domenica 30 ottobre 2016
Trovare lavoro con Gi Group
Gi Group è la prima multinazionale italiana del lavoro, nonché una delle principali realtà, a livello mondiale, nei servizi dedicati allo sviluppo del mercato del lavoro. Ed è attivo nei settori:
lavoro temporaneo e permanent staffing, ricerca e selezione, executive search, supporto alla ricollocazione, formazione e consulenza hr.
Gi Group nel mese di agosto 2016 con l'acquisizione delle società TACK e TMI.
Tack, con sede nel Regno Unito, opera attraverso una rete di partner presenti in 60 paesi con 54 uffici, che progettano ed erogano soluzioni di formazione e consulenza in 35 lingue per clienti di ogni settore e dimensione. Nei 68 di storia ha saputo posizionarsi come leader di eccellenzanper l'erogazione di formazione in aula nei seguenti settori: Vendita e Leadership, Leadership e Managmnet, Soft sKILL, sVILUPèPO e Personale e Sicurezza, Salute e Sostenibilità Ambientale.
TMI, con sede in Danimarca, è una società globale leader nella consulenza e nella formazione, anch’essa attiva attraverso una rete di partner in tutto il mondo. L’organizzazione offre soluzioni innovative e personalizzate che permettono alle aziende clienti di applicare strategie di business e trasformazioni aziendali andando ad agire sulla cultura organizzativa. La dimensione globale di TMI e la capacità di erogare e progettare corsi permettono alla società di lavorare in oltre 45 paesi nel mondo con più di 600 formatori e consulenti che operano in 35 lingue.
Ci si può iscrivere al portale per poter continuare ad usufruire dei servizi e delle novità per i canditati e si potrà:
consultare tramite tablet e mobile;
aggiornare on line il curriculum vitae che sarà visibile a tutte le filiali Gi Group;
avere i Job Alert attivati, i quali saranno ancora mirati alle esigenze;
trovare le offerte di lavoro in modo più semplice e veloce;
avere accesso alle guide per procurarsi un aiuto: come scrivere un cv e una lettera di presentazione, i consigli per sostenere un colloquio di lavoro.
Gi Formazione è la società di Gi Group che, da più di 10 anni, opera nel campo della formazione, e dell’orientamento, organizza ed eroga percorsi formativi per favorire l’inserimento lavorativo di giovani e disoccupati, e per qualificare e riqualificare i lavoratori con progetti mirati, secondo le logiche delle politiche attive per il lavoro.
Grazie al supporto logistico ed operativo delle filiali di Gi Group, Gi Formazione ha un bacino d’utenza che le consente di realizzare per Gi Group corsi professionali, base e on the job, finanziati dal fondo Forma.Temp e diretti a disoccupati e lavoratori in somministrazione.
L'obiettivo è di soddisfare, attraverso risposte di eccellenza, le esigenze di carattere formativo mirate allo sviluppo del mercato del lavoro per:
Aziende: Rispondendo alla necessità di disporre, in tempi relativamente brevi, di risorse già formate e operative.
Lavoratori: Garantendo il livello di formazione adeguato alle richieste del mercato del lavoro.
Giovani disoccupati: Garantendo, attraverso una formazione finanziata, la loro qualificazione per l’ingresso nel mercato del lavoro.
Studenti: Rispondendo all'esigenza di giovani studenti di avere percorsi di orientamento che li aiutino nelle future scelte di studio o professionali.
Categorie svantaggiate: Per colmare ove possibile gli svantaggi e consentire l’inserimento nel mondo del lavoro.
Il lavoro di Gi Group è finalizzato alla costruzione di opportunità di lavoro che si sostanziano nella possibilità di costruire, per le persone, un futuro adeguato alle proprie aspettative ed esigenze.
Costruzione di un’opera, spesso paragonata per complessità e solidità ad una cattedrale, che duri nel tempo e che vada nella direzione dei principi fondamentali dell’uomo: rispetto, ingegno, chiarezza e una grande capacità di organizzazione, unita al metodo di lavoro, a una forte disciplina operativa ma anche morale.
In tale contesto, il principio ispiratore dell’attività di Gi Group è rappresentato dal forte orientamento all'impresa e alla persona: il lavoro di Gi Group si basa, da un lato, sul principio del valore irriducibile della persona e sulla consapevolezza della grande importanza che il lavoro ha per questa e, dall'altro, sul profondo rispetto e stima per l’impresa come strumento fondamentale per lo sviluppo della società.
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Lavorare con busta paga e Partita IVA
In alcune condizioni è possibile avere sia un lavoro dipendente o assimilato che una Partita IVA, questo significa ricevere sia una busta paga aziendale, sia redditi derivanti da lavoro autonomo. La scelta di avere un doppio reddito, da dipendente e da autonomo, può derivare ad esempio dalla necessità o dalla volontà di migliorare la propria condizione economica o anche semplicemente dalla possibilità di guadagnare degli extra facendo fruttare una propria passione o un proprio hobby.
Se si vuole intraprende questa strada, bisogna avere chiari alcuni passaggi:
versamento dei contributi INPS;
obblighi di comunicazione ai datori di lavoro;
cumulo dei redditi.
Il dipendente privato che decide di aprire una partita IVA, come ditta che sia individuale o società o come libero professionista, non deve trasgredire divieti inseriti nel contratto di lavoro. Anche per quanto riguarda la comunicazione con il proprio datore di lavoro, non esistono obblighi espliciti, potrebbe però essere comunque meglio comunicare tutte le eventuali informazioni, evitando così qualsiasi problematica.
Per quanto riguarda le regole previste dalla legge è importante ricordare l'art. 2015 del Codice Civile, che tratta l'obbligo di fedeltà da parte del lavoratore. Per questo motivo il lavoratore non può divulgare notizie riguardanti la propria azienda, o allo stesso tempo non può farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio. In caso di violazione dell'obbligo di fedeltà il dipendente può essere licenziato ed inoltre è tenuto a risarcire il datore di lavoro dei danni subiti. La violazione dell’obbligo di fedeltà costituisce inadempimento contrattuale che dà luogo a responsabilità disciplinare e, nella maggior parte dei casi, integra la giusta causa di licenziamento. Il lavoratore è inoltre tenuto al risarcimento dei danni subiti dal datore di lavoro (Cass. n. 6473/1993).
Infine per quanto riguarda contribuzione previdenziale INPS, per il dipendente a tempo indeterminato full time, che avvia un’attività d’impresa commerciale, non è necessaria l’iscrizione alla Gestione commercianti dell’INPS né il versamento di ulteriori contributi. Per un lavoratore dipendente che avvia un’attività da libero professionista, è previsto l’obbligo di iscriversi alla Gestione separata INPS versando il contributo proporzionale del 18%.
Un dipendente privato può aprire una partita IVA, come ditta individuale/società o come libero professionista, senza problemi di compatibilità, ovvero può aprire una propria attività conservando il proprio lavoro alle dipendenze di un’azienda privata a patto che non vi sia concorrenza tra lavoro svolto come dipendente e quello a partita IVA, se il contratto lo vieta espressamente. Se non vi è esplicito divieto non vi è alcun problema di coesistenza tra le due attività. In generale non vige alcun obbligo di comunicazione al datore di lavoro, anche se è generalmente conveniente informare l’azienda per non incorrere in problematiche che potrebbero portare ad un licenziamento per giusta causa.
Per quanto riguarda la contribuzione previdenziale INPS:
in caso di lavoratore dipendente a tempo indeterminato a tempo pieno (ovvero con almeno 26 ore lavorative settimanali) che avvia un’attività d’impresa commerciale, se è possibile qualificare il lavoro in azienda come prevalente sia in termini di tempo che in termini reddituali (reddito annuo come lavoratore dipendente maggiore del reddito derivante dall'attività commerciale), non è necessaria l’iscrizione alla Gestione commercianti dell’INPS né il versamento di ulteriori contributi.
Una volta avviata l’attività l’INPS invierà al lavoratore comunque una comunicazione in merito all'iscrizione del soggetto alla Gestione commercianti, tuttavia sarà sufficiente rispondere spiegando i motivi che prevedono la cancellazione dell’iscrizione e provando l’esistenza del rapporto di lavoro dipendente allegando una copia dell’ultima busta paga percepita.
Nel caso di lavoratore dipendente che avvia un’attività da libero professionista, è previsto l’obbligo di iscriversi alla Gestione separata INPS versando il contributo proporzionale del 18%;
in caso di contratto di lavoro a tempo determinato bisogna valutare se complessivamente nel corso dell’anno il periodo trascorso come lavoratore dipendente può essere o meno considerato prevalente rispetto all'attività commerciale esercitata.
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Come riconoscere gli annunci di lavoro fake (falsi)
Se ne leggono di annunci di lavoro, la maggior parte sul web: centinaia di pagine e bacheche visitate, ogni giorno, per cercare lavoro, molte volte senza successo. Gli annunci così detti “fake”, in altre parole fasulli-finti, sono sempre esistiti, ma sicuramente l’avvento delle nuove tecnologie e la grande diffusione delle informazioni tramite il web ha accentuato l’ascesa.
Se una volta, infatti, gli annunci falsi erano abbastanza evidenti, oggi invece sono realizzati in modo accurato e strutturati in modo da trarre in inganno anche i più esperti.
Si legge, ci si candida, si aspettano risposte. Poi un giorno arriva una email: un’offerta condizionata all’invio di denaro, in certi casi. Un’offerta che non esiste veramente, in altri.
L’affare dei falsi annunci di lavoro è un business che sta penetrando sempre più tra le maglie della Rete.
Bisogna saper prendere degli accorgimenti indispensabili per evitare di cadere nella trappola di falsi annunci, magari che incominciano con la classica frase “cercasi giovani entusiasti e volenterosi” sappiate che spesso trattasi di offerte che nascondono, solo lavori gratuiti o malpagati.
Quello che inquieta tanto le aziende, il cui nome viene usato in modo illegale, quanto chi al danno di un lavoro mancato rischia di aggiungere la beffa dei soldi perduti. Viene raccontato da persone che su una pagina Facebook denunciano falsi annunci relativi a dei posti di lavoro presso catene alberghiere di lusso.
Sappiamo tutti quanto possa essere dura in questo momento affacciarsi sul mondo del lavoro, ma non solo, anche a causa della cattiva gestione imprenditoriale del mercato del lavoro stesso, sempre più sfruttato e malpagato, una situazione angosciosa che ti spinge a sperare magari nell'offerta allettante di una proposta di lavoro semplice giunta magicamente all'indirizzo di posta elettronica.
Annunci questi, falsi che stanno aumentando in modo rapidissimo.
Vengono segnalati, in blog e forum, raccontando di essere incappati in offerte di lavoro all'apparenza uguali alle altre, ma che poi, in sede di colloquio, si sono rivelate ingannevoli o truffaldine.
Molte offerte di lavoro si mostrano evidentemente finte, già dall'annuncio.
Destreggiarsi tra le diverse offerte di lavoro sul web non è facile ed è per questo che vi suggeriamo alcune accortezze, per valutare al meglio quando, e se rispondere, ad un annuncio di lavoro.
