Email e documenti che passano tra le “nuvole” dell’universo Web. Google e l'Università La Sapienza di Roma hanno comunicato il progetto che metterà a disposizione di 165mila studenti dell'ateneo, inclusi i laureati negli ultimi due anni, i servizi cloud interamente utilizzabili via Internet Google Apps for Education. Con questo progetto, ogni studente avrà da subito una propria casella email accessibile da qualsiasi dispositivo fisso o mobile connesso a Internet, oltre a servizi che consentiranno la condivisione via web di ogni documento a supporto dello studio.
Con questo servizio è possibile svolgere, lavori di gruppo, realizzare un piccolo sito web con il contenuto di una ricerca corredandola di immagini e contributi video. “Uno studente – ha sostenuto William Florance, responsabile di Google Apps for Education per Europa, Medio Oriente e Africa - non dovrà mai cancellare le informazioni che ha raccolto nell'arco dell'intera carriera universitaria”. L’iniziativa è già partita in altri atenei italiani, da Pavia a Ferrara, a Firenze e negli Stati Uniti, 66 dei 100 più prestigiosi atenei (inclusi Berkeley e Harvard) hanno già adottato da tempo la tecnologia Google Apps for Education. Non sono solo gli studenti i beneficiare del nuovo servizio: le applicazioni integrate in Google Apps for Education (quali Google Docs) favoriscono una completa interazione online tra insegnanti e studenti; mentre funzioni quali Google Calendar consentono di gestire l’organizzazione interna di aule, eventi, sessioni d’esame.
È nuova piattaforma gratuita dedicata agli studenti che prevede servizi per la comunicazione e la collaborazione. Il sistema è messo a disposizione da Google in base a una convenzione con l’Ateneo, a seguito di un bando di gara a titolo gratuito.
Studenti e professori hanno inoltre la possibilità, con il servizio Google Sites e in piena autonomia, creare un minisito web condiviso (ad accesso privato o pubblico) dove inserire tutta la documentazione relativa a una ricerca o a una tesi. I professori, inoltre, potranno preparare sul loro Pc di casa slide a supporto delle lezioni. “Siamo molto contenti – conclude Luca Giuratrabocchetta, Country Manager Google Enterprise Italia – che anche La Sapienza, la più grande università in Europa per numero di studenti su questa piattaforma, abbia scelto di innovare”.
La nuova piattaforma sarà un nuovo per lavorare e studiare ed interagire fra studenti e docenti. In modo gratuito.
martedì 28 febbraio 2012
domenica 26 febbraio 2012
Stipendi tra più bassi in Eurozona dove ? In Italia.
Secondo la rilevazione Eurostat, Italia 12/a in area Euro. La classifica che emerge dai dati Eurostat, pubblicati nel relazione «Labour market statistics», che ha riportato l'elenco delle paghe lorde medie annue dei Paesi dell'Unione europea, ha preso come riferimento le aziende con almeno 10 persone ed ha dati riferiti al anno 2009. Dalle statistiche emerge che in media un lavoratore italiano ha guadagnato nell'anno di riferimento 23.406 euro lordi: circa la metà che in Lussemburgo (48.914), Olanda (44.412) o Germania (41.100). Seguono Irlanda (39.858), Finlandia (39.197) Francia (33.574) e Austria (33.384) . Ma più sorprendente risulta il livello più elevato di due Paesi in grave difficoltà economica come la Grecia (29.160) e la Spagna (26.316) a cui fa seguito Cipro (24.775).
In Italia abbiamo "salari bassi e un costo del lavoro comparativamente elevato. Bisogna scardinare questa situazione, soprattutto aumentando la produttività". Così il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, ha commentato i dati di Eurostat secondo cui un lavoratore dipendente in media guadagna in Italia la metà che in Germania. La Fornero è "fiduciosa" sulla possibilità di un'ampia intesa sulla riforma del mercato del lavoro e sull'articolo 18, ma mette in guardia le parti sociali: "Il tema va affrontato in maniera laica, senza levate di scudi". E alla vigilia dell'incontro di giovedì incontrerà il premier Mario Monti.
L'Italia in Europa risulta tra i paesi con le retribuzioni lorde annue più basse, secondo una rilevazione di Eurostat, che fa riferimento a dati del 2009, la Penisola si piazza in dodicesima posizione nell'area euro, fanno meglio anche Irlanda, Grecia, Spagna e Cipro. Soprattutto il valore dello stipendio annuo per un lavoratore di un'azienda dell'industria o dei servizi (con almeno 10 dipendenti) è pari a 23.406 euro, ovvero la metà di quanto si guadagna in Lussemburgo (48.914), Olanda (44.412) o Germania (41.100).
L'avanzamento per l'Italia risulta tra i più ridotti: in quattro anni (dal 2005) il rialzo è stato del 3,3%, molto distante dal +29,4% della Spagna, dal +22% del Portogallo. E anche i Paesi che partivano da livelli già alti hanno messo a segno rialzi rilevanti: Lussemburgo (+16,1%), Olanda (+14,7%), Belgio (+11,0%) e Francia (+10,0%) e Germania (+6,2%). Una buona notizia per l'Italia, invece, arriva dalle differenze di retribuzioni tra uomini e donne, quello che Eurostat chiama "unadjusted gender pay gap", l'indice utilizzato in Europa per rilevare le disuguaglianze tra le remunerazioni (definito come la differenza relativa, espressa in percentuale, tra la media del salario grezzo orario di lavoratori e lavoratrici). Ma è solo un'illusione.
La Penisola, infatti, con un gap che supera di poco il 5% (con riferimento al 2009) si colloca ampiamente sotto la media europea, pari al 17%, risultando il paese con la forbice più stretta alle spalle della sola Slovenia; ma, appunto, non è tutto oro quel che luccica. Perché a ridurre le differenze di stipendio in Italia contribuiscono fenomeni di cui non si può andare fieri, come il basso tasso di occupazione femminile e lo scarso ricorso (a confronto con il resto d'Europa) al part time. Non a caso tra i Paesi che vantano una minor divario ci sono anche Polonia, Romania, Portogallo, Bulgaria, Malta, ovvero tutti stati con una bassa partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
In Italia abbiamo "salari bassi e un costo del lavoro comparativamente elevato. Bisogna scardinare questa situazione, soprattutto aumentando la produttività". Così il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, ha commentato i dati di Eurostat secondo cui un lavoratore dipendente in media guadagna in Italia la metà che in Germania. La Fornero è "fiduciosa" sulla possibilità di un'ampia intesa sulla riforma del mercato del lavoro e sull'articolo 18, ma mette in guardia le parti sociali: "Il tema va affrontato in maniera laica, senza levate di scudi". E alla vigilia dell'incontro di giovedì incontrerà il premier Mario Monti.
L'Italia in Europa risulta tra i paesi con le retribuzioni lorde annue più basse, secondo una rilevazione di Eurostat, che fa riferimento a dati del 2009, la Penisola si piazza in dodicesima posizione nell'area euro, fanno meglio anche Irlanda, Grecia, Spagna e Cipro. Soprattutto il valore dello stipendio annuo per un lavoratore di un'azienda dell'industria o dei servizi (con almeno 10 dipendenti) è pari a 23.406 euro, ovvero la metà di quanto si guadagna in Lussemburgo (48.914), Olanda (44.412) o Germania (41.100).
L'avanzamento per l'Italia risulta tra i più ridotti: in quattro anni (dal 2005) il rialzo è stato del 3,3%, molto distante dal +29,4% della Spagna, dal +22% del Portogallo. E anche i Paesi che partivano da livelli già alti hanno messo a segno rialzi rilevanti: Lussemburgo (+16,1%), Olanda (+14,7%), Belgio (+11,0%) e Francia (+10,0%) e Germania (+6,2%). Una buona notizia per l'Italia, invece, arriva dalle differenze di retribuzioni tra uomini e donne, quello che Eurostat chiama "unadjusted gender pay gap", l'indice utilizzato in Europa per rilevare le disuguaglianze tra le remunerazioni (definito come la differenza relativa, espressa in percentuale, tra la media del salario grezzo orario di lavoratori e lavoratrici). Ma è solo un'illusione.
La Penisola, infatti, con un gap che supera di poco il 5% (con riferimento al 2009) si colloca ampiamente sotto la media europea, pari al 17%, risultando il paese con la forbice più stretta alle spalle della sola Slovenia; ma, appunto, non è tutto oro quel che luccica. Perché a ridurre le differenze di stipendio in Italia contribuiscono fenomeni di cui non si può andare fieri, come il basso tasso di occupazione femminile e lo scarso ricorso (a confronto con il resto d'Europa) al part time. Non a caso tra i Paesi che vantano una minor divario ci sono anche Polonia, Romania, Portogallo, Bulgaria, Malta, ovvero tutti stati con una bassa partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
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Via libera al controllo delle e-mail dei lavoratori dipendenti
La Corte di Cassazione ha dato il via al controllo delle mail aziendali da parte del datore di lavoro. Infatti, si può controllare la posta elettronica del dipendente purché i controlli siano finalizzati a trovare riscontri a comportamenti illeciti del lavoratore dipendente.
Il controllo della posta elettronica e degli ingressi ad internet da parte del datore di lavoro per analizzare la corretta esecuzione della prestazione è vietato. Non lo è più, però, quando avviene ex post. In seconda battuta, dunque, l'azienda a seguito dell'emersione di elementi di fatto «tali da raccomandare l'avvio di una indagine retrospettiva» può accedere alla corrispondenza telematica del dipendente. E se sussistono delle violazioni ha la facoltà di licenziare. E’ quanto ha stabilito la Corte di cassazione, sentenza n. 2722/2012, respingendo il ricorso di un alto funzionario di banca e confermando le sentenze di primo e secondo grado.
Secondo la Cassazione questi controlli non ledono la dignità e la riservatezza del lavoratore ma attenzione: non sono ammessi tutti i tipi di controllo. Vanno esclusi, spiega la Corte, i controlli per verificare "l'esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro". Insomma si possono solo eseguire controlli destinati "ad assertare un comportamento che pone in pericolo l'immagine" dell'azienda presso terzi.
Il riscontro non riguardava lo svolgimento della prestazione lavorativa .Contro questa sentenza il bancario è ricorso in Cassazione, sostenendo, tra l'altro, che il datore di lavoro avrebbe violato le tutele dello Statuto dei lavoratori sui limiti nei controlli a distanza dei lavoratori dipendenti. Per la Corte, però, il caso è diverso da quello tutelato dall'articolo 4 dello Statuto.
Infatti, l'attività di controllo sulle strutture informatiche aziendali da parte della banca «prescindeva dalla pura e semplice sorveglianza sull'esecuzione della prestazione», essendo, invece, «diretta ad accertare la perpetrazione di eventuali comportamenti illeciti (poi effettivamente riscontrati)». Un controllo al passato dunque che non verteva sull' «esatto adempimento delle obbligazioni» discendenti dal rapporto di lavoro, bensì «destinato ad accertare un comportamento che poneva in pericolo la stessa immagine dell'istituto presso terzi».
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sabato 25 febbraio 2012
Lavoro: lavorare con la partita Iva
A volte lo chiamano lavoro dipendente travestito, o meglio è un lavoro da dipendente, ma con la clausola, patto, tra Datore di lavoro e collaboratore, il quale deve avere la “propria” partita IVA spesso sono false partite IVA ed è un uso di questo sistema da parte delle imprese per utilizzare il lavoro subordinato sotto mentite spoglie.
Infatti sono tornati ad essere sempre più numerosi i giovani e non solo giovani che per riuscire a lavorare sono “costretti” ad aprire una partita IVA pur facendo un lavoro fondamentalmente da dipendente subordinato, anche se non regolato allo stesso modo dal punto di vista fiscale e contributivo.
Particolari datori di lavoro consigliano sempre più spesso questo tipo di rapporto lavorativo proprio per ovviare alle spese contributive che graverebbero troppo sull’azienda. Oggi senza dubbio è preferbilre e più facile e meno oneroso far lavorare con la partita IVA piuttosto che con un contrato di lavoro a progetto . Chi è costretto a lavorare con queste condizioni deve far fronte da solo ai contributi e alle tasse che il lavoro con la partita IVA comporta, dimezzando il proprio guadagno annuale.
Il lavoro con partita IVA è una particolare forma di gestione retributiva e fiscale riservata ai lavoratori autonomi, come ad esempio liberi professionisti, i consulenti e determinati collaboratori.
Chi lavora con la partita IVA di solito è un libero professionista che offre comunque una prestazione di lavoro come libero professionista. Anche se si dovrebbe intendere che il soggetto collabori come esterno per una funzione specifica e invece purtroppo nella realtà dei fatti si tratta di persone occupate alla stregua di lavoratori dipendenti ma prive delle stesse garanzie. In questo caso l’aspetto persecutorio è ancora più evidente e per il datore di lavoro significa raggirare in pieno le norme in materia di tributi e tutela del lavoratore.
