domenica 28 dicembre 2014

I nuovi sussidi di disoccupazione del 2015: Naspi, Asdi e Dis-coll



La riforma degli ammortizzatori sociali 2015 Jobs Act consiste nel mettere a punto il cd. sussidio universale destinato ai lavoratori in disoccupazione involontaria che non hanno i requisiti per accedere all'Aspi o alla mini AspI ed entreranno in vigore dal maggio del 2015.

Prendono forma i nuovi sussidi di disoccupazione, con l’estensione delle tutele a co.co.co. e co.co.pro. e l’introduzione di un sostegno per i disoccupati che abbiano esaurito la Naspi.

Vediamo come funziona il nuovo sussidio universale. Le risorse per finanziarie il nuovo sussidio universale NASPI sono già state inserite nel testo bozza Legge di Stabilità 2015 e utilizzabili già dall'inizio del prossimo anno, quindi un anno prima che il Jobs Act entri a regime nel 2016, e serviranno a coprire l'assegno di disoccupazione per circa un milione e 200-300.000 lavoratori atipici.

Una volta a regime poi, la disoccupazione Naspi sostituirà tutti gli ammortizzatori sociali, fatta eccezione della cassa integrazione ordinaria che sarà ammessa solo in presenza di determinate condizioni, mentre la CIG in deroga sparirà nel 2016 e la mobilità come previsto dalla precedente riforma degli ammortizzatori sociali non ci sarà più a partire dal 2017.

Cos'è e come funziona il nuovo sussidio universale NASPI 2015? E' un assegno che spetta ai lavoratori in disoccupazione involontaria, quindi chiunque perderà il lavoro, avrà diritto ad un assegno di disoccupazione se avrà lavorato almeno 3 mesi. Per cui basta con i ferrei limiti dell'ASPI, contributi da almeno due anni e aver lavorato negli ultimi 12 mesi, e della mini Aspi 13 settimane di contribuzione nell'ultimo anno e avanti con la nuova Naspi 2015 anche per i precari e co.co.co. per i lavoratori che avranno versato almeno tre mesi di contributi.

La NASpI è il sussidio di disoccupazione universale che sostituisce dal 2015 l'assegno unico di disoccupazione introdotto dalla Riforma Fornero, ovviamente, per l'entrata in vigore si dovranno attendere i decreti attuativi e le disposizioni circa le modalità di fruizione da parte del Ministero del Lavoro di concerto con l'INPS a cui spetta l'erogazione dell'indennità agli aventi diritto. L’importo della Naspi è rapportato alla retribuzione imponibile ai fini previdenziali degli ultimi quattro anni.

L’indennità mensile è pari al 75% dello stipendio, se questo è pari o inferiore a 1195 euro nel 2015, cifra poi rivalutata annualmente. Se la busta paga invece è superiore, l’importo della Naspi cresce fino a un massimo di 1.300 euro. L’indennità è ridotta progressivamente del 3 per cento al mese dal quinto mese di fruizione. Dal 2016, tale riduzione si applicherà dal quarto mese. Potranno richiedere la Naspi quanti, dopo la perdita involontaria del lavoro, possano far valere almeno tredici settimane di contribuzione nei quattro anni precedenti e almeno 18 giornate di lavoro effettivo nell’ultimo anno. La Naspi durerà un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi quattro anni: di conseguenza, sarà erogata per un massimo di due anni. Potrà beneficiarne chi parteciperà alle iniziative di attivazione lavorativa e ai percorsi di riqualificazione professionale.

Il 1 maggio 2015 vedrà la luce l’Asdi, l’Assegno di disoccupazione, in via sperimentale per l’anno 2015. La sua funzione è fornire un sostegno a quanti abbiano esaurito la Naspi per tutta la sua durata e si ritrovino ancora senza lavoro e in gravi difficoltà economiche per cui reddito ISEE entro determinate soglie. L’Asdi sarà erogato per una durata massima di sei mesi e sarà pari al 75% dell’ultimo trattamento percepito ai fini della Naspi. Le risorse per finanziare la misura verranno da uno specifico fondo istituito nello stato di previsione del ministero del Lavoro: la sua dotazione è pari a 300 milioni di euro nel 2015. Il sostegno economico sarà condizionato all’adesione ad un progetto personalizzato redatto dai competenti servizi per l’impiego. La durata ASDI sarà di 6 mesi per i quali l'INPS pagherà un assegno pari al 75% dell’ultimo trattamento percepito ai fini della Naspi.

La Dis-coll è un’altra misura varata in via sperimentale per il 2015, che interessa i nuovi eventi di disoccupazione dal 1 gennaio 2015 e sino al 31 dicembre 2015: sarà riconosciuta ai collaboratori coordinati e continuativi e a progetto, iscritti in via esclusiva alla Gestione separata, non pensionati e privi di partita Iva. L’assegno sarà erogato a quanti possano far valere almeno tre mesi di contribuzione dal primo gennaio dell’anno solare precedente. La Dis-coll sarà pari al 75 per cento del reddito percepito nei casi in cui sia pari o inferiore nel 2015 all’importo di 1195 euro mensili, una cifra che poi sarà annualmente rivalutata. Nei casi in cui il reddito sia superiore, l’indennità cresce, ma senza superare l’importo massimo mensile di 1300 euro nel 2015. La Dis-coll durerà per un numero di mesi pari alla metà dei mesi di contribuzione presenti nel periodo che va dal primo gennaio dell’anno solare precedente l’evento di cessazione del lavoro al predetto evento. La durata Dis-coll 2015 è pari alla metà dei mesi in cui si è effettuata la contribuzione a partire dal primo gennaio dell’anno solare precedente fino l’evento di cessazione del lavoro, per cui se sino versati 8 mesi di contributi da gennaio ad agosto, la durata dell'indennità dis coll. è pari a 4 mesi.



Lavoratore illegittimamente sospeso in CIG



L’ordinamento giuridico consente al datore di lavoro (che si trovi in particolari situazioni di crisi o abbia la necessità di procedere a ristrutturazioni o riorganizzazioni) di sospendere in tutto o in parte i propri dipendenti dal lavoro. Tuttavia, al contempo, questo potere viene disciplinato e limitato dalla legge. Pertanto, la sospensione in CIG disposta al di fuori di questi limiti è illegittima, e il lavoratore può ricorrere al Giudice del lavoro al fine di ottenere la riammissione al lavoro, nonché il risarcimento del danno (che, normalmente, consisterà nella differenza tra la retribuzione che egli avrebbe percepito se non fosse stato sospeso e l’indennità di CIG percepita durante la sospensione).

A tale riguardo, bisogna ricordare che il potere di sospendere i propri dipendenti in CIG incontra innanzi tutto limiti di tipo formale. Infatti, la legge prescrive l’obbligo, per il datore di lavoro, di attivare preventivamente una procedura di informazione e (a richiesta) di consultazione con il sindacato. Questa procedura è analiticamente disciplinata dalla legge soprattutto nei casi di CIG straordinaria.

Il descritto obbligo di informare e, eventualmente, di trattare con il sindacato ha evidentemente lo scopo di garantire che la sospensione dei lavoratori sia trasparente e corretta, con la conseguenza che eventuali violazioni della procedura sindacale rilevino, oltre che sul piano formale, anche su quello sostanziale. Infatti, l’ordinamento ha affidato il controllo in merito alla regolare sospensione dal lavoro – non potendolo assegnare a tutti i lavoratori – al sindacato, che dunque lo esercita per conto dei lavoratori: è allora inevitabile che una violazione della procedura sindacale violi al contempo i diritti del sindacato, ma anche quelli del singolo lavoratore sospeso in CIG. Sulla scorta di simili argomentazioni, la giurisprudenza ha quindi ritenuto che le violazioni della procedura sindacale possano essere fatte valere in giudizio anche dal singolo lavoratore. Inoltre, se la causa è promossa dal sindacato (per esempio in un giudizio per comportamento antisindacale), la conseguenza dell’accertata violazione della procedura comporta inevitabilmente la riammissione in servizio dei lavoratori sospesi, anche se gli stessi non erano parte di quella causa.

Con riferimento ai vizi procedurali di cui si è detto, dunque, il lavoratore (ma anche il sindacato) potrebbe per esempio lamentare l’omissione della procedura, oppure il fatto che non siano state rese tutte le informazioni previste dalla legge, o che le stesse siano state fornite in maniera generica o falsa, o ancora che il datore di lavoro non ha dato seguito alla richiesta del sindacato di trattare.

Vi sono però altri limiti che il datore di lavoro deve rispettare e che, in caso contrario, legittimano il ricorso al giudice da parte del lavoratore. Innanzi tutto, si deve ricordare che il datore di lavoro può ricorrere alla CIG solo in presenza di situazioni di crisi o di ristrutturazione e riorganizzazione previste dalla legge.

Sotto questo profilo, dunque, il lavoratore potrebbe per esempio contestare che la causa della sospensione, enunciata dal suo datore di lavoro, non rientra tra quelle previste dalla legge, oppure che quella situazione non corrisponde al vero.

Infine, il datore di lavoro deve scegliere il personale da sospendere in CIG utilizzando criteri oggettivi e coerenti con la causa della sospensione: il lavoratore potrebbe quindi lamentare di essere stato scelto sulla scorta di criteri che non corrispondono a tali caratteristiche.

Decadenza del rimborso: la richiesta di rimborso delle somme anticipate dal datore di lavoro a titolo di integrazione salariale straordinaria va presentata entro il termine di 6 mesi decorrenti:

dalla fine del periodo di paga in corso alla scadenza del periodo concesso (se la pubblicazione del decreto di concessione del trattamento è avvenuto prima di tale termine);

dal termine del periodo di paga in corso alla data di pubblicazione del provvedimento stesso (se il periodo concesso risulta esaurito alla data della pubblicazione del provvedimento).

Nell'ipotesi in cui l'Istituto sia autorizzato dal Ministero del lavoro ad effettuare il pagamento diretto delle integrazioni salariali straordinarie, il diritto del lavoratore interessato a percepire tali prestazioni è soggetto alla prescrizione decennale decorrente dalla data di emanazione del decreto stesso.

Le aziende possono richiedere il rimborso all'INPS dell' indennità di anzianità (oggi il riferimento va fatto al TFR), corrisposta ai lavoratori licenziati durante il periodo di sospensione, limitatamente alla quota maturata durante tale periodo immediatamente precedente al licenziamento  La norma è applicabile a prescindere dalla scelta sulla destinazione del TFR effettuata dai lavoratori. Il rimborso non può essere richiesto se è intervenuto un evento che ha interrotto la continuità cronologica della sospensione dal lavoro (prima del licenziamento). Non si considerano interruttive della sospensione l'astensione per maternità, le festività, la rioccupazione a tempo determinato presso altra impresa se regolarmente comunicato. Non si considera altrettanto interruttiva la collocazione dei lavoratori in CIG in deroga anche se tale periodo viene fruito senza soluzione di continuità rispetto alla conclusione del periodo di CIGS autorizzato.

