazione del contratto.

Lavoro accessorio (voucher). Verrà elevato il tetto dell’importo per il lavoratore fino a 7.000 euro, restando comunque nei limiti della no-tax area, e verrà introdotta la tracciabilità con tecnologia sms come per il lavoro a chiamata.

Apprendistato. Si punta a semplificare l’apprendistato di primo livello (per il diploma e la qualifica professionale) e di terzo livello (alta formazione e ricerca) riducendone anche i costi per le imprese che vi fanno ricorso, nell'ottica di favorirne l’utilizzo in coerenza con le norme sull'alternanza scuola-lavoro.

Tempo parziale. Vengono definiti i limiti e le modalità con cui, in assenza di previsioni al proposito del contratto collettivo, il datore di lavoro può chiedere al lavoratore lo svolgimento di lavoro supplementare e le parti possono pattuire clausole elastiche (le clausole che consentono lo spostamento della collocazione dell’orario di lavoro) o flessibili (le clausole che consentono la variazione in aumento dell’orario di lavoro nel part- time verticale o misto).

Viene inoltre prevista la possibilità, per il lavoratore, di richiedere il passaggio al part-time in caso di necessità di cura connesse a malattie gravi o in alternativa alla fruizione del congedo parentale.

In presenza di processi di ristrutturazione o riorganizzazione aziendale e negli altri casi individuati dai contratti collettivi l’impresa potrà modificare le mansioni di un lavoratore fino ad un livello, senza modificare il suo trattamento economico (salvo trattamenti accessori legati alla specifica modalità di svolgimento del lavoro).

Viene altresì prevista la possibilità di accordi individuali, “in sede protetta”, tra datore di lavoro e lavoratore che possano prevedere la modifica anche del livello di inquadramento e della retribuzione al fine della conservazione dell’occupazione, dell’acquisizione di una diversa professionalità o del miglioramento delle condizioni di vita.

SI fermano le stipule dei nuovi contratti di collaborazione dalla data di entrata in vigore del d.lgs. e trasformazione in lavoro dipendente dal 1 gennaio 2016.

A far data dal 1° gennaio 2016 i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa dovranno quindi trasformarsi in rapporti di lavoro subordinato ad eccezione per:

a) le collaborazioni per le quali gli accordi collettivi stipulati dalle confederazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore;

b) le collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi professionali;

c) le attività prestate nell’esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni;

d) le prestazioni di lavoro rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal C.O.N.I. come individuati e disciplinati dall’articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289.
In attesa del riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, tale normativa non trova applicazione nei confronti delle pubbliche amministrazioni fino al 1° gennaio 2017.

Al fine di promuovere la stabilizzazione dell'occupazione mediante il ricorso a contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato nonché di garantire il corretto utilizzo dei contratti di lavoro autonomo, nel periodo compreso fra l’entrata in vigore del presente decreto e il 31 dicembre 2015, i datori di lavoro privati che procedano alla assunzione con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato di soggetti già parti di contratti di collaborazione coordinata e continuativa anche a progetto e di persone titolari di partita IVA, godono dell'estinzione delle violazioni previste dalle disposizioni in materia di obblighi contributivi, assicurativi e fiscali connessi alla eventuale erronea qualificazione del rapporto di lavoro pregresso, salve le violazioni già accertate prima dell’assunzione, a condizione che:

a) i lavoratori interessati alle assunzioni sottoscrivano, con riferimento a tutte le possibili pretese riguardanti la qualificazione del pregresso rapporto di lavoro, atti di conciliazione in una delle sedi di cui all'articolo 2113, comma 4, del codice civile, e all'articolo 76 del decreto legislativo n. 276 del 2003;

b) nei dodici mesi successivi alle assunzioni, i datori di lavoro non recedano dal rapporto di lavoro, salvo che per giusta causa ovvero per giustificato motivo soggettivo.



sabato 14 marzo 2015

Contratto di lavoro a tutele crescenti: mutui a rischio



Il contratto a tutele crescenti è legge dello stato: dal 1° marzo regolerà le nuove assunzioni a tempo indeterminato. Porterà davvero a un miglioramento del mercato del lavoro? Dipende dalla sua capacità di ridurre la precarietà.

