lunedì 30 aprile 2012
Lavoro: dati ILO sulla disoccupazione in Italia
L'ILO (Organizzazione internazionale del lavoro), l'agenzia Onu che si occupa di lavoro, nella sua scheda sull'Italia ha definito "allarmante" l'attuale situazione ed il livello dei Neet (acronimo inglese di Not in Education, Employment or Training: persone che non studiano, lavorano o sono in formazione) e per i giovani: la disoccupazione giovanile risulta infatti pari al 32,6%, più che raddoppiata dall'inizio del 2008. I lavoratori che non cercano più lavoro hanno raggiunto il 5%, e i Neet sono 1,5 milioni, mentre i disoccupati di lunga durata rappresentano il 51,1% dei disoccupati totali. . La disoccupazione in Italia nel quarto trimestre 2011 ha raggiunto il 9,7%, il tasso più alto dal 2001 ma "il tasso reale potrebbe risultare superiore poiché ai quasi 2,1 milioni di disoccupati si aggiungono 250.000 lavoratori in cig".
Ed evidenzia un crollo del mercato del lavoro con un tasso di disoccupazione, nel quarto trimestre 2011, del 9,7%, il più alto dal 2001. Ma la stessa ILO mette in evidenzia che «il tasso reale potrebbe risultare superiore poiché ai quasi 2,1 milioni di disoccupati si aggiungono 250.000 lavoratori in cassa integrazione».
L'ILO segnala, inoltre, che in Italia la ripresa viene frenata dalla contrazione del consumo privato e che "tale contrazione è aggravata dal fatto che gli stipendi crescono meno velocemente rispetto all'inflazione". Il debito pubblico - sottolinea l'Organizzazione internazionale del lavoro - "é schizzato dal 103% del Pil nel 2007 al 120% nel 2011. A seguito dell'aumento dei tassi di interesse nazionali sono anche sorti dubbi sulla tenuta delle finanze pubbliche. Per ridurre il deficit, il governo ha aumentato la pressione fiscale che dovrebbe raggiungere il 45% nel 2012. Queste misure di austerità rischiano di alimentare ulteriormente il ciclo della recessione e di rinviare ancora l'inizio della ripresa economica e il risanamento fiscale". L'Ilo sottolinea anche le difficoltà soprattutto delle piccole e medie imprese nell'accesso al credito e i problemi tradizionali della "pesantezza amministrativa".
Secondo l'ILO, nel 2012 la disoccupazione nel mondo colpirà 202 milioni di individui proprio a causa dei contraccolpi delle misure di austerità messe in atto in diversi Paesi. Nel 2013 il tasso mondiale sarà del 6,3%.
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Lavoro dipendenti statali: mobilità o reimpiego
Il governo dei tecnici punta alla mobilità nel pubblico impiego tra i settori dove c'è eccedenza di personale e quelli in cui c'è carenza, ma se l'eccesso di personale dovesse permanere si dovranno trovare "strumenti ad hoc per favorire la mobilità o il reimpiego dei lavoratori con passaggio dal pubblico al privato". Così il sottosegretario all'Economia, Polillo, nel corso della trasmissione Prima di
Tutto di Radio 1 Rai, spiegando che il governo non sta valutando prepensionamenti per il settore pubblico.
Quindi, mobilità nel pubblico impiego, ma se l’eccesso di personale dovesse permanere si dovranno trovare "strumenti ad hoc per favorire la mobilità o il reimpiego dei lavoratori con passaggio dal pubblico al privato".
Polillo ha affermato poi che se il gettito che arriverà dall’Imu lo consentirà, il Governo potrebbe ridurre l’imposta o agire sull’imposizione sulla compravendita degli immobili. "Sull’Imu - ha detto - abbiamo dovuto operare in emergenza - in prospettiva forse si potrà ridurre l’imposizione, dipenderà dal gettito reale che avremo a fine anno, oppure potremmo intervenire sulle imposte collaterali come per esempio quelle che si pagano in sede di compravendita degli immobili".
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domenica 29 aprile 2012
Licenziamento illegittimo: se il datore di lavoro non indica i motivi dell'eccedenza
Ai fini dell’efficacia di un licenziamento collettivo è necessario anzitutto che sul fronte procedurale vengano puntualmente seguite le norme previste dalla legge n. 223 del 1991, nonché la puntuale indicazione sia dei motivi che determinano la situazione di eccedenza sia dei motivi di carattere tecnico, organizzativo e produttivo che non consentono di adottare misure idonee a porre rimedio a tale situazione ed evitare la mobilità, la ricollocazione aziendale, la modifica dei profili professionali e la riduzione del numero dei lavoratori impiegati.
L'inadeguata e insufficiente indicazione, nelle comunicazioni preventive scritte - indirizzate alle rappresentanze sindacali aziendali, associazioni di categoria e all'Ufficio provinciale del Lavoro - dei motivi tecnici e imprenditoriali che spingono il datore di lavoro a licenziare alcuni dipendenti non può essere "sanata" da un successivo accordo sindacale che individui i lavoratori da estromettere.
È ribadendo questo principio - già emerso nella giurisprudenza recente della Suprema Corte - che la sentenza 5582 del 6 aprile 2012 della Corte di Cassazione (sezione Lavoro) ha confermato l'illegittimità del licenziamento collettivo intimato nel 1998 ad un gruppo di impiegati di una società impegnata nella gestione dei servizi di back office per conto di una banca popolare.
Quindi affinché un licenziamento per giusta causa sia legittimo devono essere indicati, non solo i motivi che determinano la situazione di eccedenza, ma anche i motivi tecnici, organizzativi e produttivi per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee a porre rimedio a detta situazione ed evitare la dichiarazione di mobilità, il numero, la collocazione aziendale ed i profili professionali non solo del personale eccedente, ma anche del personale abitualmente impiegato, i tempi di attuazione del programma di mobilità, e le eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze, sul piano sociale, dell'attuazione del medesimo programma.
Ha spiegato la sentenza che, mancando «i motivi che avrebbero determinato l'eccedenza di personale, ma anche quelli tecnici, organizzativi e produttivi per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee a porre rimedio a detta situazione». Irrilevante anche il fatto che successivamente sia stato redatto un verbale di accordo sindacale, che «non assume rilievo ai fini della valutazione della completezza della comunicazione preventiva. La mancata prova che l'esito della procedura sia stato comunicato ritualmente» agli interessati «comporta un ulteriore profilo di inefficacia dei licenziamenti».
La Cassazione, da parte sua, ha quindi respinto in toto l'articolato ricorso della banca e della società di servizi, incardinato in particolare, sull'effetto "sanante" dell'accordo sindacale successivo alla procedura informativa. Per i giudici, «l'inizale comunicazione di avvio della procedura, che sia in ipotesi assolutamente generica e vuota di contenuto, non è, sanata se dal successivo accordo sindacale perché risulterebbe del tutto frustrata l'esigenza di trasparenza del processo decisionale datoriale alla quale sono interessati i lavoratori potenzialmente destinati ad essere estromessi dall'azienda».
Festa del lavoro: 1° maggio 2012 le manifestazioni dei sindacati
Quest'anno sarà la città di Rieti ad ospitare i comizi dei Segretari Generali di CGIL, CISL e UIL per festeggiare il 1° maggio.
Lavoro e crescita per uscire dalla crisi". E' questo lo slogan della manifestazione unitaria di Cgil, Cisl e Uil in occasione del Primo maggio con i comizi dei tre leader Susanna Camusso, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti.
La giornata di festa dei lavoratori verrà infatti dedicata alla “provincia dimenticata” come ha spiegato il Segretario Generale della CGIL, Camusso che ha sottolineato, infatti, che oltre alle vertenze aperte nelle grandi città, “ci sono situazioni nei piccoli comuni dove le aziende vanno in crisi ed è più difficile trovare gli strumenti e le soluzioni”.
''Spero che questo 1° Maggio possa rappresentare la speranza di uscire dalla crisi con un senso maggiore di responsabilità' da parte di tutti'. E' quanto ha dichiarato il Segretario della Cisl, Bonanni. E con questo richiamo alla responsabilità di tutti il Segretario della Cisl è tornato a chiedere anche un rilancio della concertazione sindacale.
Quest'anno, a causa delle tasse, dell'ultimo carico fiscale, si perderà la tredicesima'': è quanto ha sostenuto il Segretario della Uil Angeletti intervenendo alla presentazione del concerto del 1 maggio.
Mentre l' Ugl festeggerà il 1° maggio nel comune siracusano di Priolo Gargallo. "Il Mezzogiorno continua ad essere il grande assente nell'agenda economica del governo", ha detto il segretario Centrella. Per la seconda volta, dopo Campobasso, abbiamo scelto il Sud per celebrare il nostro 1° Maggio, perché il Mezzogiorno continua ad essere il grande assente nell’agenda economica del governo tecnico e perché l’Ugl vuole dimostrare il proprio sostegno ad un territorio che nonostante tutto non si arrende e senza il quale non può esserci sviluppo.
La Cisal celebrerà la festa del lavoro a Cosenza sul tema: "La questione meridionale? Il coraggio di essere europei in un pezzo d'Italia dimenticato".
Lavoro e crescita per uscire dalla crisi". E' questo lo slogan della manifestazione unitaria di Cgil, Cisl e Uil in occasione del Primo maggio con i comizi dei tre leader Susanna Camusso, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti.
La giornata di festa dei lavoratori verrà infatti dedicata alla “provincia dimenticata” come ha spiegato il Segretario Generale della CGIL, Camusso che ha sottolineato, infatti, che oltre alle vertenze aperte nelle grandi città, “ci sono situazioni nei piccoli comuni dove le aziende vanno in crisi ed è più difficile trovare gli strumenti e le soluzioni”.
''Spero che questo 1° Maggio possa rappresentare la speranza di uscire dalla crisi con un senso maggiore di responsabilità' da parte di tutti'. E' quanto ha dichiarato il Segretario della Cisl, Bonanni. E con questo richiamo alla responsabilità di tutti il Segretario della Cisl è tornato a chiedere anche un rilancio della concertazione sindacale.
Quest'anno, a causa delle tasse, dell'ultimo carico fiscale, si perderà la tredicesima'': è quanto ha sostenuto il Segretario della Uil Angeletti intervenendo alla presentazione del concerto del 1 maggio.
Mentre l' Ugl festeggerà il 1° maggio nel comune siracusano di Priolo Gargallo. "Il Mezzogiorno continua ad essere il grande assente nell'agenda economica del governo", ha detto il segretario Centrella. Per la seconda volta, dopo Campobasso, abbiamo scelto il Sud per celebrare il nostro 1° Maggio, perché il Mezzogiorno continua ad essere il grande assente nell’agenda economica del governo tecnico e perché l’Ugl vuole dimostrare il proprio sostegno ad un territorio che nonostante tutto non si arrende e senza il quale non può esserci sviluppo.
La Cisal celebrerà la festa del lavoro a Cosenza sul tema: "La questione meridionale? Il coraggio di essere europei in un pezzo d'Italia dimenticato".
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sabato 28 aprile 2012
Lavoro e art 18 va ampliata protezione
"Sulla flessibilità in uscita è vero che stiamo tagliando qualcosa, una garanzia che impediva il licenziamento perché attribuiva al giudice l'immediato reintegro del lavoratore licenziato, ma non abbiamo smantellato l'articolo 18". Così il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, ad un convegno sul welfare. Fornero spiega che l'obiettivo è quello di distribuire meglio la protezione,che lasciava fuori giovani e donne, su "una platea più vasta". Poi cita l'incontro di con i lavoratori dell'Alenia: "E' stata una prova di democrazia". Infine sostiene:
"L'assistenza va separata dalla previdenza e va finanziata con tassazione progressiva".
"Stiamo togliendo qualcosa all'articolo 18, ossia la garanzia che impediva il licenziamento consentendo al giudice di reintegrare il lavoratore, ma non lo abbiamo smantellato".
"Abbiamo cercato - ha aggiunto la Fornero - di fare un ragionamento sull'area della gestione economica dell'impresa, che può avere un motivo economico vero per licenziare una persona e indennizzarla senza potere di reintegro del giudice". "Inoltre - ha concluso - l'articolo 18 è una cittadella riservata a pochi lavoratori e da cui sono stati esclusi sistematicamente i giovani e spesso le donne".
"La vera rivoluzione per l'Italia sarebbe una modifica del sistema di ammortizzatori sociali in cui non va protetto il posto di lavoro, ma il lavoratore nel mercato del lavoro". "Abbiamo preso - ha aggiunto Fornero - uno schema di assicurazione sociale per l'impiego, in cui il disoccupato si deve attivare per trovare una nuova occupazione ma lo Stato non lo lascia solo con politiche di riqualificazione, formazione e servizi per l'impiego".
"L'assistenza va separata dalla previdenza e va finanziata con tassazione progressiva".
"Stiamo togliendo qualcosa all'articolo 18, ossia la garanzia che impediva il licenziamento consentendo al giudice di reintegrare il lavoratore, ma non lo abbiamo smantellato".
"Abbiamo cercato - ha aggiunto la Fornero - di fare un ragionamento sull'area della gestione economica dell'impresa, che può avere un motivo economico vero per licenziare una persona e indennizzarla senza potere di reintegro del giudice". "Inoltre - ha concluso - l'articolo 18 è una cittadella riservata a pochi lavoratori e da cui sono stati esclusi sistematicamente i giovani e spesso le donne".
"La vera rivoluzione per l'Italia sarebbe una modifica del sistema di ammortizzatori sociali in cui non va protetto il posto di lavoro, ma il lavoratore nel mercato del lavoro". "Abbiamo preso - ha aggiunto Fornero - uno schema di assicurazione sociale per l'impiego, in cui il disoccupato si deve attivare per trovare una nuova occupazione ma lo Stato non lo lascia solo con politiche di riqualificazione, formazione e servizi per l'impiego".
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mercoledì 25 aprile 2012
Ocse: Italia 23ma per tasse sulle retribuzioni
Secondo i dati rilevati circa il 46% del stipendio percepito dai lavoratori finisce nelle casse del fisco e degli enti previdenziali. La diminuzione dello stipendio è in parte attribuibile, sottolineano all’Ocse, all’inflazione, cresciuta del 2% nel 2007. L’aumento effettivo delle tasse quindi avrebbe inciso sulla retribuzione degli italiani per uno 0,6%, cui tuttavia ha fatto fronte un aumento medio del livello di tassazione dello 0,2%.
La situazione reddituale migliora nel caso delle famiglie monoreddito con due figli a carico, per cui il cuneo si attesta al 33,8% (per i single si attesta sul 45,9%), comunque in aumento dal 33,3% del 2006. E' quindi superiore alla media Ocse (27,3%), dell'Europa a 15 (31,9%) e della Ue a 19 (31,8%).
L'Italia scivola dal 22° al 23° posto nella classifica dei 34 Paesi membri dell'Ocse relativa al peso delle tasse sui salari. E' quanto emerge dal rapporto Taxis wages, secondo il quale il cosiddetto cuneo fiscale nel nostro Paese è al 47,6%. L'Italia finisce dietro a Spagna, Irlanda e a tutti i grandi Stati europei, come Francia, Germania e Gran Bretagna, e viene superata dall'Ungheria.
Restando in Europa, dalla classifica Ocse emerge comunque che un inglese guadagna quasi il doppio (l'87,8% in più) di un italiano, un tedesco il 43,1% e un francese il 28,6% in più. L'Italia è nettamente sotto la media Ocse (24.660 dollari), Ue a 15 (26.434) e Ue a 19 (23.282).
L'Italia è quindi sesta nella classifica dei paesi Ocse per il peso delle tasse sui salari: il cuneo fiscale sale al 47,6% nel 2011 dal 47,2% del 2010, sopra la media del 35,3%. E' quanto emerge da un rapporto dell'organizzazione di Parigi.
La situazione reddituale migliora nel caso delle famiglie monoreddito con due figli a carico, per cui il cuneo si attesta al 33,8% (per i single si attesta sul 45,9%), comunque in aumento dal 33,3% del 2006. E' quindi superiore alla media Ocse (27,3%), dell'Europa a 15 (31,9%) e della Ue a 19 (31,8%).
L'Italia scivola dal 22° al 23° posto nella classifica dei 34 Paesi membri dell'Ocse relativa al peso delle tasse sui salari. E' quanto emerge dal rapporto Taxis wages, secondo il quale il cosiddetto cuneo fiscale nel nostro Paese è al 47,6%. L'Italia finisce dietro a Spagna, Irlanda e a tutti i grandi Stati europei, come Francia, Germania e Gran Bretagna, e viene superata dall'Ungheria.