Il periodo di sospensione per intervento della CIG in deroga non può prevedere il rimborso delle relative quote di TFR maturate non essendovi norme che lo preveda espressamente. Può però essere riconosciuto il rimborso delle quote di TFR, maturate durante l'intervento della CIGS (ma solo per tale periodo) anche nel caso in cui sopravvenga il licenziamento del lavoratore dopo il periodo di CIG in deroga fruito senza soluzione di continuità rispetto alla conclusione del periodo di CIGS. È prevista la decadenza dal diritto al rimborso delle quote di TFR all'azienda che pone il lavoratore in mobilità nel periodo compreso tra la scadenza del dodicesimo mese successivo a quello di emanazione del decreto di concessione della CIGS e la fine del dodicesimo mese successivo al completamento del programma contenuto nella richiesta di intervento straordinario di integrazione salariale.



Cassa integrazione a chi si applica, importo e durata



La legge prevede due tipi di cassa integrazione, quella ordinaria e quella straordinaria.

La prima riguarda i lavoratori dell'industria (esclusi i dirigenti) e può essere disposta nel caso di contrazione o sospensione dell’attività produttiva, derivante o da eventi aziendali transitori, non imputabili al datore di lavoro né ai lavoratori, o da situazioni temporanee di mercato. In presenza di un caso come quelli indicati, il datore di lavoro può decidere di sospendere in tutto o in parte l’attività lavorativa, rivolgendo un'istanza all'INPS al fine di ottenere l’ammissione alla cassa integrazione ordinaria.

Quest’ultima può essere concessa per un periodo massimo di 3 mesi continuativi, eccezionalmente prorogabili trimestralmente fino a un limite massimo complessivo di 1 anno. In ogni caso, la sospensione, anche se non consecutiva, non può superare i 12 mesi in un biennio.

La cassa integrazione salariale straordinaria viene invece concessa nei casi di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale; di crisi aziendale di grande rilevanza sociale; di fallimento o altre procedure concorsuali, purché non continui l’attività. Come si vede, in questo caso – e a differenza della cassa ordinaria – il provvedimento può essere adottato a fronte di situazioni di crisi di presumibile durata anche lunga, ma anche nel caso in cui la contrazione dell’attività dipenda dalla semplice decisione del datore di lavoro di riorganizzare o ristrutturare la propria attività, a prescindere dal fatto che ciò sia imposto da una crisi.

Qualora ricorra un’ipotesi come quelle sopra descritte, dunque, il datore di lavoro può sospendere in tutto o in parte l’attività lavorativa, previa autorizzazione del ministro del lavoro.

La sospensione straordinaria può essere disposta entro limiti temporali diversi a seconda della causa che l’ha determinata: 2 anni, prorogabili per altri 2, per le ristrutturazioni e le riconversioni aziendali; 12 mesi in caso di crisi aziendale; 12 mesi, prorogabili per altri 6, quando sussistano fondate prospettive di continuazione o ripresa dell'attività, in caso di procedure concorsuali. La Cassa integrazione guadagni non può comunque protrarsi complessivamente per più di 36 mesi nel quinquennio.

La cassa integrazione straordinaria si applica ai lavoratori (esclusi i dirigenti) che abbiano maturato un'anzianità aziendale di almeno 90 giorni.

Secondo la definizione dei tecnici dell’Inps «la Cigs è una prestazione economica erogata per fare fronte a gravi situazioni di eccedenza occupazionale che potrebbero portare a licenziamenti di massa». Il suo terreno di applicazione, al contrario della cassa integrazione ordinaria (a cui si ricorre per problemi temporanei, come un calo inaspettato della domanda o l’inutilizzabilità di un macchinario), è rappresentato dalle situazioni straordinarie, che possono dipendere da problemi della singola azienda, come pure del suo settore merceologico o di un’intera economia, come sta accadendo di fatto per la gran parte delle richieste dal 2008 a oggi.

A chi si applica?
Per accedere alla cassa integrazione straordinaria sono necessari requisiti precisi che riguardano tanto i lavoratori quanto le aziende. Ne hanno diritto: operai, quadri, dipendenti o soci di cooperative di produzione e lavoro, poligrafici e giornalisti con un rapporto di lavoro subordinato da almeno 90 giorni, le cui imprese abbiano occupato in media nei sei mesi precedenti più di 15 dipendenti. Ne sono espressamente esclusi i dirigenti, gli apprendisti e i lavoratori a domicilio.

Sono ammesse al trattamento le seguenti tipologie di aziende: industriali, edili, cooperative agricole, artigiane (il cui fatturato nel biennio precedente sia dipeso per almeno il 50 per cento da un solo committente destinatario di Cigs),aziende appaltatrici di servizi di mensa e ristorazione le cui imprese committenti siano interessate da Cigs, imprese editrici di quotidiani, periodici e agenzie di stampa a diffusione nazionale (per cui non vale il limite minimo dei 15 dipendenti), nonché le imprese commerciali con più di 200 dipendenti.

Quanto incassa il lavoratore?
L’indennità è pari all’80 per cento della retribuzione che il dipendente avrebbe percepito lavorando, fino a un massimo di 40 ore settimanali, e comunque al di sotto di un tetto di retribuzione mensile stabilito di anno in anno. L’importo è inoltre decurtato del 5,84 per cento (pari all’aliquota contributiva prevista a carico degli apprendisti).

Quanto dura?
La durata cambia a seconda della motivazione con cui si chiede la cassa integrazione straordinaria. Ne esistono tre tipologie diverse: 1) nei casi in cui la Cigs è richiesta per «riorganizzazione, ristrutturazione e riconversione aziendale» può durare 24 mesi, prorogabili di 12 mesi per due volte con due provvedimenti distinti; 2) se la motivazione è «crisi aziendale» la durata massima è 12 mesi, prorogabili per un altro anno; 3) per «procedure esecutive concorsuali» l’assegno viene erogato per 12 mesi con una sola proroga possibile di sei mesi.

Chi la paga?
Gli assegni sono pagati dallo Stato, che li eroga attraverso l’Inps; a sua volta l’Inps riceve i versamenti delle imprese(tutte quelle che hanno le caratteristiche per usufruire della cassa straordinaria) nella misura dello 0,90 per cento delle retribuzioni mensili (lo 0,30 per cento a carico dei lavoratori e lo 0,60 per cento a carico dei datori di lavoro). In anni normali il saldo è in genere positivo, senza oneri per le casse pubbliche, ma le cose cambiano durante le crisi economiche.

Nel corso del 2010 la cassa integrazione guadagni straordinaria (comprensiva della cassa integrazione in deroga che il governo ha aggiunto nel 2009 per imprese e lavoratori che non ne avrebbero avuto diritto secondo la norma) è costata all’Inps 2,8 miliardi di euro, che sommati al saldo negativo dell’anno precedente e a quello (al momento solo stimato) del 2011 produce un onere totale di oltre 6 miliardi di euro.



Quando può essere disposta la cassa integrazione?



La cassa integrazione guadagni (CIG), istituita è una prestazione economica erogata dall’INPS con la funzione di sostituire o integrare la retribuzione dei lavoratori sospesi dal lavoro o che lavorano a orario ridotto.

Obiettivo della CIG è quello di sollevare le aziende, in momentanea difficoltà produttiva, dai costi del lavoro della manodopera temporaneamente non utilizzata, consentendo ai lavoratori di riprendere la loro collaborazione una volta superata tale difficoltà.

L’importo che viene corrisposto è pari all’80% della retribuzione totale che sarebbe spettata per le ore di lavoro non prestate, entro un limite massimo mensile stabilito di anno in anno.

La CIG può durare al massimo 13 settimane, più eventuali proroghe fino a 12 mesi; in determinate aree territoriali il limite è elevato a 24 mesi.

Le istituzioni responsabili sono il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS).

La Cassa è alimentata dai seguenti contributi:

contributo ordinario a carico delle imprese pari all’1% della retribuzione (0,75% nel caso di imprese con meno di 50 dipendenti);

contributo addizionale per le imprese che usufruiscono della CIG, dell’8% dell’integrazione salariale corrisposta ai propri dipendenti (4% per le imprese con meno di 50 dipendenti);

contributo a carico dello Stato.

Gli eventi temporanei, previsti per l’applicazione, devono avere le seguenti caratteristiche:

rientrare nell’ambito aziendale;

non essere causati né dall’imprenditore né dal lavoratore;

essere involontari e transitori;

prevedere la ripresa certa del normale ritmo produttivo.

L’integrazione salariale ordinaria spetta ai lavoratori dipendenti con la qualifica di operai, impiegati, quadri, mentre non spetta ad apprendisti, dirigenti e lavoratori a domicilio.

Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria

Soggetti interessati:

Operai, impiegati e quadri delle imprese industriali in genere.

Presupposto: Sospensione o riduzione dell’attività produttiva a causa di:
situazioni aziendali dovute ad eventi temporanei e non dovute all’imprenditore o ai lavoratori;

situazioni temporanee di mercato.

Importo: 80% della retribuzione totale che sarebbe spettata per le ore di lavoro non prestate, entro un limite massimo mensile stabilito di anno in anno.

Durata massima: 13 settimane
più eventuali proroghe fino a 12 mesi;

in determinate aree territoriali il limite è elevato a 24 mesi.

La cassa integrazione guadagni straordinaria

Non tutte le situazioni problematiche delle aziende sono gestibili mediante l’attivazione della cassa integrazione guadagni ordinaria e per questo è stata istituita con legge 5 novembre 1968, n. 1115, la cassa integrazione guadagni straordinaria (CIGS). Lo scopo è di far fronte a durevoli eccedenze del personale di tipo strutturale, causate da crisi economiche settoriali o locali o ristrutturazioni e riorganizzazioni aziendali.

A differenza del trattamento ordinario, che interviene in situazioni congiunturali e risolvibili nel breve periodo, la CIGS è uno strumento di politica industriale finalizzato a una graduale eliminazione di personale in esubero, evitando le ripercussioni traumatiche sul piano sociale provocate dai licenziamenti collettivi. L’utilizzo di tale strumento precede, molto spesso, il ricorso alla procedura di messa in mobilità.

Come funziona la CIGS
La CIGS è valida sull’intero territorio nazionale.
L’importo da corrispondere ai lavoratori è pari all’80% della retribuzione totale che sarebbe spettata per le ore di lavoro non prestate, entro un limite massimo mensile stabilito di anno in anno.

Può durare al massimo:
12 mesi in caso di crisi aziendali;
24 mesi in caso di riorganizzazione, ristrutturazione e riconversione aziendale;
18 mesi per i casi di procedure esecutive concorsuali.

Le istituzioni responsabili sono il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS).

Il finanziamento della CIGS proviene da:
contributo ordinario a carico delle imprese, pari allo 0,6% della retribuzione;

contributo ordinario a carico del lavoratore, pari allo 0,3% della retribuzione;

contributo addizionale a carico delle imprese che si avvalgono della CIGS, pari al 4,5% dell’integrazione salariale corrisposta ai propri dipendenti (3% per le imprese con meno di 50 dipendenti).

L’intervento straordinario di integrazione salariale può essere concesso per le seguenti cause:

ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale;

crisi aziendale;

fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria senza continuazione dell’esercizio di impresa, amministrazione straordinaria con continuazione dell’esercizio di impresa;

contratto di solidarietà.