Le aziende spingono affinché i nuovi assunti (nuovi collaboratori) aprano la partita IVA: questi figurano come consulenti esterni anche se di fatto devono sottostare ad obblighi quotidiani tipici del lavoro subordinato. E chiaramente vengono meno tutti i vantaggi della libera professione, come la possibilità di avere più committenti.
Comunque per aprire la partita IVA ci si deve rivolgere all'Ufficio delle Entrate competente per territorio. Il
lavoratore può scegliere tra diversi regimi contabili: dal più semplice, quello forfettario, adatto a chi inizia un’attività e presume un volume d’affari molto basso, al più complesso, di contabilità ordinaria, e deve essere assistito nella gestione della contabilità da un consulente per le incombenze richieste dalla legge. I lavoratori con questo tipo di contratto, eccetto i liberi professionisti iscritti agli Albi professionali, devono iscriversi alla Gestione Separata Inps e versare ogni mese una quota di contributi previdenziali, proporzionale al proprio fatturato, e devono anche essere assicurati all’Inail. L’iscrizione alla Gestione Separata da diritto ad alcune prestazioni erogate dall’Inps, come: l'indennità di maternità; l'indennità di malattia solo in caso di ricovero ospedaliero; l'assegno per il nucleo familiare.
L'apertura della partita IVA comporta delle spese di gestione, che consistono nella consulenza di un commercialista. In compenso, è possibile risparmiare l'IVA su tutti gli acquisti legati all’attività che si svolge, deducendola dall'IVA da versare.
Tutte le spese vanno regolarmente documentate con una fattura. Titoli d'acquisto non intestati, cioè anonimi, come gli scontrini fiscali o i biglietti del treno, non sono validi. Le spese deducibili si dividono in tre categorie:
spese interamente deducibili, tipo cancelleria, libri per l’aggiornamento professionale, energia elettrica; riscaldamento e acqua dell’ufficio o del laboratorio, compensi pagati a terzi;
spese deducibili in parte, come gli omaggi per i clienti; i costi per la partecipazione ai convegni, i pedaggi autostradali, le ricariche del cellulare;
spese per beni strumentali, che sono quelli utilizzati in continuazione, nel corso dell’attività professionale le quali vanno detratte suddividendole in quote nel corso di diversi anni.
Il calcolo della fattura dipende dal regime previdenziale cui è soggetto il professionista (Gestione Separata, Cassa di previdenza).
L'IVA ricevuta dal libero professionista va versata al fisco ogni trimestre, tramite il modello F24, dopo aver dedotto l'IVA di eventuali acquisti effettuati. La scadenza è di solito il 15 del 2 mese successivo a quello del trimestre (es: per il 1 trimestre, il 15 aprile).
Comunque l’opportunità di aprire la partita IVA deve essere legata anche a fattori soggettivi, quali la consapevolezza di maggiori responsabilità e adempimenti per il lavoratore, la necessità di capacità di autogestione. In altri termini il lavoratore autonomo assume la consapevolezza del rischio dell’impresa che per gli altri lavoratori dipendenti è assunto dal datore di lavoro. Tra i fattori oggettivi, assume particolare rilevanza il numero di committenti e, quindi, il reale grado di autonomia del libero professionista.
Se, infatti, si è titolari di partita IVA, ma si lavora per un unico committente, svolgendo l’attività presso la propria struttura, utilizzando gli strumenti dell’impresa, se insomma la condizione lavorativa assomiglia molto di più a quella dei lavoratori dipendenti o parasubordinati, non sarà facile per il lavoratore con partita IVA sfruttare una delle poche opportunità offerte dal proprio status lavorativo, e cioè la possibilità di detrarre e dedurre le spese inerenti l’attività (che in questo caso sono sostenute e scaricate dal committente stesso); e nemmeno gli sarà possibile diversificare il pur minimo rischio d’impresa che accompagna il lavoratore autonomo (in quanto se l’unico committente recede dal contratto, il lavoratore si trova senza ulteriori possibilità di produrre un reddito).
Se invece si ha, o si progetta di avere, più committenti, oppure si intende investire sulla promozione dell'attività, la partita IVA può essere utile sia dal punto di vista del riconoscimento della propria professionalità e autonomia, che rispetto alla semplicità nell’attivazione di nuovi rapporti commerciali.
Infatti sono tornati ad essere sempre più numerosi i giovani e non solo giovani che per riuscire a lavorare sono “costretti” ad aprire una partita IVA pur facendo un lavoro fondamentalmente da dipendente subordinato, anche se non regolato allo stesso modo dal punto di vista fiscale e contributivo.
Particolari datori di lavoro consigliano sempre più spesso questo tipo di rapporto lavorativo proprio per ovviare alle spese contributive che graverebbero troppo sull’azienda. Oggi senza dubbio è preferbilre e più facile e meno oneroso far lavorare con la partita IVA piuttosto che con un contrato di lavoro a progetto . Chi è costretto a lavorare con queste condizioni deve far fronte da solo ai contributi e alle tasse che il lavoro con la partita IVA comporta, dimezzando il proprio guadagno annuale.
Il lavoro con partita IVA è una particolare forma di gestione retributiva e fiscale riservata ai lavoratori autonomi, come ad esempio liberi professionisti, i consulenti e determinati collaboratori.
Chi lavora con la partita IVA di solito è un libero professionista che offre comunque una prestazione di lavoro come libero professionista. Anche se si dovrebbe intendere che il soggetto collabori come esterno per una funzione specifica e invece purtroppo nella realtà dei fatti si tratta di persone occupate alla stregua di lavoratori dipendenti ma prive delle stesse garanzie. In questo caso l’aspetto persecutorio è ancora più evidente e per il datore di lavoro significa raggirare in pieno le norme in materia di tributi e tutela del lavoratore.
Le aziende spingono affinché i nuovi assunti (nuovi collaboratori) aprano la partita IVA: questi figurano come consulenti esterni anche se di fatto devono sottostare ad obblighi quotidiani tipici del lavoro subordinato. E chiaramente vengono meno tutti i vantaggi della libera professione, come la possibilità di avere più committenti.
Comunque per aprire la partita IVA ci si deve rivolgere all'Ufficio delle Entrate competente per territorio. Il
lavoratore può scegliere tra diversi regimi contabili: dal più semplice, quello forfettario, adatto a chi inizia un’attività e presume un volume d’affari molto basso, al più complesso, di contabilità ordinaria, e deve essere assistito nella gestione della contabilità da un consulente per le incombenze richieste dalla legge. I lavoratori con questo tipo di contratto, eccetto i liberi professionisti iscritti agli Albi professionali, devono iscriversi alla Gestione Separata Inps e versare ogni mese una quota di contributi previdenziali, proporzionale al proprio fatturato, e devono anche essere assicurati all’Inail. L’iscrizione alla Gestione Separata da diritto ad alcune prestazioni erogate dall’Inps, come: l'indennità di maternità; l'indennità di malattia solo in caso di ricovero ospedaliero; l'assegno per il nucleo familiare.
L'apertura della partita IVA comporta delle spese di gestione, che consistono nella consulenza di un commercialista. In compenso, è possibile risparmiare l'IVA su tutti gli acquisti legati all’attività che si svolge, deducendola dall'IVA da versare.
Tutte le spese vanno regolarmente documentate con una fattura. Titoli d'acquisto non intestati, cioè anonimi, come gli scontrini fiscali o i biglietti del treno, non sono validi. Le spese deducibili si dividono in tre categorie:
spese interamente deducibili, tipo cancelleria, libri per l’aggiornamento professionale, energia elettrica; riscaldamento e acqua dell’ufficio o del laboratorio, compensi pagati a terzi;
spese deducibili in parte, come gli omaggi per i clienti; i costi per la partecipazione ai convegni, i pedaggi autostradali, le ricariche del cellulare;
spese per beni strumentali, che sono quelli utilizzati in continuazione, nel corso dell’attività professionale le quali vanno detratte suddividendole in quote nel corso di diversi anni.
Il calcolo della fattura dipende dal regime previdenziale cui è soggetto il professionista (Gestione Separata, Cassa di previdenza).
L'IVA ricevuta dal libero professionista va versata al fisco ogni trimestre, tramite il modello F24, dopo aver dedotto l'IVA di eventuali acquisti effettuati. La scadenza è di solito il 15 del 2 mese successivo a quello del trimestre (es: per il 1 trimestre, il 15 aprile).
Comunque l’opportunità di aprire la partita IVA deve essere legata anche a fattori soggettivi, quali la consapevolezza di maggiori responsabilità e adempimenti per il lavoratore, la necessità di capacità di autogestione. In altri termini il lavoratore autonomo assume la consapevolezza del rischio dell’impresa che per gli altri lavoratori dipendenti è assunto dal datore di lavoro. Tra i fattori oggettivi, assume particolare rilevanza il numero di committenti e, quindi, il reale grado di autonomia del libero professionista.
Se, infatti, si è titolari di partita IVA, ma si lavora per un unico committente, svolgendo l’attività presso la propria struttura, utilizzando gli strumenti dell’impresa, se insomma la condizione lavorativa assomiglia molto di più a quella dei lavoratori dipendenti o parasubordinati, non sarà facile per il lavoratore con partita IVA sfruttare una delle poche opportunità offerte dal proprio status lavorativo, e cioè la possibilità di detrarre e dedurre le spese inerenti l’attività (che in questo caso sono sostenute e scaricate dal committente stesso); e nemmeno gli sarà possibile diversificare il pur minimo rischio d’impresa che accompagna il lavoratore autonomo (in quanto se l’unico committente recede dal contratto, il lavoratore si trova senza ulteriori possibilità di produrre un reddito).
Se invece si ha, o si progetta di avere, più committenti, oppure si intende investire sulla promozione dell'attività, la partita IVA può essere utile sia dal punto di vista del riconoscimento della propria professionalità e autonomia, che rispetto alla semplicità nell’attivazione di nuovi rapporti commerciali.
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Ocse consiglia meno tutele sul posto fisso
Lo scenario meno vantaggioso della crisi è stata evitato ma anche stando la situazione in questo modo così ''la disoccupazione resterà alta nel corso del 2013'' mentre ''non si attende un recupero della produzione persa e i bilanci pubblici dovrebbero rimanere sugli stessi livelli insostenibili in molti paesi''. E’ quanto ha affermato l'Ocse nel suo rapporto sulla crescita mondiale.
Vediamo i consigli che sono stati emanati per l’Italia.
L'Italia deve ridurre la proprietà dello Stato ''specialmente nei settori dei media televisivi, dei trasporti, dell'energia e dei servizi locali''. E' quanto torna a chiedere l'Ocse nel rapporto sulla crescita. Nel suo rapporto l'Ocse, mette in evidenza che l'Italia si ricorda come il referendum sull'acqua nel 2011 abbia "rovesciato i piani per privatizzare i servizi del settore". Più in generale il nostro paese, pur avendo progressi su diversi temi come l'educazione terziaria, la decentralizzazione dei salari e la corporate governance, abbia "realizzato poco nella riduzione delle società e servizi a controllo pubblico". L’Ocse ha lanciato un monito sul mercato del lavoro in Italia, che deve ammorbidire le tutele del posto fisso ed ammansire la protezione del lavoro sui contratti di lavoro cosiddetti standard''. L'Italia ''non ha ancora intrapreso azioni significative'' ma sta ''considerando una riforma del mercato del lavoro, mirata ad ammorbidire le tutele sui contratti standard'' con ''una riforma welfare per migliorare la rete di sicurezza per i disoccupati''.
Quindi più concorrenza su prodotti, professioni e servizi pubblici locali, migliore accesso all'istruzione, più flessibilità “buona “”sul lavoro, dove va ridotto il forte dualismo tra posto fisso e precariato, a fronte di meno presenza pubblica nelle imprese e meno tasse sul lavoro, che vanno invece spostate su consumi e proprietà. In sintesi è questa la ricetta dell'Ocse sulle riforme strutturali da effettuare in Italia per dare impulso al mercato del lavoro che si trova in un momento difficile, contenuta nel rapporto annuale "Going for Growth".
Sul sistema della istruzione l'Ocse ha raccomandato di «legare la carriera degli insegnati alle loro performance» mentre bisogna «decentralizzare i sistemi di gestione e finanziamento delle università». Sul fisco l'Ocse chiede di «ridurre il cuneo fiscale» che pesa sul lavoro e contemporaneamente di «spostare» maggiormente la tassazione su «consumi e proprietà». Sul sistema di istruzione l'Ocse ha raccomandato di "legare la carriera degli insegnati alle loro performance" mentre bisogna "decentralizzare i sistemi di gestione e finanziamento delle università".
L'attuazione delle riforme strutturali può mitigare l'impatto della crisi, evitando che la disoccupazione resti ''su livelli strutturali'' e contribuire a rilanciare in modo più veloce il mercato del lavoro. E' quanto scrive l'Osce nel suo rapporto per la crescita secondo cui ''un'ampia e ambiziosa agenda di riforme potrebbe portare per i paesi Ocse a una crescita annua del Pil fino all'1%, in media, nei prossimi 10 anni''. Le riforme possono rendere la ripresa ''più sostenibile e più equa''.