Restando in Europa, dalla classifica Ocse emerge comunque che un inglese guadagna quasi il doppio (l'87,8% in più) di un italiano, un tedesco il 43,1% e un francese il 28,6% in più. L'Italia è nettamente sotto la media Ocse (24.660 dollari), Ue a 15 (26.434) e Ue a 19 (23.282).
L'Italia è quindi sesta nella classifica dei paesi Ocse per il peso delle tasse sui salari: il cuneo fiscale sale al 47,6% nel 2011 dal 47,2% del 2010, sopra la media del 35,3%. E' quanto emerge da un rapporto dell'organizzazione di Parigi.
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domenica 22 aprile 2012
Donne e la riforma del lavoro
La politica che si sta occupando di riforma del mercato del lavoro, e delle lavoratrici donne, distinguendole in due grandi categorie: le lavoratici – madri e tutte le altre.
Il ddl di riforma del mercato del lavoro ha introdotto norme che dovrebbero incentivare l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro e ne tutelano alcuni diritti.
Il capo V del ddl è tutto dedicato alle donne, e gli artt. 55 e 56 contengono disposizioni incentrate sul ripristino del contrasto alle dimissioni in bianco, sul mini congedo obbligatorio di tre giorni continuativi di paternità, e sui buoni per pagare le baby sitter invece di prendersi le aspettative facoltative per maternità.
Tra le misure introdotte, prende piede la previsione riguardante le dimissioni delle lavoratrici madri. Si prevede l’estensione della necessità di convalida, a cura del competente servizio ispettivo territoriale, delle dimissioni e della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. Un meccanismo di convalida questo che prevede che la lavoratrici si presenti personalmente al servizio ispettivo, al preciso scopo di verificare la libera e non influenzata volontà della stessa a voler interrompere il rapporto di lavoro. Il tempo per la convalida delle dimissioni della lavoratrice madre (o anche del lavoratore- padre) e quindi la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, passa dal compimento del primo anno di vita del figlio, ai 3 anni, con adeguamenti corrispondenti in caso di adozione o affidamento. Rimane però fermo al compimento di un anno del figlio, sia il periodo in cui opera il divieto di licenziamento, sia il periodo entro il quale le dimissioni della lavoratrice (o del lavoratore, se fruisce del congedo di paternità) si presumono “a causa di maternità”, producendo così il diritto al pagamento della indennità sostitutiva del preavviso.
La riforma sembra dichiarare una volta per tutte guerra a quella pratica illegale, denominata “Dimissioni in bianco”, consistente in un foglio di dimissioni fatto firmare da alcune aziende al momento dell’assunzione di una donna e da utilizzare, in seguito, in caso di maternità della stessa.
La riforma prevede che la risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice durante il periodo di gravidanza (o nei primi tre anni di vita del bambino) debbano essere convalidate dal servizio ispettivo del ministero del Lavoro e delle politiche sociali competente per territorio.
L’art. 55 del ddl prevede infatti che «La risoluzione consensuale del rapporto o larichiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, o, in caso di adozione internazionale dovranno essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro».
L’art. 56 del ddl introduce poi una disposizione sui congedi obbligatori di paternità: “il padre lavoratore dipendente, entro i cinque mesi dalla nascita del figlio, ha l’obbligo di astenersi dal lavoro per un periodo di tre giorni, anche continuativi, dei quali due giorni in sostituzione della madre e con un riconoscimento di un’indennità giornaliera a carico dell’Inps pari al cento per cento della retribuzione e il restante giorno in aggiunta all’obbligo di astensione della madre con un riconoscimento di un’indennità giornaliera pari al cento per cento della retribuzione”, recita la norma.
In verità alcuni contratti di lavoro prevedono già forme di congedi di paternità, ma sarebbe la prima volta che ne viene introdotto, per legge e in Italia, l’obbligo. Si tratta di un mini-congedo obbligatorio, ma è pur sempre un passo avanti che può contribuire a “far cambiare la mentalità” perché “la maternità non è un fatto solo di donne”, come ha detto il ministro Fornero.
L’altra novità rilevante della riforma del lavoro riguarda i voucher per retribuire le baby sitter. All‘art. 56 lett. b) del ddl è disciplinata “la possibilità di concedere alla madre lavoratrice, al termine del periodo di congedo di maternità, per gli undici mesi successivi e in alternativa al congedo parentale (…) la corresponsione di voucher per l’acquisto di servizi di baby-sitting da richiedere al datore di lavoro”.
In effetti i voucher per baby sitter sembrano volti ad incoraggiare le madri a tornare al più presto al lavoro, senza fruire del congedo parentale (tantomeno incoraggiando i padri a prenderlo) e senza neppure garantire loro e ai loro bambini servizi adeguati sul piano quantitativo e qualitativo. Mentre tutte le ricerche scientifiche sottolineano l´importanza della qualità della cura e delle relazioni nel primo anno di vita del neonato.
Il ddl di riforma del mercato del lavoro ha introdotto norme che dovrebbero incentivare l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro e ne tutelano alcuni diritti.
Il capo V del ddl è tutto dedicato alle donne, e gli artt. 55 e 56 contengono disposizioni incentrate sul ripristino del contrasto alle dimissioni in bianco, sul mini congedo obbligatorio di tre giorni continuativi di paternità, e sui buoni per pagare le baby sitter invece di prendersi le aspettative facoltative per maternità.
Tra le misure introdotte, prende piede la previsione riguardante le dimissioni delle lavoratrici madri. Si prevede l’estensione della necessità di convalida, a cura del competente servizio ispettivo territoriale, delle dimissioni e della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. Un meccanismo di convalida questo che prevede che la lavoratrici si presenti personalmente al servizio ispettivo, al preciso scopo di verificare la libera e non influenzata volontà della stessa a voler interrompere il rapporto di lavoro. Il tempo per la convalida delle dimissioni della lavoratrice madre (o anche del lavoratore- padre) e quindi la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, passa dal compimento del primo anno di vita del figlio, ai 3 anni, con adeguamenti corrispondenti in caso di adozione o affidamento. Rimane però fermo al compimento di un anno del figlio, sia il periodo in cui opera il divieto di licenziamento, sia il periodo entro il quale le dimissioni della lavoratrice (o del lavoratore, se fruisce del congedo di paternità) si presumono “a causa di maternità”, producendo così il diritto al pagamento della indennità sostitutiva del preavviso.
La riforma sembra dichiarare una volta per tutte guerra a quella pratica illegale, denominata “Dimissioni in bianco”, consistente in un foglio di dimissioni fatto firmare da alcune aziende al momento dell’assunzione di una donna e da utilizzare, in seguito, in caso di maternità della stessa.
La riforma prevede che la risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice durante il periodo di gravidanza (o nei primi tre anni di vita del bambino) debbano essere convalidate dal servizio ispettivo del ministero del Lavoro e delle politiche sociali competente per territorio.
L’art. 55 del ddl prevede infatti che «La risoluzione consensuale del rapporto o larichiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, o, in caso di adozione internazionale dovranno essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro».
L’art. 56 del ddl introduce poi una disposizione sui congedi obbligatori di paternità: “il padre lavoratore dipendente, entro i cinque mesi dalla nascita del figlio, ha l’obbligo di astenersi dal lavoro per un periodo di tre giorni, anche continuativi, dei quali due giorni in sostituzione della madre e con un riconoscimento di un’indennità giornaliera a carico dell’Inps pari al cento per cento della retribuzione e il restante giorno in aggiunta all’obbligo di astensione della madre con un riconoscimento di un’indennità giornaliera pari al cento per cento della retribuzione”, recita la norma.
In verità alcuni contratti di lavoro prevedono già forme di congedi di paternità, ma sarebbe la prima volta che ne viene introdotto, per legge e in Italia, l’obbligo. Si tratta di un mini-congedo obbligatorio, ma è pur sempre un passo avanti che può contribuire a “far cambiare la mentalità” perché “la maternità non è un fatto solo di donne”, come ha detto il ministro Fornero.
L’altra novità rilevante della riforma del lavoro riguarda i voucher per retribuire le baby sitter. All‘art. 56 lett. b) del ddl è disciplinata “la possibilità di concedere alla madre lavoratrice, al termine del periodo di congedo di maternità, per gli undici mesi successivi e in alternativa al congedo parentale (…) la corresponsione di voucher per l’acquisto di servizi di baby-sitting da richiedere al datore di lavoro”.
In effetti i voucher per baby sitter sembrano volti ad incoraggiare le madri a tornare al più presto al lavoro, senza fruire del congedo parentale (tantomeno incoraggiando i padri a prenderlo) e senza neppure garantire loro e ai loro bambini servizi adeguati sul piano quantitativo e qualitativo. Mentre tutte le ricerche scientifiche sottolineano l´importanza della qualità della cura e delle relazioni nel primo anno di vita del neonato.
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Lavoro e aziende sotto i 40 anni in forte calo
Nel 2010 erano 18.004, nel 2011 sono scesi a 16.667, registrando una diminuzione netta del 7,4%, perdendo così in un solo anno 1.337 imprese. Sono i dati sui Giovani Imprenditori Artigiani della Sardegna, quelli con meno di 40 anni, emersi dal “Rapporto del 6° Osservatorio Confartigianato Giovani Imprenditori” sull’imprenditoria giovanile artigiana in Italia.
“Non c’è dubbio che, anche in Sardegna, gli imprenditori under 40 abbiano pagato il prezzo più alto della crisi – ha commentato il Presidente di Confartigianato Imprese Sardegna, Luca Murgianu – però dobbiamo dire che la situazione è brutta in ogni zona d’Italia. Basti pensare che la regione con il risultato 'meno negativo', è stata il Molise che ha registrato un -3,9%, con una media nazionale del -5,1%”.
Dall'inizio della crisi stanno pagando il prezzo più salato, in termini di occupazione e di accesso al mondo del lavoro, le nuove generazioni. E quanto ha affermato uno studio di Confartigianato.
Tra il 2008 e il 2011, secondo lo studio di Confartigianato, i lavoratori italiani con meno di 40 anni sono diminuiti dell'11,4%: oltre 1,2 milioni di occupati in meno, dunque, mentre la fascia degli "over 40" ha registrato un incremento di 663.700 unità, il 5,2% in più. A perdere il posto sono state le nuove generazioni, meno protette. Nel confronto settembre 2011-settembre 2010, l'Italia è seconda soltanto alla Spagna per quanto riguarda il calo dell'occupazione "under 40" (-1,6% rispetto a un +2,4% di aumento tra chi ha più di 40 anni). A questo primato negativo, il nostro Paese rispondo con un record positivo sul fronte dell'imprenditoria giovanile, che si conferma uno dei motori dell'economia. L'Italia è al vertice della classifica europea per quanto riguarda il numero d'imprenditori e di lavoratori autonomi tra 15 e 39 anni: 1.872.500, seguita da Regno Unito (1,3 milioni), Polonia (1,1 milioni) e Germania (poco sopra il milione).
«Quello che manca oggi in Italia è un progetto per le nuove generazioni», ha detto Marco Colombo, presidente dei giovani imprenditori di Confartigianato. «Da troppo ci avvitiamo su vecchie ricette preconfezionate - aggiunge -. La crisi ci sfida a trovare idee nuove: per riprendere a crescere bisogna riportare l'attenzione sui giovani, bisogna tornare alla cultura del rischio e del talento, del merito e della libera iniziativa, bisogna credere nello spirito di concorrenza e d'innovazione».
«I nostri imprenditori stanno soffrendo pesantemente gli effetti della crisi e pagano colpe non certo imputabili a loro», ha detto Giorgio Guerrini, presidente nazionale di Confartigianato. «La realtà economica italiana è al 98% composta da micro e piccole aziende - continua - occorre creare un ambiente adatto allo sviluppo di questa dimensione d'impresa. Basta celebrare i meriti delle Pmi – ha concluso Guerrini - adesso vogliamo vedere risultati concreti». È il messaggio che arriva dagli artigiani riuniti a Firenze.
E secondo fonti di Confindustria, la disoccupazione non si fermerà. Ad affermarlo è il centro studi di Confindustria, nel report "Congiuntura flash". «La brusca impennata della disoccupazione italiana proseguirà perché permarranno le condizioni che l'hanno causata: perdite di posti di lavoro che si coniugano alla maggiore ricerca di impiego per compensare la caduta del reddito reale».
“Non c’è dubbio che, anche in Sardegna, gli imprenditori under 40 abbiano pagato il prezzo più alto della crisi – ha commentato il Presidente di Confartigianato Imprese Sardegna, Luca Murgianu – però dobbiamo dire che la situazione è brutta in ogni zona d’Italia. Basti pensare che la regione con il risultato 'meno negativo', è stata il Molise che ha registrato un -3,9%, con una media nazionale del -5,1%”.
Dall'inizio della crisi stanno pagando il prezzo più salato, in termini di occupazione e di accesso al mondo del lavoro, le nuove generazioni. E quanto ha affermato uno studio di Confartigianato.
Tra il 2008 e il 2011, secondo lo studio di Confartigianato, i lavoratori italiani con meno di 40 anni sono diminuiti dell'11,4%: oltre 1,2 milioni di occupati in meno, dunque, mentre la fascia degli "over 40" ha registrato un incremento di 663.700 unità, il 5,2% in più. A perdere il posto sono state le nuove generazioni, meno protette. Nel confronto settembre 2011-settembre 2010, l'Italia è seconda soltanto alla Spagna per quanto riguarda il calo dell'occupazione "under 40" (-1,6% rispetto a un +2,4% di aumento tra chi ha più di 40 anni). A questo primato negativo, il nostro Paese rispondo con un record positivo sul fronte dell'imprenditoria giovanile, che si conferma uno dei motori dell'economia. L'Italia è al vertice della classifica europea per quanto riguarda il numero d'imprenditori e di lavoratori autonomi tra 15 e 39 anni: 1.872.500, seguita da Regno Unito (1,3 milioni), Polonia (1,1 milioni) e Germania (poco sopra il milione).
«Quello che manca oggi in Italia è un progetto per le nuove generazioni», ha detto Marco Colombo, presidente dei giovani imprenditori di Confartigianato. «Da troppo ci avvitiamo su vecchie ricette preconfezionate - aggiunge -. La crisi ci sfida a trovare idee nuove: per riprendere a crescere bisogna riportare l'attenzione sui giovani, bisogna tornare alla cultura del rischio e del talento, del merito e della libera iniziativa, bisogna credere nello spirito di concorrenza e d'innovazione».
«I nostri imprenditori stanno soffrendo pesantemente gli effetti della crisi e pagano colpe non certo imputabili a loro», ha detto Giorgio Guerrini, presidente nazionale di Confartigianato. «La realtà economica italiana è al 98% composta da micro e piccole aziende - continua - occorre creare un ambiente adatto allo sviluppo di questa dimensione d'impresa. Basta celebrare i meriti delle Pmi – ha concluso Guerrini - adesso vogliamo vedere risultati concreti». È il messaggio che arriva dagli artigiani riuniti a Firenze.
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Riforma del mercato del lavoro e il nodo degli esodati
Potrebbero tornare al lavoro una parte degli esodati, quei lavoratori che oggi, in base a accordi stipulati entro il 4 dicembre 2011, stanno godendo di trattamenti d'integrazione al reddito in vista di una pensione che la riforma previdenziale ha spostato però più in là rispetto al previsto.
E' quanto ha ipotizzato il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, nella lettera in cui ha invitato i sindacati a fissare la data di un incontro sul tema, come essi stessi avevano chiesto qualche giorno fa. Obiettivo: fugare «ogni dubbio» e «trovare soluzioni condivise», si legge nella missiva recapitata ieri sera a Cgil, Cisl, Uil e Ugl.
Nella lettera il ministro del Lavoro fornisce anche una indicazione sulla cura del problema: «Ove il lasso temporale che separa il lavoratore dalla pensione anche secondo le previgenti disposizioni sia ampio», è da confidare che «non si debba ipotizzare il ricorso solo ad un accesso al trattamento pensionistico piuttosto che di prolungamento di integrazione salariale, quanto lavorare anche nella prospettiva di offrire nuove opportunità occupazionali in funzione dell'auspicata ripresa economica, così da evitare di disperdere professionalità utili».