L’integrazione salariale straordinaria spetta ai lavoratori dipendenti con la qualifica di operai, impiegati, quadri, mentre non spetta ad apprendisti, dirigenti e lavoratori a domicilio.

I contratti di solidarietà
L’ art. 1 della legge 19 dicembre 1984, n. 863, ha inoltre istituito una nuova forma di intervento di CIGS applicabile a seguito della stipula di contratti di solidarietà.

Si tratta di contratti collettivi aziendali che realizzano forme di solidarietà tra lavoratori attraverso la riduzione dell’orario di lavoro, il cui onere è parzialmente o totalmente a loro carico.

In questo caso il trattamento di integrazione salariale è pari al 50% della retribuzione persa a causa della riduzione di orario e viene corrisposto al massimo per 24 mesi, termine che può essere ulteriormente prorogato per un massimo di 36 mesi nel Mezzogiorno e di 24 mesi nelle altre aree.

L’applicazione dei contratti di solidarietà non procura danni al lavoratore né sulla maturazione e l’ammontare della pensione, né sul trattamento di fine rapporto (liquidazione).

Presupposto:
Sospensione dal lavoro o riduzione di orario ridotto a causa di:
crisi economiche settoriali o locali;
ristrutturazioni, riorganizzazioni o conversioni aziendali;
procedure concorsuali che interessino l’azienda.
Importo: 80% della retribuzione totale che sarebbe spettata per le ore di lavoro non prestate, entro un limite massimo mensile stabilito di anno in anno.

Durata massima:
12 mesi per le crisi aziendali;
24 mesi per la riorganizzazione, ristrutturazione e riconversione aziendale;
18 mesi per i casi di procedure esecutive concorsuali.

L’indennità di mobilità, un’impresa può avviare le procedure di mobilità se, durante l’attuazione del programma di trattamento straordinario di integrazione salariale, ritiene di non essere in grado di garantire il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi e di non poter ricorrere a misure alternative.

Per i primi 12 mesi l’importo erogato corrisponde al 100% del trattamento di cassa integrazione straordinaria percepito o che sarebbe spettato nel periodo immediatamente precedente il licenziamento; per i periodi successivi si riduce all’80% dello stesso importo.
In ogni caso l’indennità di mobilità non può superare un importo massimo mensile determinato di anno in anno.

È possibile usufruire di tale indennità per un periodo massimo che varia nel modo seguente:
nel Centro-Nord 12, 24 o 36 mesi a seconda dell’età del lavoratore (fino a 39 anni; da 40 a 49; oltre 50);

nel Mezzogiorno la durata è rispettivamente di 24, 36 e 48 mesi.

Destinatari dell’indennità sono i lavoratori collocati in mobilità dalla loro azienda a seguito di:
esaurimento della Cassa integrazione straordinaria;

licenziamento per riduzione di personale o trasformazione di attività o di lavoro;

licenziamento per cessazione dell’attività da parte dell’azienda.

I requisiti richiesti ai lavoratori per poterne usufruire sono i seguenti:
iscrizione nelle liste di mobilità compilate dall’Ufficio Regionale del Lavoro;

anzianità aziendale complessiva di almeno 12 mesi;

6 mesi di effettivo lavoro, comprese ferie, festività, infortuni.

L’azienda, per individuare i lavoratori da collocare in mobilità, deve rispettare i criteri individuati dai contratti collettivi stipulati con i sindacati, se esistono; altrimenti deve seguire i seguenti criteri (non alternativi tra loro):
carichi di famiglia;

anzianità;

esigenze tecnico-produttive e organizzative.

Indennità di mobilità

Soggetti interessati:
lavoratori collocati in mobilità dalla loro azienda a seguito di esaurimento della Cassa integrazione straordinaria;

lavoratori licenziati per riduzione di personale o trasformazione di attività o di lavoro;

lavoratori licenziati per cessazione dell’attività dell’azienda.

Requisiti:
iscrizione nelle liste di mobilità compilate dall’Ufficio Regionale del Lavoro;

anzianità aziendale complessiva di almeno 12 mesi;

6 mesi di effettivo lavoro, comprese ferie, festività, infortuni.

Importo:
100% del trattamento di cassa integrazione straordinaria percepito o che sarebbe spettato nel periodo immediatamente precedente il licenziamento per i primi 12 mesi;
80% del predetto importo per i periodi successivi;

in ogni caso l’indennità di mobilità non può superare un importo massimo mensile determinato di anno in anno.

Durata massima:
nel Centro-Nord 12, 24 o 36 mesi a seconda dell’età del lavoratore (fino a 39 anni; da 40 a 49; superiore a 50);

nel Mezzogiorno la durata è rispettivamente di 24, 36 e 48 mesi.



Licenziamenti collettivi cosa cambia dal 2015




Si parla di licenziamento collettivo per indicare l'ipotesi nella quale una impresa, per motivi di crisi, di ristrutturazione aziendale o di chiusura dell'attività, effettua una importante riduzione del personale. I licenziamenti collettivi sono possibili soltanto in casi specifici individuati dalla legge e unicamente dopo la conclusione di un complesso procedimento al quale prendono parte anche le rappresentanze sindacali. Il datore di lavoro non è libero nella scelta dei lavoratori da licenziare dal momento che la legge stabilisce dei criteri ai quali questo deve attenersi nel predisporre la lista dei dipendenti interessati.

Il licenziamento collettivo (o più correttamente la procedura di mobilità) è il fenomeno per il quale una impresa opera una riduzione significativa del personale in un contesto di crisi, a seguito di una ristrutturazione produttiva oppure in vista della chiusura definitiva dell’azienda. Il licenziamento collettivo, disciplinato dalla legge n. 223 del 1991, si realizza attraverso una complessa procedura che può essere attivata soltanto in presenza di condizioni stabilite dalla legge.

La disciplina prevede che l’impresa possa attivarsi in questo senso quando:

sta beneficiando di strumenti di integrazione salariale come la Cassa Integrazione e ritiene di non essere in grado di garantire il reimpiego di tutti i lavoratori sospesi e di non potere utilizzare misure alternative;

l’impresa (che ha più di 15 dipendenti, compresi i dirigenti) decide di licenziare almeno 5 lavoratori nell’arco di 120 giorni in vista della cessazione dell’attività o di una ristrutturazione della produzione.

I licenziamenti collettivi sono disciplinati dalla legge 223 del 1991 e scattano quando l’impresa intende effettuare almeno cinque licenziamenti nell’arco di centoventi giorni, in ciascuna unità produttiva, o più unità produttive nell’ambito della stessa provincia. Attualmente, in base alla 223,esistono due differenze regimi sanzionatori in caso di licenziamento illegittimo. Se si violano i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare l’impresa è punita con la reintegrazione (risarcimento fino a dodici mesi). Per tutti gli altri casi di errori nella procedura è previsto il pagamento di un indennizzo.

Con le nuove regole in via di approvazione in caso di violazione delle procedure o dei criteri di scelta si applica sempre il regime dell’indennizzo monetario. In questo modo ci saranno sanzioni monetarie (e non la reintegra) in caso di violazione delle procedure o dei criteri di scelta,quando a essere irregolarmente licenziati, nel quadro di una riduzione del personale, sono dipendenti assunti con il contratto a tutele crescenti.

La novità predominante è che i lavoratori licenziati collettivamente si applicherà il contratto di ricollocazione, e pertanto anche loro avranno diritto ad avere assistenza presso i centri per l’impiego e ottenere il voucher da spendere per trovare un nuovo impiego.

Le modifiche non riguardano invece i dirigenti e quanti risultano già contrattualizzati. Ma c’è un’eccezione, quella di lavoratori che si ritrovino in aziende dove viene superato il limite dei 15 dipendenti: il neoassunto sarà a tutele crescenti e trascinerà con se nel nuovo regime anche gli altri, pur se “veterani”. Ciò ricordando che l’articolo 18 sinora non è mai stato applicato alle piccole imprese.

La riassunzione vale anche per i licenziamenti disciplinari dove il fatto “materiale” (deve dunque avere concretezza) è dimostrato insussistente. In tutte le altre situazioni, quindi in quel che resta dei casi disciplinari e in quelli economici, tutto si risolve con un indennizzo, che va da un minimo di 4 mensilità a un massimo di 24, ridotte a 6 per le aziende sotto i 15 dipendenti. Che infatti danno la loro approvazione in modo deciso e con un sondaggio della Cna sottolineano che «rende i contratti più stabili». Rimane la possibilità di percorre la strada della conciliazione, accettando un assegno di massimo 18 mensilità esentasse.

Un articolo del decreto è poi riservato appunto ai licenziamenti collettivi: anche per questi scatta l’indennizzo se vengono vìolate le procedure che regolano lo strumento.



giovedì 25 dicembre 2014

Articolo 18 cosa cambia per il 2015



"Altro che rivoluzione copernicana", il governo Renzi "ha cancellato il lavoro a tempo indeterminato, generalizzando la precarizzazione". Così la leader della Cgil, Susanna Camusso, dopo l'ok del Cdm ai decreti attuativi del Jobs Act: norme "ingiuste, sbagliate e punitive". "Il governo ha accolto la nostra reiterata richiesta di un intervento pubblico per l'Ilva: è un fatto decisamente positivo", sostiene invece il segretario generale della Uil, Carmelo Barbagallo. Ma, aggiunge, "diverso è il nostro giudizio sul Jobs Act. Consideriamo infatti - spiega - negativamente la monetizzazione dei licenziamenti collettivi, fatto che non aiuterà il mondo del lavoro".

Contratto a tutele crescenti e indennizzi “da un minimo di 4 ad un massimo di 24 mesi”. E poi niente ‘opting out’, cioè niente super-indennizzo per aggirare il reintegro dei lavoratori licenziati illegittimamente, e delega fiscale. E ancora le misure per Taranto e sull’Ilva, la legge Europea 2014 e la proroga dei contratti dei precari delle province. Sono tante e diverse le novità varate dal Consiglio dei Ministri della Vigilia. Nelle immagini una scheda riassuntiva dei principali provvedimenti.

Addio al reintegro nei licenziamenti economici e in una buona parte dei licenziamenti disciplinari. Per i neo assunti, dal 2015, scatterà il contratto a tutele crescenti, e le nuove norme, è una novità dell'ultim'ora, si estenderanno anche ai licenziamenti collettivi (che sono economici per definizione). È quanto prevede il Dlgs con la nuova normativa sul contratto a tutele crescenti appena varato dal Governo, assieme a una prima lettura del Dlgs sull'Aspi.

Nel testo che cambia l'articolo 18, è previsto che le tutele crescenti per i licenziamenti economici illegittimi partiranno da 2 mensilità per anno di servizio con un tetto di 24 mensilità. È prevista l'introduzione di un indennizzo minimo di 4 mensilità, da far scattare subito dopo il periodo di prova, con l'obiettivo di scoraggiare licenziamenti facili. Visto che i contratti a tutele crescenti godranno dei benefici fiscali e contributivi contenuti nella legge di stabilità. E' confermata la conciliazione veloce: qui il datore di lavoro può offrire una mensilità per anno di anzianità fino a un massimo di 18 mensilità, con un minimo di due.