Pensiamo a cosa succederà quando il beneficio fiscale verrà meno. Non si tratta di un’ipotesi ca perché il rischio che il bonus fiscale non sia sostenibile per le finanze pubbliche è molto concreto. In Italia è ora possibile assumere a termine senza causa scritta e rinnovare per cinque volte il contratto nell’arco di tre anni. Nulla vieterà a un’impresa di offrire il nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti soltanto dopo tre anni di contratto a termine. Tenendo conto che nei primi due anni l’indennizzo è decisamente modesto, in queste condizioni si rischia di rendere precario un nuovo assunto per almeno cinque anni. Ciò significa che una volta esaurito il beneficio fiscale, la precarietà potrebbe anche aumentare. Una situazione paradossale.

L'ABI rassicura, più mutui grazie al Jobs Act, ma da un'inchiesta su dieci banche solo una concede il prestito a fronte di contratto indeterminato a tutele crescenti: dati e riflessioni.

Il problema si è posto da subito: il nuovo contratto indeterminato a tutele crescenti previsto dal Jobs Act, che prevede meno garanzie contro il licenziamento rispetto al vecchio tempo indeterminato, avrà conseguenze sensibili sulla possibilità di ottenere mutui per acquistare la casa? Una risposta certa al momento non si può dare, visto che il nuovo indeterminato a tutele crescenti è in vigore dal 7 marzo  2015 e non ci sono dati su come si comporteranno le banche.

Ci sono, in compenso, due elementi contrastanti su cui riflettere: da una parte una dichiarazione del presidente dell’ABI, Giorgio Patuelli, del tutto confortante sul fatto che le banche vedranno di buon occhio il nuovo contratto indeterminato a tutele crescenti per la concessione dei mutui. Anzi, per Patuelli, i mutui sono destinati ad aumentare nel caso in cui lo strumento alimenti nuove assunzioni, spingendo quindi un maggior numero di lavoratori ad acquistare la casa e a chiedere mutui. Dall’altra, ci sono dubbi sollevati da più parti sul fatto che il nuovo contratto presenta meno garanzie rispetto al vecchio e anche una specifica inchiesta di Repubblica che mette in luce una serie di criticità.

Partiamo dalle dichiarazioni di Patuelli:

«Guardiamo con una disposizione favorevole al nuovo contratto, ci attendiamo un aumento di assunzioni a tempo indeterminato, destinato ad assorbire alcune forme contrattuali precarie. Sono convinto che i neoassunti con il contratto a tutele crescenti saranno bene visti dalle banche, che sono pronte ad accogliere positivamente la richiesta di prestiti e mutui avanzata da lavoratori stabilizzati».

«Per le banche la questione sostanziale è rappresentata dalla tipologia di contratto che è a tempo indeterminato – aggiunge Patuelli -. Il fatto che le tutele dal licenziamento si esplichino in modo differente rispetto al passato è ininfluente, perché al posto della reintegrazione è previsto per il lavoratore licenziato il pagamento di un indennizzo crescente fino a 24 mensilità che rappresenta una garanzia. Ovviamente il merito di credito sarà visto da ciascuna banca con una predisposizione positiva, ma guardando alla situazione specifica, ovvero all’importo richiesto, al reddito mensile, al valore dell’immobile, come si è sempre fatto per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato».

Come si vede, toni rassicuranti da parte del presidente dell’ABI, che però non sembrano confortati, almeno per il momento, dai fatti.

Due giornalisti di Repubblica, Matteo Pucciarelli e Silvia Valenti, hanno svolto una specifica inchiesta, presentandosi in una decina di banche fingendosi una coppia che chiedeva un mutuo per una casa a Milano da 200 milioni di euro, 70mila come anticipo. Il mutuo serviva a coprire il 65% dell’acquisto, dunque, (in genere, il massimo è l’80%). La somma richiesta: 130mila euro. Si presentavano come una giovane coppia di trentenni con due contratti di assunzione a tempo indeterminato, uno a tutele crescenti, per un importo di 1600 euro al mese, l’altro con il vecchio tempo indeterminato, con stipendio di 1200 euro al mese. Ebbene, una sola banca ha dichiarato disponibilità a concedere il mutuo, mentre tre hanno dato risposta negativa, quattro hanno preso tempo, due non hanno risposto.