Vediamo i consigli che sono stati emanati per l’Italia.
L'Italia deve ridurre la proprietà dello Stato ''specialmente nei settori dei media televisivi, dei trasporti, dell'energia e dei servizi locali''. E' quanto torna a chiedere l'Ocse nel rapporto sulla crescita. Nel suo rapporto l'Ocse, mette in evidenza che l'Italia si ricorda come il referendum sull'acqua nel 2011 abbia "rovesciato i piani per privatizzare i servizi del settore". Più in generale il nostro paese, pur avendo progressi su diversi temi come l'educazione terziaria, la decentralizzazione dei salari e la corporate governance, abbia "realizzato poco nella riduzione delle società e servizi a controllo pubblico". L’Ocse ha lanciato un monito sul mercato del lavoro in Italia, che deve ammorbidire le tutele del posto fisso ed ammansire la protezione del lavoro sui contratti di lavoro cosiddetti standard''. L'Italia ''non ha ancora intrapreso azioni significative'' ma sta ''considerando una riforma del mercato del lavoro, mirata ad ammorbidire le tutele sui contratti standard'' con ''una riforma welfare per migliorare la rete di sicurezza per i disoccupati''.
Quindi più concorrenza su prodotti, professioni e servizi pubblici locali, migliore accesso all'istruzione, più flessibilità “buona “”sul lavoro, dove va ridotto il forte dualismo tra posto fisso e precariato, a fronte di meno presenza pubblica nelle imprese e meno tasse sul lavoro, che vanno invece spostate su consumi e proprietà. In sintesi è questa la ricetta dell'Ocse sulle riforme strutturali da effettuare in Italia per dare impulso al mercato del lavoro che si trova in un momento difficile, contenuta nel rapporto annuale "Going for Growth".
Sul sistema della istruzione l'Ocse ha raccomandato di «legare la carriera degli insegnati alle loro performance» mentre bisogna «decentralizzare i sistemi di gestione e finanziamento delle università». Sul fisco l'Ocse chiede di «ridurre il cuneo fiscale» che pesa sul lavoro e contemporaneamente di «spostare» maggiormente la tassazione su «consumi e proprietà». Sul sistema di istruzione l'Ocse ha raccomandato di "legare la carriera degli insegnati alle loro performance" mentre bisogna "decentralizzare i sistemi di gestione e finanziamento delle università".
L'attuazione delle riforme strutturali può mitigare l'impatto della crisi, evitando che la disoccupazione resti ''su livelli strutturali'' e contribuire a rilanciare in modo più veloce il mercato del lavoro. E' quanto scrive l'Osce nel suo rapporto per la crescita secondo cui ''un'ampia e ambiziosa agenda di riforme potrebbe portare per i paesi Ocse a una crescita annua del Pil fino all'1%, in media, nei prossimi 10 anni''. Le riforme possono rendere la ripresa ''più sostenibile e più equa''.
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lunedì 20 febbraio 2012
Tavolo del lavoro 2012. Sussidio disoccupazione al posto della mobilità
L'obiettivo è fine marzo per la riforma del lavoro, o meglio del mercato del lavoro. E' giusto sentire le parti, dopo di che non ho nulla in contrario se ad un certo punto il governo vada avanti e presenti la riforma". Lo ha detto la leader di Confindustria, Emma Marcegaglia, al termine della riunione al ministero del Lavoro. "Stiamo lavorando, su alcune cose saremo d'accordo, su altre no. E' giusto che il governo vada avanti", ha aggiunto la Marcegaglia. Non siamo per dire che ci vuole più tempo per fare la riforma del mercato del lavoro, pensiamo che se lavoriamo bene si può fare una buona riforma.
Il sussidio di disoccupazione su base assicurativa dovrebbe essere l'unica indennità che sostituisca la disoccupazione ordinaria, quella con requisiti ridotti e la mobilità. E’ quanto ha asserito il Ministro del Lavoro alle parti sociali al tavolo di trattativa sulla riforma del mercato del lavoro. Il governo pensa anche di rendere più conveniente la stabilizzazione dei lavoratori a tempo indeterminato rispetto ai contratti a tempo determinato, con un sistema di incentivi.
Il nuovo sussidio di disoccupazione dovrebbe essere unico e sostituire quindi tutte le indennità esistenti dopo la perdita del posto di lavoro (disoccupazione ordinaria, con requisiti ridotti, mobilità). Il nuovo sussidio sarà rafforzato e esteso a tutti i settori.
La riforma degli ammortizzatori sociali non potrà partire prima dell'autunno 2013. Lo ha detto Elsa Fornero, e ha aggiunto che bisogna gestire la crisi con gli strumenti già esistenti. Si punta a un riordino della cassa integrazione articolandolo su due pilastri: la tutela del posto del lavoro e la protezione del lavoratore: nel primo pilastro ci sarà la cassa integrazione riportata alla sua funzione originale. Potranno usarla anche credito e commercio.
Quello delle risorse è un problema essenziale, se vogliamo costruire un sistema di ammortizzatori sociali universale servono risorse", così la leader Cgil Camusso, mentre per Bonanni, Cisl, il governo deve chiarire il suo punto di vista sulla ricollocazione dei lavoratori e sul reperimento delle risorse: "Dobbiamo sapere quanti soldi abbiamo e cosa dobbiamo farne". Angeletti (Uil) ha ribadito: "La riforma funzionerà se si risolve il problema delle risorse". Mi piacerebbe sentire qualcuno di così abile da dirci che cosa metterebbe al posto della Cassa integrazione straordinaria". La riforma del lavoro funzionerà se si risolve il problema delle risorse.
Dopo l'incontro programmato per giovedì tra governo e parti sociali nel quale si approfondirà ancora il tema degli ammortizzatori sociali, al tavolo del primo marzo "parleremo anche i flessibilità in uscita". Lo ha affermato Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria. Marcegaglia spiega che sulla flessibilità in entrata nel mercato del lavoro le imprese presenteranno un documento comune al Ministro del Lavoro. "Siamo d'accordo che bisogna combattere la cattiva flessibilità, ma vogliamo che la buona flessibilità non sia irrigidita, burocratizzata e non ci sia un aumento dei costi.
"Dobbiamo arrivare subito a un'intesa" sulla riforma del mercato del lavoro "perché la gente è preoccupata e
fare dell'allarmismo è sbagliato" ma l'ipotesi di sostituire la cassa integrazione straordinaria con un sussidio di disoccupazione non va bene. Lo ha detto il leader della Cisl Bonanni, il governo deve chiarire il suo punto di vista sulla ricollocazione dei lavoratori e sul reperimento delle risorse.
Il sussidio di disoccupazione su base assicurativa dovrebbe essere l'unica indennità che sostituisca la disoccupazione ordinaria, quella con requisiti ridotti e la mobilità. E’ quanto ha asserito il Ministro del Lavoro alle parti sociali al tavolo di trattativa sulla riforma del mercato del lavoro. Il governo pensa anche di rendere più conveniente la stabilizzazione dei lavoratori a tempo indeterminato rispetto ai contratti a tempo determinato, con un sistema di incentivi.
Il nuovo sussidio di disoccupazione dovrebbe essere unico e sostituire quindi tutte le indennità esistenti dopo la perdita del posto di lavoro (disoccupazione ordinaria, con requisiti ridotti, mobilità). Il nuovo sussidio sarà rafforzato e esteso a tutti i settori.
La riforma degli ammortizzatori sociali non potrà partire prima dell'autunno 2013. Lo ha detto Elsa Fornero, e ha aggiunto che bisogna gestire la crisi con gli strumenti già esistenti. Si punta a un riordino della cassa integrazione articolandolo su due pilastri: la tutela del posto del lavoro e la protezione del lavoratore: nel primo pilastro ci sarà la cassa integrazione riportata alla sua funzione originale. Potranno usarla anche credito e commercio.
Quello delle risorse è un problema essenziale, se vogliamo costruire un sistema di ammortizzatori sociali universale servono risorse", così la leader Cgil Camusso, mentre per Bonanni, Cisl, il governo deve chiarire il suo punto di vista sulla ricollocazione dei lavoratori e sul reperimento delle risorse: "Dobbiamo sapere quanti soldi abbiamo e cosa dobbiamo farne". Angeletti (Uil) ha ribadito: "La riforma funzionerà se si risolve il problema delle risorse". Mi piacerebbe sentire qualcuno di così abile da dirci che cosa metterebbe al posto della Cassa integrazione straordinaria". La riforma del lavoro funzionerà se si risolve il problema delle risorse.
Dopo l'incontro programmato per giovedì tra governo e parti sociali nel quale si approfondirà ancora il tema degli ammortizzatori sociali, al tavolo del primo marzo "parleremo anche i flessibilità in uscita". Lo ha affermato Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria. Marcegaglia spiega che sulla flessibilità in entrata nel mercato del lavoro le imprese presenteranno un documento comune al Ministro del Lavoro. "Siamo d'accordo che bisogna combattere la cattiva flessibilità, ma vogliamo che la buona flessibilità non sia irrigidita, burocratizzata e non ci sia un aumento dei costi.
"Dobbiamo arrivare subito a un'intesa" sulla riforma del mercato del lavoro "perché la gente è preoccupata e
fare dell'allarmismo è sbagliato" ma l'ipotesi di sostituire la cassa integrazione straordinaria con un sussidio di disoccupazione non va bene. Lo ha detto il leader della Cisl Bonanni, il governo deve chiarire il suo punto di vista sulla ricollocazione dei lavoratori e sul reperimento delle risorse.
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domenica 19 febbraio 2012
Quote rosa estese anche a società a controllo pubblico
Il ministro Elsa Fornero, ha annunciato l'intenzione di estendere le quote rosa ai consigli di amministrazione delle società a controllo pubblico. "Stiamo mettendo a punto un regolamento perché le stesse regole vengano applicate anche alle società a controllo pubblico e possibilmente alle istituzioni politiche", ha detto il ministro parlando in una deliberazione pubblica agli altri ministri del Welfare europei riuniti a Bruxelles.
L'Unione europea è fortemente unita nel ritenere che bisogna agire per aumentare la presenza delle donne nei consigli d'amministrazione delle società europee, ma l'ipotesi di imporre a livello Ue quote rosa obbligatorie accoglie tiepidi consensi.
Durante il dibattito pubblico, pochi paesi (Francia, Austria e Italia) si sono dichiarati a favore di azioni vincolanti, mentre la maggioranza (incluso Gran Bretagna, Slovacchia, Lituania e Lettonia) si è rilevata contro quote rosa obbligatorie. In Italia, le donne presenti nei board delle società quotate rappresentano solo l'8%, ''ma le cose cambieranno e anche presto'': ha detto Elsa Fornero, all'audizione pubblica del consiglio lavoro Ue.
La legge che introduce le quote rosa nei consigli di amministrazione delle aziende quotate in borsa e delle società a partecipazione pubblica, è stata adottata in via definitiva il 28 giugno dello scorso anno. In base a questa legge, i Cda dovranno essere composti da un quinto di donne a partire dal 2012 (20% nel primo mandato) e da un terzo dal 2015 (il 33,3% nel secondo mandato). Le nuove regole entreranno quindi a pieno regime nel triennio del mandato 2015-2018.
Tuttavia le cose cambieranno e anche rapidamente, perché, grazie a un'iniziativa trasversale delle forze politiche ed alla mobilitazione delle organizzazioni che si occupano del tema "il Parlamento ha approvato una legge che porterà rapidamente le donne a rappresentare il 20% nei posti chiave e molto rapidamente un terzo.
L'Unione europea è fortemente unita nel ritenere che bisogna agire per aumentare la presenza delle donne nei consigli d'amministrazione delle società europee, ma l'ipotesi di imporre a livello Ue quote rosa obbligatorie accoglie tiepidi consensi.
Durante il dibattito pubblico, pochi paesi (Francia, Austria e Italia) si sono dichiarati a favore di azioni vincolanti, mentre la maggioranza (incluso Gran Bretagna, Slovacchia, Lituania e Lettonia) si è rilevata contro quote rosa obbligatorie. In Italia, le donne presenti nei board delle società quotate rappresentano solo l'8%, ''ma le cose cambieranno e anche presto'': ha detto Elsa Fornero, all'audizione pubblica del consiglio lavoro Ue.
La legge che introduce le quote rosa nei consigli di amministrazione delle aziende quotate in borsa e delle società a partecipazione pubblica, è stata adottata in via definitiva il 28 giugno dello scorso anno. In base a questa legge, i Cda dovranno essere composti da un quinto di donne a partire dal 2012 (20% nel primo mandato) e da un terzo dal 2015 (il 33,3% nel secondo mandato). Le nuove regole entreranno quindi a pieno regime nel triennio del mandato 2015-2018.
Tuttavia le cose cambieranno e anche rapidamente, perché, grazie a un'iniziativa trasversale delle forze politiche ed alla mobilitazione delle organizzazioni che si occupano del tema "il Parlamento ha approvato una legge che porterà rapidamente le donne a rappresentare il 20% nei posti chiave e molto rapidamente un terzo.