Sul fronte disciplinari c'è un mini-restyling alla legge Fornero. La reintegra resterà per i soli casi di insussistenza materiale del fatto contestato. Non è più prevista la clausola dell'opting out, che avrebbe consentito al datore di lavoro di poter convertire la tutela reale in un indennizzo monetario. Oggi la tutela reale scatta in due casi: se il fatto non sussiste o se è punito con una sanzione conservativa nei CCNL. La differenza con la nuova normativa è questa: viene meno il riferimento ai CCNL e si delimita il fatto al solo fatto materiale. Non si eliminerà la discrezionalità dei giudici.

Solo un primo esame con approvazione “salvo intese” per il secondo decreto legislativo, quello che darà vita alla nuova Aspi. Evidentemente i problemi di copertura che fino a ieri avevano trattenuto i tecnici del ministero del Lavoro e di palazzo Chigi alla Ragioneria (mancherebbero circa 300 milioni) devono ancora essere superati. Il nuovo ammortizzatore universale per chi perde il lavoro dovrebbe entrare in funzione verso giugno prossimo e sarebbe accessibili con sole 13 settimane di contributi. Il sussidio dovrebbe crescere con la durata del contratto (detto appunto a tutele crescenti) fino a 24 mesi, ovvero 6 in più rispetto ai 18 previsti a regime dall'Aspi Fornero.


Non trapelano indicazioni sull'ammontare che non dovrebbe però superare il tetto del 1090 euro mensili. L'estensione della platea dovrebbe comprendere la transizione fino a esaurimento dei Cocopro. e i contratti in somministrazione, oltre a tutti i nuovi contratti a tutele crescenti, naturalmente, a prescindere dal settore di appartenenza. Resta l'idea di base di legare la durata del sussidio alla contribuzione pregressa (con scalettatura ancora da definire. come detto) e resta l'assegno di disoccupazione che scatta dopo l'esaurimento della nuova Aspi ma non è chiaro se sarà già contenuta in questo dlgs. Vi si accederebbe con un Isee basso, un ammortizzatore di ultima istanza che sarà legato a una condizionalità: la partecipazione del beneficiario a programmi di reinserimento lavorativo. Con la nuova Aspi, che armonizza l'attuale Aspi e l mini-Aspi non cambierà lo schema della contribuzione dovuta da datori e dipendenti (con un carico per due terzi sui primi e un terzo sui secondi): l'1,30% dovuto per la disoccupazione e l'1,4% per l'Aspi sui contratti a termine. Con l'evidente obiettivo di incentivare anche sotto questo profilo la migrazione dai contratti a termine verso i nuovi contratti a tutele crescenti.



Tito Boeri è il nuovo presidente dell'Inps



È Tito Boeri il nuovo presidente dell'Inps. La nomina, inattesa, è arrivata al termine del consiglio dei ministri della Vigilia di Natale e chiude la fase del commissariamento a guida di Tiziano Treu, che si sarebbe dovuto protrarre fino a giugno 2015.

Tito Boeri, economista bocconiano guida anche il portale della Voce.info. Nato nel 1958 Tito Boeri è professore ordinario di economia del lavoro, svolge le proprie attività di ricerca presso l'Igier dell'Università Bocconi. È direttore della Fondazione Rodolfo Debenedetti, istituzione volta a promuovere la ricerca nel campo della riforma dei sistemi di welfare e dei mercati del lavoro in Europa.

Negli ultimi anni il suo nome è stato più volte tirato in ballo per incarichi al ministero del Lavoro. È stato anche consulente al Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale, della ì Commissione Europea e dell’Ufficio Internazionale del Lavoro.  È professore ordinario all’Università Bocconi, dove è anche prorettore alla Ricerca. È inoltre Direttore della Fondazione Rodolfo Debenedetti, responsabile scientifico del festival dell’economia di Trento e collabora con La Repubblica.

Boeri è stato consulente del Fondo monetario internazionale, della Banca mondiale, della Commissione europea e del governo italiano, nonché senior economist all'Ocse dal 1987 al 1996. È inoltre research fellow del Cepr, del William Davidson Institute dell'Università del Michigan, del Netspar dell'Università di Tilburg e dell'Iza - Institut zur Zukunft der Arbeit (Istituto per il Futuro del Lavoro) a Bonn. È membro del Consiglio della European Economic Association. Con il contributo di altri economisti, tra i quali Pietro Garibaldi, è stato uno dei primi ideatori della formula del contratto a tutele crescenti, in una versione diversa da quella elaborata dal giuslavorista Piero Ichino. Tito Boeri è anche tra i sostenitori, da diversi anni, di una misura di tutela universale contro la povertà definita, in vari contesti, anche come salario minimo di cittadinanza.



lunedì 22 dicembre 2014

Voucher maternità le informazioni necessarie



La riforma del lavoro del 2012 ha introdotto un contributo mensile di 600 euro per le madri lavoratrici dipendenti pubbliche e private e per le lavoratrici autonome iscritte alla gestione separata da fruire al termine del periodo di congedo di maternità e negli undici mesi successivi, al posto del congedo parentale. Il contributo detto anche Voucher è utilizzabile per il servizio di baby sitting oppure per far fronte alle spese di asilo nido pubblico o privato. La richiesta può essere presentata anche dalla lavoratrice che abbia già usufruito in parte del congedo parentale, per il periodo residuo.

Il contributo sperimentale per i servizi all'infanzia è stato introdotto dall'articolo 4, comma 24, lettera b), della legge n. 92 del 2012 (Riforma Fornero).

Con decreto del 28 ottobre 2014, pubblicato nella gazzetta Ufficiale dell’ 11 dicembre 2014 n.287, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze ed il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, ha recentemente definito, per il biennio 2014-2015, i criteri di accesso e le modalità di utilizzo di queste misure, nei limiti delle risorse finanziare stanziate per ciascun anno di sperimentazione.

L' INPS ha fornito una serie di informazioni di cui è bene munirsi, da parte delle interessate, prima di accedere alla procedura:

−dati anagrafici del minore per il quale si intende effettuare la domanda (cognome, nome, codice fiscale, sesso, data di nascita, luogo, Provincia e Stato di nascita indirizzo, n° civico, CAP, Comune, Provincia e Stato di residenza);

−in caso di adozione/affidamento nazionale, dati anagrafici del minore per il quale si intende effettuare la domanda, inclusa la data di adozione e di ingresso in famiglia;

−in caso di adozione/affidamento internazionale, dati anagrafici del minore per il quale si intende effettuare la domanda, inclusa la data di adozione/affidamento, data di ingresso in Italia, data di ingresso in famiglia e dati relativi alla trascrizione del provvedimento di adozione internazionale (data, Provincia e Comune dei registri di stato civile).

−data dell'ultimo giorno di congedo di maternità riferito al minore indicato;

−numero di mesi di congedo parentale eventualmente già fruiti per il minore indicato;

−dati del datore di lavoro, inclusi indirizzo PEC/email;

−dati relativi al proprio inquadramento contrattuale (tipo di contratto ed eventuale percentuale di part-time);

− dati anagrafici del padre (cognome, nome, codice fiscale, data di nascita, luogo provincia e stato di nascita indirizzo, numero civico, CAP, comune, provincia e stato di residenza);

−tipo di rapporto di lavoro del padre (lavoratore dipendente - sia del settore pubblico che del settore privato, lavoratore iscritto alla gestione separata INPS, lavoratore autonomo, lavoratore a domicilio, altra situazione lavorativa) e codice fiscale del datore di lavoro del padre;

− periodi di congedo parentale eventualmente fruiti dal padre in relazione al minore per cui si chiede il beneficio con dettaglio del datore di lavoro presso il quale ha fruito dei suddetti periodi.


La domanda va presentata all'INPS per via telematica, tramite PIN o attraverso il supporto dei patronati, accedendo al portale Internet dell'Istituto (www.inps.it - Servizi per il cittadino-Autenticazione con PIN - Invio domande di prestazioni a sostegno del reddito  -  Invio delle domande per l'assegnazione dei contributi per l'acquisto dei servizi per l'infanzia).

Le interessate, per la presentazione della domanda, dovranno:
− richiedere preventivamente il PIN "online" e convertirlo in tempo utile in PIN "dispositivo";
− presentare preventivamente ed in tempo utile all'Inps la dichiarazione ISEE (qualora non sia già presente nelle banche dati dell'Inps una dichiarazione ISEE valida). Tale dichiarazione può essere presentata all'Istituto in via telematica o rivolgendosi ad un Caf convenzionato.


La domanda del voucher per servizi all'infanzia 2014-2015



Per l’accesso al beneficio, le madri lavoratrici interessate devono presentare domanda tramite i canali telematici dell’Inps oppure mediante patronato. Nella domanda occorre indicare: a quale delle due opzioni si intende accedere e, con riferimento ai servizi per l’infanzia, la struttura nella quale è stata effettuata l’iscrizione del figlio; il periodo di fruizione del beneficio (specificando il numero dei mesi); dichiarare la rinuncia al congedo parentale per i mesi corrispondenti e di aver presentato la dichiarazione Isee.

La domanda si presenta on line entro il 31 dicembre di ogni anno per ogni anno di sperimentazione la domanda di ammissione per fruire del contributo baby sitting e servizi all'infanzia di quest'anno.

La scelta del beneficio non può essere variata, salvo la presentazione di una nuova domanda entro i limiti temporali di presentazione, che comporta la revoca della precedente.

La domanda va presentata all'INPS per via telematica, tramite PIN o attraverso il supporto dei patronati, accedendo al portale Internet dell'Istituto (www.inps.it - Servizi per il cittadino-Autenticazione con PIN - Invio domande di prestazioni a sostegno del reddito  -  Invio delle domande per l'assegnazione dei contributi per l'acquisto dei servizi per l'infanzia).

Le interessate, per la presentazione della domanda, dovranno:
− richiedere preventivamente il PIN "online" e convertirlo in tempo utile in PIN "dispositivo";
− presentare preventivamente ed in tempo utile all'Inps la dichiarazione ISEE (qualora non sia già presente nelle banche dati dell'Inps una dichiarazione ISEE valida). Tale dichiarazione può essere presentata all'Istituto in via telematica o rivolgendosi ad un Caf convenzionato.

Le domande possono essere presentate anche dalle lavoratrici che abbiano già usufruito in parte del congedo parentale e l’accesso al beneficio è concesso per ogni singolo figlio, purché vengano rispettati i limiti temporali indicati nel decreto del ministero.

Sono escluse dalla misura le lavoratrici autonome iscritte ad altre gestioni (coltivatrici dirette, artigiane, colone, ecc.) e le madri che usufruiscono già del Fondo per le Politiche relative ai diritti e alle pari opportunità (ex art. 19 comma 3 d.l. n. 223/2006).

Non possono presentare richiesta, inoltre, le madri lavoratrici ancora in fase di gestazione.

Relativamente ai servizi per l’infanzia, pubblici e privati, non possono altresì accedere al contributo le dipendenti che, per il figlio per il quale intendono presentare domanda, risultano totalmente esentate dal pagamento dei servizi stessi, appartenenti alla rete pubblica o privata convenzionata.

Per quanto concerne i soli voucher, una volta ricevuta la comunicazione di accoglimento, le madri lavoratrici dovranno recarsi presso le competenti sedi Inps per ritirarli entro i successivi 120 giorni; la mancata presentazione vale come rinuncia al beneficio.