Va fatta una precisazione importante: il problema fondamentale emerso dall’inchiesta non è l’indisponibilità a concedere un mutuo, ma la scarsa conoscenza da parte delle banche del nuovo contratto a tutele crescenti. Si tratta di un nuovo strumento sul quale ancora non c’è una preparazione adeguata da parte degli operatori e dei consulenti a cui ci si rivolge per ottenere i mutui.

Nella maggior parte dei casi le banche hanno chiesto tempo, per acquisire ad esempio documentazione storica sulle busta paga dell’assunto a tutele crescenti (che, nella coppia in questione, rappresentava lo stipendio più alto), nel senso che si rimandava la decisione di qualche mese, alcuni hanno chiesto almeno sei buste paga pregresse. Non sono mancati casi in cui di fatto l’orientamento iniziale è stato quello di considerare il contratto a tutele crescenti in modo simile a un contratto parasubordinato (caso in cui, spesso, si chiedono ulteriori garanzie).

L’unica banca che ha detto sì senza fare una piega è Deutsche Bank (fra le poche banche straniere interpellate nell’inchiesta, la maggioranza nel panel è stato rappresentato da istituti di credito italiani). L’impiegato a cui la giovane coppia si è rivolta ha risposto, semplicemente: «se non lo diamo a voi, il mutuo, a chi dobbiamo darlo?».

E’ difficile non pensare che se non si fanno mutui a giovani coppie con due contratti a tempo indeterminato, quale che sia la protezione prevista in materia di articolo 18 e reintegro, sembra difficile che il mercato dei mutui possa riprendersi come tutti auspicano.

Che effetti dovremmo quindi aspettarci dal nuovo contratto? Rendendo più facili le interruzioni di lavoro, implicherà ovviamente un aumento dei licenziamenti. Al tempo stesso, renderà anche più facile assumere nuovi lavoratori. Il saldo netto è però ambiguo, come da sempre evidenziato dagli studi empirici in materia.

Il vero obiettivo del contratto a tutele crescenti non va ricercato tanto nella riduzione della disoccupazione, quanto piuttosto nella riduzione della precarietà. Questo significa che la riforma avrà avuto successo se la quota di assunzioni a termine si ridurrà. Come dovrebbe ridursi anche la quota di assunzioni sotto altre forme instabili (in particolare contratti a progetto e false partite Iva).



mercoledì 11 marzo 2015

Jobs act e la cancellazione per il rito Fornero



A seguito della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dei D.Lgs. n. 22/2015 e 23/2015, entrati in vigore il 7 marzo scorso, cambiano le regole per le aziende che intendono assumere personale con contratto a tempo indeterminato. Per i neo assunti, infatti, si applica il rinomato “contratto a tutele crescenti” che prevede importanti modifiche in caso di licenziamento illegittimo. In pratica, sono previste tutele crescenti per il lavoratore in funzione dell’anzianità di servizio. Le nuove regole, tuttavia, non si applicano soltanto ai neo assunti, ma anche ai lavoratori che vengono stabilizzati e a tutti i lavoratori, anche se assunti prima del 7 marzo 2015, nel caso in cu il datore di lavoro, in conseguenza di assunzioni a tempo indeterminato avvenute dopo l’entrata in vigore del decreto, superi la soglia dei 15 dipendenti.

A continuazione del licenziamento, il datore di lavoro può offrire al dipendente un importo esentasse equivalente a una mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del Tfr per ogni anno di servizio (con un minimo di due mensilità e un massimo di 18). Se la soluzione conciliativa dà esito negativo, uno degli scenari che può prefigurarsi è quello del ricorso al giudice del lavoro.

A tale proposito, non potrà essere più utilizzato il rito Fornero, in quanto il decreto pubblicato ieri in Gazzetta Ufficiale prevede espressamente che le disposizioni dell'articolo 1, commi da 48 a 68, della legge 92/12 non si applichino ai licenziamenti intimati all'esito del contratto di lavoro a tutele crescenti.