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Riforma del mercato del lavoro 2012 i nodi da sciogliere
E' giusto ricordare che con le regole attuali sul licenziamento il datore di lavoro sa che deve rinunciare a licenziare i dipendenti che non sono produttivi o poco fedeli al principio dell'azienda perché è consapevole che il giudice del lavoro reintegrerebbe il lavoratore, e per di più dovrà dovendo pagare al dipendente reintegrato tutti gli arretrati.
Vediamo quali sono gli argomenti in gioco per la riforma del mercato del lavoro l'obiettivo è di aumentare il tasso di partecipazione al mercato stesso e ridurre il dualismo tra garantiti e precari e dare maggiori opportunità a giovani e alle donne.
Occupazione femminile: il ministro del lavoro Elsa Fornero è molto sensibile al tema e ha già annunciato sgravi fiscali per favorire l'occupazione femminile. Nel nostro Paese la partecipazione al mercato delle donne è molto bassa anche per la scarsità dei servizi di supporto alla famiglia, esempio asili nido.
Il governo punta ad una flessibilità buona per un migliore in ingresso nel mercato del lavoro con controlli e sanzioni contro i contratti utilizzati impropriamente (come le associazioni in partecipazione, le false partite Iva e i casi di contratti a progetto utilizzati per rapporti che sono sostanzialmente di lavoro subordinato). Il Governo punta a valorizzare l'apprendistato come contratto prevalente di ingresso nel mercato del lavoro per i giovani agevolandolo ma chiedendo che la formazione sia effettiva.
Sugli ammortizzatori sociali, si tenterà di mettere a punto un sussidio di disoccupazione più sostanzioso di quello attuale dando invece una grossa stretta alla cassa integrazione straordinaria. Sara invece rafforzata la cassa ordinaria limitando quindi lo strumento ai casi di effettivo reinserimento dei lavoratori in azienda.
Per le politiche attive del lavoro si punta a rafforzare la formazione e a legare il sussidio a un percorso di formazione e alla ricerca attiva di un lavoro. Anche adesso è formalmente previsto che il sussidio si perda nel caso non si accetti un lavoro che si rende disponibile ma di fatto la norma è scarsamente utilizzata.
Una regola che si potrebbe seguire e di lasciare il diritto al reintegro nel posto di lavoro sui licenziamenti discriminatori mentre in tutti gli altri casi il lavoratore va adeguatamente indennizzato in un contesto di maggiore tutela per i disoccupati.
sabato 18 febbraio 2012
Cassa integrazione dibattito sul lavoro fra governo e i sindacati
E' battaglia tra il Governo e i sindacati sull'ipotesi di abolire la cassa integrazione straordinaria per sostituirla con un sussidio di disoccupazione. Lo scopo del Governo è di mettere in campo una revisione importante del sistema degli ammortizzatori sociali sostituendo una situazione di grande segmentazione (con differenze in caso di crisi tra lavoratori di aziende grandi e piccole, tra licenziamenti collettivi ed individuali) con un sistema più omogeneo ed una platea di beneficiari più grande.
Ricordiamo i dati che fotografano questo periodo di crisi economica. Nel 2011 i lavoratori che si sono trovati in cassa integrazione sono stati un milione e mezzo, quelli in mobilità 189 mila, quelli in disoccupazione più di 2 milioni. Diamo uno sguardo alla spesa. Per gli ammortizzatori sociali che è passata da 8 miliardi del 2006 a una media di più di 18 miliardi all’anno nel’ultimo triennio.
Nel 2011 la voce che ha prosciugato più risorse è stata l’indennità di disoccupazione: 10 miliardi e mezzo di euro tra ordinaria, agricola e a requisiti ridotti . L’assegno può durare al massimo 12 mesi. È pari al 60% della retribuzione per i primi sei mesi, poi cala fino al 40%. Al secondo posto, con quasi 2,4 miliardi, l’indennità di mobilità, che viene corrisposta per 2 anni, 3 per che a più di 50 anni, ai lavoratori allontanati dalle aziende in crisi. Al terzo, con 2,3 miliardi, la cassa integrazione straordinaria, erogata per un massimo di due anni ai lavoratori non ancora espulsi. Al quarto posto la cassa integrazione in deroga, che dal 2009 ha fornito un sussidio (in genere non più di 12 mesi) anche ai lavoratori delle piccole imprese e dei settori fino ad allora non coperti da ammortizzatori, ma che è servita anche a prorogare la cassa integrazione ordinaria e straordinaria una volta scaduta. Per la deroga si è speso quasi un miliardo e 600 milioni. Al quinto posto la cassa integrazione ordinaria, con 1 miliardo e cento milioni, che interviene al massimo per un anno in caso di crisi temporanee. Tranne la cassa in deroga, che è finanziata con la fiscalità generale, cioè da tutti noi, gli altri ammortizzatori sono alimentati da specifici contributi che imprese e lavoratori versano all’Inps. Di solito le entrate sono superiori alle spese. Ma non è stato più così dal 2008. Nel 2011 il saldo negativo, a carico del bilancio pubblico, è stato di 9,3 miliardi, dei quali 6,5 in capo all’indennità di disoccupazione, 1,7 alla mobilità e 1,6 alla deroga. Nell’ultimo triennio il rosso sale a 28,3 miliardi.
Il governo dei tecnici ha annunciato una revisione profonda del sistema degli ammortizzatori sociali anche se l'operatività non scatterà subito a causa della crisi economica (probabilmente nel 2014). Si cercherà di mettere a punto un sussidio di disoccupazione più considerevole di quello attuale dando invece una grossa stretta alla cassa integrazione straordinaria. Sarà invece rafforzata la cassa ordinaria limitando quindi lo strumento ai casi di effettivo reinserimento dei lavoratori in azienda.
A tal proposito , il leader della Fiom, Landini, ha detto no all'ipotesi di una stretta sulla Cassa integrazione straordinaria. "Sostituirla con l'indennità di disoccupazione è come aprire ai licenziamenti collettivi di fronte alle riorganizzazioni aziendali", risponde al ministro del Lavoro Fornero che ha avanzato la proposta. Landini chiede piuttosto di "estendere la Cassa anche a chi non ce l'ha". "Da sempre la Cigs è stata lo strumento che ha impedito i licenziamenti di massa", sottolinea.
Anche la Cisl ha bocciato l'ipotesi di cancellazione della Cassa integrazione straordinaria e la sostituzione con un sussidio di disoccupazione. "Siamo contrari, il ministro sa che vogliamo confermare il sistema degli ammortizzatori esistenti", ha sostenuto Bonanni.
La Cgil ha rielaborato i dati di gennaio sulla cassa integrazione, citando i dati delle rilevazioni Inps da parte del proprio osservatorio Cig, affermando che il calo del mese di fatto è in segnale di una "progressiva transizione verso la disoccupazione". A gennaio erano in cassa integrazione l'equivalente di 312.000 lavoratori con una perdita media in busta paga di 675 euro.
Ricordiamo i dati che fotografano questo periodo di crisi economica. Nel 2011 i lavoratori che si sono trovati in cassa integrazione sono stati un milione e mezzo, quelli in mobilità 189 mila, quelli in disoccupazione più di 2 milioni. Diamo uno sguardo alla spesa. Per gli ammortizzatori sociali che è passata da 8 miliardi del 2006 a una media di più di 18 miliardi all’anno nel’ultimo triennio.
Nel 2011 la voce che ha prosciugato più risorse è stata l’indennità di disoccupazione: 10 miliardi e mezzo di euro tra ordinaria, agricola e a requisiti ridotti . L’assegno può durare al massimo 12 mesi. È pari al 60% della retribuzione per i primi sei mesi, poi cala fino al 40%. Al secondo posto, con quasi 2,4 miliardi, l’indennità di mobilità, che viene corrisposta per 2 anni, 3 per che a più di 50 anni, ai lavoratori allontanati dalle aziende in crisi. Al terzo, con 2,3 miliardi, la cassa integrazione straordinaria, erogata per un massimo di due anni ai lavoratori non ancora espulsi. Al quarto posto la cassa integrazione in deroga, che dal 2009 ha fornito un sussidio (in genere non più di 12 mesi) anche ai lavoratori delle piccole imprese e dei settori fino ad allora non coperti da ammortizzatori, ma che è servita anche a prorogare la cassa integrazione ordinaria e straordinaria una volta scaduta. Per la deroga si è speso quasi un miliardo e 600 milioni. Al quinto posto la cassa integrazione ordinaria, con 1 miliardo e cento milioni, che interviene al massimo per un anno in caso di crisi temporanee. Tranne la cassa in deroga, che è finanziata con la fiscalità generale, cioè da tutti noi, gli altri ammortizzatori sono alimentati da specifici contributi che imprese e lavoratori versano all’Inps. Di solito le entrate sono superiori alle spese. Ma non è stato più così dal 2008. Nel 2011 il saldo negativo, a carico del bilancio pubblico, è stato di 9,3 miliardi, dei quali 6,5 in capo all’indennità di disoccupazione, 1,7 alla mobilità e 1,6 alla deroga. Nell’ultimo triennio il rosso sale a 28,3 miliardi.
Il governo dei tecnici ha annunciato una revisione profonda del sistema degli ammortizzatori sociali anche se l'operatività non scatterà subito a causa della crisi economica (probabilmente nel 2014). Si cercherà di mettere a punto un sussidio di disoccupazione più considerevole di quello attuale dando invece una grossa stretta alla cassa integrazione straordinaria. Sarà invece rafforzata la cassa ordinaria limitando quindi lo strumento ai casi di effettivo reinserimento dei lavoratori in azienda.
A tal proposito , il leader della Fiom, Landini, ha detto no all'ipotesi di una stretta sulla Cassa integrazione straordinaria. "Sostituirla con l'indennità di disoccupazione è come aprire ai licenziamenti collettivi di fronte alle riorganizzazioni aziendali", risponde al ministro del Lavoro Fornero che ha avanzato la proposta. Landini chiede piuttosto di "estendere la Cassa anche a chi non ce l'ha". "Da sempre la Cigs è stata lo strumento che ha impedito i licenziamenti di massa", sottolinea.
Anche la Cisl ha bocciato l'ipotesi di cancellazione della Cassa integrazione straordinaria e la sostituzione con un sussidio di disoccupazione. "Siamo contrari, il ministro sa che vogliamo confermare il sistema degli ammortizzatori esistenti", ha sostenuto Bonanni.
La Cgil ha rielaborato i dati di gennaio sulla cassa integrazione, citando i dati delle rilevazioni Inps da parte del proprio osservatorio Cig, affermando che il calo del mese di fatto è in segnale di una "progressiva transizione verso la disoccupazione". A gennaio erano in cassa integrazione l'equivalente di 312.000 lavoratori con una perdita media in busta paga di 675 euro.
domenica 12 febbraio 2012
Offerte di lavoro febbraio 2012
Il Ministero degli Affari Esteri ha bandito un concorso per 35 posti di Segretario di Legazione in prova. Al concorso possono partecipare tutti gli interessati di età non superiore ai 35 anni compiuti al momento della data di scadenza del bando (il limite di età può essere alzato di massimo 3 anni per determinati casi, indicati nel bando in possesso di laurea specialistica o magistrale (in ambito finanziario, giurisprudenza, scienze politiche, relazioni internazionali, scienze economiche, scienze economico aziendali, scienze della pubblica amministrazione, scienze per la cooperazione allo sviluppo, studi europei o titoli equipollenti), idoneità psico-fisica e godimenti dei diritti politici.
Il concorso si articola in una prova attitudinale, nella valutazione dei titoli e nelle prove d’esame scritte e orali, ed eventuali prove facoltative di lingua.
Per essere ammessi al concorso bisogna compilare il modulo online, il concorso scade il 16 marzo 2012.
La Regione Lazio ha pubblicato l’Avviso Pubblico per la selezione di cinque esperti esterni per il nucleo di valutazione e verifica degli investimenti pubblici, costituito con l’art. 1 della Legge n. 144 del 17.05.1999 con Deliberazione di Giunta Regionale n. 178 del 19.03.2004.
I candidati da selezionare dovranno essere esperti in almeno uno dei seguenti ambiti di professionalità: analisi e programmazione economica, territoriale e settoriale, con particolare esperienza nel settore dello sviluppo sostenibile; elaborazioni statistiche e banche dati, con particolare esperienza nella analisi del tessuto produttivo e del mercato del credito e degli strumenti di ingegneria finanziaria; metodologie di selezione progetti, con particolare esperienza nella selezione di progetti di ricerca ed innovazione da parte delle imprese; analisi e valutazione ambientale, con particolare esperienza nella realizzazione di investimenti nel settore delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica; valutazione e monitoraggio progetti, con particolare esperienza nei sistemi di gestione e controllo dei programmi comunitari.