Adempimenti a carico degli “asili nido” per il pagamento

Per il pagamento del contributo gli asili nido devono inviare alla struttura provinciale Inps territorialmente competente richiesta di pagamento ed allegare i seguenti documenti debitamente compilati e sottoscritti:

delegazione liberatoria di pagamento;

dichiarazione della madre lavoratrice assegnataria del beneficio di fruizione del contributo economico per l’acquisto dei servizi dell’infanzia.

La documentazione sopra citata, è indispensabile per procedere al pagamento delle fatture relative all'erogazione dei servizi all'infanzia.



Erogazione dei buoni (voucher) per l’infanzia



I contributi per i servizi per l'infanzia (o "voucher baby sitting") sono gestiti dall'INPS con voucher alla madre o pagamento diretto all'asilo. Il contributo per la fruizione della rete pubblica dei servizi per l’infanzia o dei servizi privati accreditati viene erogato attraverso pagamento diretto alla struttura scolastica prescelta dalla madre, dietro esibizione, da parte della struttura stessa, della documentazione attestante l’effettiva fruizione del servizio, e fino a concorrenza dell’importo di 600 euro mensili, per ogni mese di congedo parentale non fruito dalla lavoratrice.

Il beneficio consiste in un contributo, pari ad un importo massimo di 600 euro mensili erogati complessivamente per un periodo non superiore a 6 mesi (tre per le lavoratrici iscritte alla gestione separata). Per l’acquisto dei servizi di baby sitting il contributo è erogato attraverso i buoni lavoro (1 voucher per ogni mese di congedo parentale al quale la madre rinuncia), mentre per la fruizione dei servizi per l’infanzia, pubblici o privati, consiste nel pagamento diretto da parte dell’Inps alla struttura prescelta (fino alla concorrenza dell’importo di 600 euro mensili per ogni mese di congedo parentale rinunciato).

Il contributo per il servizio di baby sitting viene erogato attraverso il sistema dei buoni lavoro (Voucher), mentre nel caso di fruizione della rete pubblica dei servizi per l'infanzia o dei servizi privati accreditati, il beneficio consiste in un pagamento diretto alla struttura prescelta, fino ad un massimo di 600 euro mensili, dietro esibizione da parte della struttura della richiesta di pagamento corredata della documentazione attestante l'effettiva fruizione del servizio.

Possono accedere al beneficio:

le lavoratrici dipendenti di amministrazioni pubbliche o di privati datori di lavoro;

le lavoratrici iscritte alla gestione separata di cui all’art.2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n.335, (ivi comprese le libere professioniste, che non risultino iscritte ad altra forma previdenziale obbligatoria e non siano pensionate, pertanto tenute al versamento della contribuzione in misura piena) che si trovino al momento di presentazione della domanda ancora negli 11 mesi successivi alla conclusione del periodo di congedo obbligatorio di maternità, e non abbiano fruito ancora di tutto il periodo di congedo parentale.

Le lavoratrici madri possono accedere al beneficio anche per più figli, presentando una domanda per ogni figlio purché ricorrano per ciascun figlio i requisiti sopra richiamati.

Non sono ammesse al beneficio:

le lavoratrici autonome iscritte ad altra gestione (coltivatrici dirette, mezzadre e colone, artigiane ed esercenti attività commerciali di cui alle leggi 26 ottobre 1957, n. 1047, 4 luglio 1959, n. 463, e 22 luglio 1966, n. 613, imprenditrici agricole a titolo principale, pescatrici autonome della piccola pesca marittima e delle acque interne, disciplinate dalla legge 13 marzo 1958, n. 250);

le lavoratrici esentate totalmente dal pagamento della rete pubblica dei servizi per l’infanzia o dei servizi privati convenzionati;

le lavoratrici che usufruiscono dei benefici di cui al Fondo per le Politiche relative ai diritti ed alle pari opportunità istituito con l’art.19, comma 3, del decreto legge 4 giugno 2006, n.223, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n.248.

I voucher sono unicamente cartacei e dovranno essere ritirati dalla madre lavoratrice presso la sede provinciale INPS territorialmente competente, individuata in base alla residenza o al domicilio temporaneo dichiarato nella domanda di accesso a tale prestazione. La madre lavoratrice potrà ritirare i voucher in un’unica soluzione oppure scegliere di ritirarne solo una parte o ritirarli con cadenza mensile, indicando espressamente il codice fiscale del figlio per cui è concesso il beneficio.

I voucher dovranno essere ritirati entro e non oltre 120 giorni dalla ricevuta comunicazione di accoglimento della domanda tramite i canali telematici. Il mancato ritiro o il ritiro parziale comporteranno l’automatica rinuncia al beneficio o alla parte di voucher non ritirata nel termine, con il conseguente ripristino della possibilità di utilizzo del periodo di congedo parentale rinunciato nel momento di presentazione della richiesta.

La madre lavoratrice potrà spendere detti voucher entro la scadenza degli stessi purché, prima dell’inizio della prestazione lavorativa del servizio di baby sitting, effettui (attraverso i consueti canali INPS/INAIL) la comunicazione preventiva di inizio prestazione, indicando oltre al proprio codice fiscale, il codice fiscale della prestatrice, il luogo di svolgimento della prestazione e le date presunte di inizio e di fine dell’attività lavorativa.

Per calcolare il periodo di congedo parentale, le frazioni di mese si sommano tra di loro fino a raggiungere trenta giorni, da considerarsi equivalenti ad un mese, mentre i mesi interi si computano come tali, qualunque sia il numero delle giornate di cui sono formati.

Le lavoratrici part-time, in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa, potranno accedere al contributo in misura proporzionata in ragione dell’entità della prestazione lavorativa.

Le lavoratrici possono accedere al beneficio, anche per più figli (in tale caso si deve presentare una domanda per ogni figlio), purché ricorrano per ciascun figlio i requisiti sopra richiamati. Per determinare i mesi di congedo parentale ancora spettanti occorre avere presenti i limiti individuali (massimo 6 mesi) e complessivi (tra i due genitori non superiori a 10 mesi, aumentabili a 11). Pertanto, anche ai fini del contributo in questione, è necessario tenere conto dei periodi di congedo parentale fruiti dal padre del minore.



Che cosa è il buono (voucher) per baby sitting?



La riforma del lavoro del 2012 (Legge Fornero ha introdotto un contributo mensile di 600 euro per le madri lavoratrici dipendenti pubbliche e private e per le lavoratrici autonome iscritte alla gestione separata da fruire al termine del periodo di congedo di maternità e negli undici mesi successivi, al posto del congedo parentale. Il contributo detto anche voucher è utilizzabile per il servizio di baby sitting oppure per far fronte alle spese di asilo nido pubblico o privato. La richiesta può essere presentata anche dalla lavoratrice che abbia già usufruito in parte del congedo parentale, per il periodo residuo.

Le madri lavoratrici, che rinunciano al congedo parentale, potranno ricevere un buono (voucher) per pagare il servizio di baby-sitting o richiedere la compartecipazione alle spese per i servizi per l'infanzia pubblici o privati accreditati. Il bonus potrà essere erogato al massimo per sei mesi.

Il contributo per l’acquisto dei servizi per l’infanzia può essere richiesto in alternativa al congedo parentale ex art. 32 del decreto legislativo n. 151 del 26 marzo 2001 “Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità”. Per maggiori informazioni, anche per valutare la convenienza, vediamo il congedo parentale. I benefici saranno riconosciuti nei limiti delle risorse economiche indicate nell’art.4, comma 26, della legge 28 giungo 2012, n. 92, ossia, come detto, 20 milioni di euro annui.

In analogia alle modalità già in uso nell’utilizzo dei buoni lavoro, prima dell’inizio della prestazione lavorativa del servizio di baby sitting, la madre è tenuta ad effettuare la comunicazione preventiva di inizio prestazione, indicando oltre al proprio codice fiscale, il codice fiscale del prestatore, il luogo di svolgimento della prestazione e le date presunte di inizio e di fine dell’attività lavorativa, attraverso i seguenti canali:

il contact center Inps/Inail (tel. 803.164, gratuito da telefono fisso, oppure, da cellulare il n. 06164164, con tariffazione a carico dell’utenza chiamante);

il numero di fax gratuito INAIL 800.657657, utilizzando il modulo presente sul sito dell’INAIL;

il sito www.inail.it /Sezione ‘Punto cliente’,

la sede INPS.

In caso di annullamento della prestazione per le date previste o di modifica delle suddette date, dovrà essere effettuata, con le stesse modalità, nuova comunicazione di variazione all’INAIL/INPS tramite gli stessi canali sopra indicati.

Al termine della prestazione lavorativa, la madre lavoratrice prima di consegnare al prestatore i voucher, provvede ad intestarli, scrivendo su ciascun buono lavoro, negli appositi spazi, il proprio codice fiscale, il codice fiscale della prestatrice, il periodo della relativa prestazione e convalidando il buono con la propria firma.

Il prestatore del servizio di baby sitting può riscuotere il corrispettivo dei buoni lavoro ricevuti, intestati e sottoscritti dalla committente, presentandoli all’incasso, dopo averli convalidati con la propria firma, presso qualsiasi ufficio postale ed esibendo un valido documento di riconoscimento, entro e non oltre i 24 mesi dalla data di emissione del voucher.

La madre lavoratrice può richiedere la riemissione dei voucher a lei consegnati, solamente nel caso di furto o smarrimento degli stessi, presentando presso la sede la denuncia effettuata alle Autorità competenti. I voucher emessi per servizi di baby sitting non possono essere oggetto di richiesta di rimborso in caso di mancato utilizzo.

Le madri lavoratrici, dipendenti di amministrazioni pubbliche o di aziende private, ovvero iscritte alla gestione separata al termine del periodo del congedo di maternità e in alternativa al congedo parentale, possono richiedere voucher da utilizzare per l’acquisto di servizi di baby sitting o un contributo per sostenere le spese dei servizi per l’infanzia (appartenenti alla rete pubblica o a istituti privati accreditati).

L'Inps ha avviato la procedura telematica per richiedere i contributi economici da utilizzare, qualora si rinunci a sfruttare il congedo parentale (la famosa 'maternità facoltativa'), per il servizio di baby sitting o per pagare gli oneri relativi ai servizi per l'infanzia pubblici o privati accreditati. Si tratta del cosiddetto 'voucher maternità' introdotto con la riforma Fornero in via sperimentale per il periodo 2013-2015. La novità per le madri lavoratrici è che il prossimo anno ci sono sul piatto 600 euro al mese, per un massimo di sei mesi, quando in precedenza l'assegno era della metà del valore (300 euro). Nel tempo, la platea è stata estesa anche al settore statale. Qualora si presentino forti di un contratto di lavoro a tempo pieno, il contributo potrebbe arrivare a un massimo di 3.600 euro, in caso - per questo estremo - rinuncino totalmente al congedo parentale.


venerdì 19 dicembre 2014

Pensione di invalidità per l’anno 2015: le nuove regole



La Pensione invalidità civile che viene erogata dall’INPS ed è un assegno mensile che spetta ai cittadini affetti da patologie congenite o acquisite, tali da non consentire l’attività lavorativa e quindi il proprio mantenimento.