La relazione illustrativa al decreto legislativo chiarisce che la ragione alla base della decisione di eliminare il rito Fornero per i nuovi contratti di lavoro a tutele crescenti risiede nel fatto che il nuovo apparato sanzionatorio è totalmente svincolato dal precedente regime di tutela previsto dall'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che costituisce, invece, la norma di riferimento sulla quale era stato ritagliato il rito abbreviato per le controversie in materia di impugnazione dei licenziamenti.

La legge 92/12 aveva introdotto il rito abbreviato con il preciso scopo di agevolare e rendere più rapida la conclusione delle controversie sui licenziamenti regolati dall'articolo 18 in una funzione, tra l'altro, di tutela delle imprese rispetto al danno economico e ai disagi organizzativi che potevano prodursi a causa della durata eccessivamente lunga del processo del lavoro ordinario.

Il rito Fornero ha determinato, peraltro, sin dalla sua prima applicazione enormi disagi sia per gli avvocati, sia per i magistrati chiamati ad utilizzare il nuovo strumento processuale, in quanto si erano palesate letture di segno opposto rispetto ad una serie composita di questioni procedurali. Non si contano le decisioni rese dai Tribunali su aspetti decisivi del nuovo procedimento, quali la natura obbligatoria o facoltativa del rito e la necessità che il giudice dell'opposizione fosse, o meno, diverso da quello che aveva trattato la fase sommaria.

Tutte queste questioni hanno finito per appesantire, invece che semplificare, il ruolo dei magistrati impegnati sul fronte delle cause di lavoro, tanto che in svariati Tribunali si è ritenuto di dover emettere dei veri e propri “prontuari” con le linee guida sull'applicazione del nuovo processo.

Con l'articolo di chiusura del decreto legislativo, il Governo ha deciso di cancellare il rito abbreviato per i nuovi contratti di lavoro a tutele crescenti, ai quali tornerà, dunque, ad applicarsi l'ordinario processo del lavoro anche per le controversie relative all'impugnazione dei licenziamenti.

Il meccanismo previsto dall’ex ministro del Lavoro verrà sostituito da un’offerta di conciliazione (art. 6 del D.Lgs. n. 23/2015). In pratica, il datore di lavoro ha la possibilità di offrire al lavoratore, entro i termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento, un importo esente da imposizione fiscale e contributiva pari a una mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 2 e non superiore a 18 mensilità. L’esito della conciliazione dovrà essere comunicato dal datore di lavoro entro 65 giorni dalla cessazione del rapporto. Qualora il datore di lavoro omette tale comunicazione, dovrà scontare una sanzione che va dai 100 ai 500 euro per lavoratore (50 - 250 euro per le agenzie del lavoro).

I licenziamenti disciplinari tra Jobs act e riforma Fornero. Basta un poco di fatto materiale.
La categoria del “fatto materiale” è tornata, del tutto inaspettatamente, in auge a proposito dell’individuazione della tutela ex art. 18 l. 300/1970 a fronte di un licenziamento disciplinare illegittimo.

La categoria del fatto materiale era stata elaborata all’indomani della riforma c.d. Fornero (legge n. 92/2012) che nell’art.18 conserva la tutela reintegratoria (sia pure nella specie c.d. attenuata) subordinandola all’“insussistenza del fatto contestato” dal datore come giusta causa o giustificato motivo soggettivo.

Era stato allora proposto da più autori di restringere la formula legale alla sola ipotesi di mancanza del fatto materiale contestato; intendendosi, sotto evidente influenza penalistica, la sola mancanza degli elementi materiali dell’illecito disciplinare. E confinando conseguentemente nella categoria residuale delle “altre ipotesi” tutela delle indennità (così genericamente individuate nel 5° comma dell’art.18) tutti gli altri casi in cui fosse invece insussistente  l’antigiuridicità, l’imputabilità, la volontarietà della condotta, l’elemento soggettivo ed infine il difetto di proporzionalità. Anche se la mancanza di quest’ultimo requisito può ancora riportare alla reintegra per altra via, quante volte si venga a configurare la seconda ipotesi in presenza della quale l’art.18, 4° comma, riformato dalla legge 92, prevede l’operatività della tutela forte per essere il fatto riconducibile ad una condotta disciplinare “punita con una sanzione conservativa”nei contratti collettivi e codici disciplinari.




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