Per evitare brutte sorprese, la prima cosa è cestinare senza rimpianti le offerte di lavoro in cui non è indicato il nome dell'azienda e non è presente neppure una presentazione in forma anonima del settore in cui opera e dell'attività che svolge.
Altro segnale sospetto è sicuramente quando l’annuncio risulta molto generico. Un esempio potrebbe essere quando nel titolo dell’annuncio ritrovate “Risorse Umane” e nella descrizione “Si selezionano due figure da occupare nel campo delle risorse umane per una prestigiosa azienda in via di espansione con sede… ”.
Perché si tratta di un fake?
Perché non si specifica il ruolo ricercato (ovvero il titolo dell’offerta è generico)
Perché nella descrizione non c’è alcun accenno alle attività da seguire ed ai requisiti minimi richiesti per il profilo (laurea, età).
Quindi, quando si riscontra questa mancanza di informazioni, vi consigliamo di non perdere tempo nel rispondere e di proseguire la vostra ricerca.
Un altro segnale per gli annunci fake, di solito, è la promessa di guadagni da vertigine a fronte di un lavoro da gestire da casa. Leggendolo, le condizioni proposte potrebbero anche risultare allettanti, ma sono molto scarse le probabilità che si tratti di un annuncio di lavoro vero. Inoltre, per questi annunci si associa anche la vendita di un kit di lavoro, che viene presentato come necessario per l’avvio di un’attività’ a domicilio.
Allo stesso modo, meglio stare alla larga dalle offerte che cercano profili generici e che propongono attività vaghe, infatti le aziende serie sono sempre molto attente ai requisiti professionali e personali delle persone da inserire e in tempi di crisi diventano ancora più esigenti: gli annunci che promettono lavori facili e alte remunerazioni nella quasi totalità dei casi nascondono una truffa.
Il linguaggio utilizzato diventa un altro segnale di non autenticità: diffidate da comunicazioni inviate con un format grafico ed un linguaggio scorretto o sgrammaticato, perché molti sono i casi di phishing via email o web.
Assieme a questi suggerimenti di analisi, proponiamo anche l’utilizzo dei motori di ricerca per raccogliere informazioni sull'azienda, (come ad esempio LinkedIn ) per capire la sua localizzazione, individuare le persone che già lavorano e verificare direttamente che non si tratti di una truffa.
Per maggiore credibilità, spesso in questi annunci è inserito un indirizzo mail nome, cognome o un numero di cellulare, ma la questione non cambia: i dati il più delle volte sono finti e la scheda telefonica attivata solo per il tempo della ricerca.
E' bene anche diffidare dalle offerte di lavoro che richiedono l'invio di dati personali riservati, del codice fiscale, del numero della carta di credito o del conto corrente per le ragioni più svariate e spesso (purtroppo) apparentemente legittime e del tutto motivate: nessuno assume sulla base dell'anagrafica e/o del conto in banca. Anzi, gli annunci che non prevedono neppure un colloquio telefonico o via Skype sono da considerare finti e potenzialmente pericolosi.
E' sempre una buona regola cercare informazioni sulle aziende presso le quali ci si vuole candidare e, in certi casi, diventa un metodo infallibile per svelare subito la truffa. Online si può intanto verificare se la società esiste o meno oppure, quando non è indicato nessun nome, cercare opinioni sull'annuncio: molte volte si aprono pagine e pagine di discussioni che denunciano l'illegalità dell'offerta in questione.
Le società serie pubblicano i loro annunci di ricerca personale su siti importanti di reclutamento oppure si avvalgono di agenzie di lavoro: diffidate di chi vi rimanda ad un sito web in cui sono presenti le informazioni sul “lavoro da casa”.
Occasionalmente può capitare che qualche azienda si faccia pagare per un corso o training di avviamento al lavoro, ma ciò è molto ma molto raro, ed in ogni caso il costo del corso verrebbe detratto dal vostro primo stipendio e mai in nessun caso un’azienda seria vi richiederebbe di anticipare del danaro.
E’ molto più facile che il costo del training iniziale venga sostenuto dall'azienda stessa.
Un’azienda che vi sta offrendo un lavoro legittimo sia in ufficio che da casa vostra, probabilmente vuole vedere il vostro curriculum vitae e le vostre referenze, se si tratta di lavoro dipendente, oppure vuole vedere un esempio di vostri precedenti lavori e o referenze se si tratta di lavoro autonomo ed in ogni caso vi proporrà un contatto telefonico. Un’azienda che intende offrirvi un lavoro legittimo non vi chiederà mai del danaro per lavorare per loro.
Si è cercato di proporre una guida per riconoscere gli annunci di lavoro falsi e per difendersi dalle truffe e segnalare quella in cui si è eventualmente finiti, evitando ad altri la stessa spiacevole esperienza, il consiglio è allora di visitare il sito Bob Spammit, sempre aggiornatissimo e agguerrito contro chi vuole fare della sfortuna degli altri la propria fortuna.
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sabato 29 ottobre 2016
Società a cui si può applicare la procedura fallimentare
In primo luogo è essenziale chiedersi quali sono le società che possono fallire, e la risposta la troviamo nell'art. 1 della legge fallimentare, che parla dei presupposti del fallimento.
Di certo non possono fallire le società agricole, e nemmeno gli enti pubblici, possono invece fallire le società commerciali, ma solo quelle che superano uno dei parametri indicati dall'art. 1 legge fallimentare così come modificato dal d.lgs. n. 169\2007.
Anche altri soggetti collettivi, che non sono società, possono fallire; ricordiamo i consorzi, le associazioni e fondazioni che abbiano come scopo l'esercizio di un'attività commerciale.
Gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l'insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l'anno successivo.
Il passaggio dell'anno rende quindi impossibile chiedere il fallimento della società, e ciò si comprende dal secondo comma dell'art. 10 che permette di chiedere ancora il fallimento dopo l'anno, ma solo per gli imprenditori individuali e per le società cancellate d'ufficio dal registro delle imprese che abbiano, nonostante la cancellazione, continuato l'attività.
In merito alla istanza di fallimento la legge stabilisce chi sono i soggetti che possono chiedere, nel caso di società, il concordato fallimentare:
per le società di capitali e cooperative la richiesta di fallimento è di competenza degli spetta agli amministratori, anche se sembra opportuno che questi convochino l'assemblea straordinaria prima di decidere in proposito;
per le società di persone la questione è più complessa, perché il fallimento della società di persone comporta il fallimento dei soci illimitatamente responsabili; si va quindi dalle tesi che ritengono che sia sufficiente la maggioranza assoluta del capitale, a chi ritiene, invece, necessaria l'unanimità.
Per le S.P.A. si attribuisce il potere di esercitare le azioni di responsabilità al curatore; sappiamo, però, che la S.P.A. può assumere diverse forme di amministrazione e controllo, secondo il sistema dualistico e monistico.
In merito alla s.r.l. la legge fa riferimento alla azione di responsabilità che può essere proposta da ciascun socio, mentre non vi è alcun riferimento alla azione di responsabilità che nella s.r.l. potrebbe essere proposta dai creditori sociali.
Non tutte le società possono fallire.
La normativa fallimentare ha infatti chiarito che non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento sia gli enti pubblici che gli imprenditori che dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti:
aver avuto nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza d fallimento un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro 300.000;
aver realizzato, negli ultimi tre esercizi, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo superiore ad euro 200.000;
avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro 500.000.
Gli imprenditori che dimostrino di rientrare contemporaneamente in tutti e tre i parametri indicati non possono, quindi, essere dichiarati falliti.
Conseguentemente potranno fallire solo gli imprenditori che avranno superato almeno uno di questi parametri.
La nuova legge fallimentare ha introdotto un espresso limite relativo alla richiesta di fallimento dell’imprenditore secondo la legge “non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria prefallimentare è complessivamente inferiore ad € 30.000”.
Tale norma determina un restringimento dell’area di fallibilità dell’imprenditore e pone a carico dei lavoratori importanti limitazioni per l’effettivo recupero dei diritti retributivi e contributivi dall’area del fallimento. Spesso, infatti, i crediti che i lavoratori vantano nei confronti del proprio datore di lavoro sono nettamente inferiori ad € 30.000 e questo nuovo limite determina l’obbligo per il singolo lavoratore di intraprendere diverse azioni rispetto dalla richiesta di fallimento, ossia azioni ordinarie di recupero crediti che sono molto più lunghe ed onerose.
Quando un datore di lavoro fallisce, frequentemente i suoi dipendenti si trovano ad essere creditori di una o più retribuzioni non corrisposte nonché, in caso di risoluzione del rapporto, delle spettanze di fine rapporto. In questa ipotesi, il primo passo che il lavoratore creditore deve compiere per salvaguardare i propri diritti è la presentazione al giudice fallimentare di un ricorso per l’ammissione al passivo ai sensi dell’art. 93 Legge Fallimentare. Con tale atto, il lavoratore rivendica tutti i crediti vantati nei confronti del fallito e il giudice fallimentare decide sulla sussistenza e sull’ammontare degli stessi (l’insieme delle domande di ammissione al passivo andrà a formare lo stato passivo del fallimento).
Il lavoratore può chiedere al Fondo di garanzia dell'Inps il pagamento delle ultime tre retribuzioni, che non siano state corrisposte dal datore di lavoro, sempre che le retribuzioni in questione rientrino nei dodici mesi precedenti la sentenza dichiarativa di fallimento del datore di lavoro. Pertanto si deve ritenere che l'intervento del Fondo di garanzia dell'Inps, per il pagamento dei crediti di lavoro inerenti gli ultimi tre mesi del rapporto, debba operare in tutti i casi in cui tali crediti siano sorti nei dodici mesi antecedenti l'apertura della procedura per la dichiarazione di fallimento, e non nei dodici mesi antecedenti la sentenza che abbia dichiarato il fallimento del datore di lavoro. link manuale
Ovviamente, non tutti i crediti godono di uguale tutela, in particolare sono distinguibili essenzialmente due categorie di crediti: quelli muniti di privilegio e quelli non muniti di privilegio (chirografari). I crediti nascenti dal rapporto di lavoro appartengono alla prima categoria e, dunque, sono privilegiati rispetto ad altri. Durante la procedura fallimentare, accanto allo stato passivo, si andrà a formare (se possibile) uno stato attivo del fallimento (dato, essenzialmente, dalla vendita dei beni mobili e immobili di proprietà dell’impresa dichiarata fallita). Al termine delle operazioni succintamente spiegate il giudice fallimentare procede alla distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione dell’attivo.
In buona sostanza, il ricavato del fallimento viene suddiviso fra i vari creditori con il seguente ordine:
1) pagamento delle spese, comprese quelle anticipate dall’erario, e dei debiti contratti per l’amministrazione del fallimento e per la continuazione dell’esercizio dell’impresa (se è stata autorizzata);
2) pagamento dei crediti ammessi con privilegio;
3) pagamento dei creditori chirografari in proporzione dell’ammontare dei loro crediti. E’ possibile, dunque, che il lavoratore venga interamente soddisfatto dei suoi crediti; tuttavia, spesso accade che egli lo sia solo parzialmente. In quest’ultimo caso, il lavoratore potrà presentare domanda, nei limiti già indicati, al Fondo di Garanzia istituito presso Inps.