Si è aperto un dibattito sulla possibilità, a cui accenna la lettera del ministro, che per gli esodati (chi ha lasciato il lavoro ma, per gli effetti della riforma previdenziale, allo scadere degli ammortizzatori sociali non potrà' accedere alla pensione) si possa puntare anche su ''nuove opportunità occupazionali'' eventualmente legate ''all'auspicata ripresa economica''.
Vediamo la reazione dei sindacati alla nuova lettera del ministro Fornero.
''Tanto tuonò che piovve'', è il commento del segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni: ''Spero - dice dopo la lettera del ministro - che adesso si chiarisca la vicenda e che l'incontro si faccia subito perché non abbiamo ancora la data e la vorremmo avere''.
La Uil ricorda che era stato chiesto ''un tavolo proprio per trovare la soluzione migliore per migliaia di lavoratori e - commenta il segretario confederale Domenico Proietti - finalmente il ministro del lavoro ha capito che il confronto con il sindacato e' utile per risolvere i problemi'': per il sindacato di Luigi Angeletti ''la via maestra e' applicare a tutti gli esodati le regole di accesso alla pensione in
vigore prima dei provvedimenti Fornero'' ma un tavolo servirà ''anche a valutare altre possibilità'''.
Per evitare che ci siano solo lamentele bisogna avere la disponibilità a comprendere ed accettare le proposte degli altri quando sono ragionevoli". E sull'ipotesi di ritorno all'occupazione per gli esodati lanciata da Fornero,Angeletti frena: "No alle soluzioni miracolistiche, bisogna prima vedere se ci sono posti di lavoro nelle aziende. Ci si dimentica che quei lavoratori non sono andati via volontariamente".
Per il segretario della CGIL Susanna Camusso su Twitter: ha scritto che è “un modo per prendere tempo.” La Cgil è critica sulla lettera inviata ai sindacati dalLa lettera della Fornero, ha affermato il segretario generale, «è senza data. Temo sia un modo per prendere ulteriore tempo invece che per dare risposte».
«Siamo pronti a dialogare per trovare soluzioni» ha invece commentato il segretario dell'Ugl, Giovanni Centrella.
A preoccupare i sindacati non ci sono soltanto i 65mila ''salvaguardati'' calcolati dal ministero del Lavoro, e per i quali è atteso a un decreto per una soluzione ma anche i lavoratori di una seconda area, dai contorni più indefiniti. Sono tutti quei lavoratori che hanno lasciato il lavoro con un percorso di accompagnamento alla pensione - come cassa integrazione e mobilità - ma che per gli effetti della riforma previdenziale dovranno affrontare un periodo nel quale verranno meno tutte le tutele sul reddito e non potranno ancora accedere alla pensione e per i quali il ministro Fornero ha parlato anche della "'prospettiva di offrire nuove opportunità' occupazionali''.
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Lavoro e crisi economica esplode a marzo 2012 la richiesta di CIG
Secondo i dati della Cgil con poco meno di 100 milioni di ore è il peggiore risultato degli ultimi 10 mesi. Le 99.722.546 ore di marzo 2012 segnano su febbraio un +21,63%. Da inizio anno oltre 455 mila lavoratori hanno subito un taglio del reddito (in busta paga) per circa 908 milioni, pari a 1.900 euro per ogni lavoratore.
''Ci sono lacerazioni sempre più profonde dietro lo stillicidio quotidiano di dati drammatici, dall'esercito di cinque milioni di persone in cerca di un lavoro che non trova al pesantissimo tonfo degli ordinativi nell'industria, fino ai spaventosi dati sulla cassa'', commenta il segretario confederale della Cgil, Vincenzo Scudiere: ''Il sistema produttivo si e' avviluppato in una crisi profondissima, con il rischio di un inesorabile declino''.
Nel dettaglio, il ricorso alla cassa integrazione ordinaria torna a crescere in modo considerevole a marzo attestandosi ad un +12,83% sul mese precedente per un monte ore pari a 28.376.553. Nei primi tre mesi del 2012 il totale delle ore di Cigo è stato pari a 73.824.858 con un aumento sullo stesso periodo dello scorso anno del +21,79%.
In forte aumento la richiesta di ore anche per la cassa integrazione straordinaria dove il monte complessivo registrato a marzo è stato pari a 33.733.721 per un +30,93% su febbraio. Le ore registrate in questi tre mesi del 2012 (80.899.375) segnano un -14,65% sullo stesso periodo dell'anno passato.
Infine la cassa integrazione in deroga con le sue 37.612.272 ore di marzo aumenta consistentemente sul mese precedente del +21,04%, così come il dato del periodo gennaio-marzo, pari a 81.967.777 ore autorizzate, segna un +7,27% sullo stesso trimestre del 2011.
Le ore registrate in questi tre mesi del 2012 (80.899.375) segnano un saldo in negativo di 14,65% sullo stesso periodo dell'anno passato. «Professionisti, artisti, scuole private, istituti di vigilanza, case di cura private, e altro ancora: sono queste le attività che sopportano il 51% del totale delle richiese di cigs. Mentre il commercio al minuto subisce una richiesta sostenuta sul mese precedente del +103,34%», è quanto si evince dal rapporto. Infine la cassa integrazione in deroga (cigd) con le sue 37.612.272 ore di marzo 2012 aumenta in modo consistente sul mese precedente del +21,04%, così come il dato del periodo gennaio-marzo, pari a 81.967.777 ore autorizzate, segna un +7,27% sullo stesso trimestre del 2011. I settori che presentano un maggiore volume di ricorso alla cigs in questi tre mesi sono quello del commercio con 29.551.967 ore (+28,37%) - pari al 36% del totale delle ore di cigd - e il meccanico con 16.264.584 (-28,67%). Le regioni maggiormente esposte con la cassa in deroga da inizio anno sono la Lombardia con 15.656.157 ore, il Lazio con 9.783.411 ore e l'Emilia Romagna con 8.948.556.
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domenica 15 aprile 2012
Le novità sul lavoro con partita IVA
La riforma del mercato del lavoro è stata migliorata per non penalizzare in modo indiscriminato tutte le partite IVA: le aziende che collaborano con professionisti che svolgono mansioni previste dal proprio Ordine sono esonerate dall'assunzione, per le altre tempo un anno per mettersi in regola.
La riforma del mercato del lavoro ha dichiarato guerra aperta alla partita IVA, o meglio alle aziende che instaurano collaborazioni esclusive nascondendo un vero e proprio rapporto di dipendenza. Le false partita Iva, infatti è un uso di questo sistema (strumento) da parte delle imprese per utilizzare il lavoro subordinato sotto mentite spoglie.
Nella riforma del lavoro si è voluto colpire le false partite IVA: con l’obbligo di assumere con contratto a tempo indeterminato il titolare di partita IVA, dunque, non riguarderà i professionisti che svolgono le mansioni per le quali sono iscritti all’Albo professionale di riferimento, ovvero non scatterà quando si tratti realmente di lavoro autonomo e professionale.
La semplice iscrizione all’Albo professionale non esonera in modo automatico dall’applicazione delle nuove norme, è necessario valutare l’attività realmente svolta dal collaboratore. Dunque l’esenzione riguarda tutti coloro che sono iscritti ad un Albo professionale, ma solo coloro che esercitano come libera professione (con partita IVA) le mansioni previste dal proprio Ordine.
Questa novità risponde alle valutazioni sollevate dall’Ordine degli Architetti: i professionisti che esercitano la professione presso uno studio, anche se con partita IVA, per più di 6 mesi l’anno guadagnando più del 75% del proprio reddito, possono continuare ad esercitare come autonomi, senza obbligo di assunzione.
In realtà si tratta di una modifica al quadro normativo della precedente bozza della riforma del lavoro, che concede tra l’altro più tempo ai professionisti con partita IVA e alle aziende con le quali hanno un rapporto di lavoro per mettersi in regola.
Infatti l’obbligo di assunzione non riguarderà i rapporti già in essere, ma quelli che verranno avviati in seguito all’entrata in vigore della riforma del lavoro. Per gli altri ci sarà una fase transitoria di un anno per recepire le nuove regole.
Quindi le aziende non potranno più impiegare i titolari di partita IVA a meno che non li assumano come dipendenti nel caso si verifichino almeno due delle seguenti condizioni:
collaborazione continuativa per più di 6 mesi in un anno;
corrispettivo derivante da prestazione presso un’unica azienda pari al 75% del reddito nell’arco dello stesso anno;
postazione di lavoro a disposizione del collaboratore presso la sede del committente.
In conclusione si prevede una presunzione nel senso che si presume che ferma restando la possibilità del committente di provare che si tratti di lavoro autonomo, si configuri il carattere coordinato e continuativo e non autonomo ed occasionale della collaborazione tutte le volte che essa duri complessivamente più di sei mesi nell’arco di un anno, da essa il collaboratore ricavi più del 75% dei corrispettivi, anche se fatturati a più soggetti riconducibili alla stessa attività d’impresa, e implichi la fruizione di una postazione di lavoro presso la sede istituzionale o le sedi operative del committente. Queste regole possono essere utilizzate distintamente nel corso delle attività di verifica. Qualora l’utilizzo della partita Iva venga giudicato improprio, esso viene considerato una collaborazione coordinata e continuativa (che la normativa non ammette più in mancanza di un progetto), con la conseguente applicazione della relativa sanzione di cui all’art.69 comma 1 del Dlgs 276/03, ossia la trasformazione in contratto di lavoro a tempo indeterminato.
La riforma del mercato del lavoro ha dichiarato guerra aperta alla partita IVA, o meglio alle aziende che instaurano collaborazioni esclusive nascondendo un vero e proprio rapporto di dipendenza. Le false partita Iva, infatti è un uso di questo sistema (strumento) da parte delle imprese per utilizzare il lavoro subordinato sotto mentite spoglie.
Nella riforma del lavoro si è voluto colpire le false partite IVA: con l’obbligo di assumere con contratto a tempo indeterminato il titolare di partita IVA, dunque, non riguarderà i professionisti che svolgono le mansioni per le quali sono iscritti all’Albo professionale di riferimento, ovvero non scatterà quando si tratti realmente di lavoro autonomo e professionale.
La semplice iscrizione all’Albo professionale non esonera in modo automatico dall’applicazione delle nuove norme, è necessario valutare l’attività realmente svolta dal collaboratore. Dunque l’esenzione riguarda tutti coloro che sono iscritti ad un Albo professionale, ma solo coloro che esercitano come libera professione (con partita IVA) le mansioni previste dal proprio Ordine.
Questa novità risponde alle valutazioni sollevate dall’Ordine degli Architetti: i professionisti che esercitano la professione presso uno studio, anche se con partita IVA, per più di 6 mesi l’anno guadagnando più del 75% del proprio reddito, possono continuare ad esercitare come autonomi, senza obbligo di assunzione.
In realtà si tratta di una modifica al quadro normativo della precedente bozza della riforma del lavoro, che concede tra l’altro più tempo ai professionisti con partita IVA e alle aziende con le quali hanno un rapporto di lavoro per mettersi in regola.
Infatti l’obbligo di assunzione non riguarderà i rapporti già in essere, ma quelli che verranno avviati in seguito all’entrata in vigore della riforma del lavoro. Per gli altri ci sarà una fase transitoria di un anno per recepire le nuove regole.
Quindi le aziende non potranno più impiegare i titolari di partita IVA a meno che non li assumano come dipendenti nel caso si verifichino almeno due delle seguenti condizioni:
collaborazione continuativa per più di 6 mesi in un anno;
corrispettivo derivante da prestazione presso un’unica azienda pari al 75% del reddito nell’arco dello stesso anno;
postazione di lavoro a disposizione del collaboratore presso la sede del committente.
In conclusione si prevede una presunzione nel senso che si presume che ferma restando la possibilità del committente di provare che si tratti di lavoro autonomo, si configuri il carattere coordinato e continuativo e non autonomo ed occasionale della collaborazione tutte le volte che essa duri complessivamente più di sei mesi nell’arco di un anno, da essa il collaboratore ricavi più del 75% dei corrispettivi, anche se fatturati a più soggetti riconducibili alla stessa attività d’impresa, e implichi la fruizione di una postazione di lavoro presso la sede istituzionale o le sedi operative del committente. Queste regole possono essere utilizzate distintamente nel corso delle attività di verifica. Qualora l’utilizzo della partita Iva venga giudicato improprio, esso viene considerato una collaborazione coordinata e continuativa (che la normativa non ammette più in mancanza di un progetto), con la conseguente applicazione della relativa sanzione di cui all’art.69 comma 1 del Dlgs 276/03, ossia la trasformazione in contratto di lavoro a tempo indeterminato.
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Riforma del mercato del lavoro: la guerra dei numeri
Sessantacinquemila per il Ministero del Lavoro, 130 mila per l'Inps, oltre 300 mila per i sindacati: sul numero degli esodati - coloro che rischiano di restare senza reddito e senza pensione, alla luce della riforma previdenziale che ha innalzato l'età pensionabile e che avevano già raggiunto accordi per essere accompagnati alla pensione sulla base delle vecchie regole - le stime differiscono perché partono da criteri di inquadramento della platea diversi.
Il balletto sulle cifre degli esodati continua. E probabilmente in questa guerra dei numeri non sono stati calcolati coloro che sono usciti dal lavoro per accordi individuali e collettivi: circa 10 mila seguendo la linea del ministero, che si ferma al periodo 2012 – 2013, ed almeno 70 mila se si guarda al prossimo quadriennio. E sei si calcola a pieno il numero di coloro che sono stati autorizzati a pagare contributi volontari: 1,4 milioni secondo i dati pubblicati dall’Inps. La possibilità di sottoscrivere accordi individuali – prevista dal Codice di procedura civile all’articolo 410 sul tentativo di conciliazione, nonché all’articolo 411 sul processo verbale di conciliazione e all’articolo 412-ter sulle modalità di conciliazione e arbitrato previste dalla contrattazione collettiva – interessa però molti altri lavoratori esodati.
Per poter usufruire dei ai trattamenti pensionistici prima della riforma Fornero è necessario aver maturato i requisiti anagrafici e contributivi entro il 31 dicembre 2011.
C’è poi la questione delle risorse economiche, poiché il decreto prevede che le misure per i lavoratori che sviluppano i requisiti successivamente al 31 dicembre 2011 sono vincolare alle risorse economiche dello Stato, che verranno specificate mediante D.M., entro il 30 giugno 2012. Nel caso in cui il Governo reperisca risorse sufficienti, risulteranno esenti dalla riforma Fornero anche i lavoratori che maturino i requisiti anagrafici e contributivi successivamente al 31 dicembre 2011, ma solo se onorano i seguenti vincoli:
essere in mobilità, sulla base di accordi sindacali firmati prima del 4 dicembre 2011, solo impiegati in imprese con più di 15 dipendenti ed con licenziamenti che riguardano almeno 5 lavoratori;
essere in mobilità lunga per effetto di accordi collettivi stipulati entro il 4 dicembre 2011, o titolari alla stessa data di una prestazione straordinaria a carico dei fondi di solidarietà di settore;
essere stati autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione prima del 4 dicembre 2011 o essere dipendenti pubblici che abbiano chiesto di essere esonerati dal servizio.
Alla luce di tali vincoli, risultano comunque esclusi i lavoratori delle imprese sotto i 15 dipendenti. A rischio anche coloro che non entrino in possesso dei requisiti anagrafici e contributivi entro il 2012, facendo scattare la pensione entro il 2013, secondo la vecchia disciplina previdenziale.
Con un comunicato, il Ministero del Lavoro ha diffuso i dati a conclusione dell'analisi compiuta dal tavolo tecnico istituito tra lo stesso ministero, il ministero dell'Economia-Ragioneria dello Stato e l'Inps sugli esodati. Viene indicato il numero di circa 65 mila persone "complessivamente interessate". Nella nota si definiscono 'salvaguardati' e si fa riferimento ai lavoratori "in prossimità del pensionamento". Ossia - come spiegato da fonti tecniche - a coloro che entro due anni matureranno i requisiti per la pensione con le vecchie regole. E che hanno già lasciato il lavoro al 31 dicembre 2011. Mentre ad un successivo intervento normativo è affidata la possibilità - come affermato dallo stesso Ministero del Lavoro - di far rientrare "per specifiche situazioni e con criteri analoghi" i lavoratori interessati da "accordi collettivi stipulati in sede governativa entro il 2011", comunque beneficiari di ammortizzatori sociali per l'accompagnamento alla pensione. Tra questi, ad esempio, Termini Imerese, che al momento è fuori: il primo dicembre scorso è stato firmato l'accordo per l'accompagnamento alla pensione di 640 lavoratori dell'ex stabilimento Fiat, con due anni di cassa integrazione straordinaria e quattro anni di mobilità.