I candidati potranno concorrere alla posizione di esperto in non più di due profili. La selezione degli stessi avrà luogo attraverso la valutazione del curriculum vitae inoltrato. La domanda dovrà pervenire unicamente mediante spedizione con raccomanda o consegna a mano a: Regione Lazio – Dipartimento Programmazione Economica e Sociale, Direzione Programmazione Economica, Ricerca e Innovazione, Via Cristoforo Colombo 212 – 00145 Roma, entro le ore 12 del trentesimo giorno a quello di pubblicazione dell’avviso (avvenuto sul BUR della Regione Lazio n. 2 Parte III del 14 gennaio 2012).
L’Avviso Pubblico è divulgato sul numero del BUR sopra accennato, e sul sito internet dell’Ente regionale all’indirizzo http://www.regione.lazio.it/, all’interno della Sezione Pubblicità Legale.
Vediamo alcune offerte di lavoro che si riferiscono alla branca dell’informatica.
La Azatec Consulting S.r.l è una società che offre servizi e prodotti del settore ICT (Information and Communication Technology) alle PMI, enti pubblici e privati.
Azatec Consulting s.r.l. ricerca 2 sistemisti back up. E’ richiesta esperienza almeno di un anno. Sede di lavoro: Milano (primo periodo Bergamo). Inviare cv a: curriculum@azatec.com e ricerca con urgenza 3 sistemisti Linux. Per altre offerte di lavoro nel campo dell’informatica Si consiglia di visitare il sito della società facendo riferimento alla pagina lavora con noi.
Per le offerte di lavoro nel campo della assistenza sociale si consiglia di visitare la pagina Concorsi per Assistenti Sociali. presenti sul sito Servizi Sociali online. Sono offerte di lavoro indirizzate agli Assistenti Sociali, su scala nazionale, suddivise per Regione, sono offerte di lavoro per assistenti sociali che non rientrano tra quelle previste dai bandi di concorso pubblici per titoli ed esami per assistenti sociali.
Il concorso si articola in una prova attitudinale, nella valutazione dei titoli e nelle prove d’esame scritte e orali, ed eventuali prove facoltative di lingua.
Per essere ammessi al concorso bisogna compilare il modulo online, il concorso scade il 16 marzo 2012.
La Regione Lazio ha pubblicato l’Avviso Pubblico per la selezione di cinque esperti esterni per il nucleo di valutazione e verifica degli investimenti pubblici, costituito con l’art. 1 della Legge n. 144 del 17.05.1999 con Deliberazione di Giunta Regionale n. 178 del 19.03.2004.
I candidati da selezionare dovranno essere esperti in almeno uno dei seguenti ambiti di professionalità: analisi e programmazione economica, territoriale e settoriale, con particolare esperienza nel settore dello sviluppo sostenibile; elaborazioni statistiche e banche dati, con particolare esperienza nella analisi del tessuto produttivo e del mercato del credito e degli strumenti di ingegneria finanziaria; metodologie di selezione progetti, con particolare esperienza nella selezione di progetti di ricerca ed innovazione da parte delle imprese; analisi e valutazione ambientale, con particolare esperienza nella realizzazione di investimenti nel settore delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica; valutazione e monitoraggio progetti, con particolare esperienza nei sistemi di gestione e controllo dei programmi comunitari.
I candidati potranno concorrere alla posizione di esperto in non più di due profili. La selezione degli stessi avrà luogo attraverso la valutazione del curriculum vitae inoltrato. La domanda dovrà pervenire unicamente mediante spedizione con raccomanda o consegna a mano a: Regione Lazio – Dipartimento Programmazione Economica e Sociale, Direzione Programmazione Economica, Ricerca e Innovazione, Via Cristoforo Colombo 212 – 00145 Roma, entro le ore 12 del trentesimo giorno a quello di pubblicazione dell’avviso (avvenuto sul BUR della Regione Lazio n. 2 Parte III del 14 gennaio 2012).
L’Avviso Pubblico è divulgato sul numero del BUR sopra accennato, e sul sito internet dell’Ente regionale all’indirizzo http://www.regione.lazio.it/, all’interno della Sezione Pubblicità Legale.
Vediamo alcune offerte di lavoro che si riferiscono alla branca dell’informatica.
La Azatec Consulting S.r.l è una società che offre servizi e prodotti del settore ICT (Information and Communication Technology) alle PMI, enti pubblici e privati.
Azatec Consulting s.r.l. ricerca 2 sistemisti back up. E’ richiesta esperienza almeno di un anno. Sede di lavoro: Milano (primo periodo Bergamo). Inviare cv a: curriculum@azatec.com e ricerca con urgenza 3 sistemisti Linux. Per altre offerte di lavoro nel campo dell’informatica Si consiglia di visitare il sito della società facendo riferimento alla pagina lavora con noi.
Per le offerte di lavoro nel campo della assistenza sociale si consiglia di visitare la pagina Concorsi per Assistenti Sociali. presenti sul sito Servizi Sociali online. Sono offerte di lavoro indirizzate agli Assistenti Sociali, su scala nazionale, suddivise per Regione, sono offerte di lavoro per assistenti sociali che non rientrano tra quelle previste dai bandi di concorso pubblici per titoli ed esami per assistenti sociali.
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Sondaggio ISPO sui giovani e lavoro
Il sogno dei giovani italiani è quello di avere un posto fisso e pur di riuscirci l’84% è disposto a guadagnare di meno. I dati emergono da una recente ricerca scientifica, condotta dall'ISPO tra i giovani fra i 18 e i 34 anni. Come ha riportato Renato Mannheimer sul Corriere della Sera.
Sono state tante le discussioni sulla riforma del mercato del lavoro ed in modo particolare sul desiderio di avere il posto fisso accanto ai genitori. Ma il sondaggio Ispo ci ha spiegato come stanno veramente le cose e dimostra che la realtà è più complessa di quel che sembra.
Se è vero che più di un italiano su tre dichiara che il posto fisso è l’aspetto più importante del lavoro, meno del 4% cita invece come obiettivo di vita quello di fare carriera o di imparare cose nuove ed accrescere le proprie competenze. La maggioranza dei giovani guarda al posto fisso, in particolare, chi possiede titoli di studio più bassi e naturalmente chi è attualmente disoccupato. Il dato più evidente del sondaggio resta quello sulla scelta tra un lavoro “sicuro anche se meno redditizio” e uno “meno sicuro con più prospettive di reddito”: ben l’84% dei giovani sceglie il primo. Meglio quindi un mercato del lavoro meno flessibile e con stipendi più bassi, piuttosto di un mercato poco sicuro e con redditi alti.
La sicurezza e la stabilità del posto costituiscono senza dubbio, ancora oggi, l'elemento più attrattivo in un lavoro per la maggioranza relativa dei giovani italiani. Alla richiesta di scegliere qual è l'aspetto più importante in una occupazione, più di uno su tre cita senza esitazione il «posto fisso» che risulta contare assai più dello stipendio e ancor più dell'interesse del tipo di lavoro
Risulta particolarmente attratto dalla sicurezza del posto di lavoro chi possiede titoli di studio più bassi e, ovviamente, chi in questo momento è alla ricerca di un impiego.
Per conquistare il posto fisso, la netta maggioranza dei giovani italiani è disposta ad affrontare molti sacrifici, compreso quello di trasferirsi lontano da casa propria. In particolare, oltre il 70% - e ancor più tra i residenti nel meridione e nel Nord-Est - si dichiara pronto ad accettare un lavoro anche lontano dalla propria regione di residenza (ma il 30%, quasi uno su tre, non risulta disposto a una soluzione simile).
Il sondaggio ISPO risulta disponibile sul sito dell' Agcom.
Sono state tante le discussioni sulla riforma del mercato del lavoro ed in modo particolare sul desiderio di avere il posto fisso accanto ai genitori. Ma il sondaggio Ispo ci ha spiegato come stanno veramente le cose e dimostra che la realtà è più complessa di quel che sembra.
Se è vero che più di un italiano su tre dichiara che il posto fisso è l’aspetto più importante del lavoro, meno del 4% cita invece come obiettivo di vita quello di fare carriera o di imparare cose nuove ed accrescere le proprie competenze. La maggioranza dei giovani guarda al posto fisso, in particolare, chi possiede titoli di studio più bassi e naturalmente chi è attualmente disoccupato. Il dato più evidente del sondaggio resta quello sulla scelta tra un lavoro “sicuro anche se meno redditizio” e uno “meno sicuro con più prospettive di reddito”: ben l’84% dei giovani sceglie il primo. Meglio quindi un mercato del lavoro meno flessibile e con stipendi più bassi, piuttosto di un mercato poco sicuro e con redditi alti.
La sicurezza e la stabilità del posto costituiscono senza dubbio, ancora oggi, l'elemento più attrattivo in un lavoro per la maggioranza relativa dei giovani italiani. Alla richiesta di scegliere qual è l'aspetto più importante in una occupazione, più di uno su tre cita senza esitazione il «posto fisso» che risulta contare assai più dello stipendio e ancor più dell'interesse del tipo di lavoro
Risulta particolarmente attratto dalla sicurezza del posto di lavoro chi possiede titoli di studio più bassi e, ovviamente, chi in questo momento è alla ricerca di un impiego.
Per conquistare il posto fisso, la netta maggioranza dei giovani italiani è disposta ad affrontare molti sacrifici, compreso quello di trasferirsi lontano da casa propria. In particolare, oltre il 70% - e ancor più tra i residenti nel meridione e nel Nord-Est - si dichiara pronto ad accettare un lavoro anche lontano dalla propria regione di residenza (ma il 30%, quasi uno su tre, non risulta disposto a una soluzione simile).
Il sondaggio ISPO risulta disponibile sul sito dell' Agcom.
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sabato 11 febbraio 2012
Pinterest, il social media del 2012. Come tecnica di marketing
In tempo di crisi economica e del mercato del lavoro i social media possono rappresentare un aiuto apprezzabile nella ricerca di un'occupazione. Usando in modo consono le numerose reti di network che esistono adottano i nuovi sviluppi e gli strumenti della tecnologia.
Quindi sfruttare i social media attraverso LinkedIn si crea il proprio profilo e si cominciano a caricare gli indirizzi email che abbiamo già in possesso per vedere chi dei nostri contatti è già sul network. Sempre più aziende lo utilizzano per cercare nuove assunzioni. E' possibile utilizzare anche lo strumento che Facebook ha messo a disposizione qualche mese fa. Si tratta dell'applicazione integrata BranchOut che sfrutta la rete esistente del social network trasformandola in connessioni a carattere strettamente professionale.
E’ adesso con il 2012 è nato Pinterest che può essere definito come una bacheca virtuale dove appendere con uno spillo (pin) qualsiasi immagine o video di proprio interesse (interest). Può essere considerato un diversivo dove rifugiarsi per trovare ispirazioni utili a incrementare idee per il proprio lavoro o per la propria vita. Esperti osservatori lo hanno già catalogato come il fenomeno sociale del 2012, guardando i numeri qualche primato Pinterest lo ha già conquistato. La piattaforma che permette di commentare e condividere i contenuti preferiti (principalmente visuali, quindi foto e video) viene citata da blog e magazine specializzati come la vera novità dell'anno appena cominciato.
L’avvento di Pinterest è amnche importante per promuovere il proprio business, i propri interessi lavorativi. Dato che Pinterest si basa sulle immagini e si sa che tutto ciò che è figurativo colpisce l’occhio prima della parola scritta, navigare in queste pagine piene di colori, di fotografie, di fumetti, di luoghi fa perdere un po’ l’utente, in senso positivo naturalmente. In tutto questo è impossibile non vedere delle possibilità per il business e probabilmente presto lo vedremo inserito nelle voci dei progetti di comunicazione online.
Pinterest opera per raccolte di immagini a cui bisogna dare un titolo. Nel momento i cui si decide di condividere i propri prodotti è consigliabile suddividerli in base al target o al genere (abbigliamento per bambini, maschere di carnevale, libri, etc ). Il nuovo social network, ha il merito naturale di centrare l'obiettivo che Facebook si sta sempre più prefiggendo, ovvero quello di mirare a un target specifico all'interno di ogni mercato. E, a suo modo, rispolvera una vecchia tecnica di marketing, quella che suggerisce a chi vende di avere a che fare con delle donne piuttosto che con degli uomini. Tecnica che non è sfuggita alle imprese che stanno creando sempre più vetrine virtuali; la comunicazione di Pinterest si basa soprattutto sulle immagini e si presta facilmente alle aziende commerciali che fanno dei cataloghi lo dispositivo di vendita principale.
Quando si fa un pin, ovvero si condivide un’immagine su Pinterest, si può aggiungere un cartellino con il prezzo e ad esso collegato un link al proprio sito web. In questo modo quell’immagine verrà inclusa nella categoria gift, cioè le idee regalo suggerite dal social network. Per aumentare la “passion of pre view” (una particolare tecnica di marketing nel lancio di nuovi progetti che prevede un periodo di prova solo per un numero limitato di utenti) Pinterest funziona ad invito, è però possibile richiedere direttamente sul sito un invito o reperire in rete qualche articolo che parla di questo progetto offrendo inviti gratuiti
Il grande cambiamento in questa ultima fase sarà dato dal comportamento degli utenti, la navigazione in rete porterà a selezionare fonti interessanti, riproponendole all’interno di spazi propri organizzati per interessi, un nuovo modo per condividere informazioni.