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venerdì 28 ottobre 2016
Giovani e lavoro: competenze non in linea con le qualifiche
I giovani italiani non trovano lavoro perché non hanno competenze adeguate, secondo una ricerca condotta da Università Bocconi e J.P. Morgan evidenzia le problematiche del mercato del lavoro italiano. Poco spazio ai laureati in materie scientifiche, che risultano essere troppo qualificati rispetto al tessuto produttivo italiano. Lo studio: «Competenze non in linea con le qualifiche». Difficile la transizione tra scuola e lavoro. E per il 30% dei laureati scientifici non ci sono posti abbastanza qualificati
Una conferma: il mercato del lavoro italiano registra fortissime disuguaglianze in termini di età, genere, area geografica e titolo di studio. E una sorpresa: ciò che penalizza di più, nella ricerca di un impiego, è il dato anagrafico. Insieme alla mancanza delle competenze specifiche richieste dai datori di lavoro, che a volte sono carenti, ma, più spesso, «eccessive». Sono i risultati della prima edizione dello studio «Employment, Skills and Productivity in Italy», realizzato dall'Università Bocconi di Milano, nell'ambito del progetto «New Skills at Work» di J.P. Morgan, presentati giovedì a Milano, nell'ateneo di via Sarfatti, alla presenza del sottosegretario alla Presidenza del consiglio dei ministri, Tommaso Nannicini e del presidente dell’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, Maurizio Del Conte.
Nel 2015 - è la sintesi - il profilo più avvantaggiato (maschio, 40-44 anni, residente al Nord, laureato) aveva il 50,3% di possibilità di lavorare in più rispetto al profilo più svantaggiato (donna, 20-24 anni, residente al Sud, con licenza media o titolo inferiore). L'età pesa per il 56% della differenza e i dati suggeriscono la necessità di politiche rivolte ai più giovani. Perché i ragazzi italiani tra i 15 e i 24 anni costituiscono il 6,5% della forza lavoro, ma ben il 20,3% dei disoccupati di lungo periodo, mentre la differenza tra i tassi di disoccupazione dei giovani e degli adulti, tra il 2007 e il 2015, è salita dal 14% al 31%.
A risultare particolarmente critica (e a spiegare, in parte, il mancato incontro tra domanda e offerta di lavoro) è la mancata corrispondenza tra quello che si impara a scuola e le richieste del mercato del lavoro. I titoli rilasciati, poi, risultano «poco informativi» delle effettive competenze dei diplomati e dei laureati. Se si guarda la corrispondenza tra qualifica e posizione, la percentuale di lavoratori in posizioni non in linea con il loro titolo di studio è molto alta. Ma la discrepanza si riduce se, anziché le qualifiche, si prendono in esame le competenze: in questo caso il 76% dei «sovraqualificati» e il 79% dei «sottoqualificati» ricopre una posizione consona. E la percentuale di effettivi «over-skilled» (14%) e «under-skilled» (9%) risulta' in linea con il resto del mondo.
Anche depurato dell'equivoco di fondo, il dato resta però problematico: l'over-skilling è maggiormente diffuso tra i laureati (19,6%) e raggiunge una percentuale altissima (30%) tra i laureati in materie scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche, perché la struttura produttiva italiana, a causa della concentrazione nei settori tradizionali e della larga diffusione della piccola impresa, sembra offrire soprattutto impieghi poco qualificati, che non consentono l'utilizzo e il mantenimento delle competenze. Dati sui quali la banca d'affari lavorerà per «informare i nostri futuri interventi filantropici in collaborazione con organizzazioni locali per sostenere la realizzazione di programmi di formazione professionale di alta qualità che possano contribuire a ridurre l’elevata disoccupazione», ha dichiarato Guido Nola, senior country officer di J.P. Morgan Italia.
Il progetto di ricerca triennale, varato nel 2013, è parte di un programma globale, del valore di 250 milioni di dollari, promosso da J.P. Morgan in Europa per contrastare la disoccupazione, migliorare la struttura del mercato e sviluppare una forza lavoro competente e capace di rispondere alle esigenze attuali e future del mercato del lavoro.
L'over-skilling è maggiormente diffuso tra i laureati (19,6%) e raggiunge una percentuale altissima, pari al 30%, tra i laureati in materie scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche a causa dell'inadeguatezza della struttura produttiva italiana, costituita da piccole e medie imprese a basso valore aggiunto e che per questo motivo offre impieghi poco qualificati e poco adatti a questo tipo di laureati.
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Riforma del lavoro autonomo le novità
Tra le principali misure contenute nel Jobs Act lavoro autonomo citiamo le novità sul fronte dell’equiparazione fra professionisti e imprese, congedo parentale per lavoratori autonomi iscritti alla Gestione Separata, sportelli dedicati nei centri per l’impiego, misure per la conciliazione vita – lavoro.
Il Ddl prevede l’applicazione della tutela dei tempi di pagamento anche alle transazioni commerciali che avvengono tra lavoratori autonomi e Pubblica Amministrazione, con il divieto di prolungare i tempi di pagamento oltre i 60 giorni dalla fattura, pena la corresponsione degli interessi moratori sull'importo dovuto, decorrenti dal giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento.
Viene fatto divieto al committente di modificare unilateralmente le condizioni del contratto, rendendo nulla qualsiasi clausola che vada in tal senso. In caso di contratto avente ad oggetto una prestazione continuativa, il committente non può inoltre recedere da esso senza congruo preavviso. In violazione di tale norma il lavoratore autonomo ha diritto ad un risarcimento del danno.
Viene esteso anche ai lavoratori autonomi l’abuso di dipendenza economica, ovvero l’abuso legato alla possibilità di un’impresa di determinare, nei rapporti commerciali con un lavoratore autonomo, un eccessivo squilibrio di diritti e obblighi.
Viene introdotto nei centri per l’impiego uno sportello dedicato al lavoro autonomo e si stabilisce che centri per l’impiego e agenzie per il lavoro devono dotarsi di uno sportello per il lavoro autonomo per assicurare l’accesso alle informazioni sul mercato anche con riferimento a commesse e appalti pubblici, nonché alle opportunità di credito e alle agevolazioni pubbliche (art. 6).
Si statuisce altresì l'accesso alle informazioni relative all’accesso agli appalti pubblici e la promozione, da parte delle pubbliche amministrazioni, della partecipazione dei lavoratori autonomi agli appalti pubblici (art. 7).
Si ampia la fruizione della indennità di maternità (per i due mesi che precedono il parto e per i tre mesi successivi) a prescindere dall’effettiva astensione dal lavoro (art. 8).
Vengono poi previste modifiche alla deducibilità delle spese relative a prestazioni alberghiere e di somministrazione di alimenti e bevande, spese di formazione e per la certificazione delle competenze, ricerca e sostegno dell’autoimprenditorialità e oneri sostenuti per assicurazioni contro il mancato pagamento delle prestazioni di lavoro autonomo.
Maternità/paternità
Viene previsto per gli iscritti alla Gestione Separata il diritto ad un trattamento economico per congedo parentale, esteso a sei mesi dai precedenti tre, il diritto alla maternità retribuito (introdotto un principio di sussidiarietà per cui la lavoratrice autonoma in maternità può essere sostituita da familiari).
Rapporti di lavoro autonomo sono quelli definiti dall'articolo 2222 del codice civile e riguarda i contratti con cui il lavoratore si obbliga a compiere, verso un corrispettivo, un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente. Sono esplicitamente esclusi gli imprenditori, ivi compresi i piccoli imprenditori.
Vengono previste tutele per le transazioni commerciali tra lavoratori autonomi ed imprese, tra lavoratori autonomi e amministrazioni pubbliche relativamente ai ritardi nei pagamenti e alla relativa maturazione di interessi. Sono fatte salve eventuali disposizioni più favorevoli.
Sono abusive e prive di effetto le clausole che attribuiscano al committente la facoltà di modificare unilateralmente le condizioni del contratto o, nel caso di contratto avente ad oggetto una prestazione continuativa, di recedere da esso senza congruo preavviso, nonché le clausole mediante le quali le parti concordino termini di pagamento superiori a sessanta giorni dalla data del ricevimento, da parte del committente, della fattura o della richiesta di pagamento. Si considera abusivo il rifiuto del committente di stipulare il contratto in forma scritta.
Prevede che i diritti di utilizzazione economica relativi ad apporti originali ed a invenzioni realizzati nell’esecuzione del contratto spettino al lavoratore autonomo, fatta salva l'ipotesi in cui l’attività inventiva sia prevista come oggetto del contratto e a tale scopo compensata. Si ricorda che, per i lavoratori dipendenti, i diritti di utilizzazione economica spettano al datore di lavoro, sempre che gli apporti originali e le invenzioni siano state fatte nell'esecuzione del contratto di lavoro.
Viene conferita delega al Governo per l’adozione entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge, di adottare uno e più decreti legislativi in materia di rimessione di atti pubblici alle professioni ordinistiche per:
l’assolvimento di compiti e funzioni finalizzati alla deflazione del contenzioso giudiziario
semplificazioni in materia di certificazione dell’adeguatezza dei fabbricati alle norme di sicurezza ed energetiche, anche attraverso l’istituzione del fascicolo del fabbricato
viene conferita delega al Governo in materia di sicurezza e protezione sociale dei professionisti iscritti agli ordini, per rafforzare le prestazioni sociali nei confronti di chi ha subito una riduzione del reddito per ragioni non dipendenti dalla propria volontà o per gravi patologie. A questo fine gli enti di previdenza potranno richiedere agli iscritti un apposito contributo finalizzato a tale scopo.
Vengono introdotte disposizioni fiscali e sociali concernenti:
la deducibilità delle spese relative a prestazioni alberghiere e di somministrazione di alimenti e bevande sostenute dall'esercente arte o professione per l'esecuzione di un incarico e addebitate analiticamente in capo al committente. In particolare viene previsto che tutte le spese relative all'esecuzione di un incarico conferito e sostenute direttamente dal committente non costituiscono compensi in natura per il professionista. La modifica si applica già dal 2016.
Gli iscritti alla gestione separata non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie hanno diritto ad un trattamento economico per congedo parentale per un periodo massimo pari a sei mesi entro i primi tre anni di vita del bambino. La norma di applica dal 1 gennaio 2017.
Le gravi malattie oncologiche o che comunque comportano una inabilità lavorativa temporanea del 100 per cento sono equiparati alla degenza ospedaliera.
Viene modificata la normativa sulla deducibilità delle spese:
di formazione per le quali viene prevista l’integrale deduzione entro il limite di 10mila euro;
per le spese sostenute per la certificazione delle competenze, ricerca e sostegno dell'autoimprenditorialità, entro il limite di 5mila euro annui;
per gli oneri sostenuti per la garanzia contro il mancato pagamento delle prestazioni di lavoro autonomo, fornita da forme assicurative o di solidarietà.