Il direttore generale dell'Inps, Mauro Nori, ha indicato cifre che non presentano "alcuna contraddizione" con quelle del Ministero del Lavoro. Si tratta di una platea potenziale di 130 mila nei prossimi quattro anni: circa 45 mila che entreranno in mobilità sulla base di accordi fatti entro dicembre 2011; altri 13-15.000 lavoratori che sono nel fondo di solidarietà del credito; 70.000 usciti dal lavoro sulla base di accordi volontari.
Per i sindacati il numero di tutti gli esodati è invece superiore a 300 mila. Cgil, Cisl, Uil e Ugl contestano al governo di aver indicato solo una parte della platea e nel conteggio considerano anche quanti hanno fatto accordi collettivi e individuali entro il 2011, ma lasciano il lavoro dopo e maturano i requisiti per la pensione oltre i due anni stabiliti dal Milleproroghe.
Il balletto sulle cifre degli esodati continua. E probabilmente in questa guerra dei numeri non sono stati calcolati coloro che sono usciti dal lavoro per accordi individuali e collettivi: circa 10 mila seguendo la linea del ministero, che si ferma al periodo 2012 – 2013, ed almeno 70 mila se si guarda al prossimo quadriennio. E sei si calcola a pieno il numero di coloro che sono stati autorizzati a pagare contributi volontari: 1,4 milioni secondo i dati pubblicati dall’Inps. La possibilità di sottoscrivere accordi individuali – prevista dal Codice di procedura civile all’articolo 410 sul tentativo di conciliazione, nonché all’articolo 411 sul processo verbale di conciliazione e all’articolo 412-ter sulle modalità di conciliazione e arbitrato previste dalla contrattazione collettiva – interessa però molti altri lavoratori esodati.
Per poter usufruire dei ai trattamenti pensionistici prima della riforma Fornero è necessario aver maturato i requisiti anagrafici e contributivi entro il 31 dicembre 2011.
C’è poi la questione delle risorse economiche, poiché il decreto prevede che le misure per i lavoratori che sviluppano i requisiti successivamente al 31 dicembre 2011 sono vincolare alle risorse economiche dello Stato, che verranno specificate mediante D.M., entro il 30 giugno 2012. Nel caso in cui il Governo reperisca risorse sufficienti, risulteranno esenti dalla riforma Fornero anche i lavoratori che maturino i requisiti anagrafici e contributivi successivamente al 31 dicembre 2011, ma solo se onorano i seguenti vincoli:
essere in mobilità, sulla base di accordi sindacali firmati prima del 4 dicembre 2011, solo impiegati in imprese con più di 15 dipendenti ed con licenziamenti che riguardano almeno 5 lavoratori;
essere in mobilità lunga per effetto di accordi collettivi stipulati entro il 4 dicembre 2011, o titolari alla stessa data di una prestazione straordinaria a carico dei fondi di solidarietà di settore;
essere stati autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione prima del 4 dicembre 2011 o essere dipendenti pubblici che abbiano chiesto di essere esonerati dal servizio.
Alla luce di tali vincoli, risultano comunque esclusi i lavoratori delle imprese sotto i 15 dipendenti. A rischio anche coloro che non entrino in possesso dei requisiti anagrafici e contributivi entro il 2012, facendo scattare la pensione entro il 2013, secondo la vecchia disciplina previdenziale.
Con un comunicato, il Ministero del Lavoro ha diffuso i dati a conclusione dell'analisi compiuta dal tavolo tecnico istituito tra lo stesso ministero, il ministero dell'Economia-Ragioneria dello Stato e l'Inps sugli esodati. Viene indicato il numero di circa 65 mila persone "complessivamente interessate". Nella nota si definiscono 'salvaguardati' e si fa riferimento ai lavoratori "in prossimità del pensionamento". Ossia - come spiegato da fonti tecniche - a coloro che entro due anni matureranno i requisiti per la pensione con le vecchie regole. E che hanno già lasciato il lavoro al 31 dicembre 2011. Mentre ad un successivo intervento normativo è affidata la possibilità - come affermato dallo stesso Ministero del Lavoro - di far rientrare "per specifiche situazioni e con criteri analoghi" i lavoratori interessati da "accordi collettivi stipulati in sede governativa entro il 2011", comunque beneficiari di ammortizzatori sociali per l'accompagnamento alla pensione. Tra questi, ad esempio, Termini Imerese, che al momento è fuori: il primo dicembre scorso è stato firmato l'accordo per l'accompagnamento alla pensione di 640 lavoratori dell'ex stabilimento Fiat, con due anni di cassa integrazione straordinaria e quattro anni di mobilità.
Il direttore generale dell'Inps, Mauro Nori, ha indicato cifre che non presentano "alcuna contraddizione" con quelle del Ministero del Lavoro. Si tratta di una platea potenziale di 130 mila nei prossimi quattro anni: circa 45 mila che entreranno in mobilità sulla base di accordi fatti entro dicembre 2011; altri 13-15.000 lavoratori che sono nel fondo di solidarietà del credito; 70.000 usciti dal lavoro sulla base di accordi volontari.
Per i sindacati il numero di tutti gli esodati è invece superiore a 300 mila. Cgil, Cisl, Uil e Ugl contestano al governo di aver indicato solo una parte della platea e nel conteggio considerano anche quanti hanno fatto accordi collettivi e individuali entro il 2011, ma lasciano il lavoro dopo e maturano i requisiti per la pensione oltre i due anni stabiliti dal Milleproroghe.
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sabato 14 aprile 2012
Contratto di solidarietà 2012
Con contratto di solidarietà, si fa riferimento ad una situazione di crisi aziendale temporanea, per la quale gli orari di lavoro dei dipendenti vengono ridotti e contestualmente si versa loro un contributo, come misura di sostegno del reddito. I contratti sono disciplinati da due diverse normative, a seconda della fattispecie di azienda coinvolta.
Quindi i contratti di solidarietà sono accordi, stipulati tra l'azienda e le rappresentanze sindacali, aventi ad oggetto la diminuzione dell’orario di lavoro al fine di:
mantenere l’occupazione in caso di crisi aziendale e quindi evitare la riduzione del personale (contratti di solidarietà difensivi,art. 1 legge 863/84);
favorire nuove assunzioni attraverso una contestuale e programmata riduzione dell’orario di lavoro e della retribuzione (contratti di solidarietà espansivi art. 2 legge 863/84). Questa ultima tipologia ha avuto scarsissima applicazione.
La legge prevede due tipologie di contratti di solidarietà:
TIPO A - contratti di solidarietà per le aziende rientranti nel campo di applicazione della disciplina in materia di CIGS (art. 1 legge n. 863/84);
TIPO B - contratti di solidarietà per le aziende non rientranti nel regime di CIGS e per le aziende artigiane (art. 5 comma 5 legge n. 236/93).
Il Ministero del lavoro, con nota del 16 gennaio 2012 ha fornito importanti chiarimenti in merito al corretto svolgimento dell’attività di vigilanza nei confronti di aziende interessate dai contratti di solidarietà c.d. difensivi. Il Ministero del lavoro ha ribadito alcuni contenuti della precedente circolare n. 20 del 2004, nell’intento di dare orientamenti chiari al proprio personale ispettivo nell’ambito delle verifiche sulla corretta gestione dei contratti di solidarietà. E’ stato chiesto alla Direzione generale per l’Attività Ispettiva del Ministero di chiarire la portata della disposizione contenuta nel citato art. 5, comma 10, del D.L. n. 148 del 1993, che rimette al contratto di solidarietà la determinazione delle modalità attraverso le quali l’impresa, per soddisfare temporanee esigenze di maggior lavoro, può modificare in aumento, nei limiti del normale orario contrattuale, l’orario ridotto in forza della solidarietà.
Il Ministero ha evidenziato pertanto come la determinazione, da parte del contratto di solidarietà, delle “modalità di effettuazione di prestazioni eccedenti l’orario ridotto concordato, nelle ipotesi di temporanee esigenze di maggior lavoro” sono peraltro finalizzate ad evitare possibili disparità tra i lavoratori interessati al trattamento integrativo salariale.
Quanto alle motivazioni che spingono l’azienda a richiedere prestazioni eccedenti l’orario ridotto concordato, la nota del 16 gennaio ha ricordato che le stesse sono ricondotte dallo stesso Legislatore alle ipotesi di “temporanee esigenze di maggior lavoro”. In tale definizione viene dunque fatta rientrare una “normale fluttuazione del mercato di riferimento che, in base alla sola valutazione dell’azienda, faccia sorgere l’esigenza di una maggiore prestazione di lavoro”. È infatti la sola azienda a poter valutare la tempistica secondo cui richiamare i lavoratori per rispondere alle richieste del mercato e quindi recuperare la necessaria competitività. Si tratta, pertanto, di una valutazione che non può essere sindacata dall’organo ispettivo e sulla quale non possono basarsi giudizi di illegittimità della procedura.
Il contratto di solidarietà non può in ogni caso essere applicato quando l’azienda abbia richiesto o sia stata assoggettata a procedura concorsuale ed in caso di fine lavoro nei cantieri, ad eccezione dei lavoratori assunti a tempo indeterminato e ancora nei rapporti a termine instaurati per attività stagionali.
Quanto al capitolo sgravi per il datore di lavoro, agevola ricordare che per i contratti difensivi stipulati dopo il 15 giugno del 1996, il datore può godere, per un periodo non superiore ai 24 mesi, di una riduzione contributiva per i lavoratori coinvolti nei contratti di solidarietà in percentuale variabile tra il 25% e il 40% a seconda dell’area di applicazione. Nei contratti espansivi per ogni lavoratore assunto, il datore può godere di un contributo calcolato sulla base della retribuzione lorda: 15% per i primi 12 mesi, 10% per i successivi 12 mesi, 5% per i successivi 12 mesi.
Quindi i contratti di solidarietà sono accordi, stipulati tra l'azienda e le rappresentanze sindacali, aventi ad oggetto la diminuzione dell’orario di lavoro al fine di:
mantenere l’occupazione in caso di crisi aziendale e quindi evitare la riduzione del personale (contratti di solidarietà difensivi,art. 1 legge 863/84);
favorire nuove assunzioni attraverso una contestuale e programmata riduzione dell’orario di lavoro e della retribuzione (contratti di solidarietà espansivi art. 2 legge 863/84). Questa ultima tipologia ha avuto scarsissima applicazione.
La legge prevede due tipologie di contratti di solidarietà:
TIPO A - contratti di solidarietà per le aziende rientranti nel campo di applicazione della disciplina in materia di CIGS (art. 1 legge n. 863/84);
TIPO B - contratti di solidarietà per le aziende non rientranti nel regime di CIGS e per le aziende artigiane (art. 5 comma 5 legge n. 236/93).
Il Ministero del lavoro, con nota del 16 gennaio 2012 ha fornito importanti chiarimenti in merito al corretto svolgimento dell’attività di vigilanza nei confronti di aziende interessate dai contratti di solidarietà c.d. difensivi. Il Ministero del lavoro ha ribadito alcuni contenuti della precedente circolare n. 20 del 2004, nell’intento di dare orientamenti chiari al proprio personale ispettivo nell’ambito delle verifiche sulla corretta gestione dei contratti di solidarietà. E’ stato chiesto alla Direzione generale per l’Attività Ispettiva del Ministero di chiarire la portata della disposizione contenuta nel citato art. 5, comma 10, del D.L. n. 148 del 1993, che rimette al contratto di solidarietà la determinazione delle modalità attraverso le quali l’impresa, per soddisfare temporanee esigenze di maggior lavoro, può modificare in aumento, nei limiti del normale orario contrattuale, l’orario ridotto in forza della solidarietà.
Il Ministero ha evidenziato pertanto come la determinazione, da parte del contratto di solidarietà, delle “modalità di effettuazione di prestazioni eccedenti l’orario ridotto concordato, nelle ipotesi di temporanee esigenze di maggior lavoro” sono peraltro finalizzate ad evitare possibili disparità tra i lavoratori interessati al trattamento integrativo salariale.
Quanto alle motivazioni che spingono l’azienda a richiedere prestazioni eccedenti l’orario ridotto concordato, la nota del 16 gennaio ha ricordato che le stesse sono ricondotte dallo stesso Legislatore alle ipotesi di “temporanee esigenze di maggior lavoro”. In tale definizione viene dunque fatta rientrare una “normale fluttuazione del mercato di riferimento che, in base alla sola valutazione dell’azienda, faccia sorgere l’esigenza di una maggiore prestazione di lavoro”. È infatti la sola azienda a poter valutare la tempistica secondo cui richiamare i lavoratori per rispondere alle richieste del mercato e quindi recuperare la necessaria competitività. Si tratta, pertanto, di una valutazione che non può essere sindacata dall’organo ispettivo e sulla quale non possono basarsi giudizi di illegittimità della procedura.
Il contratto di solidarietà non può in ogni caso essere applicato quando l’azienda abbia richiesto o sia stata assoggettata a procedura concorsuale ed in caso di fine lavoro nei cantieri, ad eccezione dei lavoratori assunti a tempo indeterminato e ancora nei rapporti a termine instaurati per attività stagionali.
Quanto al capitolo sgravi per il datore di lavoro, agevola ricordare che per i contratti difensivi stipulati dopo il 15 giugno del 1996, il datore può godere, per un periodo non superiore ai 24 mesi, di una riduzione contributiva per i lavoratori coinvolti nei contratti di solidarietà in percentuale variabile tra il 25% e il 40% a seconda dell’area di applicazione. Nei contratti espansivi per ogni lavoratore assunto, il datore può godere di un contributo calcolato sulla base della retribuzione lorda: 15% per i primi 12 mesi, 10% per i successivi 12 mesi, 5% per i successivi 12 mesi.
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Pensioni 2012 assegni dimezzati nei primi 3 mesi
Nei primi 3 mesi del 2012 le nuove pensioni sono state 43.870, erano 93.552 nel 2011.
Nel 2011 le nuove pensioni liquidate dall'Inps sono state 235.524 con un calo di 89.276 assegni sul 2010 (-27,4%). E' quanto emerge da dati Inps. Il dato è stato possibile soprattutto grazie all'introduzione della finestra mobile e all'inasprimento dei requisiti per l'accesso alla pensione di anzianità.
Nei primi tre mesi del 2012 le nuove pensioni liquidate dall'Inps si sono più che dimezzate rispetto allo stesso periodo del 2011 passando da 93.552 a 43.870 (-53,1%). Si tratta ancora dell'effetto dello scalino 2011 e della finestra mobile dato che le regole del Salva Italia avranno effetto dal 2013. Nel 2012 vanno in pensione coloro che hanno maturato i requisiti nel 2011 ma hanno dovuto attendere i 12 mesi previsti dalla finestra mobile (18 per gli autonomi).
Stanno quindi ancora andando in pensione di vecchiaia gli uomini a 65 anni e le donne a 60 (a questi si aggiungono i 12-18 mesi di finestra mobile).
«Le riforme hanno funzionato», ha commentato il presidente dell'Inps, Antonio Mastrapasqua. «Questi dati sono l'effetto dell'introduzione delle finestre mobili della riforma Sacconi-Tremonti. L'Italia risponde con i dati alle preoccupazioni del Fondo monetario internazionale sull'invecchiamento della popolazione». Mastrapasqua sottolinea che il dato del 2011 dovrebbe confermarsi nel 2012 anche se le previsioni devono tenere conto delle propensioni al pensionamento. Quest'anno comunque stanno andando in pensione le persone che raggiungono i requisiti nel 2011 e devono aspettare per l'assegno la finestra mobile.
Ricordiamo che si sta uscendo dal lavoro con la pensione di anzianità grazie alle quote (almeno 60 anni di età con quota 96 tra età e contributi, a fronte dei 59 e quota 95 del 2010) e con 40 anni di contributi indipendentemente dall'età (anche per l'anzianità si attende la finestra mobile). Il decreto Salva Italia ha esasperato le regole soprattutto per pensioni di anzianità e per la vecchiaia delle donne.
Il crollo delle pensioni di anzianità c'é stato soprattutto per le pensioni di anzianità dei dipendenti passate nel periodo da 39.743 a 15.862 (-61%) mentre per le pensioni di anzianità degli autonomi il calo è stato più contenuto (-17,1%). Le pensioni di vecchiaia nel complesso sono diminuite del 58,9% passando dalle 39.521 dei primi tre mesi del 2011 alle 16.212 dei primi tre mesi del 2012. In particolare sono crollate le pensioni di vecchiaia dei lavoratori autonomi passando da 16.245 dei primi tre mesi del 2011 a 1.327.