E poi ricordiamo che le aziende stanno usando i social media per fare recruiting sono un fenomeno interessante e oggi chi fa ricerca e selezione, (head hunter e aziende) usa i social network, soprattutto al momento di procedere alla scrematura dei candidati.
Quindi sfruttare i social media attraverso LinkedIn si crea il proprio profilo e si cominciano a caricare gli indirizzi email che abbiamo già in possesso per vedere chi dei nostri contatti è già sul network. Sempre più aziende lo utilizzano per cercare nuove assunzioni. E' possibile utilizzare anche lo strumento che Facebook ha messo a disposizione qualche mese fa. Si tratta dell'applicazione integrata BranchOut che sfrutta la rete esistente del social network trasformandola in connessioni a carattere strettamente professionale.
E’ adesso con il 2012 è nato Pinterest che può essere definito come una bacheca virtuale dove appendere con uno spillo (pin) qualsiasi immagine o video di proprio interesse (interest). Può essere considerato un diversivo dove rifugiarsi per trovare ispirazioni utili a incrementare idee per il proprio lavoro o per la propria vita. Esperti osservatori lo hanno già catalogato come il fenomeno sociale del 2012, guardando i numeri qualche primato Pinterest lo ha già conquistato. La piattaforma che permette di commentare e condividere i contenuti preferiti (principalmente visuali, quindi foto e video) viene citata da blog e magazine specializzati come la vera novità dell'anno appena cominciato.
L’avvento di Pinterest è amnche importante per promuovere il proprio business, i propri interessi lavorativi. Dato che Pinterest si basa sulle immagini e si sa che tutto ciò che è figurativo colpisce l’occhio prima della parola scritta, navigare in queste pagine piene di colori, di fotografie, di fumetti, di luoghi fa perdere un po’ l’utente, in senso positivo naturalmente. In tutto questo è impossibile non vedere delle possibilità per il business e probabilmente presto lo vedremo inserito nelle voci dei progetti di comunicazione online.
Pinterest opera per raccolte di immagini a cui bisogna dare un titolo. Nel momento i cui si decide di condividere i propri prodotti è consigliabile suddividerli in base al target o al genere (abbigliamento per bambini, maschere di carnevale, libri, etc ). Il nuovo social network, ha il merito naturale di centrare l'obiettivo che Facebook si sta sempre più prefiggendo, ovvero quello di mirare a un target specifico all'interno di ogni mercato. E, a suo modo, rispolvera una vecchia tecnica di marketing, quella che suggerisce a chi vende di avere a che fare con delle donne piuttosto che con degli uomini. Tecnica che non è sfuggita alle imprese che stanno creando sempre più vetrine virtuali; la comunicazione di Pinterest si basa soprattutto sulle immagini e si presta facilmente alle aziende commerciali che fanno dei cataloghi lo dispositivo di vendita principale.
Quando si fa un pin, ovvero si condivide un’immagine su Pinterest, si può aggiungere un cartellino con il prezzo e ad esso collegato un link al proprio sito web. In questo modo quell’immagine verrà inclusa nella categoria gift, cioè le idee regalo suggerite dal social network. Per aumentare la “passion of pre view” (una particolare tecnica di marketing nel lancio di nuovi progetti che prevede un periodo di prova solo per un numero limitato di utenti) Pinterest funziona ad invito, è però possibile richiedere direttamente sul sito un invito o reperire in rete qualche articolo che parla di questo progetto offrendo inviti gratuiti
Il grande cambiamento in questa ultima fase sarà dato dal comportamento degli utenti, la navigazione in rete porterà a selezionare fonti interessanti, riproponendole all’interno di spazi propri organizzati per interessi, un nuovo modo per condividere informazioni.
E poi ricordiamo che le aziende stanno usando i social media per fare recruiting sono un fenomeno interessante e oggi chi fa ricerca e selezione, (head hunter e aziende) usa i social network, soprattutto al momento di procedere alla scrematura dei candidati.
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Detrazioni fiscali 2012 in busta paga
E’ giusto informare che a partire da gennaio 2012 verranno mantenute le detrazioni per coloro che ne hanno usufruito fino a dicembre 2011. Quindi vige la regola del silenzio assenzo.
È stato recentemente abolito l’obbligo che il lavoratore dipendente deve presentare ad ogni inizio anno al proprio datore di lavoro per ottenere le detrazioni fiscali IRPEF in busta paga in riferimento ai redditi da lavoro dipendente e per i familiari a carico. Con questo provvedimento si elimina un’inutile richiesta.
Infatti, ai sensi del disposto normativo contenuto nell'art. 23 del DPR 600 del 1973 così come modificato dalla legge n. 106 del 2011, a partire dall'anno di imposta 2012 il modello delle detrazioni fiscali dovrà essere presentato solo in caso di variazione del proprio nucleo familiare o del diritto alle detrazioni per lavoro dipendente e assimilato.
Come nel caso di nuovi nati, oppure se le detrazioni vengono ripartite in modo differente rispetto all’anno precedente. Passando dal 50% al 100% o vice versa
Vediamo alcuni punti esplicativi delle detrazioni fiscali IRPEF
Le detrazioni fiscali IRPEF riguardano il reddito e sono delle agevolazioni fiscali per i lavoratori dipendenti, le quali decorrono con l'inizio dell'anno solare fino al mese di dicembre.
Ricordiamo che ogni lavoratore dipendente che abbia dei familiari a proprio carico può godere di un beneficio fiscale al momento della dichiarazione annuale dei redditi, dette detrazioni d’imposta.
Per capire l'aspetto fiscale da parte dei lavoratori dipendenti è utile porre delle domande per finalizzare in modo corretto le detrazioni fiscali IRPEF da lavoro.
Chi sono i familiari a carico?
Il coniuge non legalmente ed effettivamente separato; i figli, compresi quelli naturali riconosciuti, gli adottivi, gli affidati e affiliati; altri familiari (genitori, generi, nuore, suoceri, fratelli e sorelle), con la condizione che siano conviventi. Per essere a carico questi familiari non devono disporre di un reddito superiore 2.840,51 euro al lordo degli oneri deducibili, qui bisogna porre una grande attenzione in quanto da un punto di vista fiscale con la dichiarazione dei redditi dell'anno successivo, l' ”errore” viene facilmente riscontrato.
La detrazione fiscale irpef in busta paga spetta, in mancanza di accordo, all’affidatario in caso di separazione legale ed effettiva, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio. Nel caso di affidamento congiunto o condiviso la detrazione è ripartita, in mancanza di accordo, nella misura del 50% tra i genitori.
PER ulteriori informazioni sulle detrazioni fiscali in busta paga si consiglia di visitare la pagina di mondo-lavoro.com sulle detrazioni fiscali.
Si ricorda che, in caso di variazione, è il dipendente che ha l’obbligo di comunicare ogni modifica per evitare di percepire somme indebite e di essere così perseguito: in assenza della dichiarazione rettificatrice, il comportamento del dipendente è punito con una sanzione amministrativa da un minimo di 258 a un massimo di 2.065 euro.
Tutte le aziende, oltre ai diversi istituti pubblico, si sono adoperate per rispettare queste ultime disposizioni. A questo proposito, l’Inpdap ha recentemente informato, ad esempio, i propri dipendenti che per correggere la loro precedente dichiarazione devono utilizzare il sistema telematico e utilizzare la procedura on-line “autocertificazione carico familiare” sul sistema Intranet, sezione “Inpdap per noi”.
È stato recentemente abolito l’obbligo che il lavoratore dipendente deve presentare ad ogni inizio anno al proprio datore di lavoro per ottenere le detrazioni fiscali IRPEF in busta paga in riferimento ai redditi da lavoro dipendente e per i familiari a carico. Con questo provvedimento si elimina un’inutile richiesta.
Infatti, ai sensi del disposto normativo contenuto nell'art. 23 del DPR 600 del 1973 così come modificato dalla legge n. 106 del 2011, a partire dall'anno di imposta 2012 il modello delle detrazioni fiscali dovrà essere presentato solo in caso di variazione del proprio nucleo familiare o del diritto alle detrazioni per lavoro dipendente e assimilato.
Come nel caso di nuovi nati, oppure se le detrazioni vengono ripartite in modo differente rispetto all’anno precedente. Passando dal 50% al 100% o vice versa
Vediamo alcuni punti esplicativi delle detrazioni fiscali IRPEF
Le detrazioni fiscali IRPEF riguardano il reddito e sono delle agevolazioni fiscali per i lavoratori dipendenti, le quali decorrono con l'inizio dell'anno solare fino al mese di dicembre.
Ricordiamo che ogni lavoratore dipendente che abbia dei familiari a proprio carico può godere di un beneficio fiscale al momento della dichiarazione annuale dei redditi, dette detrazioni d’imposta.
Per capire l'aspetto fiscale da parte dei lavoratori dipendenti è utile porre delle domande per finalizzare in modo corretto le detrazioni fiscali IRPEF da lavoro.
Chi sono i familiari a carico?
Il coniuge non legalmente ed effettivamente separato; i figli, compresi quelli naturali riconosciuti, gli adottivi, gli affidati e affiliati; altri familiari (genitori, generi, nuore, suoceri, fratelli e sorelle), con la condizione che siano conviventi. Per essere a carico questi familiari non devono disporre di un reddito superiore 2.840,51 euro al lordo degli oneri deducibili, qui bisogna porre una grande attenzione in quanto da un punto di vista fiscale con la dichiarazione dei redditi dell'anno successivo, l' ”errore” viene facilmente riscontrato.
La detrazione fiscale irpef in busta paga spetta, in mancanza di accordo, all’affidatario in caso di separazione legale ed effettiva, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio. Nel caso di affidamento congiunto o condiviso la detrazione è ripartita, in mancanza di accordo, nella misura del 50% tra i genitori.
PER ulteriori informazioni sulle detrazioni fiscali in busta paga si consiglia di visitare la pagina di mondo-lavoro.com sulle detrazioni fiscali.
Si ricorda che, in caso di variazione, è il dipendente che ha l’obbligo di comunicare ogni modifica per evitare di percepire somme indebite e di essere così perseguito: in assenza della dichiarazione rettificatrice, il comportamento del dipendente è punito con una sanzione amministrativa da un minimo di 258 a un massimo di 2.065 euro.
Tutte le aziende, oltre ai diversi istituti pubblico, si sono adoperate per rispettare queste ultime disposizioni. A questo proposito, l’Inpdap ha recentemente informato, ad esempio, i propri dipendenti che per correggere la loro precedente dichiarazione devono utilizzare il sistema telematico e utilizzare la procedura on-line “autocertificazione carico familiare” sul sistema Intranet, sezione “Inpdap per noi”.
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domenica 5 febbraio 2012
Lavoro: 47% giovani hanno un contratto a tempo determinato
È il risultato uscito dalle elaborazioni Istat sulla media dell’anno 2010. I giovani dai 15 ai 24 anni, risultati dipendenti a tempo determinato sono pari al 46,7% del totale dei dipendenti occupati in quella stessa fascia d'età. E' quanto emerso da elaborazioni su dati Istat relativi alla media annua del 2010. Prendendo in considerazione i dipendenti sopra i 35 anni, solo l'8% di questi è risultato con contratto a tempo determinato. Nel dettaglio, guardando ad ognuna delle diverse fasce d'età individuate dall'Istat, emerge che, se tra i dipendenti under 25 quasi il 47% è impiegato a tempo determinato, la quota si abbassa al 18% per coloro di età compresa tra i 25 e 35 anni. E ancora scende all'8,3% per chi ha tra i 35 e 54 anni, per finire al 6,3% considerando chi ha più di 55 anni.
In Italia ci sono 2,364 milioni di dipendenti a tempo determinato e 385 mila collaboratori.. In tutto si tratta, quindi, di 2,749 milioni di persone a cui manca il posto fisso, ovvero i cosiddetti lavoratori atipici. Continua, così, a crescere il numero dei dipendenti a termine, che segna un rialzo del 7,6% (+166.000 unità) su base annua. Un aumento che coinvolge per circa due terzi gli under 35, fascia nella quale l'incidenza del lavoro a termine sul totale degli occupati raggiunge quota 10,3%. Quanto ai collaboratori, invece, si registra un piccolo passo indietro rispetto al terzo trimestre del 2010 (-2,1%, ovvero -8 mila unità).
Un aumento che coinvolge per circa due terzi per chi ha meno di 35 anni. Ecco che l'incidenza del lavoro a termine sul totale degli occupati raggiunge quota 10,3%. Quanto ai collaboratori con contratto a progetto, invece, si registra un piccolo passo indietro rispetto al terzo trimestre del 2010 (-2,1%, ovvero -8 mila unità). Sono questi i dati Istat su occupati dipendenti a termine e sui collaboratori, ma il mondo della flessibilità in entrata è molto più vario. C'é, infatti, un folto sottobosco, basti pensare alle cosiddette "false partire Iva". Ecco che ottenere una stima ufficiale sul "precariato" è difficile, anche se possiamo immaginare sia più ampia della cifra "base" pari a 2,7 milioni.