I centri per l'impiego ed i soggetti accreditati a svolgere funzioni e compiti in materia di politiche attive per il lavoro devono dotarsi in ogni sede aperta al pubblico, di uno sportello dedicato al lavoro autonomo, per raccogliere le domande e le offerte di lavoro autonomo, consentendo l'accesso alle relative informazioni ai professionisti ed alle imprese che ne facciano richiesta.
Viene conferita Delega al Governo per la semplificazione della normativa di salute e sicurezza degli studi professionali , attraverso l’emanazione di uno o più decreti legislativi
prevede che le amministrazioni pubbliche promuovano, in qualità di stazioni appaltanti, la partecipazione dei lavoratori autonomi agli appalti pubblici, favorendo il loro accesso alle informazioni relative alle gare pubbliche
Tutela la gravidanza e la malattia dei lavoratori autonomi che prestino la loro attività in via continuativa per il committente. Detti lavoratori avranno diritto alla conservazione del rapporto di lavoro - con sospensione del medesimo e senza diritto al corrispettivo -, per un periodo non superiore a centocinquanta giorni per anno solare, in caso di gravidanza, malattia o infortunio, fatto salvo il venir meno dell’interesse del committente.
Viene modificata la nozione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa posta, ai fini dell'inclusione dei medesimi nell'ambito del rito speciale per le controversie in materia di lavoro, dal codice di procedura civile.
Lavoro agile o smart working è una prestazione di lavoro subordinato prestata, parzialmente, all'interno dei locali aziendali e dietro i soli vincoli di orario massimo desunti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.
I principi cardine del lavoro agile sono semplici: vengono meno i vincoli legati a luogo e orario lavorativo; il dipendente organizza il lavoro in piena autonomia e flessibilità; acquista maggior importanza la responsabilità personale dei risultati ottenuti.
L'obiettivo, quindi, è quello di costruire anche per i lavoratori autonomi un sistema di diritti e di welfare moderno capace di sostenere il loro presente e di tutelare il loro futuro.
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giovedì 27 ottobre 2016
Google è il miglior posto di lavoro, ecco i migliori
Secondo la classifica Great Place to Work 2016 è Google - Ecco quali sono le altre 24 multinazionali al "top" nei rapporti coi dipendenti - Assenti le banche.
Per il quarto anno consecutivo la multinazionale di Mountain View si conferma in cima al podio. È seguita da Sas Institute, specializzata in information technology e business intelligence, e W. L. Gore & Associates, gli inventori del tessuto Gore-Tex.
La società di consulenza di San Francisco stila la classifica in base all'analisi di questionari sottoposti ai dipendenti di centinaia di multinazionali in tutto il mondo. I posti di lavoro da sogno si distinguono per il rapporto tra dipendenti e capi, la tranquillità sul luogo di lavoro, i compensi e i riconoscimenti per l’impegno e il merito.
Molti lavoratori Sas hanno detto che la multinazionale per cui lavorano è come una grande famiglia, dove trovi sempre qualcuno disposto ad aiutarti, collaborativo e solidale.
I dipendenti di W.L.Gore & Associates apprezzano il dialogo diretto con i grandi manager, Ceo incluso, e la sensazione che ognuno di loro si preoccupi del successo e della realizzazione dei lavoratori.
Quest’anno si conferma lo stesso identico podio dell’anno scorso: Mountain View svetta al primo posto seguita da un altro gruppo americano dell’information technology, Sas, e da un’altra multinazionale Usa, W.L. Gore, quella che produce il tessuto Gore-Tex. Il gruppo dei computer Usa Dell è quarto (e sale di due posti rispetto al 2015), la tedesca Daimler Financial quinta ed è una nuova entrata.
I posti di lavoro eccellenti si distinguono per essere organizzazioni in cui i collaboratori si fidano delle persone per cui lavorano, sono orgogliosi di ciò che fanno e si divertono con le persone con cui lavorano. Ma quali sono le motivazioni per cui un posto è meglio di un altro? Si va dal fatto che ogni dipendente ha l’opportunità di ottenere un riconoscimento speciale alla meritocrazia, dall'equilibrio tra lavoro e vita privata all'attenzione verso le persone. Ma anche dalla serenità dell’ambiente di lavoro dal punto di vista psicologico all'apprezzamento che i capi mostrano per un lavoro ben fatto e per un impegno particolarmente intenso. E anche l’equità dei compensi.
Google crede che la propria straordinaria capacità di produrre in modo continuo nuove soluzione e di adattarle alle mutevoli esigenze dei clienti dipenda in ultima analisi dai singoli collaboratori. Per questo l’azienda permette alle proprie persone di dedicare una parte del proprio tempo a progetti che non sono legati alle proprie responsabilità di ruolo.
SAS ritiene che l’equilibrio psicofisico delle persone sia alla base della loro efficienza e in ultima analisi della produttività dell’organizzazione. L’azienda non propone ai propri collaboratori servizi spot dedicati alla salute o alla forma fisica, ma un insieme integrato di servizi, informazioni e formazione per creare una vera e propria cultura del benessere, che abbraccia l’intera sfera degli stili di vita salutari, dall'alimentazione all'esercizio fisico e l’armonia psico-fisica, attraverso servizi come la palestra, iniziative sportive e momenti di informazione e formazione.
In W.L. Gore & Associates il focus è sullo sviluppo professionale. L’azienda vuole che le persone e i piccoli team, in cui essa è organizzata, operino con elevati livelli di autonomia. Per questo motivo la crescita delle persone è un fattore critico di successo. Ogni collaboratore di Gore, accanto al proprio superiore diretto, ha uno «sponsor», una persona che fa parte del management aziendale, la quale ha il compito di aiutare il collega nel proprio sviluppo professionale.
Dell ritiene che ascolto e coinvolgimento dei collaboratori nelle decisioni siano gli elementi chiave per costruire una cultura funzionale al proprio successo. Il top management aziendale si incontra una volta al mese con specifici target della popolazione, come ad esempio donne e millennial, per affrontarne le specifiche problematiche. L’azienda ha inoltre creato un gruppo di lavoro, detto degli “ambassador”, aperto a tutti coloro che desiderano farne parte, che ha il compito di raccogliere commenti e suggerimenti in tutte le fasce della popolazione aziendale.
Daimler Financial Services vede nei processi di comunicazione e nell’interazione con i propri dipendenti il modo attraverso cui attuare il miglioramento continuo della propria organizzazione. Numerosi sono i progetti di potenziamento dei propri processi che vedono coinvolti i collaboratori a tutti i livelli. La leadership aziendale è inoltre impegnata con cadenza settimanale in incontri di lavoro con le persone, nonché in incontri informali come i pranzi col top management.
«Anche quest’anno non troviamo nessuna azienda italiana tra i migliori ambienti di lavoro al mondo— commenta l’amministratore Delegato di Great Place to Work Italia Alessandro Zollo — . Lo stesso era accaduto nella classifica europea pubblicata a giugno. Questi risultati non sono certo una novità, ma nascondono il crescente interesse delle stesse aziende italiane per la misurazione del clima organizzativo. Da alcuni anni, infatti, anche nelle realtà italiane sta prendendo piede la convinzione che ci sia una forte relazione tra l’aumento della produttività aziendale e l’impegno e la passione dei propri collaboratori».
Ecco di seguito al classifica delle 25 multinazionali dove lavorare è un piacere.
1. Google
2. SAS Institute
3. W. L. Gore & Associates
4. Dell
5. Daimler Financial Services
6. NetApp
7. Adecco
8. Autodesk
9. Belcorp
10. Falabella
11. Hyatt
12. Mars
13. Accor
14. Cisco
15. Cadence Design Systems
16. Atento
17. Hilton
18. Scotiabank
19. Diageo
20. S. C. Johnson
21. EY
22. Adobe
23. Monsanto
24. 3M
25. American Express
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domenica 23 ottobre 2016
Giorno festivo: normale retribuzione anche in caso di rifiuto a lavorare
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21209 del 2016 è intervenuta in tema di rifiuto dei dipendenti di lavorare in un giorno festivo, stabilendo il seguente principio: “… il diritto del lavoratore di astenersi dall'attività lavorativa in caso di festività è pieno ed ha carattere generale e quindi non rilevano le ragioni che hanno determinato l’assenza di prestazione, peraltro stabilita dalla legge. La Corte quindi, ha chiarito che, in caso di rifiuto dei dipendenti di prestare servizio in una giornata festiva, il datore di lavoro è comunque tenuto a riconoscere la normale retribuzione, anche in presenza di una disposizione del contratto collettivo che esclude il diritto del lavoratore di rifiutarsi, salvo giustificato motivo.
Il ricorso presentato da una società che aveva trattenuto dalla busta paga dei propri dipendenti la retribuzione relativa ad un giorno festivo (8 dicembre) durante il quale non era stata eseguita la prestazione lavorativa precettata dall'impresa. In realtà, la trattenuta era stata effettuata dalla società sulla base di una disposizione contenuta nel contratto collettivo secondo la quale nessun lavoratore può rifiutarsi, salvo giustificato motivo, di compiere lavoro straordinario, notturno e festivo.
Un gruppo di dipendenti di una nota azienda metalmeccanica avevano fatto domanda al Tribunale, affinché venisse loro pagato la festività, anche se si erano rifiutati di lavorare l’8 dicembre.
Il contratto CCNL prevede che: “ nessun lavoratore può rifiutarsi, salvo giustificato motivo, di compiere lavoro straordinario, notturno e festivo”. Quindi la festività va sempre pagata anche se il lavoratore si rifiuta, al massimo si può applicare una sanzione disciplinare.
Secondo i giudici il diritto del dipendente di astenersi dall’attività ordinaria durante le festività costituisce un diritto che discende direttamente dalla legge, pertanto non può essere vanificato da una disposizione contrattuale collettiva.
Pertanto, non era stata condivisa la tesi della società secondo cui il lavoratore che non abbia svolto l'attività lavorativa durante la detta festività, come nel caso in esame, avrebbe potuto rivendicare la normale retribuzione solo se la sua assenza sia dipesa da uno dei motivi indicati dalla disposizione; ciò in considerazione del carattere generale delle regola di diritto alla festività normalmente retribuita.
Il rifiuto dei lavoratori a prestare la propria attività durante un giorno festivo, non può in alcun modo incidere sul trattamento retributivo ordinario, poiché la retribuzione della festività non lavorata è prevista dalla legge, tuttavia, i giudici sottolineano che, in virtù della disposizione presente nel contratto collettivo, il datore di lavoro avrebbe potuto avviare un’azione disciplinare, dato che il rifiuto dei lavoratori non era stato corroborato da un giustificato motivo.
Il trattamento economico ordinario deriva … direttamente dalla legge e non possono su questo piano aver alcun rilievo le disposizioni contrattuali, e per di più il datore di lavoro quindi non può esimersi dal corrispondere la retribuzione ai dipendenti se questi rifiutano di lavorare in una giornata festiva, nonostante sia presente una norma del CCNL che dispone che il lavoratore non possa rifiutarsi, salvo giustificato motivo, di compiere lavoro festivo. Pertanto, il rifiuto di prestare lavoro in un giorno festivo non avrà incidenza sulla normale retribuzione.