Nel 2011 le nuove pensioni liquidate dall'Inps sono state 235.524 con un calo di 89.276 assegni sul 2010 (-27,4%). E' quanto emerge da dati Inps. Il dato è stato possibile soprattutto grazie all'introduzione della finestra mobile e all'inasprimento dei requisiti per l'accesso alla pensione di anzianità.
Nei primi tre mesi del 2012 le nuove pensioni liquidate dall'Inps si sono più che dimezzate rispetto allo stesso periodo del 2011 passando da 93.552 a 43.870 (-53,1%). Si tratta ancora dell'effetto dello scalino 2011 e della finestra mobile dato che le regole del Salva Italia avranno effetto dal 2013. Nel 2012 vanno in pensione coloro che hanno maturato i requisiti nel 2011 ma hanno dovuto attendere i 12 mesi previsti dalla finestra mobile (18 per gli autonomi).
Stanno quindi ancora andando in pensione di vecchiaia gli uomini a 65 anni e le donne a 60 (a questi si aggiungono i 12-18 mesi di finestra mobile).
«Le riforme hanno funzionato», ha commentato il presidente dell'Inps, Antonio Mastrapasqua. «Questi dati sono l'effetto dell'introduzione delle finestre mobili della riforma Sacconi-Tremonti. L'Italia risponde con i dati alle preoccupazioni del Fondo monetario internazionale sull'invecchiamento della popolazione». Mastrapasqua sottolinea che il dato del 2011 dovrebbe confermarsi nel 2012 anche se le previsioni devono tenere conto delle propensioni al pensionamento. Quest'anno comunque stanno andando in pensione le persone che raggiungono i requisiti nel 2011 e devono aspettare per l'assegno la finestra mobile.
Ricordiamo che si sta uscendo dal lavoro con la pensione di anzianità grazie alle quote (almeno 60 anni di età con quota 96 tra età e contributi, a fronte dei 59 e quota 95 del 2010) e con 40 anni di contributi indipendentemente dall'età (anche per l'anzianità si attende la finestra mobile). Il decreto Salva Italia ha esasperato le regole soprattutto per pensioni di anzianità e per la vecchiaia delle donne.
Il crollo delle pensioni di anzianità c'é stato soprattutto per le pensioni di anzianità dei dipendenti passate nel periodo da 39.743 a 15.862 (-61%) mentre per le pensioni di anzianità degli autonomi il calo è stato più contenuto (-17,1%). Le pensioni di vecchiaia nel complesso sono diminuite del 58,9% passando dalle 39.521 dei primi tre mesi del 2011 alle 16.212 dei primi tre mesi del 2012. In particolare sono crollate le pensioni di vecchiaia dei lavoratori autonomi passando da 16.245 dei primi tre mesi del 2011 a 1.327.
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Riforma mercato del lavoro e il problema degli esodati
Lettera al Sole 24 Ore : varietà di stime non è colpa del ministero. Non ritengo che si possa accusare il ministro, né il ministero,della varietà di stime che ha caratterizzato le ultime settimane, alimentando la legittima preoccupazione delle persone. Né sarebbe stato appropriato,in attesa della valutazione ufficiale, correggere le cifre" Così il ministro del Lavoro Fornero nella lettera al direttore deal "Sole 24 ore".
Il ministro del Lavoro, Fornero, torna sulle polemiche relative al balletto di numeri sugli "esodati". Precisa che le cifre ufficiali sono quelle date dal ministero. E nella consapevolezza di persone che rischiano di trovarsi senza lavoro e senza pensione, dice: "Ho promesso che mi impegnerò poiché la norma non poteva contenere tutti". Poi sulle critiche di Bonanni: "Guardiamo all'interesse generale", non alle "battute". La crisi? "Il governo non ha bacchette magiche. Stiamo lavorando sul fronte della stabilizzazione finanziaria" e sul fronte liberalizzazioni. Quanto alla riforma del lavoro "ha un suo equilibrio", ma "non è intoccabile".
La riforma del lavoro non è intoccabile, ma ha un suo equilibrio. «Nessuno dice che la riforma così come è stata presentata è intoccabile ma io - ha rimarcato la Fornero facendo riferimento alla riforma del mercato del lavoro - rivendico il fatto che questa riforma ha un suo equilibrio e una sua valenza generale perché guarda a molti aspetti del mercato, non a uno soltanto, non solo alla possibilità di licenziare ma riguarda anche l'ingresso meno precario nel mondo del lavoro, dare qualcosa a chi il lavoro lo ha perso. Questa riforma la vediamo non come una rivoluzione ma come una riforma che ha contenuti molto equilibrati nelle sue diverse parti. Poi - ha detto infine il ministro - se c'è qualcuno che ha dei suggerimenti per migliorarla, non ci tireremo indietro. Una riforma così complessa non è intoccabile rispetto al modo in cui viene presentata».
Il ministro a Bonanni: siamo attenti all'interesse del Paese, non alle battute. «Le battute facili le lascio a quelli che ne hanno molte. Io non ne ho, sono piemontese e sono abituata a lavorare anche e a dispetto delle battute facili e magari sprezzanti che vengono fatte». Così Fornero, ha risposto alla battuta del segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, che aveva detto che il governo nasconde la testa sotto la sabbia. «Fino a quando saremo al governo - ha proseguito il ministro- il nostro impegno sarà quello di lavorare non per alcuni ma guardando all'interesse generale del Paese. Possibilmente per dargli un po’ di futuro».
Ma questa interpretazione (utilizzata per restringere il campo a 65.000 unità e quindi le risorse necessarie) lascia fuori coloro che pur avendo firmato l'accordo sono ancora in azienda (come i lavoratori di Termini Imerese ancora in cassa integrazione) e quelli con un percorso di mobilità verso la pensione di 4 anni. Nel complesso, secondo quanto dichiarato dal direttore generale dell'Inps Mauro Nori solo due giorni fa in una audizione la platea di coloro che è uscita dal lavoro sulla base di accordi collettivi o individuali e raggiunge i requisiti per la pensione con le vecchie regole nei prossimi quattro anni raggiunge le 130.000 unità.
A confermare l'operazione in più tappe è di fatto anche il sottosegretario all'Economia, Gianfranco Polillo. «È ovvio che ci sono più esodati dei 65mila stimati, ma sono scaglionati nel tempo - ha detto Polillo a SkyTg24 -. Ci sono quelli che rimarranno senza stipendio e senza pensione nel 2013, altri nel 2014 e via dicendo. Anno per anno si provvederà. Non possiamo risolvere il problema tutto subito - ha proseguito il sottosegretario - perché dovremmo mettere a bilancio una cifra spropositata che ci farebbe saltare tutti gli equilibri finanziari».
Si parte dunque dalla platea di 65mila lavoratori confermata dalla ricognizione dei tecnici di Lavoro, Inps e Ragioneria generale dello Stato. Un dato che, secondo l'Inps, «non è in contraddizione» con quello dei 130mila esodati citato alla Camera dal direttore generale dell'Istituto, Mauro Nori, perché questo numero «si riferiva alla stima delle platee dei potenziali lavoratori coinvolti nei prossimi quattro anni, in procedure di mobilità, in esodi individuali incentivati ed alle altre categorie previste», mentre quello del tavolo tecnico riguarda «tutti i lavoratori - precisa ancora l'Inps con una nota - che ad oggi risultano già cessati ed estromessi dai processi produttivi per effetto di procedure di mobilità o per dimissioni individuali al 31 dicembre 2011 sulla base di accordi individuali o collettivi». I criteri e le priorità di pensionamento di questi 65mila lavoratori «salvaguardati», saranno fissati dal decreto interministeriale (compresa la documentazione necessaria) che il ministro Fornero conta di emanare già a maggio.
Il ministro del Lavoro, Fornero, torna sulle polemiche relative al balletto di numeri sugli "esodati". Precisa che le cifre ufficiali sono quelle date dal ministero. E nella consapevolezza di persone che rischiano di trovarsi senza lavoro e senza pensione, dice: "Ho promesso che mi impegnerò poiché la norma non poteva contenere tutti". Poi sulle critiche di Bonanni: "Guardiamo all'interesse generale", non alle "battute". La crisi? "Il governo non ha bacchette magiche. Stiamo lavorando sul fronte della stabilizzazione finanziaria" e sul fronte liberalizzazioni. Quanto alla riforma del lavoro "ha un suo equilibrio", ma "non è intoccabile".
La riforma del lavoro non è intoccabile, ma ha un suo equilibrio. «Nessuno dice che la riforma così come è stata presentata è intoccabile ma io - ha rimarcato la Fornero facendo riferimento alla riforma del mercato del lavoro - rivendico il fatto che questa riforma ha un suo equilibrio e una sua valenza generale perché guarda a molti aspetti del mercato, non a uno soltanto, non solo alla possibilità di licenziare ma riguarda anche l'ingresso meno precario nel mondo del lavoro, dare qualcosa a chi il lavoro lo ha perso. Questa riforma la vediamo non come una rivoluzione ma come una riforma che ha contenuti molto equilibrati nelle sue diverse parti. Poi - ha detto infine il ministro - se c'è qualcuno che ha dei suggerimenti per migliorarla, non ci tireremo indietro. Una riforma così complessa non è intoccabile rispetto al modo in cui viene presentata».
Il ministro a Bonanni: siamo attenti all'interesse del Paese, non alle battute. «Le battute facili le lascio a quelli che ne hanno molte. Io non ne ho, sono piemontese e sono abituata a lavorare anche e a dispetto delle battute facili e magari sprezzanti che vengono fatte». Così Fornero, ha risposto alla battuta del segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, che aveva detto che il governo nasconde la testa sotto la sabbia. «Fino a quando saremo al governo - ha proseguito il ministro- il nostro impegno sarà quello di lavorare non per alcuni ma guardando all'interesse generale del Paese. Possibilmente per dargli un po’ di futuro».
Ma questa interpretazione (utilizzata per restringere il campo a 65.000 unità e quindi le risorse necessarie) lascia fuori coloro che pur avendo firmato l'accordo sono ancora in azienda (come i lavoratori di Termini Imerese ancora in cassa integrazione) e quelli con un percorso di mobilità verso la pensione di 4 anni. Nel complesso, secondo quanto dichiarato dal direttore generale dell'Inps Mauro Nori solo due giorni fa in una audizione la platea di coloro che è uscita dal lavoro sulla base di accordi collettivi o individuali e raggiunge i requisiti per la pensione con le vecchie regole nei prossimi quattro anni raggiunge le 130.000 unità.
A confermare l'operazione in più tappe è di fatto anche il sottosegretario all'Economia, Gianfranco Polillo. «È ovvio che ci sono più esodati dei 65mila stimati, ma sono scaglionati nel tempo - ha detto Polillo a SkyTg24 -. Ci sono quelli che rimarranno senza stipendio e senza pensione nel 2013, altri nel 2014 e via dicendo. Anno per anno si provvederà. Non possiamo risolvere il problema tutto subito - ha proseguito il sottosegretario - perché dovremmo mettere a bilancio una cifra spropositata che ci farebbe saltare tutti gli equilibri finanziari».
Si parte dunque dalla platea di 65mila lavoratori confermata dalla ricognizione dei tecnici di Lavoro, Inps e Ragioneria generale dello Stato. Un dato che, secondo l'Inps, «non è in contraddizione» con quello dei 130mila esodati citato alla Camera dal direttore generale dell'Istituto, Mauro Nori, perché questo numero «si riferiva alla stima delle platee dei potenziali lavoratori coinvolti nei prossimi quattro anni, in procedure di mobilità, in esodi individuali incentivati ed alle altre categorie previste», mentre quello del tavolo tecnico riguarda «tutti i lavoratori - precisa ancora l'Inps con una nota - che ad oggi risultano già cessati ed estromessi dai processi produttivi per effetto di procedure di mobilità o per dimissioni individuali al 31 dicembre 2011 sulla base di accordi individuali o collettivi». I criteri e le priorità di pensionamento di questi 65mila lavoratori «salvaguardati», saranno fissati dal decreto interministeriale (compresa la documentazione necessaria) che il ministro Fornero conta di emanare già a maggio.
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lunedì 9 aprile 2012
Offerte di lavoro informatica aprile 2012
Informaticalavoro.it è un sito internet professionale che propone un servizio per l’inserimento e la pubblicazione di annunci di offerte di lavoro relativamente alle attività del settore informatico. E nella sezione offerte di lavoro sono indicate le aziende e le figure professionali ricercate nel settore informatico.
La Selex Elsag è alla ricerca di 15 laureandi e laureati per la sede di Roma. I selezionati saranno inseriti nel ruolo di Sw engineer. I profili dovranno possedere competenze nell’organizzazione di data base, nella programmazione di Uml, Java, Per candidarsi si deve accedere al sito web http://www.jobsoul.it/ nella pagina ricerca opportunità di lavoro.
Twitter e Skype sono solo due della aziende informatiche attualmente alla ricerca di personale.
Nuove offerte di lavoro arrivano da Twitter, società della popolare piattaforma di microblogging che sta aprendo diverse branch in Inghilterra, Irlanda e Detroit. Si tratta, in realtà, di poche decine di posizioni orientate soprattutto al supporto e alle vendite ma questi dati, soprattutto per la concomitanza nei tempi, fanno riflettere. Da qui la necessità di forze fresche. Viene fatto notare come l’espansione dell’uccellino blu coincida con l’introduzione degli annunci pubblicitari.
Anche Facebook e Google stanno adottando la politica delle assunzioni. Rispetto agli ultimi tre mesi dello scorso anno, il gigante di Marck Zuckerberg ha aumentato le offerte di lavoro di quasi il 70%. Skype, ha annunciato la ricerca 400 nuovi posti di lavoro per le sedi di Londra, Stoccolma, Talinn , Praga e Palo Alto.
Anche Amazon, la società specializzata nel commercio elettronico, si guarda attorno. In questo momento sta cercando in Italia le seguenti figure professionali: Corporate Counsel, Senior Financial Analyst, Responsabile Acquisti, Senior PR Specialist, Senior Business Manager, Web Editor.
Per presentare la propria candidatura occorre effettuare il “log in” al sito ufficiale ed inserire i dati personali richiesti, compilare il questionario di lavoro, allegare curriculum vitae e lettera di presentazione.
La Selex Elsag è alla ricerca di 15 laureandi e laureati per la sede di Roma. I selezionati saranno inseriti nel ruolo di Sw engineer. I profili dovranno possedere competenze nell’organizzazione di data base, nella programmazione di Uml, Java, Per candidarsi si deve accedere al sito web http://www.jobsoul.it/ nella pagina ricerca opportunità di lavoro.
Twitter e Skype sono solo due della aziende informatiche attualmente alla ricerca di personale.
Nuove offerte di lavoro arrivano da Twitter, società della popolare piattaforma di microblogging che sta aprendo diverse branch in Inghilterra, Irlanda e Detroit. Si tratta, in realtà, di poche decine di posizioni orientate soprattutto al supporto e alle vendite ma questi dati, soprattutto per la concomitanza nei tempi, fanno riflettere. Da qui la necessità di forze fresche. Viene fatto notare come l’espansione dell’uccellino blu coincida con l’introduzione degli annunci pubblicitari.
Anche Facebook e Google stanno adottando la politica delle assunzioni. Rispetto agli ultimi tre mesi dello scorso anno, il gigante di Marck Zuckerberg ha aumentato le offerte di lavoro di quasi il 70%. Skype, ha annunciato la ricerca 400 nuovi posti di lavoro per le sedi di Londra, Stoccolma, Talinn , Praga e Palo Alto.
Anche Amazon, la società specializzata nel commercio elettronico, si guarda attorno. In questo momento sta cercando in Italia le seguenti figure professionali: Corporate Counsel, Senior Financial Analyst, Responsabile Acquisti, Senior PR Specialist, Senior Business Manager, Web Editor.
Per presentare la propria candidatura occorre effettuare il “log in” al sito ufficiale ed inserire i dati personali richiesti, compilare il questionario di lavoro, allegare curriculum vitae e lettera di presentazione.
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Stage al Parlamento europeo 2012
Per partecipare alla formazione professionale dei cittadini e permettere loro di familiarizzarsi con il funzionamento dell'Istituzione, il Parlamento europeo offre loro varie possibilità di tirocinio presso il proprio Segretariato generale.