L’assegno di invalidità civile viene elargito in presenza di determinati requisiti e previa domanda, qualora i cittadini a causa di specifiche malattia non siano in grado di lavorare e quindi sostenersi, indipendentemente dal versamento dei contributi.

Il messaggio INPS 9626/2014 ha chiarito che i titolari di assegno ordinario di invalidità potranno, nel caso in cui questo specifico beneficio vengano confermate, diventa possibile esercitare la totalizzazione della pensione.

In base a questo specifico istituto previdenziale un lavoratore che ha versato contributi presso differenti sistemi e casse per la gestione pensionistica, qualora non abbia maturato il diritto alla pensione in nessuna di queste casse, può decidere di cumulare tutti i suoi contributi per ottenere un’unica pensione, senza ricorre alla ricongiunzione per cui dovrebbe sostenere delle spese economiche.

L’istituto di previdenza ha stabilito che d’ora in poi, i titolari di pensioni di invalidità che perdono l’assegno (ad esempio, perché viene meno il requisito), nel caso in cui abbiano contributi versati in altre gestioni possono effettuare la totalizzazione sia per il trattamento di anzianità (che richiede 40 anni e tre mesi di contributi, più la finestra mobile di 21 mesi), sia per ottenere la pensione di vecchiaia (65 anni e tre mesi più la finestra mobile).

L’unico caso in cui era già possibile la totalizzazione era quello in cui, a seguito di un peggioramento delle condizioni di salute del titolare, l’assegno di invalidità venisse trasformato in pensione di inabilità. La totalizzazione era invece esplicitamente vietata in caso di trasformazione dell’assegno ordinario di invalidità, ovvero della pensione di invalidità, in pensione di vecchiaia. E non si poteva nemmeno cumulare un assegno di invalidità con contributi versati in un’altra gestione previdenziale, per totalizzarli in un’unica pensione.

Ricordiamo che la totalizzazione dei contributi previdenziali permette a lavoratori dipendenti, autonomi e professionisti che hanno effettuato versamenti in gestioni diverse di utilizzarli in tutto o in parte per ottenere un’unica pensione che sarà la somma dei trattamenti di competenza di ciascun istituto previdenziale. La totalizzazione è gratuita, ed è una possibilità diversa dalla ricongiunzione dei contributi, che spesso è invece onerosa, e permette (sempre a chi ha effettuato versamenti presso più enti) di unirli per ottenere alla fine una pensione da un unico ente previdenziale.

Vediamo chi può beneficiarne. Possono richiedere la totalizzazione dei contributi sia i lavoratori subordinati che i lavoratori autonomi e i liberi professionisti. La totalizzazione può essere richiesta anche dai parenti di un superstiti di un assicurato, nel solo caso in cui l’assicurato stesso sia morto prima di maturare il diritto alla pensione. Il beneficio della totalizzazione è stato previsto, in particolare per i lavoratori iscritti a due o più forme di assicurazione obbligatoria (invalidità, vecchiaia e superstiti); iscritti alle gestioni pensionistiche che sostituiscono o esonerano dall’assicurazione obbligatoria; iscritti agli enti previdenziali privati; iscritti alla gestione separata o, ancora, iscritti ai fondi di previdenza per i ministri di culto di chiese differenti da quella cattolica.

Con il messaggio recentemente emanato dall’INPS (9626/2014) tuttavia, il divieto di totalizzazione viene limitato ai soli casi in cui l’assegno di invalidità continui ad essere assegnato al soggetto titolare di trattamento pensionistico. Per gli altri contribuenti, ovvero per quei soggetti che perdono la pensione di invalidità in seguito alla revisione del loro stato di invalidità, si prevede un regime di maggiore flessibilità, dal momento che potranno esercitare la possibilità di totalizzare le loro altre pensioni e, nel caso in cui siano i contributi accreditati, alla pensione di anzianità in totalizzazione (40 anni e 3 mesi) o alla pensione di vecchiaia (65 anni e 3 mesi).

La pensione invalidità quindi è un assegno mensile che l’Istituto eroga a favore dei cittadini affetti da determinate malattie che non consentono di svolgere alcun tipo di attività lavorativa e si differenzia dagli altri tipi di invalidità perché non richiede il versamento dei contributi.
Un cittadino quindi affetto da una patologia invalidante, ha diritto a ricevere l’assegno di pensione di invalidità civile anche se non ha mai versato contributi obbligatori all’INPS.

Il riconoscimento del diritto a ricevere la pensione di invalidità civile INPS prevede specifici requisiti, quali:

pensione invalidità civile requisiti Sanitari: il diritto all’assegno di invalidità civile si ottiene solo se il tipo di malattia invalidante di cui è affetta la persona rientra nelle fattispecie individuate dalla legge e se la percentuale di invalidità riconosciuta dalla Commissione Sanitaria ASL è tra il 100% e il 74%;

pensione invalidità civile requisiti di età: il riconoscimento dell’assegno di invalidità è riconosciuto dai 18 anni ai 65 anni, in quanto per i minori e gli ultrasessanticinquenni vi sono altri tipi di prestazioni specifiche;

pensione invalidità civile requisiti di reddito: l’assegno di invalidità spetta in misura proporzionale ai limiti di reddito.

Nello specifico, l’accertamento dei requisiti sanitari, devono essere appurati dall’INPS previa conferma da parte della Commissione Medica ASL, la quale ha il compito di determinare la percentuale di invalidità e confermare il diritto alla pensione di invalidità civile. Una volta accertato e riconosciuto il diritto, il cittadino tramite Caf e Patronati o mediante PIN dispositivo INPS, può inoltrare la domanda online per il riconoscimento dell’invalidità civile e dei vari benefici che ne derivano come la pensione, l’assegno, le agevolazioni fiscali, congedi e permessi lavorativi, esenzione dal ticket sanitario ecc.




martedì 16 dicembre 2014

Pensioni e prepensionamenti per il 2015



I meccanismi di uscita anticipata dovrebbero prevedere pensione anticipata a 62 anni con 35 anni di contributi e una serie di penalizzazioni e, al contrario, incentivi per chi decide invece di rimare a lavoro oltre i 66 anni e fino ai 70; uscita anticipata con prestito pensionistico, per lasciare il lavoro qualche anno prima rispetto ai 66 anni percependo un anticipo sulla pensione finale che dovrà poi essere restituito con piccole trattenute mensili una volta maturati i requisiti normalmente richiesti; e uscita a quota 100.

Ma restano da sciogliere i nodi su caso esodati, quota 96 della scuola, prepensionamenti e ricollocamenti dei dipendenti in esubero delle province, le cui soluzioni dovrebbero arrivare prima del prossimo anno. Ma il 2015 potrebbe essere anche l’anno degli interventi, negativi, già annunciati dal premier prima dell’estate, ma poi rimandati, vale a dire modifiche per le pensioni integrative, di invalidità e reversibilità, nonché novità sulle tanto discusse baby pensioni.

Come sappiamo, la Legge di Stabilità ha scombinato le carte del futuro pensionistico di molti lavoratori, soprattutto nel settore scolastico. Chi effettuerà domanda di pensione alla prossima scadenza del 15 gennaio 2015 (data ultima per la presentazione delle domande) dovrà tenere presente che sono state abolite alcune penalizzazioni destinate a coloro che effettuavano domanda di pensione senza aver raggiunto l'età anagrafica minima, che consisteva nel trattenimento dell'1% dell'assegno pensionistico per i primi due anni, cifra raddoppiata per ogni ulteriore anno fino al raggiungimento dei 62 anni di età.

Attenzione però: non tutti potranno beneficiare di questo sconto, ma solo quanti raggiungeranno la soglia d'età per la pensione entro il 2017. Non varia, al contrario, la norma che prevede il termine fino a due anni per la ricezione del trattamento di fine rapporto, nel caso di richiesta di pensione anticipata.

Rimangono immutati i requisiti per chi effettua domanda di pensione all'inizio del prossimo anno. I requisiti sono molto articolati. Vale la pena riassumerli a beneficio dei nostri lettori.

Per chi ha raggiunto i requisiti dopo l'entrata in vigore della riforma del lavoro del ministro Fornero è possibile richiedere la pensione di anzianità se si compiranno 66 anni e tre mesi entro il 31 agosto o entro il 31 dicembre, nel caso sia lo stesso lavoratore a presentare la domanda. Ovviamente, il requisito indispensabile è aver accumulato almeno vent'anni di contributi.

Chi non rientra nei requisiti precedenti potrà fare domanda di pensione anticipata, a patto che abbia i requisiti elencati di seguito. Per gli uomini è necessario raggiungere un'anzianità contributiva di 42 anni e mezzo entro la fine del 2015, mentre per le donne la soglia è inferiore di un anno. Identica la norma che regola la richiesta di pensione con il sistema contributivo, limitata però alle sole donne, che dovranno avere contributi per almeno 35 anni ed età anagrafica di almeno 57 anni.

Chi invece ha raggiunto i requisiti minimi per il pensionamento prima della riforma Fornero ma si trova ancora in attività potrà usufruire di criteri diversi e, più precisamente, ricevere la pensione di anzianità al raggiungimento della cosiddetta "quota 96" che prevede due casi specifici. Il primo è avere un'età superiore ai 60 anni e 36 anni di contribuzione, mentre il secondo prevede il raggiungimento di 61 di età e 35 di contribuzione (valgono anche le frazioni di anno). Valida per tutti l'opzione che permette di ricevere la pensione di anzianità con 40 anni di servizio, a patto che sia stata maturata entro il 2011.



Riforma del lavoro per il 2015 le deleghe al governo



In Gazzetta Ufficiale le deleghe al Governo per la riforma del lavoro, i decreti attuativi dovranno essere emanati entro sei mesi dalla pubblicazione in Gazzetta e quindi entro il 16 giugno 2015.

Il Parlamento ha pubblicato, sulla Gazzetta Ufficiale n. 290 del 15 dicembre 2014, la L. 10 dicembre 2014, n. 18, contenente le deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro. La legge è vigente dal 16 dicembre 2014.