Il rifiuto dei dipendenti di prestare servizio in una giornata festiva non può esimere il datore di lavoro dal versamento della normale retribuzione, neppure in presenza di una disposizione del contratto collettivo a norma della quale il lavoratore non può rifiutarsi, salvo giustificato motivo, di compiere lavoro festivo. La Cassazione, con sentenza 21209/2016, ha precisato che il diritto del dipendente di astenersi dall’attività lavorativa in presenza di determinate festività discende direttamente dalla legge e ha carattere generale, ragion per cui il relativo trattamento retributivo non può essere messo in discussione da una disposizione, eventualmente anche di segno contrario, della contrattazione collettiva.
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sabato 22 ottobre 2016
Calcolo della liquidazione del TFR
Dopo un periodo di lavoro il dipendente può chiedere all'azienda la sua situazione il TFR e quanto è riuscito ad accantonare in un determinato lasso di tempo. Il trattamento di fine rapporto TFR, chiamato comunemente liquidazione, è la somma che spetta al lavoratore dipendente al termine del lavoro, o dopo un periodo di lavoro in un'azienda.
Per quanto riguarda il TFR, il datore di lavoro, ogni anno effettua un accantonamento, il quale rappresenta un costo per l'azienda.
Il TFR (Trattamento di Fine Rapporto) chiamato anche liquidazione, è un compenso che viene corrisposto al lavoratore in maniera differita, ossia alla cessazione del rapporto di lavoro. Per questa ragione l'accantonamento annuo del TFR viene considerato dal datore di lavoro come un normale costo di competenza dell'esercizio (al pari del salario stesso). In passato il TFR veniva chiamato indennità di anzianità perché il suo scopo era quello di fungere da buonuscita per i lavoratori che rimanevano per molti anni a lavorare in azienda.
Per cominciare è necessario essere in possesso di tutta la documentazione completa del proprio rapporto di lavoro con il datore di lavoro che deve erogare il TFR. Detto questo ne distinguiamo due diversi tipi: il Tfr lordo, che serve ai fini del calcolo di quanto spetta al lavoratore dipendente, e quello netto, che rappresenta la cifra effettiva in denaro che questi percepirà.
Materialmente la busta paga TFR è un cedolino riepilogativo delle principali voci della liquidazione del dipendente, con le specifiche delle rivalutazioni ISTAT, le eventuali anticipazioni, le ritenute fiscali, gli acconti e l'importo netto finale che spetta al lavoratore. Vediamo ora come si calcola.
Alla cessazion di un rapporto di lavoro subordinato, al lavoratore spetta il TFR e il suo calcolo si farà sulla base dei mesi lavorati o frazioni di mese (almeno 15 giorni). Nel computo del TFR rientrano tutti gli elementi retributivi che hanno natura tipica, normale e ripetitiva e non occasionale, fatta eccezione per i contratti collettivi che prevedono un diverso trattamento.
Sono dunque nello specifico: gli aumenti periodici di anzianità, le provvigioni, il minimo contrattuale, la maggiorazione turni, i superminimi, i premi presenza, il cottimo, l'indennità maneggio denaro, i valori mensa, importi forfetari, indennità per disagiata sede, prestazioni retributivi in natura e premi e partecipazioni (tutto ciò che non ha natura occasionale).
Ai fini del calcolo del TFR vengono computate anche altre voci come: la malattia che viene considerata come giornata lavorata e il calcolo quindi viene fatto sulla retribuzione giornaliera normale alla quale il lavoratore avrebbe avuto diritto; la maternità che viene anch'essa considerata come periodo normale lavorato ai fini del calcolo del TFR; i permessi se chiaramente spetta una retribuzione; l'infortunio che viene considerato come periodo lavorato ai fini del TFR come fosse un periodo di lavoro normale.
Per l'adeguamento all'inflazione, ai fini del calcolo bisogna tenere presente, al 31 dicembre di ogni anno (o se avviene prima quando cessa il rapporto di lavoro), la somma complessiva accantonata al 31 dicembre dell'anno precedente, tenendo presenti il tasso fisso dell'1,50% e il tasso a misura variabile pari al 75% dell'aumento dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie accertato dall'ISTAT. Va poi detto che l'ammontare della rivalutazione annua costituisce la base imponibile separata che è soggetta a imposta sostitutiva dell'11%. Dall'importo annualmente accantonato si detrae poi il contributo previdenziale a favore del Fondo di Garanzia nazionale per il trattamento di fine rapporto, calcolato sull'imponibile previdenziale dell'anno che attualmente è lo 0,50%.
Per il calcolo del TFR, la retribuzione presa in considerazione è l'insieme delle somme corrisposte dal dipendente: non vengono invece conteggiati i rimborsi spese. Per calcolarlo si utilizza di solito un modello in Excel che somma per tutti gli anni di servizio una quota che corrisponde alla retribuzione dovuta, e il totale va diviso per 13,5.
Si può dedurre il dato lordo del TFR dall’ultimo Modello Cud ricevuto dal datore di lavoro, dove è riportata la cifra complessiva lorda accantonata .A questo punto fare cosi:
Prendere il Tfr lordo, e applicarci la tassazione sulla base del proprio scaglione Irpef.
Vediamo la tabella, sugli scaglioni:
fino a 15000: 23 percento.
da 15000 fino a 28000: 27 percento.
da 28000 fino a 55000: 38 percento.
da 55000 fino a 75000: 41 percento.
da 75000 euro in poi: 43 percento.
E' utile sapere che l’anticipo del TFR non può eccedere del 70% della cifra accantonata alla data della richiesta. I datori di lavoro sono obbligati a soddisfare le richieste di anticipo della liquidazione dei dipendenti entro il 10% degli aventi titolo e comunque nei limiti del 4% del numero totale dei dipendenti. Infine è possibile ottenere l’anticipazione del TFR una sola volta nel corso di uno stesso rapporto di lavoro.
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venerdì 21 ottobre 2016
INPS: come effettuare i versamenti volontari
I contributi volontari Inps 2017 sono dei versamenti che il contribuente effettua in periodi di cessazione o interruzione della propria attività lavorativa per raggiungere e/o incrementare il numero dei contributi versati e l’importo della pensione. Una volta concessa l’autorizzazione dall'INPS, a procedere al versamento dei contributi volontari, il beneficio non decade anche se tali versamenti vengono interrotti e poi ripresi in un secondo momento.
Per incrementare l’importo della pensione i lavoratori possono versare contributi INPS a proprio carico. Un’opportunità valida per dipendenti o parasubordinati (collaborazioni coordinate e continuative, contratti a progetto), autonomi (artigiani, commercianti, professionisti in Gestione Separata, ecc.) e titolari di assegni di invalidità. Possono essere coperti con la contribuzione volontaria i periodi di inattività lavorativa come aspettativa non retribuita o contratto part-time (orizzontale o verticale) o in occasione di congedi o gravi e documentati motivi familiari, sciopero, interruzione del rapporto di lavoro con conservazione del posto per servizio militare, permessi per allattamento.
I destinatari sono i lavoratori dipendenti e autonomi, se non iscritti all’Inps o ad altre forme di previdenza e i lavoratori parasubordinati non iscritti alla gestione separata o ad altre forme di previdenza obbligatoria; inoltre la contribuzione volontaria è rivolta ai liberi professionisti che non siano iscritti all'apposita Cassa di previdenza o ad altre forme di previdenza obbligatoria, a quelli dei fondi speciali di previdenza se non iscritti ai relativi Fondi di settore o ad altra forma di previdenza obbligatoria e infine ai titolari di assegno ordinario di invalidità o di pensione indiretta alle stesse condizioni sopracitate. Ancora, possono richiedere l’autorizzazione alla prosecuzione volontaria i lavoratori iscritti alla gestione separata.
I versamenti volontari possono essere effettuati dai lavoratori, che hanno cessato o interrotto l’attività lavorativa, per:
perfezionare i requisiti di assicurazione e di contribuzione necessari per raggiungere il diritto ad una prestazione pensionistica;
incrementare l’importo del trattamento pensionistico a cui si avrebbe diritto, se sono già stati perfezionati i requisiti contributivi richiesti.
Il rilascio dell’autorizzazione ai versamenti volontari è subordinato alla cessazione ovvero all’interruzione del rapporto di lavoro che ha dato origine all’obbligo assicurativo.
L’autorizzazione ai versamenti volontari, peraltro, può essere concessa anche se il rapporto di lavoro (subordinato o autonomo) non è cessato nel caso di:
sospensione dal lavoro, anche per periodi di breve durata se tali periodi sono assimilabili alla interruzione o cessazione del lavoro ( aspettativa per motivi di famiglia, ecc… );
sospensione o interruzione del rapporto di lavoro previsti da specifiche norme di legge o disposizioni contrattuali successivi al 31.12.1996 (congedi per formazione, congedi per gravi e documentati motivi familiari, aspettativa non retribuita per motivi privati o malattia, sciopero, interruzione del rapporto di lavoro con conservazione del posto per servizio militare, ecc….) ;
attività svolta con contratto di lavoro part-time, se effettuati a copertura od ad integrazione dei periodi di attività lavorativa svolta a orario ridotto;
integrazione dei versamenti per attività lavorativa svolta nel settore agricolo con iscrizione per meno di 270 giornate complessive di contribuzione effettiva e figurativa nel corso dell’anno.
Possono richiedere l’autorizzazione alla prosecuzione volontaria anche i lavoratori iscritti alla gestione separata.
A cosa servono
Sono utili per coprire con la contribuzione i periodi durante i quali il lavoratore:
non svolge alcun tipo di attività lavorativa dipendente o autonoma (compresa quella parasubordinata);
ha chiesto brevi periodi di aspettativa non retribuita per motivi familiari o di studio;
ha stipulato un contratto part-time (orizzontale o verticale).
Domanda
La domanda può essere inoltrata esclusivamente in via telematica attraverso uno dei seguenti canali:
Web – avvalendosi dei servizi telematici accessibili direttamente dal cittadino tramite PIN attraverso il portale dell’Istituto, www.inps.it;
Contact Center Multimediale – chiamando il numero 803164 gratuito da rete fissa o il numero 06164164 da rete mobile a pagamento secondo la tariffa del proprio gestore telefonico;
patronati e tutti gli intermediari dell’Istituto - usufruendo dei servizi telematici offerti dagli stessi.
Requisiti
Per ottenere l’autorizzazione alla prosecuzione volontaria, l’assicurato deve poter far valere uno dei seguenti requisiti:
almeno 5 anni di contributi (260 contributi settimanali ovvero 60 contributi mensili) indipendentemente dalla collocazione temporale dei contributi versati;
almeno 3 anni di contribuzione nei cinque anni che precedono la data di presentazione della domanda.