Al via le domande per la sessione primavera-estate dei percorsi di lavoro e formazione a cui hanno partecipato anche quelli che poi sono divenuti illustri protagonisti della palcoscenico politico e sociale europeo. Si è iniziato il primo marzo del 2012 e si concluderanno entro la mezzanotte del 15 ottobre.
Sono opportunità di lavoro rivolte a laureati, giornalisti, traduttori, interpreti e per disabili. Le istituzioni aprono le porte per formare giovani cittadini europei, migliorare l'accesso al mondo del lavoro e favorire la comprensione dei funzionamenti dell’istituzione.
Sono tirocini intitolati a Robert Schuman. Per partecipare ai tirocini retribuiti, della durata di cinque mesi, è necessario avere conseguito un titolo di laurea e prevedono due diverse opzioni. La prima, ovvero le borse Chris Piening, sono di indirizzo generale e per potervi accedere è necessario avere scritto un elaborato sui temi legati alle relazioni tra l’Unione europea e gli Stati Uniti. La seconda scelta è di indirizzo giornalistico.
Il loro scopo è quello di permettere ai tirocinanti di completare le conoscenze che hanno acquisito nel corso dei loro studi e di familiarizzarsi con le attività dell’Unione europea e in particolare del Parlamento Europeo.
Esistono due tipologie di stage:
- i tirocini Robert Schuman con opzione generale;
- i tirocini Robert Schuman con opzione giornalismo.
Per informazioni, dettagli e documenti da presentare si consiglia di visitare la pagina Traineeships ed è ricordato nel sito che In caso di candidatura on line, per completare ogni pagina è disponibile un tempo massimo di 30 minuti. E se si è interessati si consiglia di leggere le norme interne.
Al via le domande per la sessione primavera-estate dei percorsi di lavoro e formazione a cui hanno partecipato anche quelli che poi sono divenuti illustri protagonisti della palcoscenico politico e sociale europeo. Si è iniziato il primo marzo del 2012 e si concluderanno entro la mezzanotte del 15 ottobre.
Sono opportunità di lavoro rivolte a laureati, giornalisti, traduttori, interpreti e per disabili. Le istituzioni aprono le porte per formare giovani cittadini europei, migliorare l'accesso al mondo del lavoro e favorire la comprensione dei funzionamenti dell’istituzione.
Sono tirocini intitolati a Robert Schuman. Per partecipare ai tirocini retribuiti, della durata di cinque mesi, è necessario avere conseguito un titolo di laurea e prevedono due diverse opzioni. La prima, ovvero le borse Chris Piening, sono di indirizzo generale e per potervi accedere è necessario avere scritto un elaborato sui temi legati alle relazioni tra l’Unione europea e gli Stati Uniti. La seconda scelta è di indirizzo giornalistico.
Il loro scopo è quello di permettere ai tirocinanti di completare le conoscenze che hanno acquisito nel corso dei loro studi e di familiarizzarsi con le attività dell’Unione europea e in particolare del Parlamento Europeo.
Esistono due tipologie di stage:
- i tirocini Robert Schuman con opzione generale;
- i tirocini Robert Schuman con opzione giornalismo.
Per informazioni, dettagli e documenti da presentare si consiglia di visitare la pagina Traineeships ed è ricordato nel sito che In caso di candidatura on line, per completare ogni pagina è disponibile un tempo massimo di 30 minuti. E se si è interessati si consiglia di leggere le norme interne.
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domenica 8 aprile 2012
Riforma del mercato lavoro torna il reintegro
Art. 18 dello Statuto dei lavoratori, torna il reintegro: «Possibile in caso di insussistenza del motivo economico».
Le modifiche prevedono la possibilità del reintegro anche nel caso dei licenziamenti per motivi economici quando questi motivi risultino del tutto inesistenti. Nella proposta iniziale annunciata il mese scorso era previsto che nel caso di illegittimità del licenziamento per motivi oggettivi il giudice potesse solo decidere un indennizzo. «Per il licenziamento per cause economiche il nostro ddl prevede che nel caso di manifesta infondatezza, anzi insussistenza, il giudice possa decidere il reintegro», ha spiegato il ministro Fornero.
La norma è una novità rispetto alla bozza uscita dal consiglio dei ministri ed è il frutto dell'accordo con i leader della maggioranza. «È una soluzione lineare - ha affermato la Fornero - che non dà luogo a troppe controversie interpretative ed è anche più equilibrata dal punto di vista formale. Per queste cause sui licenziamenti illegittimi è previsto un processo speciale, che accelera il percorso del giudice». La modifica del governo va incontro alle richieste di seguire il modello tedesco. Fornero ha anche detto che nel caso in cui il lavoratore vinca una causa per licenziamenti, sia di tipo economico che disciplinari, potrebbe avere diritto a un indennizzo compreso tra le 12 e le 24 mensilità a seconda dell'anzianità e altri parametri. Resta salvo il diritto al reintegro per licenziamenti discriminatori.
Il ministero del Lavoro inoltre metterà in campo una «commissione», un «osservatorio» di concerto con il ministero del Tesoro «per monitorare gli effetti della riforma» del mercato del lavoro allo scopo «eventualmente di proporre qualche aggiustamento in corso». Lo ha annunciato il ministro Fornero sottolineando che «la realizzazione della riforma non avviene tutta d'un botto e, dunque, va monitorata».
sabato 7 aprile 2012
Pagamento contributi lavoratori domestici 2012
I lavoratori domestici sono coloro che prestano un’attività lavorativa continuativa per le necessità della vita familiare del datore di lavoro come ad esempio colf, assistenti familiari o baby sitter, governanti, camerieri, cuochi. Rientrano in questa categoria anche i lavoratori che prestano tali attività presso comunità religiose (conventi, seminari), presso caserme e comandi militari, nonché presso le comunità senza fini di lucro, come orfanotrofi e ricoveri per anziani, il cui fine è prevalentemente assistenziale.
A partire dal 1° aprile 2011 i contributi potranno essere versati esclusivamente con le seguenti modalità: utilizzando il bollettino MAV, e rivolgendosi ai soggetti aderenti al circuito “Reti Amiche”, dichiarando soltanto il codice fiscale del datore di lavoro e il codice del rapporto di lavoro. Entro martedì 10 aprile 2012 il datore di lavoro domestico è chiamato a pagare i contributi Cassacolf, utilizzando le stesse modalità (Mav, circuito "Reti amiche", contact center, Inps online) valide per il versamento dei contributi obbligatori Inps, indicando il codice F2 (l'importo è pari a 0,03 euro per ogni ora per la quale si versano i contributi Inps).
Per calcolare i contributi in relazione alla retribuzione pattuita, l’INPS mette a disposizione di datori di lavoro e lavoratori un software di simulazione.
I contributi si pagano ogni trimestre alle seguenti scadenze:
dal 1° al 10 aprile versamento per il 1° trimestre;
dal 1° al 10 luglio versamento per il 2° trimestre;
dal 1° al 10 ottobre versamento per il 3° trimestre;
dal 1° al 10 gennaio versamento per il 4° trimestre.
Quindi il primo appuntamento con i versamenti all'Inps dell'anno 2012 per i datori di lavoro domestico: entro martedì 10 aprile, si deve provvedere al pagamento dei contributi previdenziali relativi al trimestre gennaio-marzo 2012 per il proprio collaboratore (colf, badante, baby sitter). Le aliquote contributive che sono annualmente aggiornate dall'Inps sulla base dell'indice Istat - hanno registrato un incremento superiore rispetto a quello dello scorso anno dato che l'indice dei prezzi al consumo è cresciuto del 2,7% nel periodo gennaio-dicembre 2011 (contro l'1,6% del 2010).
Per calcolare i contributi in relazione alla retribuzione pattuita, l’INPS ha messo a disposizione di datori di lavoro e lavoratori un software di simulazione. Pertanto nel definire gli importi corretti da versare bisognerà attenersi ai nuovi parametri e moltiplicarli per tutte le ore retribuite entro l'ultimo sabato del trimestre solare. Tra l'altro per il periodo gennaio-marzo 2012 il trimestre solare coincide con il trimestre contributivo Inps che per convenzione si considera composto da tutte le settimane il cui il sabato sia presente nell'arco temporale di riferimento. Per esempio per una baby sitter con livello Bs e con orario settimanale di 40 ore, il contributo Inps trimestrale ammonterà a 530,4 euro , mentre nel 2011 erano 514,80; invece per una colf a ore con livello B e con orario settimanale di 6 ore e retribuzione oraria pattuita pari a 7 euro si pagheranno 123,4 euro di contributo Inps trimestrale mentre nel 2011 era di 120,12.
I datori di lavoro possono utilizzare i bollettini Mav ricevuti al proprio indirizzo dall'Inps, qualora i dati contenuti siano conformi al lavoro effettivamente svolto e vi sia inserito il contributo alla Cassacolf. «In caso di incongruenze, il datore può provvedere a modificare il bollettino accedendo direttamente al sito dell'Istituto – spiegano ancora da Assindatcolf – oppure telefonando al contact center, utilizzando il Pin personale o rivolgendosi alla propria associazione di categoria (come ad esempio Assindatcolf e le altre componenti Fidaldo) oppure a consulenti del lavoro, patronati o associazioni sindacali». Con il pagamento trimestrale, il datore di lavoro assolve all'obbligo assicurativo e permette al lavoratore di aver diritto a una serie di importanti prestazioni (si veda l'infografica), come la disoccupazione involontaria o la copertura in caso di infortunio. Si rammenta che i lavoratori domestici hanno diritto all'assistenza sanitaria a carico del Ssn, ma non all'indennità di malattia. A questo ha pensato, entro alcuni limiti, il Contratto collettivo di lavoro con un trattamento economico a carico del datore. Ma se si è in regola con i versamenti alla Cassacolf, in caso di ricovero e di successiva convalescenza il lavoratore avrà una diaria giornaliera di 20 euro (fino a un massimo rispettivamente di 20 e 10 giorni) nonché il rimborso dei ticket sanitari fino a 300 euro/anno.
I nuovi servizi che sono stati messi a disposizione dall'Inps per i datori che si sono dotati di Pin (codice personale idenitificativo) potranno sia esaminare i rapporti di lavoro domestico degli ultimi cinque anni sia consultare l'estratto contributivo relativo a tutti i rapporti di lavoro intrattenuti, verificando la corrispondenza dei dati con quanto versato. Nel caso riscontrassero difformità (come periodi contributivi mancanti o pagamenti non conformi) il datore di lavoro potrà mandare una segnalazione all’Ente di Previdenza, dove specificherà i motivi della sospensione dell'obbligo contributivo (ad esempio una maternità, un permesso non retribuito, un periodo di malattia eccedente quello retribuito) o gli elementi identificativi del versamento effettuato e non risultante.
A partire dal 1° aprile 2011 i contributi potranno essere versati esclusivamente con le seguenti modalità: utilizzando il bollettino MAV, e rivolgendosi ai soggetti aderenti al circuito “Reti Amiche”, dichiarando soltanto il codice fiscale del datore di lavoro e il codice del rapporto di lavoro. Entro martedì 10 aprile 2012 il datore di lavoro domestico è chiamato a pagare i contributi Cassacolf, utilizzando le stesse modalità (Mav, circuito "Reti amiche", contact center, Inps online) valide per il versamento dei contributi obbligatori Inps, indicando il codice F2 (l'importo è pari a 0,03 euro per ogni ora per la quale si versano i contributi Inps).
Per calcolare i contributi in relazione alla retribuzione pattuita, l’INPS mette a disposizione di datori di lavoro e lavoratori un software di simulazione.
I contributi si pagano ogni trimestre alle seguenti scadenze:
dal 1° al 10 aprile versamento per il 1° trimestre;
dal 1° al 10 luglio versamento per il 2° trimestre;
dal 1° al 10 ottobre versamento per il 3° trimestre;
dal 1° al 10 gennaio versamento per il 4° trimestre.
Quindi il primo appuntamento con i versamenti all'Inps dell'anno 2012 per i datori di lavoro domestico: entro martedì 10 aprile, si deve provvedere al pagamento dei contributi previdenziali relativi al trimestre gennaio-marzo 2012 per il proprio collaboratore (colf, badante, baby sitter). Le aliquote contributive che sono annualmente aggiornate dall'Inps sulla base dell'indice Istat - hanno registrato un incremento superiore rispetto a quello dello scorso anno dato che l'indice dei prezzi al consumo è cresciuto del 2,7% nel periodo gennaio-dicembre 2011 (contro l'1,6% del 2010).
Per calcolare i contributi in relazione alla retribuzione pattuita, l’INPS ha messo a disposizione di datori di lavoro e lavoratori un software di simulazione. Pertanto nel definire gli importi corretti da versare bisognerà attenersi ai nuovi parametri e moltiplicarli per tutte le ore retribuite entro l'ultimo sabato del trimestre solare. Tra l'altro per il periodo gennaio-marzo 2012 il trimestre solare coincide con il trimestre contributivo Inps che per convenzione si considera composto da tutte le settimane il cui il sabato sia presente nell'arco temporale di riferimento. Per esempio per una baby sitter con livello Bs e con orario settimanale di 40 ore, il contributo Inps trimestrale ammonterà a 530,4 euro , mentre nel 2011 erano 514,80; invece per una colf a ore con livello B e con orario settimanale di 6 ore e retribuzione oraria pattuita pari a 7 euro si pagheranno 123,4 euro di contributo Inps trimestrale mentre nel 2011 era di 120,12.
I datori di lavoro possono utilizzare i bollettini Mav ricevuti al proprio indirizzo dall'Inps, qualora i dati contenuti siano conformi al lavoro effettivamente svolto e vi sia inserito il contributo alla Cassacolf. «In caso di incongruenze, il datore può provvedere a modificare il bollettino accedendo direttamente al sito dell'Istituto – spiegano ancora da Assindatcolf – oppure telefonando al contact center, utilizzando il Pin personale o rivolgendosi alla propria associazione di categoria (come ad esempio Assindatcolf e le altre componenti Fidaldo) oppure a consulenti del lavoro, patronati o associazioni sindacali». Con il pagamento trimestrale, il datore di lavoro assolve all'obbligo assicurativo e permette al lavoratore di aver diritto a una serie di importanti prestazioni (si veda l'infografica), come la disoccupazione involontaria o la copertura in caso di infortunio. Si rammenta che i lavoratori domestici hanno diritto all'assistenza sanitaria a carico del Ssn, ma non all'indennità di malattia. A questo ha pensato, entro alcuni limiti, il Contratto collettivo di lavoro con un trattamento economico a carico del datore. Ma se si è in regola con i versamenti alla Cassacolf, in caso di ricovero e di successiva convalescenza il lavoratore avrà una diaria giornaliera di 20 euro (fino a un massimo rispettivamente di 20 e 10 giorni) nonché il rimborso dei ticket sanitari fino a 300 euro/anno.
I nuovi servizi che sono stati messi a disposizione dall'Inps per i datori che si sono dotati di Pin (codice personale idenitificativo) potranno sia esaminare i rapporti di lavoro domestico degli ultimi cinque anni sia consultare l'estratto contributivo relativo a tutti i rapporti di lavoro intrattenuti, verificando la corrispondenza dei dati con quanto versato. Nel caso riscontrassero difformità (come periodi contributivi mancanti o pagamenti non conformi) il datore di lavoro potrà mandare una segnalazione all’Ente di Previdenza, dove specificherà i motivi della sospensione dell'obbligo contributivo (ad esempio una maternità, un permesso non retribuito, un periodo di malattia eccedente quello retribuito) o gli elementi identificativi del versamento effettuato e non risultante.
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Lavoro giovani sotto i 35 anni 1 milione di occupati in meno in 3 anni
Sono i dati riportati dall’Istat, che evidenziano che nel 2011 i giovani occupati, tra i 15 e i 34 anni, sono diminuiti di oltre un milione di unità rispetto al 2008, passando da 7,1 milioni a 6 milioni e 56.000 nel 2011 (-14,8%). E' quanto emerge dal confronto dei dati Istat sulla media dello scorso anno. Il paragone con tre anni prima ben rileva gli effetti della crisi sulle nuove generazioni. Nel dettaglio, passando dal 2008 al 2011 si contano un milione e 54 mila giovani in meno al lavoro. Si è trattato di una discesa progressiva, seguita alla crisi. Se si considerano gli occupati italiani 15-34enni, in un solo anno, tra il 2011 e il 2010, la riduzione è stata di 233 mila unità. Se poi si guarda alla fascia d'età tra i 15 e i 24 anni, in proporzione la discesa degli occupati tra il 2011 e il 2008 e' stata ancora più forte, ed è pari al -20,5% (303 mila unità in meno).