In Italia ci sono 2,364 milioni di dipendenti a tempo determinato e 385 mila collaboratori.. In tutto si tratta, quindi, di 2,749 milioni di persone a cui manca il posto fisso, ovvero i cosiddetti lavoratori atipici. Continua, così, a crescere il numero dei dipendenti a termine, che segna un rialzo del 7,6% (+166.000 unità) su base annua. Un aumento che coinvolge per circa due terzi gli under 35, fascia nella quale l'incidenza del lavoro a termine sul totale degli occupati raggiunge quota 10,3%. Quanto ai collaboratori, invece, si registra un piccolo passo indietro rispetto al terzo trimestre del 2010 (-2,1%, ovvero -8 mila unità).
Un aumento che coinvolge per circa due terzi per chi ha meno di 35 anni. Ecco che l'incidenza del lavoro a termine sul totale degli occupati raggiunge quota 10,3%. Quanto ai collaboratori con contratto a progetto, invece, si registra un piccolo passo indietro rispetto al terzo trimestre del 2010 (-2,1%, ovvero -8 mila unità). Sono questi i dati Istat su occupati dipendenti a termine e sui collaboratori, ma il mondo della flessibilità in entrata è molto più vario. C'é, infatti, un folto sottobosco, basti pensare alle cosiddette "false partire Iva". Ecco che ottenere una stima ufficiale sul "precariato" è difficile, anche se possiamo immaginare sia più ampia della cifra "base" pari a 2,7 milioni.
sabato 4 febbraio 2012
Flessibilità sul lavoro ipotesi al vaglio e la “flessibilità buona”
Probabilmente il significato della flessibilità sul lavoro, lavoro flessibile cambierà con la Riforma del mercato del lavoro.
E con molta probabilità il lavoratore si dovrà accontentare di un indennità economica in sostituzione del reintegro deciso dal giudice. Un ipotesi verosimile al vaglio è quella che prevede la sospensione della tutela secondo l’art 18 dello statuto dei lavoratori solo per i nuovi assunti e per i primi tre anni di rapporto di lavoro. Passato questo periodo se l’azienda vuole ancora quel lavoratore, lo deve assumere a tempo indeterminato con la tutela dell’ art 18.
Il Ministro del Lavoro Elsa Fornero ha parlato sui programmi del governo per lavoro e previdenza. Ospite di Maria Latella a SkyTg24, Fornero ha ribadito l'intenzione dell'esecutivo di distinguere tra flessibilità e precarietà: "Il mio modello è la capacità di avere nel sistema economico una flessibilità che sia buona", ha detto, "Abbiamo imparato che si può avere una flessibilità cattiva che si traduce in precarietà. Abbiamo fatto le liberalizzazioni e anche questo per molte categorie è stata vista come una cattiveria del governo, ma l'idea era introdurre elementi di flessibilità. Non bisogna demonizzare il posto fisso che resta un'importante aspirazione per molti, ma se non lo possiamo fare per tutti l'importante è che per chi accetta la flessibilità non sia precarietà". Ha spiegato la Fornero: "Questo governo è tecnico, non ha parti della società italiana che vuole favorire o partiti cui è particolarmente legato. Si dialoga, però questo governo ha l'ambizione di fare politiche per il Paese, per il futuro del Paese. Può essere un'ambizione eccessiva ma è questa".
Flessibilità in uscita. Nessuno mai può licenziare per motivi di discriminazione, però può volere dire che in alcune circostante non è una soluzione ottimale cercare di tenere stretto a tutti i costi il lavoratore all'azienda. L'importante è chi perde il posto di lavoro deve essere aiutato a trovarne un altro, anche dall'azienda stessa". Per il ministro "se il datore trova che la flessibilità è un elemento positivo un po’ la deve pagare. Quello che si deve rompere - ha spiegato - è il meccanismo per cui il lavoro flessibile è quello che costa meno, quindi dobbiamo dire che la flessibilità è qualcosa che vale ma si deve pagare. Le imprese sanno che se hanno la possibilità di usare la flessibilità devono pagarla un po’ di più e non meno". Ma il ministro ha anche specificato: "Nessuno, mai, potrà licenziare per motivi di discriminazione: questo è inaccettabile in qualunque Paese civile. E quindi deve essere inaccettabile anche in Italia che è un Paese civile".
Straordinari: lavoro oltre l’orario previsto dal CCNL. Cosa si rischia?
Fermarsi al lavoro oltre previste dal CCNL potrebbe raddoppiare il rischio depressione. Una considerazione che i datori di lavoro dovrebbero tenere presente in sede di valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro.
Quindi lavorare oltre l’orario ordinario previsto dai CCNL, ossia far fare l’orario straordinario ai propri dipendenti può generare in loro la depressione. E’ stato stabilito dallo studio condotto da “Finnish Institute of Occupational Health” di Helsinki e dalla “Queen Mary University of London, per un periodo complessivo di sei anni su più di 2 mila impiegati governativi inglesi fra i 35 e i 55 anni, inizialmente sani e considerati fuori pericolo depressione.
Superare le ore ordinarie di lavoro può avere serie conseguenze per la salute psicofisica dei lavoratori.
Apparentemente esclusi dal rischio depressione da il lavoro in straordinario sarebbero i dipendenti uomini con uno stipendio elevato ed un lavoro impegnativo. I più esposti sono i giovani e le donne e coloro che hanno uno stipendio basso: tutti accomunati dal desiderio di soddisfare esigenze familiari e/o finanziarie.
Il sovraccarico di lavoro scatenerebbe un malumore persistente che rischia di sfociare in depressione.
Dallo studio emerge per i datori di lavoro la necessità di prestare attenzione: «fare spesso straordinari può rendere le persone meno efficienti, con ripercussioni negative in termini di stress», ha sottolineato il professore inglese e co-autore dello studio Stephen Stansfeld. E le preoccupazioni possono incidere tanto sulla vita privata quanto dentro l’ufficio.
Il risultato della ricerca anlo-finlandese è che troppo lavoro soffoca l'umore, raddoppiando il rischio depressione. La ricerca, pubblicata sulla rivista PLoS ONE è stata condotta da Marianna Virtanen della University College di Londra. Risultato: rischia doppio chi lavora per 11 ore.
Quindi lavorare oltre l’orario ordinario previsto dai CCNL, ossia far fare l’orario straordinario ai propri dipendenti può generare in loro la depressione. E’ stato stabilito dallo studio condotto da “Finnish Institute of Occupational Health” di Helsinki e dalla “Queen Mary University of London, per un periodo complessivo di sei anni su più di 2 mila impiegati governativi inglesi fra i 35 e i 55 anni, inizialmente sani e considerati fuori pericolo depressione.
Superare le ore ordinarie di lavoro può avere serie conseguenze per la salute psicofisica dei lavoratori.
Apparentemente esclusi dal rischio depressione da il lavoro in straordinario sarebbero i dipendenti uomini con uno stipendio elevato ed un lavoro impegnativo. I più esposti sono i giovani e le donne e coloro che hanno uno stipendio basso: tutti accomunati dal desiderio di soddisfare esigenze familiari e/o finanziarie.
Il sovraccarico di lavoro scatenerebbe un malumore persistente che rischia di sfociare in depressione.
Dallo studio emerge per i datori di lavoro la necessità di prestare attenzione: «fare spesso straordinari può rendere le persone meno efficienti, con ripercussioni negative in termini di stress», ha sottolineato il professore inglese e co-autore dello studio Stephen Stansfeld. E le preoccupazioni possono incidere tanto sulla vita privata quanto dentro l’ufficio.
Il risultato della ricerca anlo-finlandese è che troppo lavoro soffoca l'umore, raddoppiando il rischio depressione. La ricerca, pubblicata sulla rivista PLoS ONE è stata condotta da Marianna Virtanen della University College di Londra. Risultato: rischia doppio chi lavora per 11 ore.
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venerdì 3 febbraio 2012
Mercato del lavoro ed occupazione: le professioni del 2012
I dati Unioncamere e del Ministero del Lavoro sull’occupazione nel 2012 anticipano che entro marzo sono previste 152mila nuove assunzioni in oltre 170 mila imprese dell’industria e dei servizi (7% sul totale in Italia) e riguarderanno in particolare giovani sotto i 30 anni di età.
Il 34% delle nuove assunzioni (51.700 unità) è stato programmato da imprese attive nel settore industria e il 66% (100.400 unità) da quelle dei servizi.
Le professioni che sembrano affrontare meglio il difficile momento del lavoro, secondo la multinazionale olandese Randstad Holding , sono le figure contabili (specialisti in contabilità, credito, Risk Management) , amministrativi (gestione del personale e gestione della contabilità del personale), giuristi d’impresa (scienze economiche), ingegneri ed esperti di social media (esperti informatici e web).
Anche a fronte della riforma del mercato del lavoro, in molti stanno cercando di delineare una sorta di strada maestra per le professioni più richieste dal mercato nel 2012.
Secondo l’ultima ricerca condotta dalla Randstad Holding – azienda specializzata nella ricerca, selezione, formazione di Risorse Umane nel 2012 le richieste di laureati in Economia e Commercio e Ingegneria resteranno alte
Tra i più richiesti secondo l’Amministratore delegato Marco Ceresa, spiccano gli specialisti nel credito-contabilità e nel risk management, in crescita il bisogno delle imprese di giuristi d’impresa e di buoni commerciali.
Infine la ricerca Randstad rivela come le difficoltà economiche impongano alle imprese una maggiore attenzione alle risorse umane ed una più attenta valutazione degli inserimenti, focalizzandosi sui talenti. E se da un lato le aziende saranno più esigenti in termini di competenze e performance, dall’altro avranno bisogno di maggiore flessibilità: per questo auspichiamo una semplificazione della contrattualistica giuslavoristica e un aumento degli stipendi per i più meritevoli.
Il 34% delle nuove assunzioni (51.700 unità) è stato programmato da imprese attive nel settore industria e il 66% (100.400 unità) da quelle dei servizi.
Le professioni che sembrano affrontare meglio il difficile momento del lavoro, secondo la multinazionale olandese Randstad Holding , sono le figure contabili (specialisti in contabilità, credito, Risk Management) , amministrativi (gestione del personale e gestione della contabilità del personale), giuristi d’impresa (scienze economiche), ingegneri ed esperti di social media (esperti informatici e web).
Anche a fronte della riforma del mercato del lavoro, in molti stanno cercando di delineare una sorta di strada maestra per le professioni più richieste dal mercato nel 2012.
Secondo l’ultima ricerca condotta dalla Randstad Holding – azienda specializzata nella ricerca, selezione, formazione di Risorse Umane nel 2012 le richieste di laureati in Economia e Commercio e Ingegneria resteranno alte
Tra i più richiesti secondo l’Amministratore delegato Marco Ceresa, spiccano gli specialisti nel credito-contabilità e nel risk management, in crescita il bisogno delle imprese di giuristi d’impresa e di buoni commerciali.
Infine la ricerca Randstad rivela come le difficoltà economiche impongano alle imprese una maggiore attenzione alle risorse umane ed una più attenta valutazione degli inserimenti, focalizzandosi sui talenti. E se da un lato le aziende saranno più esigenti in termini di competenze e performance, dall’altro avranno bisogno di maggiore flessibilità: per questo auspichiamo una semplificazione della contrattualistica giuslavoristica e un aumento degli stipendi per i più meritevoli.
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Rapporto CENSIS 2011: imprese, internet, lavoro e scuola
Nel 45mo Rapporto sulla situazione sociale del Paese il Censis ha scattato una fotografia all'Italia. E noi evidenziamo l’aspetto delle imprese, il valore di internet, la difficoltà del mercato del lavoro, e le difficoltà della scuola. Dall'indagine esce il ritratto di un Paese dove la crisi non ha soltanto inciso sui fondamenti economici, ma anche sulla consapevolezza e sulle aspettative verso il proprio futuro.
Imprese
Economia in bilico tra creazione e distruzione di valore. Le forti tensioni sul mercato del debito pubblico pongono ormai da mesi il Paese lungo un sentiero ambiguo caratterizzato non solo dalla mancata crescita dei fondamentali, ma anche da uno scontro tra finanza ed economia reale. Nel primo semestre del 2011 le esportazioni italiane sono aumentate del 16%. Il saldo con l’estero del manifatturiero è in attivo per più di 34 miliardi di euro, mostrando una discreta capacità competitiva. Sebbene la quota italiana del commercio mondiale sia scesa nell’ultimo anno dal 3% al 2,9%, nei primi due trimestri del 2011 l’indice del fatturato dell’industria è aumentato del 7% trainato soprattutto dalle vendite all’estero.