La presente Legge Delega contiene cinque deleghe legislative, che intervengono su importanti e vasti ambiti del diritto del lavoro:

delega in materia di ammortizzatori sociali, finalizzata a razionalizzare le forme di tutela esistenti, differenziando l’impiego degli strumenti di intervento in costanza di rapporto di lavoro (Cassa Integrazione) da quelli previsti in caso di disoccupazione involontaria (ASpI). Lo scopo è quello di assicurare un sistema di garanzia universale per tutti i lavoratori, con tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori, nonché di razionalizzare la normativa in materia d’integrazione salariale;

delega in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive, avente lo scopo di riordinare la normativa in materia di servizi per il lavoro, per garantire la fruizione dei servizi essenziali in materia di politiche attive del lavoro su tutto il territorio nazionale, razionalizzando gli incentivi all'assunzione e all’autoimpiego e istituendo una cornice giuridica nazionale che faccia da riferimento anche per le normative regionali e provinciali. La delega prevede, in particolare, con l’obiettivo di unificare la gestione delle politiche attive e passive, l’istituzione dell’Agenzia nazionale per l’occupazione (con competenze gestionali in materia di servizi per l’impiego, politiche attive e ASpI, con il contestuale riordino degli enti operanti nel settore) e il rafforzamento dei servizi per l’impiego, valorizzando le sinergie tra servizi pubblici e privati; si prevedono, inoltre, la valorizzazione delle funzioni di monitoraggio e valutazione delle politiche attive per il lavoro e interventi di semplificazione amministrativa in materia di lavoro e politiche attive;

delega in materia di semplificazione delle procedure e degli adempimenti, per conseguire obiettivi di semplificazione e razionalizzazione delle procedure di costituzione e gestione dei rapporti di lavoro, al fine di ridurre gli adempimenti a carico di cittadini e imprese. In particolare, si vuole diminuire il numero di atti amministrativi inerenti il rapporto di lavoro, attraverso specifiche modalità (ad es. l’unificazione delle comunicazioni alle P.A. per gli stessi eventi, l’obbligo di trasmissione di dati tra le diverse amministrazioni, l’abolizione della tenuta di documenti cartacei e la revisione degli adempimenti in materia di libretto formativo del cittadino);

delega in materia di riordino delle forme contrattuali e dell’attività ispettiva, finalizzata a rafforzare le opportunità d’ingresso nel mondo del lavoro e ai riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo, nonché a rendere più efficiente l’attività ispettiva. In particolare, si prevede la redazione di un testo organico di disciplina delle varie tipologie contrattuali (con possibilità di superamento di alcune di esse); la previsione, per le nuove assunzioni, del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio; l’introduzione, anche in via sperimentale, del compenso orario minimo; la ridefinizione della disciplina vigente in materia di mansioni (con la possibilità di “demansionamenti”) e controllo a distanza dei lavoratori;

delega in materia di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro, avente lo scopo di garantire adeguato sostegno alla genitorialità e favorire le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per la generalità dei lavoratori. A tal fine si prevede, in particolare, l’estensione del diritto alla prestazione di maternità alle lavoratrici madri cd. “parasubordinate”; l’introduzione di un credito d’imposta per le donne lavoratrici, anche autonome, che abbiano figli minori o disabili non autosufficienti (al di sotto di una determinata soglia di reddito individuale complessivo) e l’armonizzazione del regime delle detrazioni (dall’imposta sui redditi) per il coniuge a carico; la promozione del telelavoro; l’incentivazione di accordi collettivi volti a facilitare la flessibilità dell’orario di lavoro e l’impiego di premi di produttività; la possibilità di cessione dei giorni di ferie tra lavoratori per attività di cura di figli minori; la promozione dell’integrazione dell’offerta di servizi per le cure parentali forniti dalle aziende e dagli enti bilaterali nel sistema pubblico-privato dei servizi alla persona.

In arrivo quindi il decreto attuativo con la nuova normativa sul contratto a tutele crescenti. L'obiettivo è di agevolare le nuove assunzioni dall'inizio del 2015 con le agevolazioni della legge di stabilità, che destina fino a 8.060 euro l'anno per gli sgravi contributivi dei neoassunti con la nuova tipologia contrattuale (per un triennio), e con l'abbattimento della componente lavoro dalla base imponibile Irap per i contratti a tempo indeterminato.

La Legge Delega contiene cinque deleghe legislative, che intervengono su importanti e vasti ambiti del diritto del lavoro:

Una scheda di sintesi delle cinque deleghe con i tempi di attuazione

Delega in materia di ammortizzatori sociali           6 mesi

Delega in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive   6 mesi


Delega per la semplificazione e la razionalizzazione delle procedure e degli adempimenti relativi alla costituzione ed alla gestione dei rapporti di lavoro          6 mesi

Delega per il riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e delle tipologie dei relativi contratti nonché per la razionalizzazione e semplificazione dell'attività ispettiva              6 mesi

Delega per la revisione e l’aggiornamento delle misure intese a sostenere le cure parentali ed a tutelare la maternità e le forme di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro                6 mesi.




venerdì 12 dicembre 2014

Lavoro e diritto allo studio come conciliarli



I lavoratori dipendenti hanno diritto di assentarsi dal lavoro, usufruendo di appositi permessi studio, da non confondersi con l'aspettativa per motivi di studio. In questo modo la legge e i contratti collettivi danno attuazione a quanto previsto dalla nostra Costituzione (diritto allo studio).

Lo Statuto dei Lavoratori prevede che i lavoratori dipendenti, sia privati che pubblici, possano usufruire di permessi o di particolari agevolazioni per la realizzazione del diritto allo studio, allo scopo di elevare la propria cultura e di sviluppare le proprie capacità professionali.

Possono fruire dei permessi studio tutti i lavoratori studenti iscritti e che frequentano regolari corsi di studio in scuole di istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale, statali, parificate, legalmente riconosciute o comunque abilitate al rilascio di titoli di studio legali. La disposizione si applica anche a coloro che frequentano corsi di formazione professionale.

Al fine di promuovere il diritto allo studio e la possibilità di conciliazione studio-lavoro, i lavoratori dipendenti possono assentarsi, usufruendo di permessi o periodi di aspettativa espressamente dedicati e regolati dalla legge (Art.10 L.300/70).

Rispetto a tali benefici, la contrattazione collettiva di settore può prevedere integrazioni e, in linea generale, essa stabilisce un numero di ore retribuite (mediamente 150) da spalmarsi in un certo arco temporale, ed il tetto massimo di fruitori di tale diritto entro una medesima struttura aziendale, al fine di garantire il normale svolgimento delle attività produttive.

I permessi studio sono indirizzati a tutti i lavoratori-studenti iscritti a regolari corsi di studio nonché a coloro che frequentano corsi di formazione professionale.

Annesso a tale beneficio vi è la possibilità per il lavoratore di eseguire turni facilitanti le sue esigenze di studio – ma già previsti ed esistenti in azienda e senza che, tale flessibilità, si traduca in uno svantaggio per gli altri lavoratori. Un ulteriore diritto del soggetto consta nell'avvalersi di rifiutare di effettuare orari straordinari.

Al fine di usufruire dei permessi studio in forma retribuita, il lavoratore interessato deve presentare una domanda scritta entro i tempi stabiliti a livello aziendale così come, dal canto suo, il datore di lavoro può richiedere di entrare in possesso della documentazione attestante l'effettiva frequenza ai corsi o la partecipazione ad un esame; senza di essa, il lavoratore perde il diritto al pagamento delle ore di permesso.

I permessi studio hanno anche la funzione di agevolare la preparazione e lo svolgimento degli esami (art.10 L300/70 e art.13 L845/78) e sono da concedersi anche se l'esame non rientra nell'orario lavorativo - un'eccezione a riguardo è il caso in cui si sostenga lo stesso esame più di due volte all'anno.

Al permesso retribuito, si somma il diritto alla fruizione di due giorni ulteriori precedenti l'esame, sempre retribuiti.

Per quanto riguarda i permessi non retribuiti, invece, i lavoratori-studenti hanno a disposizione 120 ore, il cui utilizzo deve essere programmato trimestralmente e tenendo in considerazione la ratio e le esigenze aziendali.

L’ammontare dei permessi studio viene stabilita dai singoli contratti collettivi nazionali, ma è ormai prassi abbastanza consolidata quella di concedere 150 ore di permesso in un determinato periodo di tempo, di solito un triennio. Se il titolo di studio che il lavoratore vuole conseguire è della scuola dell’obbligo (ad esempio il titolo di licenza media), le ore possono aumentare fino a 250.
I permessi studio possono essere utilizzati esclusivamente per la frequenza dei corsi; questo vuol dire che sarà ammissibile la concessione dei permessi studio finalizzati a seguire un corso universitario, ma non per lo studio necessario alla preparazione dell’esame.

Il datore di lavoro può richiedere le certificazioni comprovanti l’effettiva frequenza dei corsi. I lavoratori iscritti e frequentanti regolari corsi di istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale, hanno diritto ad essere inseriti in turni di lavoro che agevolino la frequenza ai corsi e la preparazione agli esami.

Inoltre, questi lavoratori non sono obbligati a prestare lavoro straordinario o durante i riposi settimanali.

Sono inoltre previsti dei permessi giornalieri per sostenere i singoli esami.

Le 150 ore non spettano al personale assunto con contratto a  termine. L'art. 6 D.Lgs. n. 368/2001, pur stabilendo il principio di non discriminazione dei trattamenti economici e normativi riconosciuti al personale assunto a termine rispetto a quello a tempo indeterminato, fa salve le eventuali eccezioni, legate all'obiettiva incompatibilità dell'estensione di taluni istituti tipici del rapporto di lavoro a tempo indeterminato con le caratteristiche proprie del contratto a termine. Il personale a termine può però beneficiare dei permessi retribuiti di cui all' art. 10 della L. n. 300/70, limitatamente ai giorni in cui deve sostenere le prove d'esame.

Le 150 ore possono essere concesso ai dipendenti con un  rapporto di lavoro a tempo parziale verticale con  regola della proporzionalità, per le diverse tipologie di assenza. Nel caso di rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale, trova ugualmente applicazione la regola del riproporzionamento.

Ai lavoratori studenti è riconosciuta l'indennità temporanea assoluta ove si infortunino nell'esercizio di esperienze tecnico scientifiche o esercitazioni pratiche o esercitazioni di lavoro e svolgono un'attività lavorativa retribuita soggetta alla tutela contro gli infortuni. Deve ritenersi che l'indennità spetti anche ai giovani con contratto di formazione lavoro qualora l'infortunio si verifichi durante lo svolgimento dello stage formativo.

Gli adolescenti o i giovani, regolarmente iscritti ad un ciclo di studi presso l'università e gli istituti scolastici di ogni ordine e grado, possono inoltre svolgere durante le vacanze estive, tirocini estivi di orientamento. Come ogni tirocinio non è un rapporto di lavoro, ma costituisce un'esperienza formativa svolta in azienda.



mercoledì 10 dicembre 2014

Aspi e mini ASPI cosa cambia nel 2015



Il Jobs Act riforma l'universo degli ammortizzatori sociali. Aspi e Mini Aspi vengono unificati, la tutela viene estesa, ma la cassa integrazione rimane attiva fino al 2016.

Vediamo le novità che entreranno in vigore nel 2015 per quanto riguarda i sussidi di disoccupazione Aspi e Mini Aspi.

La normativa attualmente in vigore (Legge n. 92 del 2012, cioè la riforma Fornero), prevede che in caso d licenziamento al lavoratore siano garantite due indennità: Aspi e Mini Aspi.

L’Aspi viene garantita ai dipendenti del settore privato, ai lavoratori con contratto di apprendistato e ai lavoratori di cooperativa che hanno perso il lavoro per motivi indipendenti dalla loro volontà. Sono esclusi dal sussidio i dipendenti a tempo indeterminato delle PA, gli operai agricoli e i lavoratori extracomunitari con permesso di soggiorno di lavoro stagionale. Per poter ricevere l’Aspi occorre possedere due requisiti: essere assicurati all’Inps da minimo due anni e aver pagato almeno un anno di contributi nei due che precedono il momento in cui si è perso il lavoro.