La tendenza era già conosciuta ma i dati impressionano lo stesso.
Secondo i dati Istat gli occupati nella classe d'età tra i 55 e i 64 anni sono invece aumentati del 15% nell'arco di tre anni, dal 2008 al 2011. Nel dettaglio, gli occupati più adulti (55-64 anni) sono saliti di 376 mila unità, passando da 2 milioni 466 mila del 2008 a 2 milioni 842 mila del 2011.
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Marcecaglia: riforma del lavoro così non può andare
Noi siamo stati tra coloro che più hanno sostenuto la necessità che nascesse il governo Monti. Ribadisco che il premier ha tirato fuori l'Italia dal baratro".Così la Marcegaglia, presidente di Confindustria, in un'intervista al Corriere della sera, dove critica le modifiche al Ddl sulla riforma del lavoro. "Questa riforma è negativa per il Paese", spiega la Marcegalia, perché" è stato peggiorato il testo sia sull'art. 18, dove è stato reintrodotto il reintegro anche sui licenziamenti per motivi economici, sia sulla flessibilità in entrata". La riforma "va cambiata profondamente", in Parlamento, ha aggiunto.
A cambiare posizione non è stata Confindustria, ma il governo, che ''ha modificato la parte sull'articolo 18 e ha irrigidito la flessibilità in entrata'', sottolinea Marcegaglia. A questo punto, dice, ''tanto valeva non farla, la trattativa''.
Quanto al nuovo articolo 18 delo Statuto dei lavoratori, ''si apre un problema di interpretazione del giudice, si torna all'incertezza'', prosegue Marcegaglia. ''Tante aziende, in caso di necessità o crisi, neanche ci provano a licenziare perché è troppo complicato. E quindi il problema esiste''. Nell'intervista la leader di Confindustria interviene anche sulle parole del ministro Fornero, che ieri ha denunciato il ''teatrino della politica''. ''A differenza sua, che ha parlato di reazione isterica usando un termine molto maschilista, dico che la stimo e la considero brava'', dice. ''Però se tutto il mondo delle imprese dice che non va bene mentre la Cgil dice che va bene, è una soluzione equilibrata?''.
Sul riordino dei contratti, ''il rischio è che le imprese, spaventate dai nuovi vincoli, non ricorrano più nemmeno ai contratti flessibili'', e nell’intervista ha evidenziato, rischio che le imprese, invece di creare più occupazione, saranno spaventate dai nuovi vincoli, non ricorrano più nemmeno ai contratti flessibili. Con la presunzione di abuso non si combatte la precarietà, ma si ammazza anche la flessibilità buona. Quindi il rischio è che il lavoro in nero aumenti.
A cambiare posizione non è stata Confindustria, ma il governo, che ''ha modificato la parte sull'articolo 18 e ha irrigidito la flessibilità in entrata'', sottolinea Marcegaglia. A questo punto, dice, ''tanto valeva non farla, la trattativa''.
Quanto al nuovo articolo 18 delo Statuto dei lavoratori, ''si apre un problema di interpretazione del giudice, si torna all'incertezza'', prosegue Marcegaglia. ''Tante aziende, in caso di necessità o crisi, neanche ci provano a licenziare perché è troppo complicato. E quindi il problema esiste''. Nell'intervista la leader di Confindustria interviene anche sulle parole del ministro Fornero, che ieri ha denunciato il ''teatrino della politica''. ''A differenza sua, che ha parlato di reazione isterica usando un termine molto maschilista, dico che la stimo e la considero brava'', dice. ''Però se tutto il mondo delle imprese dice che non va bene mentre la Cgil dice che va bene, è una soluzione equilibrata?''.
Sul riordino dei contratti, ''il rischio è che le imprese, spaventate dai nuovi vincoli, non ricorrano più nemmeno ai contratti flessibili'', e nell’intervista ha evidenziato, rischio che le imprese, invece di creare più occupazione, saranno spaventate dai nuovi vincoli, non ricorrano più nemmeno ai contratti flessibili. Con la presunzione di abuso non si combatte la precarietà, ma si ammazza anche la flessibilità buona. Quindi il rischio è che il lavoro in nero aumenti.
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martedì 3 aprile 2012
Riforma del lavoro ed esodati per Angeletti: «Fornero da licenziare per giusta causa»
Riforma delle pensioni ed esodati è il tema preoccupante. Chi sono gli esodati? Sono coloro che si trovano in bilico, bordline tra l'età lavorativa e quella della pensione. Ossia, è il nodo dei patti aziendali basati sul vecchio sistema pensionistico. Il problema è che in sede INPS è emerso che gli esodati sarebbero circa 350.000 mila. E questi sono lavoratori coperti dalla legge che assicura loro di potersi avvalere delle regole in vigore prima del 2012 ma per pagare le loro pensioni i fondi non ci sono.
In sostanza la variazione più incisiva è rappresentata dal passaggio, a decorrere dal 1° gennaio 2012 e per tutti i lavoratori, al sistema contributivo.
Altre modifiche riguardano la variazione dell’età pensionabile e l’incremento dell’aliquote contributi veda versare di alcuni tipologie di lavoratori. Tale tipo di intervento pone però il problema di un buon numero di contribuenti che si trovano proprio al limite del passaggio tra vita lavorativa e pensione.
"La vicenda dell'articolo 18, così come la vicenda degli esodati, se posso dirla con una battuta, rappresentano un fondato motivo per un licenziamento del ministro del Lavoro Fornero, una giusta causa". Così il leader della Uil Angeletti, ospite di SkyTg24. "Dobbiamo constatare che, nel bene e nel male, l'epoca della concertazione è finita" ha aggiunto Angeletti. E ancora: "Il vero problema che abbiamo è l'eccessiva pressione fiscale sul lavoro dipendente che sta producendo certamente una generica ingiustizia sociale, ma soprattutto l'aumento della disoccupazione. Dobbiamo scendere in campo per il problema numero uno:i posti di lavoro".
Per la Uil, «ad aggravare questa situazione si aggiungono le addizionali Irpef, l'Imu e i possibili incrementi delle aliquote Iva». Mentre manca «l' emanazione di un provvedimento attuativo per la detassazione strutturale degli incrementi salariali derivanti dalla produttività», cosa che determina «decurtazione economica a danno di circa sei milioni di lavoratori».
In uno scenario che vede una riduzione «drastica» del potere di acquisto per lavoratori e pensionati che frena i consumi, la disoccupazione attesa in aumento, il Pil in frenata, «lavoro e sviluppo restano solo parole, predicate da un Governo le cui politiche economiche stanno, invece, perpetuando effetti recessivi. E ciò accade mentre i costi della politica continuano ad essere esorbitanti».
Per Uil «bisogna affrontare, poi, altri nodi importanti, a partire dalla soluzione della questione degli esodati. Si tratta di oltre trecentomila persone che hanno sottoscritto un patto, affidandosi alle leggi dello Stato, che deve essere onorato garantendo loro una continuità tra salario e pensioni».
In sostanza la variazione più incisiva è rappresentata dal passaggio, a decorrere dal 1° gennaio 2012 e per tutti i lavoratori, al sistema contributivo.
Altre modifiche riguardano la variazione dell’età pensionabile e l’incremento dell’aliquote contributi veda versare di alcuni tipologie di lavoratori. Tale tipo di intervento pone però il problema di un buon numero di contribuenti che si trovano proprio al limite del passaggio tra vita lavorativa e pensione.
"La vicenda dell'articolo 18, così come la vicenda degli esodati, se posso dirla con una battuta, rappresentano un fondato motivo per un licenziamento del ministro del Lavoro Fornero, una giusta causa". Così il leader della Uil Angeletti, ospite di SkyTg24. "Dobbiamo constatare che, nel bene e nel male, l'epoca della concertazione è finita" ha aggiunto Angeletti. E ancora: "Il vero problema che abbiamo è l'eccessiva pressione fiscale sul lavoro dipendente che sta producendo certamente una generica ingiustizia sociale, ma soprattutto l'aumento della disoccupazione. Dobbiamo scendere in campo per il problema numero uno:i posti di lavoro".
Per la Uil, «ad aggravare questa situazione si aggiungono le addizionali Irpef, l'Imu e i possibili incrementi delle aliquote Iva». Mentre manca «l' emanazione di un provvedimento attuativo per la detassazione strutturale degli incrementi salariali derivanti dalla produttività», cosa che determina «decurtazione economica a danno di circa sei milioni di lavoratori».
In uno scenario che vede una riduzione «drastica» del potere di acquisto per lavoratori e pensionati che frena i consumi, la disoccupazione attesa in aumento, il Pil in frenata, «lavoro e sviluppo restano solo parole, predicate da un Governo le cui politiche economiche stanno, invece, perpetuando effetti recessivi. E ciò accade mentre i costi della politica continuano ad essere esorbitanti».
Per Uil «bisogna affrontare, poi, altri nodi importanti, a partire dalla soluzione della questione degli esodati. Si tratta di oltre trecentomila persone che hanno sottoscritto un patto, affidandosi alle leggi dello Stato, che deve essere onorato garantendo loro una continuità tra salario e pensioni».
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lunedì 2 aprile 2012
Lavoro: dati ISTAT disoccupazione 2012
Il tasso di disoccupazione a febbraio 2012 si è attestato al 9,3%, in rialzo di 0,2 punti percentuali su gennaio e di 1,2 punti su base annua. È il tasso più alto da gennaio 2004 (inizio serie storiche mensili). E’ quanto ha rilevato l'Istat in base a dati destagionalizzati e a stime provvisorie.
Il numero dei disoccupati a febbraio é di 2,354 milioni. Si tratta del numero più alto dall'inizio delle serie storiche mensili, da gennaio del 2004. Se si fa riferimento alle serie trimestrali diventa il più alto dal terzo trimestre del 2000.
Il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) a febbraio è al 31,9%, in aumento di 0,9 punti percentuali rispetto a gennaio e di 4,1 punti su base annua. Lo rileva l'Istat in base a dati destagionalizzati e a stime provvisorie, aggiungendo che è il tasso più alto da gennaio 2004 (inizio serie storiche mensili). Nel quarto trimestre del 2011 il tasso di disoccupazione dei 15-24enni tocca un picco del 49,2% per le giovani donne del Mezzogiorno. Lo rileva l'Istat in base a dati non destagionalizzati.
A febbraio tra le donne il numero di occupate scende di 44 mila unità rispetto a gennaio, quindi in un solo mese. Lo rileva l'Istat in base a dati provvisori e destagionalizzati, aggiungendo che nel complesso si contano a febbraio, su base mensile, 29 mila occupati in meno. Infatti, il calo riguarda solo la componente femminile.
L'occupazione preoccupa tutti: il 99% della popolazione italiana, con scale diverse, per la "tenuta" del proprio posto di lavoro. Un vero e proprio incubo, secondo un sondaggio Confesercenti-Ispo, secondo cui i più preoccupati si contano tra i residenti in piccoli centri con meno di 5.000 abitanti (72%), i lavoratori con qualifiche meno elevate (72%), gli studenti (73%) e, ovviamente, i disoccupati (82 per cento).
Ma anche in Europa il numero totale di disoccupati ha raggiunto livelli mai censiti prima, sia nell'area euro che
nell'intera Unione europea a 27. Lo precisano da Eurostat, in merito ai dati sulla disoccupazione di febbraio.
Nell'area euro l'ente di statistica comunitario ha contato 17 milioni 134 mila disoccupati a febbraio, nell'l'Unione europea a 27 invece 24 milioni 550 mila: in entrambi i casi si tratta di nuovi record, ha spiegato un tecnico di Eurostat. Quanto al tasso di disoccupazione, il 10,8 per cento registrato sull'area euro rappresenta un massimo dal giugno del 1997, e quindi anche un massimo dal lancio effettivo della valuta unica. Per l'Unione europea a 27 il 10,2 per cento raggiunto dalla disoccupazione è invece un nuovo record assoluto: non si era mai registrato un valore così elevato nelle tabelle di Eurostat.
Il numero dei disoccupati a febbraio é di 2,354 milioni. Si tratta del numero più alto dall'inizio delle serie storiche mensili, da gennaio del 2004. Se si fa riferimento alle serie trimestrali diventa il più alto dal terzo trimestre del 2000.
Il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) a febbraio è al 31,9%, in aumento di 0,9 punti percentuali rispetto a gennaio e di 4,1 punti su base annua. Lo rileva l'Istat in base a dati destagionalizzati e a stime provvisorie, aggiungendo che è il tasso più alto da gennaio 2004 (inizio serie storiche mensili). Nel quarto trimestre del 2011 il tasso di disoccupazione dei 15-24enni tocca un picco del 49,2% per le giovani donne del Mezzogiorno. Lo rileva l'Istat in base a dati non destagionalizzati.
A febbraio tra le donne il numero di occupate scende di 44 mila unità rispetto a gennaio, quindi in un solo mese. Lo rileva l'Istat in base a dati provvisori e destagionalizzati, aggiungendo che nel complesso si contano a febbraio, su base mensile, 29 mila occupati in meno. Infatti, il calo riguarda solo la componente femminile.
L'occupazione preoccupa tutti: il 99% della popolazione italiana, con scale diverse, per la "tenuta" del proprio posto di lavoro. Un vero e proprio incubo, secondo un sondaggio Confesercenti-Ispo, secondo cui i più preoccupati si contano tra i residenti in piccoli centri con meno di 5.000 abitanti (72%), i lavoratori con qualifiche meno elevate (72%), gli studenti (73%) e, ovviamente, i disoccupati (82 per cento).
Ma anche in Europa il numero totale di disoccupati ha raggiunto livelli mai censiti prima, sia nell'area euro che
nell'intera Unione europea a 27. Lo precisano da Eurostat, in merito ai dati sulla disoccupazione di febbraio.
Nell'area euro l'ente di statistica comunitario ha contato 17 milioni 134 mila disoccupati a febbraio, nell'l'Unione europea a 27 invece 24 milioni 550 mila: in entrambi i casi si tratta di nuovi record, ha spiegato un tecnico di Eurostat. Quanto al tasso di disoccupazione, il 10,8 per cento registrato sull'area euro rappresenta un massimo dal giugno del 1997, e quindi anche un massimo dal lancio effettivo della valuta unica. Per l'Unione europea a 27 il 10,2 per cento raggiunto dalla disoccupazione è invece un nuovo record assoluto: non si era mai registrato un valore così elevato nelle tabelle di Eurostat.
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domenica 1 aprile 2012
La riforma del mercato del lavoro 2012. Cambia lo Statuto dei lavoratori
Non è ancora iniziato l'iter in Parlamento, ma la riforma del mercato del lavoro è sempre in primo piano. Il ministro del welfare assicura: ''Nessuno vuole dare alle imprese la licenza di licenziare''. Ma la Cgil resta ferma sulla richiesta del reintegro. Gli industriali si schierano con il governo.
Il disegno di legge di riforma del mercato del lavoro Monti-Fornero, approvata il 23 marzo, salvo intese, ha segnato una svolta nel metodo e nei contenuti ed è visto “in una prospettiva di crescita”. Lo scopo è di realizzare un mercato del lavoro dinamico, flessibile e inclusivo, capace cioè di contribuire alla crescita e alla creazione di occupazione di qualità, di stimolare lo sviluppo e la competitività delle imprese
Il Ministro del Lavoro ha confermato la determinazione con cui l'esecutivo ha messo in tasca la riforma. Articolo 18 compreso: «Non lo aboliamo. Distinguiamo le fattispecie», aveva evidenziato giorni fa la Fornero, confermando che nei casi di licenziamento per motivi economici, se giudicati illegittimi, ci sarà solo l'indennizzo e, invece, che nei casi di licenziamento disciplinare si affida al giudice il potere di decidere tra reintegro e indennizzo. E così è stato.
Licenziamento individuale. Nello specifico ci saranno tre regimi sanzionatori per il licenziamento individuale illegittimo: la reintegrazione nel posto di lavoro sarà disposta dal giudice solo nel caso di licenziamento discriminatorio e in alcuni casi di infondatezza del licenziamento disciplinare.
Licenziamento per motivi economici. Nel caso di licenziamento per motivi economici ritenuto illegittimo dal giudice, il datore di lavoro potrà essere condannato solo al pagamento di un'indennità. L'indennizzo che dovesse essere deciso a fronte di un licenziamento illegittimo per motivi disciplinari o per motivi economici potrà variare tra le 15 e le 27 mensilità.