I requisiti richiesti, per ottenere l’autorizzazione alla prosecuzione volontaria, devono essere perfezionati mediante contribuzione effettiva (obbligatoria), confluita sul conto assicurativo mediante trasferimento, ricongiunzione, riscatto ed alcuni tipi di contribuzione figurativa (CIG, TBC ed aspettativa per motivi politici o sindacali)
Da quando si paga
L’autorizzazione alla prosecuzione volontaria è concessa dal:
primo sabato successivo alla data di presentazione della domanda, per la generalità dei lavoratori dipendenti;
primo giorno del mese in cui è stata presentata la domanda, nel caso di lavoratori autonomi (artigiani e commercianti).
Se la domanda viene presentata prima della cessazione dell’attività lavorativa dipendente o autonoma, la decorrenza è fissata rispettivamente dal primo sabato successivo alla cessazione del rapporto di lavoro subordinato ovvero dal primo giorno del mese successivo alla cancellazione dagli elenchi per gli artigiani e i commercianti.
È possibile effettuare i versamenti volontari per i periodi che si collocano temporalmente nel semestre antecedente la data di presentazione della domanda, solo se non sono già coperti da altra contribuzione.
Come si paga
I contributi volontari possono essere versati:
utilizzando il bollettino MAV (Pagamento mediante avviso), che può essere pagato in una qualsiasi banca senza commissioni aggiuntive. Il bollettino Mav può essere richiesto, stampato e modificato, collegandosi al sito Internet www. inps.it, Portale Pagamenti – Versamenti Volontari
online sul sito Internet www.inps.it, utilizzando la carta di credito.
telefonando al numero 803164 gratuito da rete fissa o al numero 06164164 da rete mobile a pagamento secondo la tariffa del proprio gestore telefonico, utilizzando la carta di credito.
È possibile effettuare una copertura contributiva per periodi inferiori al trimestre versando un importo ridotto (dichiarando i dati da sostituire all’operatore, se il pagamento avviene per telefono o utilizzando la procedura a disposizione sul sito Internet per pagamenti on line o per generare un nuovo MAV stampabile).
Quando si paga
Il versamento dei contributi volontari per i periodi:
arretrati (compresi tra la data di decorrenza dell’autorizzazione e il trimestre immediatamente antecedente a quello relativo al primo bollettino Mav prestampato), deve essere eseguito entro il trimestre solare successivo a quello di ricezione del provvedimento di accoglimento della domanda;
correnti (per i quattro trimestri di ogni anno) deve essere effettuato entro il trimestre solare successivo a quello di riferimento. Ad esempio, per coprire il primo trimestre (gennaio-febbraio-marzo) il versamento deve essere effettuato entro il 30 giugno.
I contributi volontari a copertura dei periodi scoperti di contribuzione che si collocano nel semestre antecedente la data di decorrenza dell’autorizzazione devono essere versati con le stesse modalità previste per il versamento degli arretrati ed unitamente agli stessi.
I versamenti effettuati oltre i previsti termini di scadenza sono nulli e rimborsabili.
Quanto si paga
Per i lavoratori dipendenti, l’importo del contributo dovuto è settimanale e viene calcolato sulla base delle ultime 52 settimane di contribuzione obbligatoria anche se non collocate temporalmente nell'anno immediatamente precedente la data di presentazione della domanda.
Per i lavoratori autonomi (artigiani e commercianti), l’importo del contributo dovuto è mensile e viene determinato sulla media dei redditi da impresa denunciati ai fini Irpef negli ultimi 36 mesi di contribuzione precedenti la data della domanda.
Per i coltivatori diretti, l’importo del contributo è settimanale e viene determinato sulla base della media dei redditi degli ultimi tre anni di lavoro. Non può comunque essere inferiore a quello previsto per i lavoratori dipendenti.
Cosa succede se si pagano in ritardo i contributi volontari?
In questo caso l’INPS provvede a restituire la somma versata senza interessi e non accredita i contributi. Tuttavia il lavoratore può sempre chiedere che l’importo pagato sia usato per coprire il trimestre successivo. Se viene versata una somma inferiore a quella dovuta, il periodo coperto viene ridotto in misura proporzionale al versamento effettuato. Se la cifra versata è superiore, l’eccedenza viene restituita.
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Come sostenere un colloquio di lavoro
Le parole d’ordine sono sempre le stesse arrivare preparati, stare tranquilli e pensare che mentre stiamo andando al colloquio di lavoro stiamo andando da un amico per raccontare le nostre esperienze di lavoro. Sembra una banalità ma spesso si trascurano proprio le cose più semplici e più naturali.
Un passo decisivo nell'incontro tra offerta e domanda di un posto di lavoro è l’immagine che si trasmette di sé. Durante il colloquio, con l’interloquire davanti al futuro datore di lavoro o chi per lui è incaricato di scegliere persona giusta per rivestire un determinato ruolo lavorativo. Ecco perché è indispensabile valorizzare le proprie competenze professionali cercando di far capire di essere un buon candidato e il migliore possibile), ma allo stesso tempo oltre a ciò che dirai è importante anche apparire nel modo giusto. In questa piccola guida potrai apprendere tutto quanto è necessario per farei i passi giusti durante il colloquio.
Complimenti, siete stati chiamati per un colloquio! Significa che la vostra lettera di presentazione e il CV hanno suscitato una buona impressione e che i selezionatori e i responsabili delle Risorse Umane vogliono sapere di più su di voi. Per molte persone un colloquio di lavoro è estremamente stressante. L’arma migliore per superare la tensione e fare un colloquio di successo è una buona preparazione.
Prima di tutto, dovete fare in modo di sapere il più possibile sull'azienda in cui vorreste fare un colloquio di successo. Queste informazioni non solo vi aiuteranno a comprendere se i vostri valori sono allineati con quelli dell’azienda, ma faranno percepire all'intervistatore la vostra serietà. E importante vedere con attenzione il sito web dell’azienda. Cercate di informarvi sulla struttura interna, sugli obiettivi a lungo termine e sulla filosofia aziendale. Restate sempre aggiornati sulle notizie relative alla società o al settore, e utilizzate i social web per capire che tipo di immagine l'azienda vuole trasmettere all’esterno. Più informazioni trovate, meglio potrete prepararvi al colloquio di successo.
Esaminate in modo approfondito la descrizione dell'impiego. In base a come si presenta l’annuncio di lavoro, potete facilmente capire quali domande vi saranno rivolte in sede di colloquio. Inoltre, esaminando la descrizione delle mansioni, potrebbero venire in mente anche a voi delle domande da fare. Preparatevi queste domande per ottenere un colloquio di successo. Ricordatevi cosa vi ha spinto a candidarvi e spiegatelo durante il vostro colloquio di successo. Date un’occhiata finale al CV e alla lettera di presentazione: l’azienda vi ha chiamato per una ragione precisa, quindi siate certi di conoscere i vostri principali punti di forza prima di iniziare il colloquio di successo.
Fate una ricerca su quali sono le domande più comuni in un colloquio di successo e provate le vostre risposte. Integrate con esempi tratti dalla vostra esperienza, che mettano in risalto il motivo per cui siete le persone giuste per quella posizione. Se esistono vicende specifiche o punti rilevanti da riportare, annotateli e cercate di capire come integrarli nelle risposte. Chiedete a un amico di aiutarvi nella preparazione e di farvi fare un po’ di pratica nelle risposte, in modo da raggiungere una maggior disinvoltura e affrontare il colloquio di successo.
Nessuna azienda invita un candidato a un colloquio se non è davvero interessata. Ricordatevi di questo: vi aiuterà a mantenere un atteggiamento fiducioso e tranquillo durante il colloquio di successo.
Il colloquio è un momento carico di tensione non solo per te, ma anche per il selezionatore. Infatti chi ti sta di fronte ha l’arduo compito di raccogliere una serie di informazioni che gli permettano di formulare un giudizio preciso su di te, e stabilire se sei il candidato “giusto” per quel lavoro, spesso e volentieri tra decine se non centinaia di candidati.
Anche per il selezionatore questo è fonte di stress, perché sbagliare significa assumere una persona poco idonea con tutti i problemi che questo comporta, quindi anche il compito di chi seleziona è importante. Egli, tramite il colloquio, qualche domanda, un’analisi generale sul tuo profilo personale e lavorativo, cercherà di darsi delle risposte ad altre domande latenti al tuo riguardo, necessarie per valutare l’assunzione, quali:
Come si inserisce questo candidato nell’azienda e nel suo gruppo di lavoro?
Ha doti di flessibilità, serietà, concretezza, impegno, apertura mentale, capacità di motivare gli altri e di sdrammatizzare i problemi?
Legherà con i suoi colleghi e i suoi superiori?
È motivato per questo lavoro?
Quanto sembra desiderarlo?
Potrà portare nuovi stimoli, positività, dinamismo, intelligenza ed energia nell’ufficio (reparto, gruppo, settore) al quale verrebbe destinato?
Manifesta un sincero interesse ed entusiasmo per l’azienda, per quello che facciamo e per quello che vogliamo fare in futuro?
Gli possono piacere le sfide, anche impegnative, che l’azienda affronta per giungere ai risultati previsti?
Possiede la professionalità e le competenze per svolgere al meglio i compiti assegnati?
È probabile che resti a lavorare per l’azienda o se ne andrà alla prima occasione?
Desidera questo posto solo per denaro?
Ha un aspetto gradevole? (dove “aspetto gradevole” non vuol dire “bella presenza”, ma presentarsi in ordine e con la maggiore naturalezza possibile. Significa vestirsi bene, pettinarsi, radersi, profumarsi come si farebbe per andare a quel lavoro, senza però esagerazioni e affettazioni)
Possiamo permetterci di assumerlo?
Un sistema per poter incominciare bene il colloquio di lavoro è quello di rispondere in maniera veloce e breve soprattutto alle prime domande, quelle del tipo:
“Mi parli di lei” o “Come mai si è presentato qui?”.
È importante non cadere mai nel silenzio, mai vagare con gli occhi in cerca di risposte dal cielo, e con garbo si deve cercare di esporre i propri lati positivi, magari mettendo in ballo anche parte dei difetti, o aree di miglioramento. È indispensabile anche evitare di parlare di soldi, contratti, regole dell’assunzione, fino a che non si prospetta effettivamente la possibilità dell’assunzione o solo in un secondo momento, quando arriva la comunicazione che la selezione ha avuto esiti positivi.
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martedì 18 ottobre 2016
Opzione Donna le novità e con l'assegno ridotto
Con l'Opzione Donna si può uscire invece con un anticipo di diversi anni rispetto ai requisiti sopra indicati a patto però di accettare un assegno interamente calcolato con il sistema contributivo.
Per l'esercizio dell'opzione è necessario possedere 57 anni e 3 mesi di età (58 anni e 3 mesi le autonome) unitamente a 35 anni di contributi entro il 31 dicembre 2015 (articolo 1, comma 281 della legge 208/2015). Si ricorda che con l'approvazione della legge di stabilita' 2016 è venuta sostanzialmente meno la restrizione prevista dall'Inps con le Circolari 35 e 37 del 14 marzo 2012 che avevano interpretato la data del 31 dicembre 2015 come termine entro il quale si dovesse maturare la decorrenza della prestazione. L'Inps ha confermato questa interpretazione con la recente Circolare 45/2016.