Chi non possiede i suddetti requisiti può accedere alla Mini Aspi. In questo caso il lavoratore dovrà aver versato almeno 13 settimane di contributi negli ultimi 12 mesi e riceverà un’indennità per un periodo di tempo corrispondente alla metà delle settimane lavorate nel corso dell’ultimo anno.

L’Aspi dal 2015  verrà estesa e universalizzata anche a coloro che perdono il lavoro, senza possibilità di reintegro e tutela anche i co.co.pro. .Per dirla in altri termini, i due ammortizzatori sociali verranno unificati in un’unica indennità, la cui durata varierà proporzionalmente al periodo contribuito maturato dal lavoratore. Il rapporto con la «pregressa storia contributiva del lavoratore» farà si che chi ha lavorato per molti anni, avrà la possibilità di ricevere per un tempo maggiore il sussidio di disoccupazione.

La Legge Delega prevede criteri di delega per la disoccupazione involontaria; nello specifico riguarda:

la rimodulazione dell’ASpI con omogeneizzazione della disciplina relativa ai trattamenti ordinari e ai trattamenti brevi, rapportando la durata dei trattamenti alla pregressa storia contributiva del lavoratore);

l'incremento della durata massima per i lavoratori con carriere contributive più rilevanti ;

l'estensione dell’ASpI ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa (con l’esclusione, in ogni caso, degli amministratori e dei sindaci) mediante l’abrogazione degli attuali strumenti di sostegno del reddito (relativi a tali soggetti), l’eventuale modifica delle modalità di accreditamento dei contributi ed il principio di automaticità delle prestazioni9 e prevedendo, prima dell’entrata a regime, un periodo almeno biennale di sperimentazione a risorse definite);

l'introduzione di limiti massimi relativi alla contribuzione figurativa ;

l'eventuale introduzione, dopo la fruizione dell’ASpI, di una ulteriore prestazione, eventualmente priva di copertura pensionistica figurativa, limitata ai lavoratori, in disoccupazione involontaria, che presentino valori ridotti dell’Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), con previsione di obblighi di partecipazione alle iniziative di attivazione proposte dai servizi competenti.

Possono accedere all'ASpI tutti i lavoratori dipendenti, compresi gli apprendisti e i soci lavoratori di cooperativa con un rapporto di lavoro in forma subordinata, i dipendenti a tempo determinato delle pubbliche amministrazioni (mentre ne sono esclusi quelli con rapporto a tempo indeterminato), nonché i soci lavoratori delle cooperative, il personale artistico, teatrale e cinematografico con rapporto di lavoro subordinato. Dal campo di applicazione dell’ASpI sono altresì esclusi gli operai agricoli (a tempo indeterminato e determinato), e i lavoratori extracomunitari con permesso di lavoro stagionale.

Per usufruire dell’ASpI è necessario essere assicurati presso l'INPS da almeno 2 anni ed aver versato almeno un anno di contributi nei 2 anni precedenti all'evento che ha determinato la disoccupazione. L'indennità mensile è rapportata alla retribuzione imponibile ai fini previdenziali degli ultimi 2 anni (comprensiva degli elementi continuativi e non nonché delle mensilità aggiuntive, divisa per il numero di settimane di contribuzione e moltiplicata per il numero 4,33), è pari fino ad un limite massimo pari, nel 2014, a euro 1.192,98. In caso di importo superiore, l'indennità è pari al 75% di 1.192.98 euro incrementata di una somma pari al 25% del differenziale tra la retribuzione mensile e il predetto importo.

L'indennità mensile non può in ogni caso superare l'importo mensile massimo di CIGS.

La durata massima del trattamento, a decorrere dal 1° gennaio 2016 per gli eventi che si verifichino da tale data è di 12 mesi, per i lavoratori di età inferiore a 55 anni (detratti i periodi di indennità eventualmente fruiti negli ultimi 12 mesi, anche in relazione ai trattamenti brevi); 18 mesi, per i lavoratori di età pari o superiore ai 55 anni (nei limiti delle settimane di contribuzione negli ultimi 2 anni, detratti i periodi di indennità eventualmente fruiti negli ultimi 18 mesi).

L’Inps a Circolare numero 101/2014 ha precisato che rientrano nell’ambito di applicazione del decreto interministeriale che determina l’allineamento di Aspi e Mini-Aspi:

i soci lavoratori delle cooperative di cui al D.P.R. n. 602 del 1970, con rapporto di lavoro subordinato;

il personale artistico, teatrale e cinematografico, con rapporto di lavoro subordinato.
Ammontare di Aspi e Mini-Aspi

Le indennità Aspi e Mini-Aspi per i soggetti appena indicati sono quindi liquidate:
con riferimento all’anno 2014, in misura proporzionale all’aliquota effettiva di contribuzione e cioè per un importo pari al 40 per cento della misura delle indennità;
con riferimento all’anno 2015 in misura proporzionale all’aliquota effettiva di contribuzione e cioè per un importo pari al 60 per cento della misura delle indennità come calcolate;
con riferimento all’anno 2016 in misura proporzionale all’aliquota effettiva di contribuzione e cioè per un importo pari all’80 per cento della misura delle indennità;
con riferimento all’anno 2017 in misura proporzionale all’aliquota effettiva di contribuzione e cioè per un importo pari al 100 per cento della misura delle indennità.



lunedì 8 dicembre 2014

Violazione della procedura di sospensione propri dipendenti in CIG



La cassa integrazione guadagni è una prestazione economica erogata dall'INPS con la funzione di sostituire o integrare la retribuzione dei lavoratori sospesi dal lavoro o che lavorano a orario ridotto, in situazioni espressamente previste dalla legge. Viene concessa, in caso di sospensione o contrazione dell'attività produttiva per situazioni aziendali dovute a: eventi temporanei e non imputabili all'imprenditore o ai lavoratori o situazioni temporanee di mercato.

Obiettivo della CIG è quello di sollevare le aziende, in momentanea difficoltà produttiva, dai costi del lavoro della manodopera temporaneamente non utilizzata, consentendo ai lavoratori di riprendere la loro collaborazione una volta superata tale difficoltà.

Una sentenza della Corte di Cassazione (n. 2882 del 18/3/98) ha fornito al riguardo importanti chiarimenti.

Il datore di lavoro, quando intende sospendere propri dipendenti in CIG, deve preventivamente comunicare alle RSA, nonché alle organizzazioni sindacali di categoria più rappresentative operanti nella provincia, le cause di sospensione, l’entità e la durata prevedibile della stessa, nonché il numero dei lavoratori interessati. Ricevuta la comunicazione, le organizzazioni sindacali possono eventualmente chiedere un esame congiunto. Il contenuto dell’informazione è stato ampliato dalla Legge. n. 223 del 1991: il datore di lavoro deve infatti comunicare anche i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere, nonché le modalità della rotazione. E’ anche previsto che il datore di lavoro, se ritiene per ragioni tecnico – organizzative di non adottare meccanismi di rotazione, debba indicarne le ragioni nel programma da predisporre all’atto della presentazione della domanda di CIG.

E’ pacifico che la violazione delle informazioni introdotte dalla L. 223 costituisca condotta antisindacale. Tuttavia, questo rimedio non sempre è sufficiente, dal momento che molto spesso il sindacato dà atto, contro al vero, che la procedura prevista dalla legge è stata esercitata o, comunque, non reagisce alle violazioni procedurali del datore di lavoro. Pertanto, mancando il sindacato che agisca in giudizio per comportamento antisindacale, il singolo lavoratore sospeso in CIG rimane senza tutela. Peraltro, non tutti i giudici ritenevano che la violazione di quegli obblighi di informazione costituisse anche un motivo di illegittimità delle singole sospensioni in CIG: infatti, la legge non prevede esplicitamente la sanzione della illegittimità della sospensione in CIG per il caso in esame, e ciò a differenza di quanto accade per la messa in mobilità, che è illegittima, per espressa previsione di legge, nel caso di violazioni procedurali. A fronte di questo orientamento giurisprudenziale, dunque, la tutela del singolo lavoratore presupponeva una causa promossa dal sindacato che, come si è detto, non sempre reagiva contro le violazioni procedurali.

La sentenza della Cassazione sopra citata riapre la questione: è stato infatti ritenuto che la mancata comunicazione dei motivi di scelta leda anche il diritto dei singoli lavoratori che, dunque, potranno agire in giudizio per ottenere il riconoscimento della illegittimità della sospensione in CIG e la reintegrazione in servizio. A questa conclusione non osta il fatto che la legge non preveda esplicitamente la sanzione della illegittimità. Infatti il datore di lavoro, se ha il potere di licenziare, non ha il potere di rifiutare la prestazione lavorativa. Ciò è possibile, mediante la sospensione in CIG, solo perché la legge consente, in alcuni casi e a determinate condizioni, di derogare al principio generale; pertanto, tale deroga è ammessa solo nei limiti indicati dalla legge; al di fuori di questi limiti, torna a valere il principio generale e la sospensione in CIG diventa illegittima. Pertanto, non è necessario prevedere specificamente la sanzione della illegittimità, che discende invece dai principi generali.

La Cig del settore industria (gestione ordinaria) può intervenire attraverso due modalità, quella ordinaria e quella straordinaria:

l'intervento ordinario è riconosciuto ai dipendenti di imprese industriali (le aziende edili o produttrici dei materiali lapidei sono ricondotte alla gestione speciale), che siano sospesi dal lavoro (zero ore lavorate) o effettuino un orario ridotto (rispetto all'orario settimanale contrattualmente previsto), a causa di una contrazione o sospensione dell'attività produttiva, dovute a:
eventi transitori non imputabili a imprenditore o ai dipendenti;

oppure a situazioni temporanee di mercato.

l'intervento straordinario è riconosciuto ai dipendenti (assunti da almeno 90 giorni) delle seguenti imprese:
- industriali (comprese le aziende edili o produttrici dei materiali lapidei) con più di 15 addetti;

- esercenti in modo prevalente e continuativo la commercializzazione del prodotto delle imprese industriali con più di 15 addetti;

- appaltatrici di servizi di mensa e ristorazione o di pulizia, con più di 15 addetti, presso aziende industriali (che anch'esse stiano ricorrendo a trattamenti di Cig);

- artigiane, con più di 15 addetti, che procedono alla sospensione dei lavori in conseguenza della contrazione dell'attività dell'impresa committente in Cig, a condizione che questa eserciti l'influsso gestionale prevalente (cioè che abbia fornito il 50% del fatturato nel biennio precedente);

- nei casi di sospensione o riduzione di orario dovute a:
- ristrutturazione, riorganizzazione o riconversione aziendale;
- crisi aziendale;
- ammissione alle procedure concorsuali (fallimento, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria, ammissione al concordato preventivo con cessione dei beni) qualora non sia disposta o sia cessata l'attività;
- accordi di riduzione di orario che salvaguardino i livelli occupazionali (contratti di solidarietà).

Chi può andare in CIG ?

Possono essere posti in Cig/O i lavoratori operai ed impiegati e sono esclusi i dirigenti e gli apprendisti

Per quali cause ?
- mancanza momentanea di lavoro;
- mancanza provvisoria di materiali per l'attività lavorativa;
- guasti agli impianti;
- ridotta o sospesa disponibilità di energia elettrica;
- casi particolari come alluvioni e incendi.


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