Preventiva procedura di conciliazione. Si legge nella bozza che per i licenziamenti economici è previsto «l'esperimento preventivo di una rapida procedura di conciliazione innanzi alle direzioni territoriali del lavoro, non appesantita da particolari formalità, nell'ambito della quale il lavoratore potrà essere assistito anche da rappresentanti sindacali, e potrà essere favorita la conciliazione tra le parti».
Obbligatorio indicare i motivi del licenziamento. Sarà sempre obbligatorio indicare i motivi del licenziamento.
Se il licenziamento economico è strumentale e il lavoratore riesce a provare che è invece di natura disciplinare o discriminatoria il giudice applica le relative tutele. È prevista l'introduzione di un rito procedurale veloce per le controversie in materia di licenziamento.
Articolo 18 dello statuto dei lavoratori, abbattuto un capo saldo. Si è abbattuto, dunque, il totem dell’articolo 18, la norma dello Statuto dei lavoratori del 1970 che garantiva il diritto al reintegro nel posto di lavoro a chi veniva licenziato senza giusta causa o giustificato motivo nelle aziende con più di 15 dipendenti. Il nuovo articolo 18, esclude il reintegro e offre solo la possibilità dell'indennizzo nel caso in cui il lavoratore abbia ragione davanti al giudice.
Una tutela assoluta sancita nella legge al termine del 1969, una stagione di lotte sindacali per l’affermazione dei diritti e il miglioramento delle condizioni dei lavoratori nell'Italia delle rivoluzioni sociali.
La riforma, però, come ha sottolinea lo stesso ministro Fornero non è solo l'articolo 18, è «tutto» l'intervento: dal congedo di paternità obbligatoria agli ammortizzatori alle politiche attive per il lavoro. Dall'apprendistato come trampolino di lancio nel mercato del lavoro all'ingresso dell'Aspi, la nuova indennità di disoccupazione, fino alla stretta su tutte le forme di contratti subordinati per combattere la precarietà.
Il disegno di legge di riforma del mercato del lavoro Monti-Fornero, approvata il 23 marzo, salvo intese, ha segnato una svolta nel metodo e nei contenuti ed è visto “in una prospettiva di crescita”. Lo scopo è di realizzare un mercato del lavoro dinamico, flessibile e inclusivo, capace cioè di contribuire alla crescita e alla creazione di occupazione di qualità, di stimolare lo sviluppo e la competitività delle imprese
Il Ministro del Lavoro ha confermato la determinazione con cui l'esecutivo ha messo in tasca la riforma. Articolo 18 compreso: «Non lo aboliamo. Distinguiamo le fattispecie», aveva evidenziato giorni fa la Fornero, confermando che nei casi di licenziamento per motivi economici, se giudicati illegittimi, ci sarà solo l'indennizzo e, invece, che nei casi di licenziamento disciplinare si affida al giudice il potere di decidere tra reintegro e indennizzo. E così è stato.
Licenziamento individuale. Nello specifico ci saranno tre regimi sanzionatori per il licenziamento individuale illegittimo: la reintegrazione nel posto di lavoro sarà disposta dal giudice solo nel caso di licenziamento discriminatorio e in alcuni casi di infondatezza del licenziamento disciplinare.
Licenziamento per motivi economici. Nel caso di licenziamento per motivi economici ritenuto illegittimo dal giudice, il datore di lavoro potrà essere condannato solo al pagamento di un'indennità. L'indennizzo che dovesse essere deciso a fronte di un licenziamento illegittimo per motivi disciplinari o per motivi economici potrà variare tra le 15 e le 27 mensilità.
Preventiva procedura di conciliazione. Si legge nella bozza che per i licenziamenti economici è previsto «l'esperimento preventivo di una rapida procedura di conciliazione innanzi alle direzioni territoriali del lavoro, non appesantita da particolari formalità, nell'ambito della quale il lavoratore potrà essere assistito anche da rappresentanti sindacali, e potrà essere favorita la conciliazione tra le parti».
Obbligatorio indicare i motivi del licenziamento. Sarà sempre obbligatorio indicare i motivi del licenziamento.
Se il licenziamento economico è strumentale e il lavoratore riesce a provare che è invece di natura disciplinare o discriminatoria il giudice applica le relative tutele. È prevista l'introduzione di un rito procedurale veloce per le controversie in materia di licenziamento.
Articolo 18 dello statuto dei lavoratori, abbattuto un capo saldo. Si è abbattuto, dunque, il totem dell’articolo 18, la norma dello Statuto dei lavoratori del 1970 che garantiva il diritto al reintegro nel posto di lavoro a chi veniva licenziato senza giusta causa o giustificato motivo nelle aziende con più di 15 dipendenti. Il nuovo articolo 18, esclude il reintegro e offre solo la possibilità dell'indennizzo nel caso in cui il lavoratore abbia ragione davanti al giudice.
Una tutela assoluta sancita nella legge al termine del 1969, una stagione di lotte sindacali per l’affermazione dei diritti e il miglioramento delle condizioni dei lavoratori nell'Italia delle rivoluzioni sociali.
La riforma, però, come ha sottolinea lo stesso ministro Fornero non è solo l'articolo 18, è «tutto» l'intervento: dal congedo di paternità obbligatoria agli ammortizzatori alle politiche attive per il lavoro. Dall'apprendistato come trampolino di lancio nel mercato del lavoro all'ingresso dell'Aspi, la nuova indennità di disoccupazione, fino alla stretta su tutte le forme di contratti subordinati per combattere la precarietà.
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Mercato del lavoro: i licenziamenti per motivi economici
Le direttive, le linee guida, dovrebbero prevedere l’instaurazione delle cause giudiziarie; risolverle con un rito veloce quando ciò non sia possibile. Quindi la procedura della conciliazione dovrebbe essere un cardine delle linee guida della riforma del mercato del lavoro. Ed è probabile che la procedura della conciliazione diventerà obbligatoria per tutti i licenziamenti per motivi economici.
Sui licenziamenti sembra che si è voltata pagina, con tre diversi regimi che si applicano per tutti i lavoratori, non solo per i neoassunti. Per i licenziamenti economici, se giudicati illegittimi, il giudice ordina il pagamento di un'indennità risarcitoria omnicomprensiva compresa da 15 a 27 mensilità.
Per i licenziamenti disciplinari il giudice deciderà tra reintegrazione – solo nei casi più gravi – e indennizzo, sempre tra 15 e 27 mensilità. Per i licenziamenti discriminatori è invece confermato l'attuale dispositivo sanzionatorio dell'articolo 18, con il reintegro obbligatorio disposto dal giudice a prescindere dalle dimensioni dell'impresa.
Il licenziamento economico oltre 5 dipendenti, invece, è disciplinato dalla legge n. 223 del 1991, e ha una procedura differente: l'accordo con il sindacato fa scattare la mobilità per 2 anni per il lavoratore, altrimenti il datore di lavoro può licenziare secondo criteri che penalizzano i più giovani, privi dei carichi di famiglia.
Senza conciliazione, il lavoratore dovrà dimostrare la sua utilità.
Il licenziamento per motivi economici è quello che prevede il maggior numero di novità: per motivi economici non si intende lo stato di crisi, ma ragioni di gestione aziendale.
Il primo atto è l'invio di una lettera alla DPL (Direzione Territoriale del lavoro). Nella lettera il datore di lavoro (impresa) deve comunicare la volontà di licenziare il dipendente spiegando i motivi di gestione legati alla decisione. Si istituisce una commissione per gestire la conciliazione. La commissione convochi le parti entro sette giorni dal ricevimento della lettera.
Quando la commissione avrà convocato le parti inizierà il confronto in cui l'impresa dovrà dimostrare che non esiste alternativa all'indennizzo e il lavoratore cercherà di sostenere le ragioni per cui il suo licenziamento è infondato, indicando magari opzioni alternative di ricollocamento. Il testo della riforma del mercato del lavoro sottolinea che il comportamento delle parti davanti alla commissione di conciliazione sarà registrato in un verbale e consegnato al giudice nel caso in cui la conciliazione dovesse fallire. Il giudice valuterà e sanzionerà atteggiamenti scorretti. La commissione di conciliazione alla fine dei confronti può comunque formulare la sua proposta. Se le parti la rifiutano, la causa passa al dibattimento in tribunale.
Superata la fase della conciliazione, il datore di lavoro può mandare la sua raccomandata di licenziamento al lavoratore il quale ha 60 giorni per impugnarla (basta una lettera) e 270 giorni (dal ricorso) per depositare l'impugnazione. A questo punto si verifica spesso che il lavoratore, avendo ricevuto la lettera, si metta in malattia. La condizione di malattia infatti sospende l'efficacia del licenziamento. La legge prevede, al minimo, 180 giorni di malattia ma alcuni contratti collettivi ne prevedono da 12 a 18 mesi.
Si prevede che quando l'azienda comunicherà il licenziamento per motivi economici, la maggioranza dei lavoratori reagirà impugnando il licenziamento e cercando di dimostrare che avviene per motivi disciplinari o discriminatori,i quali prevedono il reintegro del posto di lavoro. Sarà compito del giudice accertare se si tratti di motivo economico mascherato o meno, tenendo presente che il giudice, nel caso accertasse che i motivi sono realmente legati alla gestione, non può entrare nel merito della scelta aziendale.
Le cause per i licenziamenti dunque dovranno avere una corsia rapida. Diverse le ipotesi: dall'aumento del personale dedicato a queste cause alla creazione di un tetto ai rinvii (per esempio massimo sette giorni) fino all'adozione della procedura d'urgenza dell'articolo 700 del codice di procedura civile. In questo caso infatti il lavoratore dovrà dimostrare di avere tali problemi economici da non poter sostenere il normale iter della causa, ossia rimanendo senza stipendio.
La causa abbreviata deve permettere al giudice di accertare prima se realmente la ragione del licenziamento è economica. Se questo aspetto non è accertato il licenziamento verrà dichiarato nullo, se è confermato, si passerà alla quantificazione dell'indennizzo che va da 15 a 24 mensilità. In questo frangente il giudice terrà conto anche di un eventuale rifiuto del lavoratore di accettare l'intervento di un'agenzia di ricollocamento. Espletato il primo grado, la causa procede poi verso gli altri gradi di giudizio.
Sui licenziamenti sembra che si è voltata pagina, con tre diversi regimi che si applicano per tutti i lavoratori, non solo per i neoassunti. Per i licenziamenti economici, se giudicati illegittimi, il giudice ordina il pagamento di un'indennità risarcitoria omnicomprensiva compresa da 15 a 27 mensilità.
Per i licenziamenti disciplinari il giudice deciderà tra reintegrazione – solo nei casi più gravi – e indennizzo, sempre tra 15 e 27 mensilità. Per i licenziamenti discriminatori è invece confermato l'attuale dispositivo sanzionatorio dell'articolo 18, con il reintegro obbligatorio disposto dal giudice a prescindere dalle dimensioni dell'impresa.
Il licenziamento economico oltre 5 dipendenti, invece, è disciplinato dalla legge n. 223 del 1991, e ha una procedura differente: l'accordo con il sindacato fa scattare la mobilità per 2 anni per il lavoratore, altrimenti il datore di lavoro può licenziare secondo criteri che penalizzano i più giovani, privi dei carichi di famiglia.
Senza conciliazione, il lavoratore dovrà dimostrare la sua utilità.
Il licenziamento per motivi economici è quello che prevede il maggior numero di novità: per motivi economici non si intende lo stato di crisi, ma ragioni di gestione aziendale.
Il primo atto è l'invio di una lettera alla DPL (Direzione Territoriale del lavoro). Nella lettera il datore di lavoro (impresa) deve comunicare la volontà di licenziare il dipendente spiegando i motivi di gestione legati alla decisione. Si istituisce una commissione per gestire la conciliazione. La commissione convochi le parti entro sette giorni dal ricevimento della lettera.
Quando la commissione avrà convocato le parti inizierà il confronto in cui l'impresa dovrà dimostrare che non esiste alternativa all'indennizzo e il lavoratore cercherà di sostenere le ragioni per cui il suo licenziamento è infondato, indicando magari opzioni alternative di ricollocamento. Il testo della riforma del mercato del lavoro sottolinea che il comportamento delle parti davanti alla commissione di conciliazione sarà registrato in un verbale e consegnato al giudice nel caso in cui la conciliazione dovesse fallire. Il giudice valuterà e sanzionerà atteggiamenti scorretti. La commissione di conciliazione alla fine dei confronti può comunque formulare la sua proposta. Se le parti la rifiutano, la causa passa al dibattimento in tribunale.
Superata la fase della conciliazione, il datore di lavoro può mandare la sua raccomandata di licenziamento al lavoratore il quale ha 60 giorni per impugnarla (basta una lettera) e 270 giorni (dal ricorso) per depositare l'impugnazione. A questo punto si verifica spesso che il lavoratore, avendo ricevuto la lettera, si metta in malattia. La condizione di malattia infatti sospende l'efficacia del licenziamento. La legge prevede, al minimo, 180 giorni di malattia ma alcuni contratti collettivi ne prevedono da 12 a 18 mesi.
Si prevede che quando l'azienda comunicherà il licenziamento per motivi economici, la maggioranza dei lavoratori reagirà impugnando il licenziamento e cercando di dimostrare che avviene per motivi disciplinari o discriminatori,i quali prevedono il reintegro del posto di lavoro. Sarà compito del giudice accertare se si tratti di motivo economico mascherato o meno, tenendo presente che il giudice, nel caso accertasse che i motivi sono realmente legati alla gestione, non può entrare nel merito della scelta aziendale.
Le cause per i licenziamenti dunque dovranno avere una corsia rapida. Diverse le ipotesi: dall'aumento del personale dedicato a queste cause alla creazione di un tetto ai rinvii (per esempio massimo sette giorni) fino all'adozione della procedura d'urgenza dell'articolo 700 del codice di procedura civile. In questo caso infatti il lavoratore dovrà dimostrare di avere tali problemi economici da non poter sostenere il normale iter della causa, ossia rimanendo senza stipendio.
La causa abbreviata deve permettere al giudice di accertare prima se realmente la ragione del licenziamento è economica. Se questo aspetto non è accertato il licenziamento verrà dichiarato nullo, se è confermato, si passerà alla quantificazione dell'indennizzo che va da 15 a 24 mensilità. In questo frangente il giudice terrà conto anche di un eventuale rifiuto del lavoratore di accettare l'intervento di un'agenzia di ricollocamento. Espletato il primo grado, la causa procede poi verso gli altri gradi di giudizio.
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Assunzioni 2012 per il settore turismo
Il Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali nella nota n. 4269 del 2012 ha precisato che possono effettuare la comunicazione obbligatoria «Co» semplificata tutte le aziende che svolgono una attività propria del settore turismo e pubblici esercizi, applicando i relativi contratti collettivi. Non è vincolante, invece, lo svolgimento di una delle attività di cui ai codici Ateco 2007 individuati dal ministero del lavoro nella nota protocollo n. 2369 2012.
I chiarimenti riguardano la facilitazione delle comunicazioni di assunzione prevista dal dl n. 5/2012 (decreto semplificazioni) a favore dei datori di lavoro del settore turismo e pubblici esercizi. Con questa facilitazione, in sostanza, le assunzioni possono essere comunicate anche incomplete di tutti i dati del lavoratore e del datore di lavoro, a prescindere dall'esistenza di un motivo di urgenza, salvo provvedere all'integrazione entro tre giorni.
Con nota protocollo n. 2369 2012 (si veda Italia Oggi 18 febbraio) il Ministero ha spiegato che, nelle more dell'adeguamento della modulistica, i datori di lavoro interessati alla semplificazione possono usare il modello Uniurg per effettuare la Co preventiva di assunzione, esclusivamente in via telematica, da completare entro il terzo giorno seguente l'instaurazione del rapporto di lavoro con la trasmissione del modello Unilav completo. Con l'occasione, il ministero ha fornito i codici attività Ateco 2007 per i quali dovesse ritenersi operante la semplificazione. Ma «comunque svolgono attività proprie del settore turismo e pubblici esercizi applicando i relativi contratti collettivi».
Conseguentemente, ha aggiunto il Ministero, restano esclusi dall'ambito operativo della Co semplificata quei rapporti di lavoro che, pur regolati dai contratti collettivi del turismo e dei pubblici esercizi, non siano evidentemente riconducibili alle attività proprie del settore.
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