L’Opzione Donna prevede almeno 35 anni di contributi versati e un’età di 57 anni e tre mesi per le lavoratrici dipendenti, 58 anni e tre mesi per le autonome. La maturazione del requisito (31 dicembre 2015) non coincide con la decorrenza della pensione, che in base alla finestra mobile vede l’assegno erogato dopo 12 mesi per le dipendenti e 18 mesi per le autonome.
La decurtazione scatta poiché, con il contributivo, si rinuncia al sistema misto che garantisce un trattamento più alto. Ecco un esempio che mostra come varia la riduzione dell’assegno in relazione agli anni di anticipo pensionistico: lavoratrice nata nel 1958, con 38 anni di contributi, ultima retribuzione annua pari a 25mila 700 euro.
Per questa tipologia di prestazione resta, infatti, in vigore la in vigore la cd.finestra mobile secondo la quale l'assegno viene erogato dopo 12 mesi dalla maturazione dei predetti requisiti per le dipendenti e 18 mesi per le autonome.
Pronto il responso perc l'Opzione Donna sul monitoraggio delle risorse utilizzate e quelle residue rispetto allo stanziamento del Governo. Informazione necessaria per capire se esistono realmente i margini per la proroga oltre il 31 dicembre 2015 dell’Opzione Donna, come previsto da un emendamento alla Legge di Stabilità 2016 (articolo 1, comma 281 della legge 208/2015) a patto però di un residuo di risorse rispetto ai fondi stanziati.
Tale possibilità di proroga del regime sperimentale doveva essere comunicata da Governo e INPS entro il 30 settembre 2016 alle Camere sulla base dei dati relativi al monitoraggio della sperimentazione dell’Opzione Donna, ma la scadenza non è stata rispettata.
Ora però, secondo le dichiarazioni del Sottosegretario al Welfare, Franca Biondelli, fornite in risposta all'interrogazione parlamentare sollevata dalla Lega Nord in Commissione Lavoro alla Camera, i dati sembrano essere arrivati e la relazione relativa al monitoraggio dell’Opzione Donna sarà trasmessa a breve al Parlamento.
In particolare Biondelli ha spiegato:
«La relazione relativa al monitoraggio effettuato dall’INPS, è stata redatta la relazione sull’attuazione della sperimentazione con particolare riferimento agli specifici oneri previdenziali e alle relative previsioni di spesa. Tale relazione, già firmata dal Ministro Poletti, verrà inviata alle Camere non appena ricevuto il concerto da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze, come previsto dallo stesso articolo 1, comma 281 della legge n. 208 del 2015.
In ogni caso, intendo rassicurare l’onorevole interrogante che è intenzione del Governo impiegare le risorse eventualmente non utilizzate al fine di portare a conclusione la sperimentazione originariamente introdotta dall’articolo 1, comma 9, della legge n. 243 del 2004».
Assegno ridotto del 20-30% per le lavoratrici che scelgono l’Opzione Donna, prorogata dalla Legge di Stabilità (requisito anagrafico e contributivo maturato entro il 31 dicembre 2015, domanda di pensione presentabile per tutto il 2016): la pensione si calcola interamente con il contributivo e l’importo varia in base a contributi versati e anni di anni di pensione anticipata.
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Buoni lavoro (Voucher): le nuove modalità di comunicazione
Sono arrivati i primi chiarimenti sugli obblighi di comunicazione previsti per imprenditori e professionisti che ricorrono a prestazioni di lavoro accessorio (i cd. voucher) dopo le modifiche al Jobs Act introdotte dal recente D. Lgs. n. 185/2016.
Con la Circolare n. 1 del 17 ottobre 2016 l'Ispettorato Nazionale del Lavoro ha fornito indicazioni operative su come effettuare la comunicazione comunicazione obbligatoria prevista dal nuovo art. 49, comma 3, del D.Lgs. n. 81/2015.
La norma stabilisce che "i committenti imprenditori non agricoli o professionisti che ricorrono a prestazioni di lavoro accessorio sono tenuti, almeno 60 minuti prima dell'inizio della prestazione, a comunicare alla sede territoriale competente dell'Ispettorato nazionale del lavoro, mediante sms o posta elettronica, i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, indicando, altresì, il luogo, il giorno e l'ora di inizio e di fine della prestazione. I committenti imprenditori agricoli sono tenuti a comunicare, nello stesso termine e con le stesse modalità di cui al primo periodo, i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, il luogo e la durata della prestazione con riferimento ad un arco temporale non superiore a tre giorni".
La comunicazione dovrà avvenire con queste modalità:
1) imprenditori non agricoli e professionisti: almeno 60 minuti prima dell'inizio della prestazione per ogni singolo lavoratore, e dovrà indicare i seguenti dati:
dati anagrafici o codice fiscale del lavoratore;
luogo della prestazione;
giorno di inizio della prestazione;
ora di inizio e di fine della prestazione.
2) imprenditori agricoli: almeno 60 minuti prima dell'inizio della prestazione, dovrà indicare:
dati anagrafici o codice fiscale del lavoratore;
luogo della prestazione;
durata della prestazione con riferimento ad un arco temporale non superiore a 3 giorni.
Le comunicazioni devono essere inviate via e-mail alle Direzioni del Lavoro competenti per territorio, agli indirizzi di posta elettronica indicati in allegato alla Circolare.
Le e-mail, prive di allegati, devono i dati del committente (codice fiscale e ragione sociale) e quelli della prestazione di lavoro accessorio.
Analoghe comunicazioni sono previste in caso di modifiche o integrazioni alle informazioni già trasmesse (entro 60 minuti prima delle attività cui si riferiscono).
La violazione degli obblighi di comunicazione è punita con sanzione amministrativa da euro 400 ad euro 2.400 in relazione a ciascun lavoratore per cui è stata omessa la comunicazione, senza la possibilità di avvalersi della procedura di diffida di cui all'art. 13 del D. Lgs. n. 124/2004.
Fino a quando l'INPS o Ministero non darà indicazioni precise al riguardo la strada più cauta si ritiene possa essere quella di utilizzare le forme di comunicazione preventiva previste per il lavoro intermittente: inviare un SMS al numero 3399942256 oppure una mail a intermittenti@pec.lavoro.gov.it.
COSA SONO I VOUCHER E COME SI USANO?
Ricordiamo innanzitutto che le prestazioni di lavoro accessorio sono le attività lavorative di natura occasionale che possono essere retribuite con i cosiddetti VOUCHER LAVORO per un totale massimo di 7.000 euro (netti per il lavoratore) nel corso di un anno solare (annualmente rivalutati), con riferimento a tutti i datori di lavoro.
Ma attenzione: il limite di retribuzione tramite voucher che OGNI LAVORATORE può ricevere da un impresa commerciale o da professionista, è di 2mila euro netti.
Il limite di compensi per i soggetti percettori di indennità di mobilità o cassa integrazione nel 2016 è invece pari a 3mila euro.
Con il DL 81/2015 il limite totale è stato innalzato a 7mila euro (mentre in precedenza ammontava a 5mila euro totali).Inoltre il decreto ha ampliato le possibilità e le prestazioni possono ora essere rese in tutti i settori, da parte di qualsiasi committente, con qualsiasi lavoratore (salvo alcuni limiti nel settore agricolo).
Ciascun 'buono lavoro' (voucher), che viene emesso telematicamente dall'INPS, ha un valore netto in favore del lavoratore di 7,50 euro e corrisponde al compenso minimo di un’ora di prestazione, al costo di 10 euro per il datore di lavoro (salvo che per il settore agricolo, dove si fa riferimento al contratto specifico). Con tali buoni lavoro vengono quindi garantiti :
il compenso per il lavoratore,
la copertura previdenziale INPS (pensione) e
quella assicurativa presso l'INAIL.
Il voucher per il lavoro accessorio non dà invece diritto alle prestazioni a sostegno del reddito dell'INPS(disoccupazione, maternità, malattia, assegni familiari ecc.).
ACQUISTO CON F24
La circolare INPS N. 68/ 016 ha infatti precisato che ad evitare irregolari compensazioni con crediti del contribuente ,chi acquista voucher dall'Inps dal 2 maggio 2016, dovrà versare i contributi di spettanza dell'Inps indicando lacausale “LACC - Lavoro occasionale accessorio” nel modello F24 "Elementi identificativi" (F24 ELIDE), anziché nel modello F24 ordinario. L’avvicendamento è stato disposto dall'Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n. 20/E del 6 aprile 2016. Nello specifico, Nella sezione "CONTRIBUENTE", devono essere indicati, nei campi "codice fiscale" e "dati anagrafici", il codice fiscale ed i dati anagrafici del soggetto che effettua il versamento.
Nella sezione "ERARIO ED ALTRO", devono essere, invece, indicati:
nel campo "tipo", la lettera "I";
nel campo "elementi identificativi", nessun valore;
nel campo "codice", la causale contributo LACC;
nel campo "anno di riferimento", l'anno in cui si effettua il pagamento, nel formato "AAAA".
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Lavoro: i voucher, cosa sono e cosa succede in Europa
Con lavoro accessorio si è intende quelle prestazioni lavorative non riconducibili alle tipologie contrattuali tipiche del lavoro subordinato o del lavoro autonomo, ma caratterizzate da un limite prettamente economico e dal pagamento attraverso dei voucher.
Le prestazioni di lavoro accessorio sono le attività lavorative di natura occasionale che possono essere retribuite con i cosiddetti voucher lavoro per un totale massimo di 7.000 euro (netti per il lavoratore) nel corso di un anno solare (annualmente rivalutati), con riferimento a tutti i datori di lavoro.
I buoni lavoro o voucher sono un sistema di pagamento che si può utilizzare per il lavoro occasionale di tipo accessorio. Nati nel 2003 con l'intento di far emergere il lavoro nero, sono entrati in vigore nel 2008 e la riforma Fornero nel 2012 ne ha esteso l'uso a tutti i settori. Il Jobs Act e il successivo decreto correttivo ne hanno reso più trasparente l'utilizzo e meno facile l'abuso, con il via libero definitivo alla loro tranciabilità: per attivarli i committenti devono inviare un email o un sms 60 minuti prima dell'uso con tutti i dati anagrafici e il codice fiscale del lavoratore. La mancata comunicazione prevede sanzioni da 400 a 2.400 euro. Il valore di un voucher è di 10 euro (7,50 al netto) ma esistono anche buoni da 20 e da 50 euro. I buoni lavoro in Italia sono impiegati per lo più nel settore agricolo, ma sono diffusi anche nel commercio e nei servizi. Questo tipo di meccanismo è già usato dal 2004 da altri paesi come Belgio, Francia e Regno Unito soprattutto nel campo dei servizi di assistenza alla persona e familiari.