Il fenomeno reti d’impresa: modello aperto e polifunzionale. Il 2011 si chiude con quasi 150 Contratti di rete attivi. Si tratta di uno dei pochi strumenti di innovazione nel campo delle politiche a sostegno del tessuto produttivo. Tra la fine del 2010 e il settembre del 2011 sono stati stipulanti, in media, 12 contratti al mese. Complessivamente, la parte più consistente (il 48%) riguarda aziende localizzate al Nord, ma anche al Sud esistono casi interessanti di collaborazione. L’elemento di maggiore rilievo è il carattere polifunzionale degli accordi e la molteplicità dei settori produttivi coinvolti. La maggior parte delle aziende opera nel manifatturiero (il 46%), ma le imprese dei servizi sono comunque più di un quarto, seguite dall’edilizia (il 14% delle imprese partecipanti).
Internet
Oltre la metà degli italiani naviga su Internet, 9 giovani su 10 sono collegati.
L`utenza del web in Italia nel 2011 ha superato la fatidica soglia del 50% della popolazione, attestandosi al 53,1%. Il dato complessivo si fraziona tra l`87,4% dei giovani e il 15,1% degli delle persone adulte (65-80 anni), tra il 72,2% dei soggetti più istruiti e il 37,7% di quelli meno scolarizzati. E’ quanto ha sostenuto il Censis nel 45mo Rapporto annuale (http://www.censis.it/22) sulla situazione sociale del Paese.
Vediamo i principali utilizzi di Internet.
Secondo l'indagine del Centro Studi Investimenti Sociali, nel 2011 i principali utilizzi di Internet in ordine di utilizzo sono trovare una strada o una località, ascoltare musica, svolgere operazioni bancarie, fare acquisti, prenotare un viaggio.
I giovani sottovalutano i tg, meglio Internet ed i Social Network (Facebook) Dal dossier del Censis emerge che gli italiani usano molte fonti informative, ma alcuni non si informano per niente (10,2%), ricorrono solo ai telegiornali (4,7%) o a un mix di media tutto affidato alla ricezione audiovisiva passiva (telegiornale, giornale radio, televideo: 10,1%).
Lavoro
Il futuro incerto della ripresa occupazionale e del tentativo di riforma del mercato del lavoro. La frenata della crisi nel 2010 (dissipati 153.000 posti di lavoro, contro i 380.000 del 2009) e i dati positivi per il 2011 (+0,4% gli occupati nel primo semestre) fanno sperare in una chiusura d’anno con segno positivo. Viene meno la capacità di tenuta dell’occupazione a tempo indeterminato. Dopo due anni di tendenziale stabilità, si riduce dell’1,3% nel 2010 e dello 0,1% nel primo semestre del 2011. Si segnala però una crescita significativa del lavoro a termine (+1,4% nel 2010 e +5,5% nei primi sei mesi del 2011) e del lavoro autonomo (dopo cinque anni di contrazione, nel 2010 c’è una prima tiepida crescita: +0,2%). Quindi la crisi ha colpito il mercato del lavoro, ma in modo molto diversificato. Tra il 2007 e il 2010 è aumentata l’occupazione straniera (quasi 580.000 lavoratori in più, di cui circa 200.000 nell’ultimo anno, con un incremento complessivo del 38,5%), mentre quella italiana ha registrato la perdita di 928.000 posti di lavoro (-4,3%), di cui 335.000 nell’ultimo anno.
I giovani al centro della crisi. In Italia l’11,2% dei giovani di 15-24 anni, e addirittura il 16,7% di quelli tra 25 e 29 anni, non è interessato né a lavorare né a studiare, mentre la media europea è pari rispettivamente al 3,4% e all’8,5%. Di contro, da noi risulta decisamente più bassa la percentuale di quanti lavorano: il 20,5% tra i 15-24enni (la media Ue è del 34,1%) e il 58,8% tra i 25-29enni (la media Ue è del 72,2%). A ciò si aggiunga che tra le nuove generazioni sta progressivamente perdendo appeal una delle figure centrali del nostro tessuto economico, quella dell’imprenditore. Solo il 32,5% dei giovani di 15-35 anni dichiara di voler mettere su un’attività in proprio, meno che in Spagna (56,3%), Francia (48,4%), Regno Unito (46,5%) e Germania (35,2%).
La mobilità che non c’è, questione di cultura e non di regole. I giovani sono oggi i lavoratori su cui grava di più il costo della mobilità in uscita. Nel 2010, su 100 licenziamenti che hanno determinato una condizione di inoccupazione, 38 hanno riguardato giovani con meno di 35 anni e 30 soggetti con 35-44 anni. Solo in 32 casi si è trattato di persone con 45 anni o più. L’Italia presenta un tasso di anzianità aziendale ben superiore a quello dei principali Paesi europei. Lavora nella stessa azienda da più di dieci anni il 50,7% dei lavoratori italiani, il 44,6% dei tedeschi, il 43,3% dei francesi, il 34,5% degli spagnoli e il 32,3% degli inglesi. Tuttavia, solo il 23,4% dei giovani risulta disponibile a trasferirsi in altre regioni o all’estero per trovare lavoro.
Scuola
Per la scuola siamo ancora lontani dall'obiettivo europeo di giungere entro il 2020 a una media del 10% degli abbandoni prematuri da scuola. Ma nel 2010 si è registrato un nuovo calo. La quota di giovani 18-24enni in possesso della sola licenza media e non più inseriti in percorsi formativi è scesa dal 19,2% del 2009 al 18,8 per cento. Il calo è stato in tutt'Italia, a eccezione del Centro che rimane l'area dove tale rilevatore ha registrato un aumento (14,8%, contro il 13,5% del 2009).
Il rapporto del Censis mostra poi come siano, ancora, discontinui gli interventi di prevenzione e contrasto al fenomeno della dispersione scolastica. Sono soprattutto gli studenti delle isole maggiori a distinguersi per una profonda trascuratezza ai percorsi scolastici e formativi.
Secondo gli oltre mille dirigenti scolastici di scuola secondaria di primo e secondo grado intervistati dal Censis infine l'apporto fornito da alcuni soggetti esterni al mondo della scuola appare molto differenziato. Il 57,4% dei dirigenti dichiara di contare molto o abbastanza sul supporto degli enti locali e un analogo 57% sul contributo delle famiglie. Seguono gli organismi del terzo settore (56%) e le parrocchie (54,1 per cento).
Imprese
Economia in bilico tra creazione e distruzione di valore. Le forti tensioni sul mercato del debito pubblico pongono ormai da mesi il Paese lungo un sentiero ambiguo caratterizzato non solo dalla mancata crescita dei fondamentali, ma anche da uno scontro tra finanza ed economia reale. Nel primo semestre del 2011 le esportazioni italiane sono aumentate del 16%. Il saldo con l’estero del manifatturiero è in attivo per più di 34 miliardi di euro, mostrando una discreta capacità competitiva. Sebbene la quota italiana del commercio mondiale sia scesa nell’ultimo anno dal 3% al 2,9%, nei primi due trimestri del 2011 l’indice del fatturato dell’industria è aumentato del 7% trainato soprattutto dalle vendite all’estero.
Il fenomeno reti d’impresa: modello aperto e polifunzionale. Il 2011 si chiude con quasi 150 Contratti di rete attivi. Si tratta di uno dei pochi strumenti di innovazione nel campo delle politiche a sostegno del tessuto produttivo. Tra la fine del 2010 e il settembre del 2011 sono stati stipulanti, in media, 12 contratti al mese. Complessivamente, la parte più consistente (il 48%) riguarda aziende localizzate al Nord, ma anche al Sud esistono casi interessanti di collaborazione. L’elemento di maggiore rilievo è il carattere polifunzionale degli accordi e la molteplicità dei settori produttivi coinvolti. La maggior parte delle aziende opera nel manifatturiero (il 46%), ma le imprese dei servizi sono comunque più di un quarto, seguite dall’edilizia (il 14% delle imprese partecipanti).
Internet
Oltre la metà degli italiani naviga su Internet, 9 giovani su 10 sono collegati.
L`utenza del web in Italia nel 2011 ha superato la fatidica soglia del 50% della popolazione, attestandosi al 53,1%. Il dato complessivo si fraziona tra l`87,4% dei giovani e il 15,1% degli delle persone adulte (65-80 anni), tra il 72,2% dei soggetti più istruiti e il 37,7% di quelli meno scolarizzati. E’ quanto ha sostenuto il Censis nel 45mo Rapporto annuale (http://www.censis.it/22) sulla situazione sociale del Paese.
Vediamo i principali utilizzi di Internet.
Secondo l'indagine del Centro Studi Investimenti Sociali, nel 2011 i principali utilizzi di Internet in ordine di utilizzo sono trovare una strada o una località, ascoltare musica, svolgere operazioni bancarie, fare acquisti, prenotare un viaggio.
I giovani sottovalutano i tg, meglio Internet ed i Social Network (Facebook) Dal dossier del Censis emerge che gli italiani usano molte fonti informative, ma alcuni non si informano per niente (10,2%), ricorrono solo ai telegiornali (4,7%) o a un mix di media tutto affidato alla ricezione audiovisiva passiva (telegiornale, giornale radio, televideo: 10,1%).
Lavoro
Il futuro incerto della ripresa occupazionale e del tentativo di riforma del mercato del lavoro. La frenata della crisi nel 2010 (dissipati 153.000 posti di lavoro, contro i 380.000 del 2009) e i dati positivi per il 2011 (+0,4% gli occupati nel primo semestre) fanno sperare in una chiusura d’anno con segno positivo. Viene meno la capacità di tenuta dell’occupazione a tempo indeterminato. Dopo due anni di tendenziale stabilità, si riduce dell’1,3% nel 2010 e dello 0,1% nel primo semestre del 2011. Si segnala però una crescita significativa del lavoro a termine (+1,4% nel 2010 e +5,5% nei primi sei mesi del 2011) e del lavoro autonomo (dopo cinque anni di contrazione, nel 2010 c’è una prima tiepida crescita: +0,2%). Quindi la crisi ha colpito il mercato del lavoro, ma in modo molto diversificato. Tra il 2007 e il 2010 è aumentata l’occupazione straniera (quasi 580.000 lavoratori in più, di cui circa 200.000 nell’ultimo anno, con un incremento complessivo del 38,5%), mentre quella italiana ha registrato la perdita di 928.000 posti di lavoro (-4,3%), di cui 335.000 nell’ultimo anno.
I giovani al centro della crisi. In Italia l’11,2% dei giovani di 15-24 anni, e addirittura il 16,7% di quelli tra 25 e 29 anni, non è interessato né a lavorare né a studiare, mentre la media europea è pari rispettivamente al 3,4% e all’8,5%. Di contro, da noi risulta decisamente più bassa la percentuale di quanti lavorano: il 20,5% tra i 15-24enni (la media Ue è del 34,1%) e il 58,8% tra i 25-29enni (la media Ue è del 72,2%). A ciò si aggiunga che tra le nuove generazioni sta progressivamente perdendo appeal una delle figure centrali del nostro tessuto economico, quella dell’imprenditore. Solo il 32,5% dei giovani di 15-35 anni dichiara di voler mettere su un’attività in proprio, meno che in Spagna (56,3%), Francia (48,4%), Regno Unito (46,5%) e Germania (35,2%).
La mobilità che non c’è, questione di cultura e non di regole. I giovani sono oggi i lavoratori su cui grava di più il costo della mobilità in uscita. Nel 2010, su 100 licenziamenti che hanno determinato una condizione di inoccupazione, 38 hanno riguardato giovani con meno di 35 anni e 30 soggetti con 35-44 anni. Solo in 32 casi si è trattato di persone con 45 anni o più. L’Italia presenta un tasso di anzianità aziendale ben superiore a quello dei principali Paesi europei. Lavora nella stessa azienda da più di dieci anni il 50,7% dei lavoratori italiani, il 44,6% dei tedeschi, il 43,3% dei francesi, il 34,5% degli spagnoli e il 32,3% degli inglesi. Tuttavia, solo il 23,4% dei giovani risulta disponibile a trasferirsi in altre regioni o all’estero per trovare lavoro.
Scuola
Per la scuola siamo ancora lontani dall'obiettivo europeo di giungere entro il 2020 a una media del 10% degli abbandoni prematuri da scuola. Ma nel 2010 si è registrato un nuovo calo. La quota di giovani 18-24enni in possesso della sola licenza media e non più inseriti in percorsi formativi è scesa dal 19,2% del 2009 al 18,8 per cento. Il calo è stato in tutt'Italia, a eccezione del Centro che rimane l'area dove tale rilevatore ha registrato un aumento (14,8%, contro il 13,5% del 2009).
Il rapporto del Censis mostra poi come siano, ancora, discontinui gli interventi di prevenzione e contrasto al fenomeno della dispersione scolastica. Sono soprattutto gli studenti delle isole maggiori a distinguersi per una profonda trascuratezza ai percorsi scolastici e formativi.
Secondo gli oltre mille dirigenti scolastici di scuola secondaria di primo e secondo grado intervistati dal Censis infine l'apporto fornito da alcuni soggetti esterni al mondo della scuola appare molto differenziato. Il 57,4% dei dirigenti dichiara di contare molto o abbastanza sul supporto degli enti locali e un analogo 57% sul contributo delle famiglie. Seguono gli organismi del terzo settore (56%) e le parrocchie (54,1 per cento).
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