Un voucher vale 10 euro. E' inoltre disponibile un buono 'multiplo', del valore di 50 euro equivalente a cinque buoni non separabili e un buono da 20 euro equivalente a due non separabili. Il periodo di validità di quelli cartacei è fissato in 24 mesi. Il valore nominale è comprensivo della contribuzione (pari al 13%) a favore della gestione separata Inps che viene accreditata sulla posizione individuale contributiva del prestatore, di quella in favore dell'Inail per l'assicurazione anti-infortuni (7%) e di un compenso al concessionario (Inps) per la gestione del servizio pari al 5%. Il valore netto del voucher da 10 euro è dunque pari a 7,50 euro e corrisponde al compenso minimo di un'ora di prestazione, salvo che per il settore agricolo dove si considera il contratto di riferimento. Il valore netto del buono 'multiplo' da 50 euro, cioè il corrispettivo netto della prestazione, in favore del lavoratore, è pari a 37,50 euro; quello del buono da 20 euro è pari a 15 euro.
Il Jobs act aveva riservato l'acquisto in posta solo ai privati. In pratica, i datori di lavoro privati possono tornare ad acquistare i voucher negli uffici postali, per importi da 10 a 200 euro. L’ufficio può stampare il voucher telematico richiesto, oppure emettere un voucher cartaceo postale. Con un’unica transazione è possibile acquistare un numero massimo di cinque voucher pagando una commissione di acquisto pari a 1,50 euro più IVA. Per poter effettuare l’acquisto alle Poste, il datore di lavoro deve essere registrato sul sito dell’INPS.
E' bene ricordarlo che ai voucher acquistati alle Poste si applicano le stesse regole degli altri buoni lavoro relative alla preventiva attivazione con l’indicazione dei dati anagrafici del prestatore e del luogo di esecuzione della prestazione. Ricordiamo molto brevemente che il voucher contiene tutti gli elementi della retribuzione, compreso il 13% a favore della gestione separata INPS e il 7% all’INAIL. Il valore netto di un voucher normale da 10 euro, è pari a 7,50 euro, quello di un voucher da 20 euro è di 15 euro, il netto di un buono da 50 euro è pari a 37,50 euro.
I committenti imprenditori non agricoli o professionisti, che ricorrono a prestazioni di lavoro accessorio sono tenuti, almeno 60 minuti prima dell'inizio della prestazione di lavoro accessorio, a comunicare alla sede territoriale dell'Ispettorato nazionale del lavoro - mediante sms o posta elettronica - i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, il luogo, il giorno e l'ora di inizio e di fine della prestazione. Allo stesso obbligo, e con le stesse modalità, ma con riferimento ad un arco temporale non superiore a tre giorni, sono tenuti anche i committenti agricoli. Per chi non rispetta questo obbligo, si applica una sanzione amministrativa da 400 a 2.400 euro, moltiplicata per ciascun lavoratore per cui è stata omessa la comunicazione. Con la circolare n. 1/2016 del 17 ottobre, l'Ispettorato Nazionale del Lavoro fornisce le indicazioni operative per adempiere ai nuovi obblighi, allegando una lista di indirizzi di posta elettronica dove far pervenire le comunicazioni. Verrà successivamente emanato un apposito decreto con cui il ministero del Lavoro potrà definire l'uso del sistema di comunicazione tramite sms.
Per prestazioni di lavoro accessorio si intendono, con riferimento alla totalità dei committenti, attività lavorative che non danno luogo a compensi superiori a 7mila euro netti (9.333 euro lordi), da rivalutare annualmente. Fermo restando il limite complessivo di 7mila euro, queste attività non possono eccedere compensi annui di 2mila euro netti (rivalutati per il 2015 a 2.020 euro netti, 2.693 euro lordi) per ciascun singolo committente se imprenditore o professionista. I soggetti che percepiscono prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito (ammortizzatori sociali) possono svolgere lavoro accessorio in tutti i settori produttivi nel limite complessivo di 3mila euro netti (4mila euro lordi) di compenso per anno civile, da rivalutare annualmente.
Per il settore agricolo esistono particolari limiti. I voucher possono essere utilizzati con riferimento: a) alle attività lavorative di natura occasionale rese nell'ambito delle attività agricole di carattere stagionale effettuate da pensionati e da giovani con meno di 25 anni di età se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso un istituto scolastico di qualsiasi ordine e grado, compatibilmente con gli impegni scolastici, ovvero in qualunque periodo dell'anno se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso l'università; b) alle attività agricole svolte a favore di piccoli imprenditori agricoli (reddito non superiore a 7.000 euro) che non possono, tuttavia, essere svolte da soggetti iscritti l'anno precedente negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli.
Da tempo il meccanismo dei voucher è stato sperimentato con successo in Belgio, Francia e Regno Unito soprattutto nel campo dei servizi di assistenza alla persona e familiari. Belgio: introdotti nel 2004 i titres-services permettono all'individuo di comprare servizi forniti da una società Regno Unito: dal 2005 esistono i childcare vouchers, buoni per i servizi all'infanzia. Francia: introdotti nel 2006, combinando due sistemi di voucher preesistenti, i Cheque emploi service universel (Cesu), sono una forma di pagamento per lavori domestici e servizi di assistenza ai bambini. Nel 2009 sono stati introdotti i Titre emploi service entreprise (Tese): utilizzabile da piccole imprese per assumere e retribuire lavoratori occasionali. Austria in vigore dal 2006 i Dienstleistungscheck, una forma di pagamento per lavori.
Si precisa che lo svolgimento di prestazioni di lavoro accessorio non dà diritto alle prestazioni a sostegno del reddito dell'INPS (disoccupazione, maternità, malattia, assegni familiari ecc.), ma è riconosciuto ai fini del diritto alla pensione.
E' vietato ricorrere al lavoro accessorio per l’esecuzione di appalti di opere o servizi. In un prossimo decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali da emanarsi entro il 25 dicembre 2015, saranno individuate specifiche deroghe.
Per i buoni già richiesti alla data del 25 giugno 2015 si applicheranno fino al 31 dicembre 2015 le previgenti disposizioni che prevedevano un ricorso al lavoro accessorio nel limite dei € 5000 (5060 netti) per la totalità dei committenti e di € 2.000 per ciascun singolo committente.
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domenica 16 ottobre 2016
Lavoro: timbrare il cartellino presenze con la app
L'azienda potrà installare l'applicazione sullo smartphone del dipendente, che potrà optare comunque su sistemi di verifica consueti. Un'icona informerà il lavoratore che il servizio di geolocalizzazione è in funzione.
Si potrà usare una app per timbrare il cartellino di presenza, ma solo a patto di garantire la privacy del lavoratore. A dettare le regole sulla possibilità di utilizzare lo smartphone per rilevare l’orario di inizio e fine della giornata lavorativa è stato il Garante della Privacy che ha accolto la richiesta di due società (Manpower srl e Manpower Italia srl) che vorrebbero monitorare il lavoro dei dipendenti con contratto di somministrazione impiegati fuori sede.
Secondo le due società l’adozione della app permetterà di snellire le procedure relative alla gestione amministrativa del personale che opera fuori sede. Il Garante ha accolto la richiesta, in applicazione della disciplina sul “bilanciamento di interessi”, ma ha elencato una serie di paletti da rispettare: prima di tutto, le società dovranno perfezionare il sistema tenendo conto della privacy del dipendente applicando il principio di necessità. In più, secondo il Garante è necessario limitare la geolocalizzazione dei dipendenti: in particolare, verificata l’associazione tra le coordinate geografiche della sede di lavoro e la posizione del lavoratore, il sistema potrà conservare ˗solo il dato relativo alla sede di lavoro (oltre a quello sulla data e l’orario della “timbratura” virtuale), cancellando però il dato relativo alla posizione del lavoratore.
Il lavoratore, inoltre, dovrà essere avvisato di essere osservato dall’azienda: per farlo il Garante impone che la app preveda una icona sempre ben visibile sullo schermo dello smartphone del dipendente, in modo da avvertirlo che la funzione di localizzazione sia attiva. L’applicazione installata dall’azienda non potrà interagire con gli altri dati contenuti nel dispositivo di proprietà del lavoratore (ad esempio, dati relativi al traffico telefonico, agli sms, alla posta elettronica, alla navigazione in internet o altre informazioni presenti sul dispositivo).
L'applicazione - progettata dalla società Peoplelink - permette al dipendente di accedere attraverso un "nome utente" e una password. Dopo l'accesso, il lavoratore o la lavoratrice vedranno una cartina sul cellulare. Su questa cartina, il puntino rosso indicherà dove il lavoratore o la lavoratrice si trovano. A questo punto - se ritiene di essere localizzata in modo preciso - questa persona segnalerà l'inizio della giornata lavorativa, come anche la fine del lavoro. In questo modo, timbrerà di fatto l'entrata e l'uscita. A quel punto, l'applicazione comunicherà il luogo dove si trova la persona ad un referente della sua azienda, che potrà verificare se si trova per davvero in ufficio. Viceversa l'app non è in grado di "tracciare" - cioè di pedinare passo passo - il dipendente mentre sta lavorando.
La scelta di introdurre un sistema di timbratura virtuale deriva dalle difficoltà che hanno le società di somministrazione lavoro di monitorare i dipendenti che sono assunti dall’agenzia ma che vengono impiegati dalle società utilizzatrici. Il contratto di somministrazione, infatti, prevede che sia l’agenzia somministratrice (parte datoriale del rapporto) a corrispondere l’intera retribuzione (e i relativi contributi previdenziali). La società utilizzatrice, poi, rimborsa l’agenzia per il costo del dipendente.
L'azienda dovrà mettere in conto che i sistemi di geolocalizzazione non sono sempre precisi. Dunque, l'applicazione dovrà essere progettata con un margine di tolleranza adeguato. Il lavoratore peraltro ha diritto a sapere - anche solo buttando l'occhio sull'applicazione - che la geolocalizzazione è attiva e in funzione. Negli archivi elettronici dell'azienda, le informazioni saranno conservate solo per il tempo strettamente necessario (non ha senso mantenere i dati, una volta accertato che il dipendente ha rispettato i suoi impegni).
Viceversa l'applicazione non potrà trattare, neanche in modo accidentale, altri dati archiviati nel dispositivo, essendo questo di proprietà del lavoratore (traffico telefonico, sms, posta elettronica, navigazione in Internet). Prima dell'avvio del nuovo sistema di accertamento delle presenze, peraltro, i dipendenti dovranno ricevere un'informativa sull'applicazione (con la tipologia dei dati trattati, le finalità e modalità del trattamento, i tempi di conservazione, la natura facoltativa della cosa, i soggetti che possono venire a conoscenza dei dati in qualità di responsabili o incaricati del trattamento, in particolare presso la Peoplelink). Le società dovranno adottare tutte le misure di sicurezza per evitare che persone non autorizzate accedano ai dati.
Le due società hanno spiegato al Garante che l'applicazione permette di risparmiare perché l'azienda non deve dotarsi di lettori fisici e cartellini. Peraltro, questi lettori sono soggetti a rompersi e queste avarie hanno creato incomprensioni tra i lavoratori, impossibilitati a timbrare, e le imprese, impossibilitate a verificare. Manpower e Manpower Italia hanno fatto riferimento anche alle "timbrature di comodo", che sono sempre in agguato soprattutto quando un dipendente è distaccato presso altre aziende.
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